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Categoria

Cultura

1 MAGGIO
AttualitàCulturaEditorialeIn primo piano

1 MAGGIO: FESTA O…. LUTTO. UNA FESTA BEN CAMUFFATA

scritto da L'Interessante

1 MAGGIO

di Giovanna Rizzo

1 maggio…… la festa camuffata

In questa globalizzazione che costringe i lavoratori a “scannarsi” e “cannibalizzarsi” l’un l’altro, in una competizione apparentemente liberista ma di fatto asservita alle dinamiche della finanza, sembra più plausibile celebrare un lutto.

Un lutto più che una festa 

Un lutto, si. Non quello del lavoro nel suo significato più prossimo, ovvero quello evocato dall’art. 1 della Costituzione Italiana, ma del lavoratore che si troverà di fronte a un “lutto” nel senso psicologico più stretto del termine, nella auspicabile rielaborazione della possibilità di credere che le catene “platoniane” possano passare in ombra e che tutto ciò che ci viene proiettato come un bene dai padroni del discorso, dai padroni del sapere, dai padroni mediatici, possa essere messo in discussione. 

E che la “nuda” vita, magari, non sia così preziosa della vita “sociale” per la quale l’essere umano è più incline e per la quale ha dimenticato di lottare.

La zebra scappa dal leone perché conosce il suo predatore, ma se il predatore veste i panni del titolare dello zoo safari, sarà sempre più difficile avere il coraggio di pensare altrimenti, di pensare al TUO valore e alla responsabilità della TUA vita scevra dalla riconoscenza del dono, ma sempre più pregnante di sfumature da conoscere, conquistare e vivere.

È necessaria una rivolta dell’anima, per una rivolta verso l’immagine di ciò che ci può sembrare scontato.

 

 

1 MAGGIO: FESTA O…. LUTTO. UNA FESTA BEN CAMUFFATA was last modified: maggio 1st, 2020 by L'Interessante
1 maggio 2020 0 commenti
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coronavirus
AttualitàCulturaIn primo piano

CORONAVIRUS FASE 2 ……… GIU`LA “MASCHERINA

scritto da L'Interessante

Coronavirus

di Giovanna Rizzo

Coronavirsus: realmente la “fase 2” ci porterà fuori dal tunnel? 

Ci avviciniamo alla cosiddetta “fase 2”, sarà il preludio di un ritorno alla “fase 1”  (epidemia Yo-Yò) o svelerà a chi vuol intendere lati oscuri di questa vicenda?

Per ora assistiamo a rappresentazioni caricaturali e farsesche (es. “duello Fontana/De Luca a Porta a Porta) che intrattengono il pubblico come solo i reality sanno fare, alimentando focolai faziosi in cerca di una rivalsa sociale attraverso l’inevitabile demolizione dell’altro come nemico al di  fuori delle mura comunitarie.

L’assurdità di tutto ciò è ben evidente nei messaggi che ogni giorno ci bombardano attraverso i media, messaggi che fanno rievocare persino  Dante su  come i “ piagati si sentiranno in colpa per le loro piaghe” e quindi di come sarà nostra responsabilità, il NON aver saputo rispettare le “REGOLE”, il non essere stati “bravi” nel tutelare noi e la comunità nella quale viviamo.

In pratica farci sentire in pericolo o fonte di pericolo,  farci guardare con sospetto anche chi amiamo amplificando un senso di colpa che inevitabilmente conduce alla sottomissione e alla paura di essere “sbagliati” o peggio ancora “vittime”.

Negazione dei riconoscimenti dei diritti da parte di chi ci governa e privazione dei dettami democratici

Nel frattempo, le ambiguità di chi ci governa alimentano la dissonanza dei diritti defraudati rendendoli concessioni che non siamo stati capaci di tutelare, mandando in fumo la nostra Costituzione e di conseguenza il lavoro di tante piccole imprese (artigiani compresi) che non avranno la possibilità di contrastare le multinazionali e/o l’e-commerce beneficiari già da prima  di un’evasione legalizzata.

Rimarremo bloccati nei nostri “orticelli”( non esisterà neanche più la spiaggia libera e la concessione del “bagno” a mare che sarà solo per chi potrà permetterselo accentuando ancor di più le differenze “sociali”) con l’illusione di una tutela/sicurezza senza diritti e senza giudizio critico, elementi fondamentali ed essenziali di una democrazia.

CORONAVIRUS FASE 2 ……… GIU`LA “MASCHERINA was last modified: aprile 22nd, 2020 by L'Interessante
22 aprile 2020 0 commenti
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la musica della gatta cenerentola
AttualitàIn primo pianoMusica

LA MUSICA DELLA GATTA CENERENTOLA COME PASS PER IL PARADISO. CASERTA SALUTA CORRADO SFOGLI SUO FIGLIO ILLUSTRE

scritto da Walter Magliocca

La musica della gatta cenerentola

Dalla musica della gatta cenerentola alla musica popolare partenopea. Un artista sopra le righe. Napoli e Caserta piangono Corrado Sfogli

Un saluto a Corrado Sfogli, direttore musicale, chitarrista e anima della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Insieme a Fausta Vetere moglie e compagna nel suo percorso artistico, ha rappresentato, per quasi cinquant’anni, il vero riferimento della musica popolare napoletana radicata nel passato e proiettata verso nuove melodie.

Ascoltando le note della sua chitarra se ne apprezzava la sensibilità dell’uomo e dell’artista, con la musica della tradizione partenopea con cui riusciva a coinvolgere e ad appassionare.

Un altro baluardo della musica napoletana non potrà più deliziarci con le sue melodie

Non è riuscito a sconfiggere il male che lo aveva colpito due anni fa. Nel 1976 era subentrato a Eugenio Bennato diventando il leader della Compagnia di Canto Popolare. Diplomato al conservatorio di Avellino, ha anche collaborato con numerosi artisti tra cui Pino Daniele e Angelo Branduardi, oltre che con l’orchestra del Teatro San Carlo di Napoli e quella dei cameristi italiani.

Napoli città natia, Caserta sua città d’adozione e di vita insieme agli affetti più cari

Chi scrive saluta la famiglia ed in particolare abbraccia la sorella, professoressa di Storia dell’Arte al liceo classico Pietro Giannone di Caserta, Massima Grazia, la quale ne condivideva l’amore per l’arte, nel senso più ampio del termine e la sensibilità d’animo.

Si spera che la città di Caserta, non faccia come al solito e che in questo caso ricordi degnamente un suo figlio illustre, un vero artista ed un uomo sensibile e schivo, con l’organizzazione di manifestazioni a suo nome ed anche intitolandogli una strada della città

E’ il minimo.

