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Categoria

Teatro

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LibriMusicaTeatro

Vuoi presentare il tuo Libro? Un Libro per té cerca autori

scritto da L'Interessante

Un Libro per Tè cerca nuovi autori per nuove presentazioni

Hai pubblicato un libro e vuoi presentarlo? L’Accademia Musicale Fortepiano mette a disposizione il suo team per una presentazione fuori dal comune.

La rassegna Un Libro per tè

Dalla convinzione che l’arte sia un abbraccio di uguale intensità tra musica, teatro, letteratura ed espressione libera ed emozionante, nasce la rassegna “Un libro per tè”. Lontane dalle solite presentazioni, la rassegna si snoda tra attimi di musica, teatro, analisi profonda del testo e condivisione con il pubblico. Dall’idea di Anna Paola Zenari – musicista – il gruppo di lavoro di Un libro per tè è composto da Corrado Del Gaizo (attore), Carmine Covino (attore e musicista), Valentina Masetto (psicoterapeuta e scrittrice), Roberta Magliocca (giornalista). E dagli autori, ovviamente.

Per saperne di più, scrivi a ufficiostampa.unlibroperte@gmail.com

Vuoi presentare il tuo Libro? Un Libro per té cerca autori was last modified: marzo 5th, 2018 by L'Interessante
5 marzo 2018 0 commenti
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EventiLibriMusicaTeatro

L’Accademia Musicale Fortepiano presenta “La Serva Padrona” di Cristina Patturelli nell’ambito della Rassegna “Un Libro per té”

scritto da L'Interessante

Torna Domenica 25 Febbraio la rassegna letteraria “Un Libro per Tè”: presentazione di “La Serva Padrona” di Cristina Patturelli

Dopo il grande successo degli ultimi due anni, torna Domenica 25 Febbraio 2018 alle ore 18.00 – presso l’Accademia Musicale Fortepiano di Anna Paola Zenari in Via A. Stellato, San Prisco (CE) – la rassegna “Un libro per tè” con la presentazione dell’opera “La serva padrona. Giovan Battista Pergolesi restituito all’antica lingua napolitana” della soprano Cristina Pattureli.

La Rassegna

Dalla convinzione che l’arte sia un abbraccio di uguale intensità tra musica, teatro, letteratura ed espressione libera ed emozionante, nasce la rassegna “Un libro per tè”. Lontane dalle solite presentazioni, la rassegna si snoda tra attimi di musica, teatro, analisi profonda del testo e condivisione con il pubblico. Dall’idea di Anna Paola Zenari – musicista – il gruppo di lavoro di Un libro per tè è composto da Corrado Del Gaizo (attore), Carmine Covino (attore e musicista), Valentina Masetto (psicoterapeuta e scrittrice), Roberta Magliocca (giornalista). E dagli autori, ovviamente.

L’Opera

A distanza di più di 300 anni Giovanni Battista Pergolesi continua ad appassionare e divertire con le sue creazioni. Le sue musiche non testimoniano solo una personalità creativa estremamente raffinata e complessa, ma ci restituiscono, tutt’intera, un’epoca e una società osservata e interpretata da tutti i punti di vista: la gestualità plebea e lo sberleffo del saltimbanco ma anche la tenera sentimentalità borghese della commedia musicale; lo sfarzo e l’aristocratica malinconia del dramma per musica tardo-barocco e metastasiano; la scatenata vitalità e la sottile schermaglia psicologica, nonché l’arguzia e la vis comica dei personaggi degli intermezzi. L’incontro e la fusione dei brani del geniale intermezzo “La Serva Padrona” con la lingua napoletana, che vede i recitativi dell’intermezzo più famoso, chiacchierato, applaudito e rappresentato trasposti in lingua vernacolare, nasce quindi nel modo più naturale e spontaneo, perché è proprio la scrittura musicale pergolesiana a prescindere dalle parole dell’altrettanto mirabile libretto di G. A. Federico, che riprende ed è totalmente intrisa della musicalità dell’idioma partenopeo.

