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AttualitàIn primo piano

Stalking: caso Boschi, quando la legge non è uguale per tutti

scritto da L'Interessante 20 marzo 2017
Stalking

Stalking

Di Carmen Giaquinto

Dopo l’arresto nel novembre del 2016, Giuseppe Dragone, originario della Campania, più precisamente di Pozzuoli, è stato condannato a due anni e due mesi di carcere con il rito abbreviato. Il quarantacinquenne è stato accusato di stalking nei confronti dell’ex ministro delle Riforme ed attuale Sottosegretario alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi. I messaggi con i quali tempestava letteralmente la casella postale della Boschi passano da frasi d’amore a minacce di morte, in una furia ossessiva che gli aveva già causato gli arresti domiciliari mesi prima, quando era stato fermato nei pressi di un ristorante di Santa Maria Novella, a Firenze, in quanto si rifiutava di pagare il conto del pranzo, poche decine di euro. Gli agenti, dopo averlo identificato ed aver inserito il suo nome negli archivi, si sono resi conto che l’uomo era ricercato perché a suo carico pendeva una misura cautelare di arresti domiciliari per atti persecutori proprio ai danni dell’ex ministro. Secondo quanto appreso da fonti di polizia, l’uomo sarebbe stato sottoposto da tempo alla misura di divieto di avvicinamento verso la donna e a quella dell’obbligo di dimora nel suo comune di residenza in Campania.

Tra stalking e messaggi

«Non c’è mai stato alcun contatto tra il mio assistito ed il ministro Boschi, che non ha mai risposto ai messaggi», ha spiegato il difensore di Dragone, l’avvocato Guido Iaccarino. L’ossessione che l’uomo aveva sviluppato negli anni «deriva da una patologia psichiatrica che dura da anni». La segretaria della giovane donna leggeva quotidianamente centinaia di mail dai contenuti abbastanza accesi e preoccupanti in un mix di delirio amoroso e omicida: “Amore ti porterò con me in paradiso. Tu sei il mio fiore”; “Ti amo ma ti devo ammazzare”; “Boschi tra i Boschi amore a tema… ma se ti ammazzo chi ti troverà?”; “Amore sbloccami oppure parto prima e ti ammazzo…sai che sono geloso”.Mille e-mail in soli tre mesi. E-mail che hanno allarmato la sicurezza di Maria Elena Boschi, assente in tribunale venerdì scorso, non costituendosi, però, parte civile.

La vita ai tempi dello stalking

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei messi a quattro anni”, così recita l’art. 612 bis del codice penale, introdotto con la legge n. 38 del 2009 in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale e di atti persecutori. Ma quando ad essere perseguitati sono le donne (e gli uomini) normali, senza cognomi importanti, la legge cade nel dimenticatoio e tutto si addebita all’ormai diffusissimo termine “femminicidio”, usato, talvolta, in maniera impropria. Secondo l’Istat, tre milioni e quattrocento sessantasei mila donne italiane hanno subito stalking nel corso della loro vita, da ex fidanzati o da sconosciuti squilibrati. Non bastano le già utili associazioni (vedi Telefono Rosa o Doppia Difesa, ideata da Giulia Bongiorno) che offrono, in primis, un supporto morale alla vittima che in genere ha paura di denunciare. Il problema non è la novità di una legge che non funziona. Il problema sono i tempi della giustizia. Passa troppo tempo tra la denuncia e la salvezza, per questo molte donne temono di aggravare la situazione ed adirare maggiormente lo stalker. E così capita sempre di più che quei messaggi spinti e terrificanti, quegli sguardi d’odio represso si trasformino in schiaffi, urla, spintoni e colpi di pistola. Senza mezzi termini. E soprattutto, senza la tutela di uno Stato che sapeva ma che è rimasto con le mani in mano. Come se il caso della Boschi fosse più grave di quello di Andrea Toccaceli, diciott’anni, picchiata dal fidanzato ventitreenne e spinta giù da un viadotto lungo la statale 73 bis nelle Marche, un volo di quindici metri che è stato seguito dal tentato suicidio del ragazzo stesso. Lo Stato ha la colpa di non riuscire a fermare l’aggressore prima che accada l’irreparabile, anche se la vittima lo denuncia molto prima. Eppure è fondamentale intervenire immediatamente in seguito alla denuncia. Come spiegano anche gli esperti dell’Osservatorio Nazionale Stalking, la dinamica del bracconaggio (to stalk significa, appunto, braccare) ha un altissimo rischio di recidiva e di passaggio dall’atto grave senza manifestazioni intermedie: spesso si passa, infatti, dalla violenza psicologica agli atti persecutori, di solito dopo una separazione o un rifiuto, fino all’omicidio. Ecco, quindi, che la vicenda dell’ex ministro è su tutti i giornali e le migliaia di denunce giornaliere restano tra la polvere di una burocrazia troppo indaffarata. Due pesi, due misure. Nell’attesa che si diffonda una maggiore sensibilizzazione, la massima solidarietà va a Maria Elena Boschi, un’altra vittima dello stalking nostrano.

Stalking: caso Boschi, quando la legge non è uguale per tutti was last modified: marzo 20th, 2017 by L'Interessante
BoschiFemminicidioleggeministrostalking
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