LA MUSICA DELLA GATTA CENERENTOLA COME PASS PER IL PARADISO. CASERTA SALUTA CORRADO SFOGLI SUO FIGLIO ILLUSTRE was last modified: marzo 26th, 2020 by Walter Magliocca
26 marzo 2020 0 commenti
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panathlon
AttualitàEventi

PANATHLON DAY A CASERTA E IL CANOTTAGGIO IN CITTA’ VISTO DALL’OLIMPIONICO DAVIDE TIZZANO

scritto da L'Interessante

Panathlon

Panathlon: l’incontro nel prestigioso salone d’onore dell’antico Palazzo Paternò in via San Carlo

Significativo appuntamento per il Panathlon Club Caserta-Terra di Lavoro, unico sodalizio riconosciuto nella nostra provincia, che terrà una importante manifestazione mercoledì 13 giugno nella prestigiosa cornice dell’antico Palazzo Paternò in via San Carlo nel centro storico di Caserta. Oltre alla celebrazione del Panathlon Day, che si festeggia domani 12 giugno con varie iniziative nei club di tutto il mondo, il Presidente on. Paolo Santulli ha invitato ospiti di eccezione per trattare un tema di particolare e innovativo interesse sportivo nel capoluogo.

Davide Tizzano parlerà del canottaggio nel Parco dopo la spettacolare kermesse nella vasca dei Delfini con gli equipaggi di Oxford e Cambridge

Il campione olimpico di canottaggio Davide Tizzano, che ha appena organizzato la prestigiosa kermesse remiera nel Parco della Reggia, incentrata sul confronto nella vasca dei Delfini tra i mitici equipaggi inglesi di Oxford e Cambridge, terrà una conversazione sul tema: “Canottaggio a Caserta: una sfida”, affiancato da Roberta Reisino, presidente del neo costituito club Reali Canottieri Reggia di Caserta.

Un incontro al quale parteciperà il Governatore dell’Area 11 Campania, il salernitano Enzo Todaro, il Sindaco di Caserta Carlo Marino, il Direttore della Reggia Mauro Felicori, esponenti della Magistratura, giornalisti, dirigenti degli altri club panathleti campani, anche in coincidenza con la presentazione di un gruppo di nuovi soci, tutti provenienti dal mondo dello sport.

“L’idea di istituire il “Panathlon Day” – spiega il presidente Paolo Santulli – fu proposta dal Distretto Brasile durante il Congresso Panamericano svoltosi a Recife nell’ottobre 2017. Immediatamente tutti gli organi direttivi del Panathlon International hanno fatto propria la proposta ufficializzandola come un impegno comune a tutti i Soci e Club per i prossimi anni. Andare a riscoprire le radici di quel lontano 12 giugno 1951, quando fu fondato il sodalizio, sarà il primo passo per verificare con varie iniziative lo sviluppo che hanno avuto nel mondo dello sport gli ideali panathletici, fondati sull’amicizia, il rispetto reciproco, la correttezza nell’agonismo, il fair play e la valorizzazione dello sport come straordinario strumento di educazione dei giovani”.

 L’organizzazione dell’incontro è curata dal direttivo composto, tra gli altri, dal vicepresidente Bruno Giannico, dal segretario Salvatore Giaccio, dal tesoriere Enzo De Lucia, dal cerimoniere Giuliano Petrungaro con l’impegno del Past President Geppino Bonacci,

PANATHLON DAY A CASERTA E IL CANOTTAGGIO IN CITTA’ VISTO DALL’OLIMPIONICO DAVIDE TIZZANO was last modified: giugno 11th, 2018 by L'Interessante
11 giugno 2018 0 commenti
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LibriMusicaTeatro

Vuoi presentare il tuo Libro? Un Libro per té cerca autori

scritto da L'Interessante

Un Libro per Tè cerca nuovi autori per nuove presentazioni

Hai pubblicato un libro e vuoi presentarlo? L’Accademia Musicale Fortepiano mette a disposizione il suo team per una presentazione fuori dal comune.

La rassegna Un Libro per tè

Dalla convinzione che l’arte sia un abbraccio di uguale intensità tra musica, teatro, letteratura ed espressione libera ed emozionante, nasce la rassegna “Un libro per tè”. Lontane dalle solite presentazioni, la rassegna si snoda tra attimi di musica, teatro, analisi profonda del testo e condivisione con il pubblico. Dall’idea di Anna Paola Zenari – musicista – il gruppo di lavoro di Un libro per tè è composto da Corrado Del Gaizo (attore), Carmine Covino (attore e musicista), Valentina Masetto (psicoterapeuta e scrittrice), Roberta Magliocca (giornalista). E dagli autori, ovviamente.

Per saperne di più, scrivi a ufficiostampa.unlibroperte@gmail.com

Vuoi presentare il tuo Libro? Un Libro per té cerca autori was last modified: marzo 5th, 2018 by L'Interessante
5 marzo 2018 0 commenti
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EventiLibriMusicaTeatro

L’Accademia Musicale Fortepiano presenta “La Serva Padrona” di Cristina Patturelli nell’ambito della Rassegna “Un Libro per té”

scritto da L'Interessante

Torna Domenica 25 Febbraio la rassegna letteraria “Un Libro per Tè”: presentazione di “La Serva Padrona” di Cristina Patturelli

Dopo il grande successo degli ultimi due anni, torna Domenica 25 Febbraio 2018 alle ore 18.00 – presso l’Accademia Musicale Fortepiano di Anna Paola Zenari in Via A. Stellato, San Prisco (CE) – la rassegna “Un libro per tè” con la presentazione dell’opera “La serva padrona. Giovan Battista Pergolesi restituito all’antica lingua napolitana” della soprano Cristina Pattureli.

La Rassegna

Dalla convinzione che l’arte sia un abbraccio di uguale intensità tra musica, teatro, letteratura ed espressione libera ed emozionante, nasce la rassegna “Un libro per tè”. Lontane dalle solite presentazioni, la rassegna si snoda tra attimi di musica, teatro, analisi profonda del testo e condivisione con il pubblico. Dall’idea di Anna Paola Zenari – musicista – il gruppo di lavoro di Un libro per tè è composto da Corrado Del Gaizo (attore), Carmine Covino (attore e musicista), Valentina Masetto (psicoterapeuta e scrittrice), Roberta Magliocca (giornalista). E dagli autori, ovviamente.