Cristina Patturelli è un soprano lirico, impegnato ad ampio spettro sugli aspetti tecnici, didattici, fisiologici e filologici della voce lirica e moderna. Pur privilegiando, come interprete, il repertorio lirico, ha studiato tutti gli aspetti tecnico-espressivi della vocalità moderna, classica e antica per andare al di là dell’esecuzione e affiancare alla carriera artistica una intensa attività didattica come vocal trainer. Per comprendere a fondo le prassi esecutive e le sfumature del testo, ha intrapreso un percorso duplice attraverso lo studio musicologico e l’approfondimento degli aspetti strettamente fisiopatologici della voce.

L’Accademia Musicale Fortepiano presenta “La Serva Padrona” di Cristina Patturelli nell’ambito della Rassegna “Un Libro per té” was last modified: febbraio 22nd, 2018 by L'Interessante
22 febbraio 2018 0 commenti
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In primo pianoTeatro

Michele Pagano: Il futuro è il mio presente

scritto da L'Interessante

di Christian Coduto

Raggiungere Officina teatro mi viene facile: la mia macchina sembra essere guidata da un pilota automatico. Ho messo piede lì talmente tante volte, che mi sembra quasi di essere a casa. In una città come Caserta (anche se qui siamo a San Leucio, per la precisione) un luogo come questo è una vera e propria boccata d’aria fresca.

Oggi incontro Michele Pagano in quanto uomo, non attore. La cosa mi incuriosisce molto; l’ho visto lavorare in tante occasioni su quel palco: l’ho visto sudare, soffrire, svuotarsi delle emozioni da donare agli spettatori, ma anche sorridere e, soprattutto, gioire per ciò che stava facendo. Letteralmente, Michele su quel palcoscenico, ci butta il sangue.

Mi attende all’ingresso del teatro, vestito in maniera semplice e assai comoda. Da lontano, individuo subito un paio di occhi profondissimi e un bel sorriso. Andiamo nel suo studio e inizia a parlare a ruota libera.

Michele Pagano parla di sé …

Chi è Michele Pagano?

Michele Pagano è semplicemente un uomo pieno di difetti, ma con un grande amore: il teatro.

Quando hai deciso che la recitazione avrebbe occupato un posto così importante nella tua vita?

Avevo all’incirca 14 anni … ho iniziato col teatro amatoriale, come tanti … capivo come tutte le mie emozioni e sensazioni, riuscissero a venir fuori sul palcoscenico. Sul palco perdevo le inibizioni e la mia forte timidezza. Il pubblico è stato il primo amico su cui potevo contare, sono stato capace di instaurare una grande complicità con gli spettatori: riuscivo ad esprimermi e loro mi ascoltavano con piacere; alle volte mi davano anche dei consigli per la mia crescita artistica e non solo.  Ho canalizzato sempre di più le mie forze e tutto il mio essere verso quella strada. Negli anni, mi sono ritrovato a gestire un teatro. In effetti, non l’ho mai capito, è successo (sorride).

Hai un curriculum vitae impressionante. Hai lavorato sodo e hai ottenuto un successo e una stima via via crescenti sia da parte degli addetti al lavoro sia degli amanti del buon teatro. Ora, si ottiene la popolarità in quattro e quattr’otto. Senza fare sacrifici. Quanto danneggia la buona arte questa tendenza generale?

