Novecento
Di Carmen Giaquinto
Novecento di Alessandro Baricco, edito da Feltrinelli nell’anno 1994, è il primo testo teatrale dell’autore torinese. Prima di “Oceano Mare”, uno dei suoi testi più famosi, scrive, appunto, Novecento, un monologo in un atto unico che ha avuto anche una riduzione cinematografica in “La leggenda del pianista sull’oceano”, del regista Giuseppe Tornatore (1998).
L’atto racchiude la storia, narrata dall’amico suonatore di tromba Tim Tooney, che si impersona in questo modo nei panni di narratore interno, di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, pianista sul transatlantico Virginian. Abbandonato sulla nave da emigranti, viene accudito da Danny Boodman, marinaio di colore che muore dopo otto anni. Il suo talento straordinario si incontra e si scontra con musicisti d’eccezione come colui che si autodefinisce “l’inventore del jazz”, Jelly Roll Morton, il quale si reca sulla nave per sfidare proprio Novecento, il pianista che pare non sia mai sceso sulla terraferma. Nemmeno quando il suo amico Tim lo esorta a scendere i gradini della scaletta che lo separano dal primo vero contatto con il suolo. Al terzo gradino aveva già voltato le spalle a quella cosa «immensa» che è la vita. Quando anche Tim decide di abbandonare la nave, il destino di Novecento sembra essere già scritto. La sua esistenza finisce a bordo del Virginian, ormai distrutto dalla guerra e prossimo al suo definitivo declino, deciso da un carico di dinamite. Novecento scompare su quella nave nello stesso modo in cui è apparso, misteriosamente. Egli ha vissuto attraverso i desideri e le passioni altrui. Ha ascoltato i racconti dei passeggeri e così ha imparato a conoscere il mondo; suonando, ha viaggiato ed esplorato luoghi di cui ha sentito parlare. Piuttosto che raggiungere un compromesso con la vita, preferisce «incantare» i propri sogni, le proprie speranze e lasciarsi esplodere col transatlantico che per tutta la vita ha conosciuto i suoi timori e ne ha custodito i desideri. Da qui si deduce la tematica principale del testo: la paura; la paura di affrontare il mondo esterno, di avere un rapporto con Dio, o meglio, con l’infinito. Novecento preferisce morire con la sua nave anziché affrontare il mondo di fuori.
Novecento è uno di quei libri che spunta da uno scaffale saturo di testi, nel momento più opportuno, proprio come è accaduto a me
Emoziona, parla di me, di noi, di tutti. Dopo averlo concluso, un senso di nostalgia misto a tristezza ed emozione, pervade l’animo. Nessuno è pronto per scendere sulla terraferma ed esplorare un posto finito, eppure viviamo in una esistenza finita ma Novecento è riuscito ad andare oltre, a capire che l’infinito è dentro di noi, in ogni cosa che viviamo, nei luoghi che percorriamo, nella terra su cui camminiamo. L’oceano, così apparentemente profondo e pauroso, possiede un senso di infinita sicurezza agli occhi di chi è nato sul mare. È un paradosso esistenziale.
Questo monologo, racchiuso in un atto unico, mi lascia un segno profondo; ha un’intensità graffiante che invita a riflettere. Chissà se un giorno riusciremo a «disarmare la felicità» e non occorrerebbe farsi esplodere su una nave, basterebbe incantare i nostri sogni.