L’Opera

A distanza di più di 300 anni Giovanni Battista Pergolesi continua ad appassionare e divertire con le sue creazioni. Le sue musiche non testimoniano solo una personalità creativa estremamente raffinata e complessa, ma ci restituiscono, tutt’intera, un’epoca e una società osservata e interpretata da tutti i punti di vista: la gestualità plebea e lo sberleffo del saltimbanco ma anche la tenera sentimentalità borghese della commedia musicale; lo sfarzo e l’aristocratica malinconia del dramma per musica tardo-barocco e metastasiano; la scatenata vitalità e la sottile schermaglia psicologica, nonché l’arguzia e la vis comica dei personaggi degli intermezzi. L’incontro e la fusione dei brani del geniale intermezzo “La Serva Padrona” con la lingua napoletana, che vede i recitativi dell’intermezzo più famoso, chiacchierato, applaudito e rappresentato trasposti in lingua vernacolare, nasce quindi nel modo più naturale e spontaneo, perché è proprio la scrittura musicale pergolesiana a prescindere dalle parole dell’altrettanto mirabile libretto di G. A. Federico, che riprende ed è totalmente intrisa della musicalità dell’idioma partenopeo.

Cristina Patturelli è un soprano lirico, impegnato ad ampio spettro sugli aspetti tecnici, didattici, fisiologici e filologici della voce lirica e moderna. Pur privilegiando, come interprete, il repertorio lirico, ha studiato tutti gli aspetti tecnico-espressivi della vocalità moderna, classica e antica per andare al di là dell’esecuzione e affiancare alla carriera artistica una intensa attività didattica come vocal trainer. Per comprendere a fondo le prassi esecutive e le sfumature del testo, ha intrapreso un percorso duplice attraverso lo studio musicologico e l’approfondimento degli aspetti strettamente fisiopatologici della voce.

L’Accademia Musicale Fortepiano presenta “La Serva Padrona” di Cristina Patturelli nell’ambito della Rassegna “Un Libro per té” was last modified: febbraio 22nd, 2018 by L'Interessante
22 febbraio 2018 0 commenti
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In primo pianoTeatro

Michele Pagano: Il futuro è il mio presente

scritto da L'Interessante

di Christian Coduto

Raggiungere Officina teatro mi viene facile: la mia macchina sembra essere guidata da un pilota automatico. Ho messo piede lì talmente tante volte, che mi sembra quasi di essere a casa. In una città come Caserta (anche se qui siamo a San Leucio, per la precisione) un luogo come questo è una vera e propria boccata d’aria fresca.

Oggi incontro Michele Pagano in quanto uomo, non attore. La cosa mi incuriosisce molto; l’ho visto lavorare in tante occasioni su quel palco: l’ho visto sudare, soffrire, svuotarsi delle emozioni da donare agli spettatori, ma anche sorridere e, soprattutto, gioire per ciò che stava facendo. Letteralmente, Michele su quel palcoscenico, ci butta il sangue.

Mi attende all’ingresso del teatro, vestito in maniera semplice e assai comoda. Da lontano, individuo subito un paio di occhi profondissimi e un bel sorriso. Andiamo nel suo studio e inizia a parlare a ruota libera.

Michele Pagano parla di sé …

Chi è Michele Pagano?

Michele Pagano è semplicemente un uomo pieno di difetti, ma con un grande amore: il teatro.

Quando hai deciso che la recitazione avrebbe occupato un posto così importante nella tua vita?

Avevo all’incirca 14 anni … ho iniziato col teatro amatoriale, come tanti … capivo come tutte le mie emozioni e sensazioni, riuscissero a venir fuori sul palcoscenico. Sul palco perdevo le inibizioni e la mia forte timidezza. Il pubblico è stato il primo amico su cui potevo contare, sono stato capace di instaurare una grande complicità con gli spettatori: riuscivo ad esprimermi e loro mi ascoltavano con piacere; alle volte mi davano anche dei consigli per la mia crescita artistica e non solo.  Ho canalizzato sempre di più le mie forze e tutto il mio essere verso quella strada. Negli anni, mi sono ritrovato a gestire un teatro. In effetti, non l’ho mai capito, è successo (sorride).

Hai un curriculum vitae impressionante. Hai lavorato sodo e hai ottenuto un successo e una stima via via crescenti sia da parte degli addetti al lavoro sia degli amanti del buon teatro. Ora, si ottiene la popolarità in quattro e quattr’otto. Senza fare sacrifici. Quanto danneggia la buona arte questa tendenza generale?

Credo che la “gavetta” sia fondamentale in ogni impiego. Non per nulla, per diventare avvocato, hai bisogno di una laurea … poi di una specializzazione, quindi di un tirocinio e infine di un esame. La gavetta aiuta a sperimentarsi, a capire. Salire su un palcoscenico e avere qualcosa da dire, questo è il mio credo. Temo che, negli anni, troppi falsi miti impediscano la formazione e la realizzazione di un progetto vero, duraturo e coerente con le proprie idee. Soprattutto i giovani non hanno dedizione allo studio teatrale. Non credono nel teatro come una necessità e come lavoro a tutti gli effetti. Credono nella fama. Nell’esibizione. Vedo ragazzi che dopo un anno di laboratorio si “atteggiano” a grandi professionisti. Non hanno basi per farlo. La conoscenza teatrale non è solo pratica, anzi è soprattutto teoria. Il teatro, per farlo, bisogna conoscerlo, andarci, capire, informarsi. Bisogna sudare, soffrirne, desiderare di calpestare il legno: un desiderio carnale, viscerale, qualcosa che appaga la nostra intimità e la nostra interiorità. Gli esibizionisti non avranno futuro, come i saccenti. Quest’arte è infinita, bisogna sperimentarsi e mettersi in discussione ogni giorno. Senza sentirsi perfetti o capaci. Per quanto mi riguarda lo faccio da quasi 25 anni e non sono convinto di niente. Ho voglia di imparare e maledico il tempo che passa in fretta.  

I tuoi spettacoli affrontano temi molto diversi tra loro. Alcuni sono realizzati per un pubblico più adulto, maturo, altri invece sono dedicati agli adolescenti. Da attore e regista, credi che ci sia un approccio diverso nei confronti dei potenziali spettatori?

Indubbiamente molto dipende da chi sono gli attori/interlocutori. Quando il lavoro viene svolto con un gruppo under 18, cerco di capire loro di cosa vogliono discutere e quali sono le paure/preoccupazioni/gioie e le loro necessità. Allora, indubbiamente, il gioco viene messo in scena, cercando di parlare la loro lingua ma non vado a limitare la fruizione esclusivamente ad un pubblico giovane. Cerco di potere arrivare al cuore di tutti. Credo che a prescindere dalla grandezza dei nostri cuori, ognuno di noi porti dentro le stesse emozioni. Stesso discorso vale per gli attori over 18. Cambia solo il mio modo di approcciarmi a loro. Parlo agli attori allo stesso modo, scelgo solo parole diverse.