Credo che la “gavetta” sia fondamentale in ogni impiego. Non per nulla, per diventare avvocato, hai bisogno di una laurea … poi di una specializzazione, quindi di un tirocinio e infine di un esame. La gavetta aiuta a sperimentarsi, a capire. Salire su un palcoscenico e avere qualcosa da dire, questo è il mio credo. Temo che, negli anni, troppi falsi miti impediscano la formazione e la realizzazione di un progetto vero, duraturo e coerente con le proprie idee. Soprattutto i giovani non hanno dedizione allo studio teatrale. Non credono nel teatro come una necessità e come lavoro a tutti gli effetti. Credono nella fama. Nell’esibizione. Vedo ragazzi che dopo un anno di laboratorio si “atteggiano” a grandi professionisti. Non hanno basi per farlo. La conoscenza teatrale non è solo pratica, anzi è soprattutto teoria. Il teatro, per farlo, bisogna conoscerlo, andarci, capire, informarsi. Bisogna sudare, soffrirne, desiderare di calpestare il legno: un desiderio carnale, viscerale, qualcosa che appaga la nostra intimità e la nostra interiorità. Gli esibizionisti non avranno futuro, come i saccenti. Quest’arte è infinita, bisogna sperimentarsi e mettersi in discussione ogni giorno. Senza sentirsi perfetti o capaci. Per quanto mi riguarda lo faccio da quasi 25 anni e non sono convinto di niente. Ho voglia di imparare e maledico il tempo che passa in fretta.  

I tuoi spettacoli affrontano temi molto diversi tra loro. Alcuni sono realizzati per un pubblico più adulto, maturo, altri invece sono dedicati agli adolescenti. Da attore e regista, credi che ci sia un approccio diverso nei confronti dei potenziali spettatori?

Indubbiamente molto dipende da chi sono gli attori/interlocutori. Quando il lavoro viene svolto con un gruppo under 18, cerco di capire loro di cosa vogliono discutere e quali sono le paure/preoccupazioni/gioie e le loro necessità. Allora, indubbiamente, il gioco viene messo in scena, cercando di parlare la loro lingua ma non vado a limitare la fruizione esclusivamente ad un pubblico giovane. Cerco di potere arrivare al cuore di tutti. Credo che a prescindere dalla grandezza dei nostri cuori, ognuno di noi porti dentro le stesse emozioni. Stesso discorso vale per gli attori over 18. Cambia solo il mio modo di approcciarmi a loro. Parlo agli attori allo stesso modo, scelgo solo parole diverse.

Michele Pagano è un attore e un regista teatrale, ma ha realizzato tanti cortometraggi e ha lavorato in alcuni lungometraggi. In termini di dinamiche, di approccio al personaggio da interpretare, di tempistiche, ci sono molte differenze tra la realtà del palcoscenico e il mondo della celluloide?

Le differenze ci sono e sono infinite. Trattarne una per una mi costringerebbe a parlarne per ore. Sono i due miei amori. Non posso dire di amarne uno più o meno dell’altro. E, in effetti, si vede anche la contaminazione del cinema nelle mie regie teatrali. La preparazione di un attore ha bisogno di un tempo preciso. Diciamo che il mio lavoro è pari a quello di un’ostetrica: aiuto l’attore a partorire il suo personaggio, assisto al suo dolore ma gli sono sempre vicino. Cinematograficamente parlando, il tempo sul set è molto ristretto durante le riprese. Il mio approccio con gli attori per un film è quello teatrale. Invito gli attori a lavorare sul set prima delle riprese. Facendogli vivere ogni angolo del luogo e respirare tutte le sensazioni delle location.  

Parliamo ora di Officina Teatro, di cui sei fondatore …

La mia sfida più grande. Nata ormai 10 anni fa, è la mia piccola isola felice. Un luogo dove si è liberi di “sentirsi a casa”. Tanto e tanto impegno per gestirla, in una fatica costante derivante dal totale autofinanziamento. Per fortuna soddisfazioni e critiche non sono mai mancate e questo mi ha dato la possibilità di migliorarmi di anno in anno e di stagione in stagione. Ero consapevole che la gestione di uno spazio indipendente avrebbe totalmente assorbito tempo e spazio per i miei lavori esterni. Ma fortunatamente non ho mai avuto grandi ambizioni. Non vivo nessun rimorso, non vivo competizioni. Sto bene nel vedere la gioia negli occhi dei miei allievi quando salgono sul palco e questo è il mio più grande successo. Alla fine, quando le cose le fai con amore non esiste altra mancanza. Invece guardo tanti miei colleghi insoddisfatti e frustati che non si godono ciò che fanno ma riescono solo a godere a sparlare del successo degli altri e a sputare veleno. Eppure, alla fine, abbiamo scelto noi di fare teatro. Nessuno ci ha obbligato a farlo. 

