Donna tatuata
di Roberta Magliocca
Premessa. Io, donna tatuata del Sud. Io che, giornalista, non dovrei cedere alle provocazioni. Io che, quando malauguratamente inciampo in maldestri tentantivi di critica sociale da parte di sedicenti giornalisti che nemmeno saprebbero venderlo un giornale, dovrei ridere dell’ignoranza e passare oltre.
Ma l’amore per il mio lavoro, il sudore, le notti insonni, i mal di testa dopo dodici ore ininterrotte davanti ad un pc, mi ispirano altruismo. Devo al mio lavoro la stessa serietà e dignità che ogni giorno l’essere giornalista mi impone.
E allora, no, stare zitta di fronte la stupidità umana, liquidando ogni scempiaggine come se l’autore della stessa fosse una voce fuori dal coro significherebbe giustificare. E giustificare significherebbe capire, trovare una logica a ciò che logica e comprensione non è attribuibile.
Perchè c’è un limite che non deve essere oltrepassato. Eppure qualcuno lo ha fatto. Qualcuno che ha abusato della lingua italiana per sputare giudizi non richiesti, fango e insulti gratuiti.
Non so come spiegarvi il senso di orticaria che il leggere certe parole mi ha dato, spingendomi a scrivere ciò che ho premesso fino ad ora e ciò che scriverò da qui a qualche momento.
Io, dicevo, donna tatuata del Sud. E in quanto campana la tammorra tatuata sul piede sinistro suona tutta la melodia che mi lega a questa terra meravigliosa e dannata, dilaniata dall’ignoranza di chi crede che sparare a zero contro la mia terra renda migliore i non-napoletani, i non-estroversi, i non-volgari.
E se è vero che io, donna tatuata del sud, non sono certo tatuata per nobiltà (?) marinara, nè per senso di appartenenza a qualche categoria ben precisa, non mi sento una poveraccia affetta da narcisismo, nè ho bisogno di chance per sentirmi strafiga. Forse chi scrive sciocchezzuole insensate ed infondate ha bisogno di quell’opportunità per brillare rubando luce a chi – tatuando il proprio corpo – non fa del male a nessuno, ma del bene a se stesso. Chi non ha luce, ne cerca altrove. E se pure prova ad essere luminoso con l’energia altrui, non riesce ad emanare grandezza. Allora tenta di spegnere gli altri. Fallendo.
E un’altra verità è stata detta da uno di questi giornalettai da quattro spicci. Il buon gusto non si può imporre per legge. Non si possono vietare i tatuaggi e non si può vietare la procreazione di esseri tanto ignoranti da imparare a leggere e a scrivere senza imparare buona educazione e grandezza d’animo.
Quanto al conformismo che prenderebbe noi cafoni del sud marchiati a fuoco come gli indigeni che furono, non sarà più o meno marcato di quello che invade i timorati di Dio la domenica mattina in Chiesa, o chi cerca con i propri figli i Pokemòn – ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale – o, ancora, chi indossa mocassini e maglioncini legati al collo.
Saremo pure conformisti, ma il tatuaggio è la forma più alta di responsabilità che un ragazzo possa intraprendere. Ci assumiamo i rischi di stancarcene domani, pagando con la nostra pelle un errore fatto a nostre spese. Quanti medici, poliziotti, giornalisti (etc.) possono dire di pagare a loro spese gli errori che modificano e rovinano vite di coloro che gli capitano a tiro?
E ci dispiace davvero tanto se qualcuno, andando in spiaggia quest’estate, ha dovuto subire questo assurdo panorama di noi tatuati, di pelle abbronzata e conformista, di labbra rifatte e consumistiche. C’è una soluzione per chi non vuol vedere ciò che – soggettivamente – non piace. Chiudere gli occhi o non uscire di casa. Eppure sono sicura che questi signori da giacca e cravatta, con la pelle bianca senza nemmeno una cicatrice, per raggiungere l’orgasmo nell’unico atto sessuale mensile con la propria moglie – anch’essa bianca e senza tattoo – sogna una donna tutta rifatta e tatuata, conformista e giovanissima, di contemporanea memoria.