Michele Pagano è un attore e un regista teatrale, ma ha realizzato tanti cortometraggi e ha lavorato in alcuni lungometraggi. In termini di dinamiche, di approccio al personaggio da interpretare, di tempistiche, ci sono molte differenze tra la realtà del palcoscenico e il mondo della celluloide?

Le differenze ci sono e sono infinite. Trattarne una per una mi costringerebbe a parlarne per ore. Sono i due miei amori. Non posso dire di amarne uno più o meno dell’altro. E, in effetti, si vede anche la contaminazione del cinema nelle mie regie teatrali. La preparazione di un attore ha bisogno di un tempo preciso. Diciamo che il mio lavoro è pari a quello di un’ostetrica: aiuto l’attore a partorire il suo personaggio, assisto al suo dolore ma gli sono sempre vicino. Cinematograficamente parlando, il tempo sul set è molto ristretto durante le riprese. Il mio approccio con gli attori per un film è quello teatrale. Invito gli attori a lavorare sul set prima delle riprese. Facendogli vivere ogni angolo del luogo e respirare tutte le sensazioni delle location.  

Parliamo ora di Officina Teatro, di cui sei fondatore …

La mia sfida più grande. Nata ormai 10 anni fa, è la mia piccola isola felice. Un luogo dove si è liberi di “sentirsi a casa”. Tanto e tanto impegno per gestirla, in una fatica costante derivante dal totale autofinanziamento. Per fortuna soddisfazioni e critiche non sono mai mancate e questo mi ha dato la possibilità di migliorarmi di anno in anno e di stagione in stagione. Ero consapevole che la gestione di uno spazio indipendente avrebbe totalmente assorbito tempo e spazio per i miei lavori esterni. Ma fortunatamente non ho mai avuto grandi ambizioni. Non vivo nessun rimorso, non vivo competizioni. Sto bene nel vedere la gioia negli occhi dei miei allievi quando salgono sul palco e questo è il mio più grande successo. Alla fine, quando le cose le fai con amore non esiste altra mancanza. Invece guardo tanti miei colleghi insoddisfatti e frustati che non si godono ciò che fanno ma riescono solo a godere a sparlare del successo degli altri e a sputare veleno. Eppure, alla fine, abbiamo scelto noi di fare teatro. Nessuno ci ha obbligato a farlo. 

Libero nel lavoro, nelle passioni e nella vita. Coerente al 100%. E senza peli sulla lingua.

Tanti motivi in più per continuare a seguire ed apprezzare le sue scelte artistiche.

Se fosse per me, lo metterei al posto della televisione. Lo ascolterei parlare per ore: le sue idee, i suoi pensieri, le sue parole sono il frutto di una vita fatta di esperienze (artistiche e non) che lo hanno arricchito. Glielo dico, sorride e mi ringrazia.

Officina Teatro ospita un laboratorio di recitazione. Una vera e propria manna dal cielo in una città come Caserta, in cui tutto ciò che è cultura ha spesso difficoltà ad affermarsi.

Questo è un altro argomento per il quale ci vorrebbero ore di chiacchiera. Mi voglio limitare nel dire che Caserta è piena di artisti, pittori, poeti, scrittori, attori etc. nulla in meno ad altre città italiane.  Il problema è che sprechiamo tempo a lamentarci di ogni cosa che si fa. La lamentela è il rosario che ci diciamo ogni mattina. Forse, dovremmo essere solo più propositivi e riconoscere che altrove non è che ci sia di più. Ci sono solo persone che hanno la capacità di mettere assieme forze produttive per far si che queste vengano tutelate, mostrate, riconosciute e protette.

Invece di limitarci alla realizzazione di grandi eventi milionari che nascono e muoiono nel giro di pochi giorni, dovremmo essere lungimiranti nel creare format e contenitori che durino nel tempo e crescano con gli anni; Creare una vetrina importante per la città e muovere spettatori e curiosi da ogni parte d’Italia, come – d’altronde – facciamo noi, andando in giro per festival ed eventi italiani o mondiali.

Purtroppo siamo figli di una cultura paesana: ci accontentiamo di far conoscere le nostre capacità ad amici e parenti. Dovremmo unirci per far conoscere le nostre potenzialità altrove, avere il coraggio di restare e far sì che gli altri vengano a godere delle nostre bellezze.

L’autocritica.

Necessaria, fondamentale per andare avanti. Perché continuiamo a guardare sempre e solo fuori? Davvero è utile la nostra esterofilia? A cosa è dovuta questa passività culturale?

Officina Teatro è una realtà più piccola, intima. Le sue dimensioni più contenute aiutano a creare un’atmosfera empatica con gli spettatori?

Sicuramente. Il teatro che amo è soprattutto dove c’è un contatto con il pubblico. Non ho voluto che Officina avesse nessuna piccola pedana per dividere gli attori dagli spettatori perché credo che non possano esserci differenze. Lo spettacolo è quello che fanno il pubblico e attori assieme. Se non avviene questo scambio, non c’è teatro. E’ un po’ come fare l’amore da soli: non lo chiameremo amore e puoi capire benissimo a cosa mi riferisco (ridiamo di gusto).

Qual è lo spettacolo teatrale al quale sei più legato?

“Pensieri randagi” è un mio vecchio monologo che non ho mai rappresentato ad Officina teatro. Ho fatto solo poche repliche ma per affezione ed estremo coinvolgimento, ho deciso di non volerlo più rappresentare. Spesso mi viene in mente di rifarlo ma chissà, forse oggi sarebbe diverso ed non avrebbe più la stessa magia che vissi in quel tempo …

Domanda divertente: prima di salire sul palco, hai riti scaramantici?

Si, ma per scaramanzia non te lo dico (sghignazza).

Attore, regista, sceneggiatore, autore. Tante anime, mille strade da proseguire. Quale pensi sia quella che ti appartiene maggiormente?

I primi tempi avevo la necessità di capire … poi ho smesso di chiedermelo. Ho capito che sono io. Non posso escludere niente. Dare ordine alle mie idee e alla mia personalità non permetterebbe di creare. Ho capito col tempo che avere il caos dentro mi aiuta a mettere pensieri ordinati su carta.  