Libero nel lavoro, nelle passioni e nella vita. Coerente al 100%. E senza peli sulla lingua.

Tanti motivi in più per continuare a seguire ed apprezzare le sue scelte artistiche.

Se fosse per me, lo metterei al posto della televisione. Lo ascolterei parlare per ore: le sue idee, i suoi pensieri, le sue parole sono il frutto di una vita fatta di esperienze (artistiche e non) che lo hanno arricchito. Glielo dico, sorride e mi ringrazia.

Officina Teatro ospita un laboratorio di recitazione. Una vera e propria manna dal cielo in una città come Caserta, in cui tutto ciò che è cultura ha spesso difficoltà ad affermarsi.

Questo è un altro argomento per il quale ci vorrebbero ore di chiacchiera. Mi voglio limitare nel dire che Caserta è piena di artisti, pittori, poeti, scrittori, attori etc. nulla in meno ad altre città italiane.  Il problema è che sprechiamo tempo a lamentarci di ogni cosa che si fa. La lamentela è il rosario che ci diciamo ogni mattina. Forse, dovremmo essere solo più propositivi e riconoscere che altrove non è che ci sia di più. Ci sono solo persone che hanno la capacità di mettere assieme forze produttive per far si che queste vengano tutelate, mostrate, riconosciute e protette.

Invece di limitarci alla realizzazione di grandi eventi milionari che nascono e muoiono nel giro di pochi giorni, dovremmo essere lungimiranti nel creare format e contenitori che durino nel tempo e crescano con gli anni; Creare una vetrina importante per la città e muovere spettatori e curiosi da ogni parte d’Italia, come – d’altronde – facciamo noi, andando in giro per festival ed eventi italiani o mondiali.

Purtroppo siamo figli di una cultura paesana: ci accontentiamo di far conoscere le nostre capacità ad amici e parenti. Dovremmo unirci per far conoscere le nostre potenzialità altrove, avere il coraggio di restare e far sì che gli altri vengano a godere delle nostre bellezze.

L’autocritica.

Necessaria, fondamentale per andare avanti. Perché continuiamo a guardare sempre e solo fuori? Davvero è utile la nostra esterofilia? A cosa è dovuta questa passività culturale?

Officina Teatro è una realtà più piccola, intima. Le sue dimensioni più contenute aiutano a creare un’atmosfera empatica con gli spettatori?

Sicuramente. Il teatro che amo è soprattutto dove c’è un contatto con il pubblico. Non ho voluto che Officina avesse nessuna piccola pedana per dividere gli attori dagli spettatori perché credo che non possano esserci differenze. Lo spettacolo è quello che fanno il pubblico e attori assieme. Se non avviene questo scambio, non c’è teatro. E’ un po’ come fare l’amore da soli: non lo chiameremo amore e puoi capire benissimo a cosa mi riferisco (ridiamo di gusto).

Qual è lo spettacolo teatrale al quale sei più legato?

“Pensieri randagi” è un mio vecchio monologo che non ho mai rappresentato ad Officina teatro. Ho fatto solo poche repliche ma per affezione ed estremo coinvolgimento, ho deciso di non volerlo più rappresentare. Spesso mi viene in mente di rifarlo ma chissà, forse oggi sarebbe diverso ed non avrebbe più la stessa magia che vissi in quel tempo …

Domanda divertente: prima di salire sul palco, hai riti scaramantici?

Si, ma per scaramanzia non te lo dico (sghignazza).

Attore, regista, sceneggiatore, autore. Tante anime, mille strade da proseguire. Quale pensi sia quella che ti appartiene maggiormente?

I primi tempi avevo la necessità di capire … poi ho smesso di chiedermelo. Ho capito che sono io. Non posso escludere niente. Dare ordine alle mie idee e alla mia personalità non permetterebbe di creare. Ho capito col tempo che avere il caos dentro mi aiuta a mettere pensieri ordinati su carta.  