Domanda multipla: ultimo film visto al cinema, ultimo libro letto, ultimo cd acquistato.

Purtroppo la cosa mi manca di più è andare al cinema con la stessa frequenza di prima ma come ho già detto, non ho tempo abbastanza per fare tutto. L’ultimo film è stato “Il Cliente” di Asghar Farhadi. L’ultimo libro che ho letto è stato “Lettere a Federico” mentre l’ultimo cd non l’ho comprato, mi è stato regalato. E’ una collezione di ninne nanne.

Cosa dobbiamo attenderci da Michele Pagano per questo 2017?

In questo momento ho tante idee nel mio caos, non so ancora quale prenderà forma ed ordine. Di sicuro, come ogni anno, tireremo fuori delle novità assolute. La nostra prerogativa è quella di sperimentarci e far sperimentare il pubblico con nuovi linguaggi e nuovi approcci artistici.

E adesso ci salutiamo alla Marzullo: fatti una domanda e datti una risposta

Domanda: Come vedo il mio futuro domani?

Risposta: Vorrei che fosse uguale al presente. L’unica cosa diversa sarà una barba bianca e un paio d’occhiali spessi che indosso quando leggo i copioni. Mia moglie continuerà ad assecondarmi per le mie follie artistiche. Mia figlia farà il suo primo debutto ed io continuerò a vedere gli spettacoli dei miei allievi, in lacrime, dietro la tenda nera. 

Michele Pagano ci saluta così, con un’immagine (ovviamente!) teatrale …

Ma quel sipario per lui, ne sono certo, non si chiuderà così tanto facilmente …

Michele Pagano: Il futuro è il mio presente was last modified: gennaio 15th, 2018 by L'Interessante
15 gennaio 2018 0 commenti
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In primo pianoTeatro

Da consumarci preferibilmente dopo morti: Officina Teatro incanta il pubblico

scritto da Roberta Magliocca

Vivere la vita come se si fosse alla finestra, immobili. Di quelle immagini che ci vogliono metà in ombra e metà alla luce, senza che si capisca bene quali siano i contorni, dove finiamo realmente.

Alla finestra a guardar fuori; cosa non importa. O meglio, importa eccome, nonostante la miseria e la disperazione di un mondo che non ci appartiene. Il mondo è lì, fuori dalla tua finestra a sbranarsi per un tozzo di pane, per un titolo sul giornale, per il posto macchina, per lo sconto al supermercato.

E voltandoti di appena mezzo giro sei sollevato, perchè hai un salotto con la smart tv i risparmi in banca pane a volontà uno stipendio fisso al mese derivato da un lavoro a tempo indeterminato sudato con anni e anni spesi a studiare ti sei laureato in anticipo i tuoi ti hanno lasciato in eredità una casa non hai mutuo la fidanzata che ti vuol bene dall’altra parte del letto la macchina bella.

Si, tutto d’un fiato. Senza punteggiatura emotiva. Senza la possibilità di avere il tempo di chiederti se sei felice. E ti senti quasi in colpa quando guardando a quello che hai, desideri tutto l’opposto. Vorresti solo essere dall’altra parte della finestra.

Non puoi dirlo, sembreresti pazzo. Ma in questa follia c’è il lucido sentimento di chi vuole appartenere a questo mondo, qualunque cosa significhi. E se il mondo è in miseria, vuoi la miseria, se il mondo è in lotta vuoi lottare, se non c’è spazio per tutti, la tua casa di 200 metri quadri ti sembra effettivamente troppo grande e ti fa sentire solo. Un monolocale è più caldo, ci stai con altra gente.

E se sembra un insulto, perdonatemi. Ma il punto non è, materialmente, cos’hai o cosa no. Tutto ruota intorno al voler far parte di un meccanismo che non ti esuli, che non ti escluda solo perchè non hai i requisiti giusti. O meglio, perchè ne hai troppi.

Se davanti ad un passeggino e ad una torta di compleanno riusciamo a capire che non vorremmo altro, allora dovremmo rallentare. Smettere di fare e sentire un po’ di più.

DA CONSUMARCI PREFERIBILMENTE DOPO MORTI
Di Michele Pagano
Con Francesco Ruggiero | Rita Pinna
Elaborazioni visive e multimediali Marco Moretti | Michele Pagano
Costumi Pina Raucci
Regia Michele Pagano
Progetto OFFLAB

Da consumarci preferibilmente dopo morti: Officina Teatro incanta il pubblico was last modified: novembre 16th, 2017 by Roberta Magliocca
16 novembre 2017 0 commenti
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Musica

Un’intervista. Dario Gay: che cos’è l’amore

scritto da L'Interessante

Di Christian Coduto

Dario Gay risponde alle domande de “L’interessante”

L’avviso di videochiamata tramite Skype non è nemmeno partito che già mi ritrovo, sullo schermo, la faccia di Dario che sorride. Mi saluta con la mano ripetutamente. “Allora Christian, chiedimi tutto quello che vuoi” esordisce. L’atteggiamento di apertura, di socievolezza è talmente evidente che, una volta tanto, è l’intervistato a mettere a suo agio l’intervistatore. Mentre gli faccio vedere con la web tutti i suoi cd e vinili che ho nella mia collezione, lo vedo ringraziare con gli occhi.

Chi è Dario Gay?

Dario Gay è un eterno ragazzino, alla ricerca delle cose belle nella musica e nell’amore. E’ vero: ora sono leggermente disincantato, un pochino disilluso, ma non ho mai perso l’entusiasmo e il desiderio di rimettermi in gioco, attraverso le mie canzoni e gli eventi della vita.

Quando hai capito che la musica avrebbe avuto un ruolo predominante nella tua vita?

Mah, sin da bambino! Ho dei ricordi leggermente sfumati di me che, piccolissimo, ascoltavo le canzoni di Rita Pavone (talvolta cantate da mia mamma). Mi ricordo che volevo imitare Rita. Il mio sogno era quello di stare su un palcoscenico: prendevo degli oggetti, un pacchetto di sigarette di mio papà, un bicchiere … e li usavo a mo’ di microfono. La musica mi ha sempre emozionato, mi ha continuamente toccato nel profondo. L’amore per la musica l’ho ereditato sicuramente dai miei genitori; loro non hanno mai inciso brani, ma ne hanno sempre ascoltati tantissimi.

Insomma, Dario era un cantante già prima di diventarlo ufficialmente. Un misto di teatralità e ingenua fantasia che addolcisce il cuore …

  1. Dopo tanta gavetta esce il tuo primo album, dal titolo assolutamente geniale “Nella vita di un artista c’è sempre un disco che ha per titolo il suo nome”. Tutti i brani sono scritti da te, in collaborazione di un big del calibro di Enrico Ruggeri …

Mi ricordo benissimo come andò: stavamo facendo una riunione per decidere il titolo del lavoro. Ognuno diceva la propria. Silvio Crippa, il mio produttore (nonché quello di Enrico Ruggeri) disse “Chiamiamolo Dario Gai. In fondo, nella vita di un artista c’è sempre un disco che ha per titolo il suo nome”. Fu proprio Enrico, presente alla riunione, ad avere l’illuminazione. L’idea mi piacque all’istante perché era molto originale, ironica. La maggior parte dei brani li ho scritti a quattro mani con Enrico. Fu un grande onore, per me, lavorare accanto ad un cantautore che stimo, un’esperienza sicuramente costruttiva, emozionante. Negli anni, io e lui abbiamo continuato a collaborare, ma ridurlo al semplice lavoro sarebbe ingiusto: c’è un rapporto umano molto bello, fraterno direi. Anche se non ci vediamo sempre, per impegni lavorativi, c’è un bellissimo affetto che ci lega. Di quel disco vorrei sottolineare anche gli splendidi arrangiamenti di Michele Santoro, la presenza di Dino D’Autorio, il sax di Amedeo Bianchi, i Calliope ai fiati, Golino alla batteria … davvero un disco di serie A.

Nel 1990 arriva il tuo primo Sanremo con “Noi che non diciamo mai mai”, che si comporta benissimo nelle classifiche di vendita. Che ricordi hai di quell’esperienza? Tu dai l’impressione di essere una persona riservata, come ti sei ritrovato nel caos festivaliero?

Avevo già partecipato al Festivalbar, ma Sanremo è tutta un’altra cosa, ovviamente. Quando seppi di essere entrato nel cast ufficiale, la mia gioia fu alle stelle! Durante le serate del Festival ero affascinato e molto confuso: mi ritrovai di fronte ad artisti del calibro di Liza Minnelli, Tina Turner, Leo Sayer (con cui strinsi una bella amicizia), Milva, Mango, i Pooh, Dee Dee Bridgewater, Ray Charles! Io mi presentai sul palco subito dopo la performance di Rod Stewart. Ero terrorizzato. Lo confidai a Johnny Dorelli: me lo ricordo con molto affetto. Mi mise a mio agio, cercò di tranquillizzarmi. Quell’anno, tra i giovani in gara, c’era anche suo figlio. Forse, proprio per questo motivo, ebbe degli atteggiamenti paterni con tutti noi.

Tra le altre cose, quel Festival fu l’unico che si tenne al Palafiori. Un’esperienza unica.

L’anno successivo fai il bis sanremese con “Sorelle d’Italia”. Un arrangiamento quasi epico (dei violini meravigliosi) e molta ironia amara nel testo. Affronti il tema del transessualismo. La Rai bigotta trema …

Nel 1991 mi presentai a Sanremo con questo brano sicuramente molto avanti, troppo avanti. Forse, se l’avessi presentato oggi, non avrebbe suscitato tutto quel clamore … o forse sì, perché i benpensanti esistono ancora … in realtà, avrei dovuto portare la canzone “Commedia a soggetto”, ma con la RCA decidemmo di portare “Sorelle d’Italia” proprio perché di rottura, diverso, unico. Tra le altre cose, a distanza di anni, quando faccio dei live è uno dei pezzi che il pubblico conosce di più … è una delle mie bandiere di riconoscimento, pur non essendo la mia preferita. L’arrangiamento venne studiato da me, Danilo Baiocchi e Alberto Radius. In particolar modo io pensai ai movimenti di violini, le chitarre … però io non sono un trascrittore di musica, sono un autodidatta, quindi Danilo mi diede una grande mano: lui trascrisse in musica quello che gli dicevo. Di questa canzone, mi piace molto quell’inizio brechtiano che poi sfocia nel rock vero e proprio. C’è anche una citazione di “Garota de Ipanema” … la cosa più divertente fu che nessuno, a Sanremo, si accorse che il brano fosse cantato quasi nella sua interezza. Era una canzone non inedita, la mia, seppure camuffata da citazione, appunto. Nel 2010 è stata riproposta da me e dalla Banda Osiris, che hanno fatto un lavoro eccelso, rendendola un vero e proprio gioiello.

Esce “Non solo amore”, il tuo secondo cd. All’epoca, però, sei ancora Dario Gai … “Non solo amore” si distingue per i testi molto poetici. Su tutti, quella meraviglia di “Commedia a soggetto” che chiude in maniera teatrale l’album …

 

Sì, all’epoca i produttori della BMG Ariola non volevano assolutamente che il mio cognome terminasse con la y. Non volevano che si potesse pensare che io fossi gay … questo creò in me tante paure: erano anni in cui non si tendeva ancora a dichiararsi. Io avevo i miei problemi di accettazione, in più avevo intorno persone che mi bloccavano…mi sentivo sempre colpevole. Non è stata una bella sensazione. In aggiunta a ciò, non mi piaceva il fatto che il mio cognome originario venisse storpiato. Anche graficamente, è molto più bello. Però ero un ragazzino, ero sperduto, ingenuo, pauroso … stavo lì ed ubbidivo.

Lo vedo dallo sguardo: è un periodo della sua vita per lui lontano, ma che gli riporta alla mente momenti di dolore. Il non poter essere se stesso, l’imposizione degli altri, il dover mentire … avrebbero demoralizzato chiunque. Forse e ripeto forse, la sua forza interiore è anche il risultato di ciò che è stato e che (per fortuna) non è più.

I testi poetici di cui parli sono opera mia, in alcuni casi in collaborazione con Enrico Ruggeri. “Commedia a soggetto” è un testo di cui vado estremamente fiero: è una visione poetica della vita, del nostro passaggio su questa terra. Talvolta siamo protagonisti, altre volte comprimari, comparse, è un gioco che cambia in continuazione, si evolve. Però rimane sempre una commedia, perché nella realtà noi vaghiamo nell’universo di vita in vita; oggi siamo uomini, domani saremo donne, una volta figli, un’altra volta padri. Non la canto da molto tempo, credo che sia arrivato il momento di reinterpretarla.