Domanda multipla: ultimo film visto al cinema, ultimo libro letto, ultimo cd acquistato.

Purtroppo la cosa mi manca di più è andare al cinema con la stessa frequenza di prima ma come ho già detto, non ho tempo abbastanza per fare tutto. L’ultimo film è stato “Il Cliente” di Asghar Farhadi. L’ultimo libro che ho letto è stato “Lettere a Federico” mentre l’ultimo cd non l’ho comprato, mi è stato regalato. E’ una collezione di ninne nanne.

Cosa dobbiamo attenderci da Michele Pagano per questo 2017?

In questo momento ho tante idee nel mio caos, non so ancora quale prenderà forma ed ordine. Di sicuro, come ogni anno, tireremo fuori delle novità assolute. La nostra prerogativa è quella di sperimentarci e far sperimentare il pubblico con nuovi linguaggi e nuovi approcci artistici.

E adesso ci salutiamo alla Marzullo: fatti una domanda e datti una risposta

Domanda: Come vedo il mio futuro domani?

Risposta: Vorrei che fosse uguale al presente. L’unica cosa diversa sarà una barba bianca e un paio d’occhiali spessi che indosso quando leggo i copioni. Mia moglie continuerà ad assecondarmi per le mie follie artistiche. Mia figlia farà il suo primo debutto ed io continuerò a vedere gli spettacoli dei miei allievi, in lacrime, dietro la tenda nera. 

Michele Pagano ci saluta così, con un’immagine (ovviamente!) teatrale …

Ma quel sipario per lui, ne sono certo, non si chiuderà così tanto facilmente …

Michele Pagano: Il futuro è il mio presente was last modified: gennaio 15th, 2018 by L'Interessante
15 gennaio 2018 0 commenti
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In primo pianoTeatro

Da consumarci preferibilmente dopo morti: Officina Teatro incanta il pubblico

scritto da Roberta Magliocca

Vivere la vita come se si fosse alla finestra, immobili. Di quelle immagini che ci vogliono metà in ombra e metà alla luce, senza che si capisca bene quali siano i contorni, dove finiamo realmente.

Alla finestra a guardar fuori; cosa non importa. O meglio, importa eccome, nonostante la miseria e la disperazione di un mondo che non ci appartiene. Il mondo è lì, fuori dalla tua finestra a sbranarsi per un tozzo di pane, per un titolo sul giornale, per il posto macchina, per lo sconto al supermercato.

E voltandoti di appena mezzo giro sei sollevato, perchè hai un salotto con la smart tv i risparmi in banca pane a volontà uno stipendio fisso al mese derivato da un lavoro a tempo indeterminato sudato con anni e anni spesi a studiare ti sei laureato in anticipo i tuoi ti hanno lasciato in eredità una casa non hai mutuo la fidanzata che ti vuol bene dall’altra parte del letto la macchina bella.

Si, tutto d’un fiato. Senza punteggiatura emotiva. Senza la possibilità di avere il tempo di chiederti se sei felice. E ti senti quasi in colpa quando guardando a quello che hai, desideri tutto l’opposto. Vorresti solo essere dall’altra parte della finestra.

Non puoi dirlo, sembreresti pazzo. Ma in questa follia c’è il lucido sentimento di chi vuole appartenere a questo mondo, qualunque cosa significhi. E se il mondo è in miseria, vuoi la miseria, se il mondo è in lotta vuoi lottare, se non c’è spazio per tutti, la tua casa di 200 metri quadri ti sembra effettivamente troppo grande e ti fa sentire solo. Un monolocale è più caldo, ci stai con altra gente.

E se sembra un insulto, perdonatemi. Ma il punto non è, materialmente, cos’hai o cosa no. Tutto ruota intorno al voler far parte di un meccanismo che non ti esuli, che non ti escluda solo perchè non hai i requisiti giusti. O meglio, perchè ne hai troppi.

Se davanti ad un passeggino e ad una torta di compleanno riusciamo a capire che non vorremmo altro, allora dovremmo rallentare. Smettere di fare e sentire un po’ di più.