Parallelamente alla tua attività di cantante, intraprendi la carriera di autore per artisti del calibro di Milva, O.R.O., Viola Valentino. Com’è scrivere per gli altri? Immedesimarsi nella vita, nei sentimenti altrui richiede tanta sensibilità …

Vorrei chiarire una cosa: l’unica esperienza di scrittura per un altro artista è stata quella per gli O.R.O.; Enrico Ruggeri mi chiamò per scrivere un testo proprio da affidare loro: “Rose rosse e caffè”. Negli altri casi, invece, ho semplicemente scritto delle canzoni per me che, in un secondo momento, ho proposto ad alcuni cantanti. Brani estremamente personali, tra le altre cose: “Benvenuto” (poi incisa da Viola Valentino) per esempio, è dedicata all’amore più grande della mia vita. Per ironia della sorte, io non l’ho mai cantata, ma la versione di Viola mi è piaciuta molto.

Quando io e Marcello de Toffoli scrivemmo “Libero”, ci accorgemmo che la canzone sarebbe stata adatta alle corde di Milva, che stavo producendo in quel periodo. La ascoltò e mi propose di duettare insieme a lei. Milva ha inciso anche un’altra mia canzone che non è mai uscita. Quel brano l’ho scritto inizialmente per me, poi l’ho registrata in duetto con Wladimir Luxuria, l’ha incisa Milva, l’ha provinata Renato Zero, l’ha provinata Riccardo Fogli, ma anche Rita Pavone … è piaciuta a molti, ha un karma molto particolare, eppure non si è ancora deciso di farla uscire. Rita ha registrato delle mie canzoni che non sono mai uscite: “Capita”, per esempio, l’ho incisa con Aida Cooper, ma ne esiste una versione con Rita Pavone. In compenso, però, abbiamo scritto insieme “Sono fatti miei” e “Un film in anteprima” per il suo ultimo album “Masters”.

E’ bellissimo risentire il suono delle parole che hai scritto, reinterpretate con la sensibilità di un altro artista.

Sui social rispondi sempre con molta gentilezza alle domande dei tuoi fan. Recentemente, hai postato delle foto deliziose con Rita Pavone, con la quale sei legato da una profondissima amicizia …

Mi piace molto interagire con i fan. Da un po’ ho scoperto anche Instagram. Su facebook ci sto spesso. Sì, rispondo con gentilezza, anche se mi è capitato di avere degli attacchi da parte di qualcuno al quale, evidentemente, non ero simpatico. Usando diversi fake (falsi profili N.d.R.) mi ha offeso ripetutamente. Persone così, vengono prontamente bloccate. Sia chiaro: una critica sana, una considerazione pulita la rispetto. Le offese gratuite no.

Con Rita c’è un’amicizia meravigliosa, che nasce nel 1976 … ero piccolino, andavo a scuola … ero un suo grande fan e lo sono tuttora. Sono riuscito a conoscerla, figurati che mi accolse in casa sua. E’ una persona deliziosa, buona, si lega tantissimo agli altri. E’ un rapporto che è cresciuto negli anni, si è consolidato. Adoro questa donna e lei adora me!

Ad un certo punto, anche artisticamente Gai diventa finalmente Gay … che cosa è successo?

Successe che, chiusi i rapporti con le multinazionali, iniziai a collaborare con case discografiche più piccole, produzioni indipendenti. Decisi di riprendere in mano la situazione: mi riappropriai della mia y. Il mio cognome, tra le altre cose, si pronuncia come si scrive.

Ammetto però che, nonostante avessi effettuato questo cambiamento nel cognome, non ero ancora pronto per dichiararmi al grande pubblico. Era il 1994. In privato, ovviamente, era tutta un’altra cosa. Ma fu un primo passo in avanti, senza ombra di dubbio.

Nel 2005 esce “Io ti sposerò” un brano bellissimo, in cui affronti un argomento molto delicato …

Un’idea mia e dello straordinario Rosario di Bella, che ha prodotto questo disco. All’epoca ha destato molti problemi, perché è una canzone d’amore dedicata ad un uomo da parte di un altro uomo e in cui si manifesta la voglia di sposarsi … una cosa impensabile in quel contesto storico. Venni attaccato perché, al posto della parola matrimonio alcuni volevano che io usassi il termine Pacs … ma la canzone è poesia, quella parola non mi sarebbe sembrata adatta.

A distanza di tempo, comunque, io il marito non l’ho ancora trovato. Prima o poi arriverà (scoppia a ridere). Nel 2005 ero fidanzato con Marco, il protagonista della canzone. Meno male che non c’era la possibilità di sposarci, perché altrimenti adesso avrei avuto dei casini per il divorzio (ridacchia).

Ed ecco, quindi, “Ognuno ha tanta storia”. Un doppio cd e dvd con collaborazioni prestigiose. Come hai scelto gli artisti presenti nel cofanetto?

E’ un album che ha segnato il mio ritorno alla musica, dopo un piccolo periodo di silenzio. Tutti gli artisti che ho scelto hanno dei punti in comune con la mia vita. Ognuno di loro ha una grande storia da raccontare: Milva, Enrico Ruggeri, Rita Pavone, ma anche io, pur non essendo sempre suoi giornali o target dei mass media ho qualcosa da raccontare agli altri, magari la mia è una storia leggermente più nascosta, ma ricca di emozioni. Di sicuro, in questo cd mancano due nomi: la prima è Mia Martini, che avrei cercato sicuramente di coinvolgere nell’album. Era una grande amica. La seconda è invece Gabriella Ferri; non la conoscevo personalmente, ma per lei avrei percorso mari e monti.

Con tutti gli artisti presenti nel cd, comunque, avevo già collaborato in precedenza, solo con la Banda Osiris e la Sunshine Gospel Choir non era ancora successo. Anche con loro mi sono divertito tantissimo.

Mi piacerebbe incidere nuovi duetti, in futuro.

Il tuo ultimo progetto discografico è “Ufficialmente Liberi Tutti”, disponibile su itunes. Cosa ci racconti di questo bel progetto?

In realtà è il penultimo. Ho liberato tutti i brani che avevo lasciato nel cassetto. Canzoni inedite, versioni alternative di altri brani e così via. Mi è sembrata una bella idea … coloro che lo hanno acquistato lo hanno gradito tantissimo. A questo cd è seguito “Il colore delle parole d’amore”. E’ un album misto perché contiene due brani classici brasiliani, “Su una stella cadrai” in portoghese, un brano in francese che è l’anteprima di un album che spero esca entro la fine dell’anno … sulla copertina c’è un quadro di Celso Coppio, un pittore brasiliano. Il progetto è stato creato per uno spettacolo multimediale, proprio in tandem con Celso. A gennaio c’è stata l’anteprima in Italia. A novembre andrò in Brasile per due performance, poi farò un live da solo. Il disco verrà distribuito lì. In Italia è possibile acquistarlo tramite iTunes o anche su richiesta.

 Musica e cinema vanno di pari passo. Qual è il film della tua vita e perché?

Il film della mia vita è, appunto, il mio: quello che si deve ancora finire di girare (ride). Non posso, però, non citare “Lezioni di piano” di Jane Champion, un film meraviglioso, poetico, in cui mi ritrovo completamente. A questo aggiungo “Ghost” … qualcuno, forse sorriderà, ma è una pellicola che mi commuove. Mi riporta alla mente una storia d’amore che ho vissuto, bellissima, durata sette anni, fino al giorno della morte del mio compagno, nel 1996. Ero molto giovane, troppo giovane … se devo essere sincero, è un dolore che non ho mai davvero superato. Ho amato ancora nella mia vita, certo, però l’amore quello totale, ti tocca una volta sola. Io e lui ci siamo incontrati nelle vite precedenti e ci incontreremo ancora nelle prossime vite …

Sensibilità. Ne ha tanta, da vendere. Si è confidato con me, svelando uno dei suoi cassetti più intimi, di quelli chiusi con mille lucchetti. La sua voce, così calma e profonda, aggiunge ulteriore emozione a ciò che sta raccontando.

Domanda multipla: ultimo cd acquistato, ultimo libro letto, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.

Ultimo cd: una raccolta di Charles Aznavour, una platinum collection. Per me lui è un monumento … non a caso, ho anche interpretato una cover di un suo brano, “Comm Ils Disent” (“Quel che si dice” N.d.R.). Ultimo libro letto: “Sono stato più cattivo” di Enrico Ruggeri, un’autobiografia molto bella. C’è un capitolo dedicato a me. Ultimo spettacolo teatrale: “The bodyguard”, il musical con Karima. I musical mi piacciono molto, questo è stato piuttosto carino, con un bell’allestimento e bravi cantanti.

Cosa dobbiamo attenderci da Dario Gay per questo 2017?

Innanzitutto terminare il cd in francese di cui ti parlavo prima, dobbiamo masterizzarlo. A novembre andrò in Brasile e, al ritorno, avrò un mesetto per organizzare il lancio del disco in Francia. Non ho alcuna intenzione di abbandonare la mia lingua: ho già iniziato ad incidere dei brani in italiano, con l’ausilio dell’arrangiatore romano Luigi Montagna. Partiremo sicuramente con un singolo ed un bel video.

E adesso omaggiamo Marzullo: fatti una domanda e datti una risposta

“Dario, ti vuoi dare una mossa?” Risposta “Ci provo da una vita, ma stavolta una mossa me la do sul serio”

Oppure “Dario, cos’è per te l’amore?” Risposta “L’amore sono il mio cane ed il mio gatto, oltre naturalmente a mia mamma!”

 

Un’anima meravigliosa, da studiare e da conoscere, non solo attraverso le sue canzoni, ma (per chi ha la fortuna di conoscerlo dal vivo) anche attraverso la sua quotidianità. “Ognuno ha tanta storia” … sì, è vero. E la tua, Dario, è tutta da rivelare e da scoprire …

Un’intervista. Dario Gay: che cos’è l’amore was last modified: novembre 16th, 2017 by L'Interessante
16 novembre 2017 0 commenti
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VALERIO BIANCHINI E LE SUE … BOMBE. AMARCORD DI UN BASKET CHE FU

scritto da Walter Magliocca

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“Bianchini le mie bombe”. Il libro di Paolo Viberti fa tappa anche a Caserta

“Una riunione tra vecchi amici del basket” così Lucio Bernardo ha dato il “la” alla serata di presentazione del libro di Paolo Viberti, già giornalista di Tuttosport con il coach, denominato “vate” Valerio Bianchini e le .. “sue” bombe.

E di amici ce n’erano tanti nella sala del ristorante Leucio. Nando Gentile, “Giorgio” Glouchkov con la moglie Lucia, Mario Simeoli, Sergio Donadoni, Sergio Mastroianni, Gambardella, Antonio Di Lella, Massimo Sbaragli oltre gli ex presidenti di Caserta e Napoli, Gianfranco Maggiò e Nicola De Piano, spinto sulla sua carrozzella ma che ha risposto presente alla “rentree” casertana, dopo l’assenza napoletana di ieri al Palabarbuto.

Protagonisti di un Basket che non c’è più. “Nulla mi piace del basket moderno”, così Valerio Bianchini prima di addentrarsi in racconti ed aneddoti.

Tappa perché “Caserta è città che ha dato tanto alla palla a spicchi nazionale”, così Paolo Viberti, ricordando le imperdibili “mangiate di gusto” dell’”oro bianco” e che ha concluso “fate di tutto per salire su. Fate nuovamente canestro”, l’unico accenno alla crisi casertana. Detto con il cuore di sportivo e amante della Terra di Lavoro. Diventata terra di basket, grazie allo stile e pervicacia di un uomo venuto dal nord.

Tanti aneddoti e tanti ricordi

Molteplici gli aneddoti, presenti nel libro e raccontati. “Gli assenti hanno avuto torto”. I due protagonisti della serata hanno captato l’attenzione e la curiosità dei presenti.

Paolo Viberti a ricordare l’affetto, la disponibilità e l’amicizia con molti casertani, soprattutto nel periodo d’oro del basket cittadino. Valerio Bianchini a ripercorrere cinquantanni da protagonista sui parquet di tutto il mondo.

La sua predilezione per gli americani per raccontare che al Palamaggiò, con la sua Scavolini, un tifoso bianconero gli gridò “Bianchni hai cambiato più “neri” tu che Moana Pozzi”.

Un racconto che nel libro spazia da “Bill Bradley alle squadre Smartphone”.

Un racconto fatto anche di “chicche” e episodi, alcuni inediti con “tutto quello che nessuno ha osato dire sugli ultimi 50 anni del basket italiano”. Uno sport diverso. Fatto di cuore e valori.

E l’incasso devoluto ai più bisognosi.

Una vetrina di uno sport che sembra essere l’opposto di quello vissuto e giocato oggi. Ma sempre piacevole e affascinante.

Un tuffo nel passato, gradevole, interessante, simpatico e, per certi versi, intriso di commozione.

“Il futuro è la porta, il passato ne è la chiave”. Così ha chiuso Paolo Viberti ricordando una citazione di Victor Hugo.

VALERIO BIANCHINI E LE SUE … BOMBE. AMARCORD DI UN BASKET CHE FU was last modified: novembre 15th, 2017 by Walter Magliocca
15 novembre 2017 0 commenti
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