DA CONSUMARCI PREFERIBILMENTE DOPO MORTI
Di Michele Pagano
Con Francesco Ruggiero | Rita Pinna
Elaborazioni visive e multimediali Marco Moretti | Michele Pagano
Costumi Pina Raucci
Regia Michele Pagano
Progetto OFFLAB

Da consumarci preferibilmente dopo morti: Officina Teatro incanta il pubblico was last modified: novembre 16th, 2017 by Roberta Magliocca
16 novembre 2017 0 commenti
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In primo pianoTeatro

The Aliens ad Officina Teatro: vita, amicizia ed altre storie

scritto da Roberta Magliocca

L’amore, la morte, l’amicizia: non ci muoviamo anche noi tra gli istinti primordiali e il tendere ad ognuno di questi tre aspetti del nostro vivere?

Lo facciamo, non potremmo non farlo. Eppure, spesso, con scarsi risultati: solo la morte ci riesce bene, non rinunciamo mai a quell’appuntamento. Ma anche in questo caso, non sempre sappiamo arrivarci come e quando dovremmo.

E chi di noi si ferma, magari nel retro di un bar, a parlare con gli amici delle nostre scopate, a strimpellare una chitarra, a confidare i propri desideri sulla sorte di un romanzo ancora da scrivere.

E ancora, gli amori traditi e allora vaffanculo e mai mandati a fanculo davvero.

E così tre amici si ritrovano sull’asfalto della propria esistenza; due amici di vecchia data, un amico di recente annessione al gruppo. Ma cosa importa? L’amicizia è sempre amicizia, se sincera: che sia di una vita o di un giorno.

Attraverso Bukowski ed improbabilissime canzoni, Kj, Jasper ed Evan si raccontano ad un pubblico incollato alle loro vite. Vite come altre, non speciali. Ma vite che da quel retro di un bar tentano di dare significato al tempo che passa. Vite un po’ di periferia che non trovano grandi sbocchi significativi: e in quell’amicizia trovano appoggio, conforto e reciproca comprensione.

Tutti abbiamo un’amicizia così; o almeno, tutti dovremmo averne. Ma quando un pilastro cade, il resto della struttura crolla. Questo capita ai ragazzi: dopo la morte improvvisa di Jasper, JK vuole partire, Evan comincia a fumare e piange e non capisce; e un po’ cresce.

Sarà che Giovanni Arezzo, Jacopo Venturiero e Francesco Russo con ottima interpretazione e lucida presenza danno leggerezza e fragilità alla performance, ma quella tragedia ci sembra di cristallo. Il pubblico resta lì a sperare, comunque, che qualcosa si salvi. Che Jk ed Evan riescano a trovare il loro posto nel mondo. Che quel retro di un bar resti un punto di partenza per il mondo.

 

di Annie Baker

traduzione Monica Capuani

musiche e canzoni originali di Micheal Chernus, Patch Darragh, Eric Gann

con Giovanni Arezzo, Jacopo Venturiero e Francesco Russo

regia Silvio Peroni

produzione Khora.teatro, Pierfrancesco Pisani

The Aliens ad Officina Teatro: vita, amicizia ed altre storie was last modified: novembre 13th, 2017 by Roberta Magliocca
2 novembre 2017 0 commenti
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Porfito
CinemaCulturaEventiIn primo pianoTeatroTv

Mario Porfito: Se sogni, sogna in grande!

scritto da L'Interessante

Porfito

Di Christian Coduto

Il primo incontro con Mario Porfito fu un incrocio improvviso nei pressi del Vomero, diversi anni fa: mi avvicinai a lui, gli strinsi la mano e gli feci i complimenti. Lui sorrise, mi guardò con attenzione e curiosità e, con la stessa eleganza, proseguì per il suo cammino. Ora, a distanza di molto tempo, mi ritrovo ad intervistarlo. Trovo la cosa molto buffa, insolita. Mentre ci sediamo al tavolino del bar per la nostra chiacchierata, noto che mi sta osservando con la stessa attenzione e uguale curiosità di quel giorno.

Sono in compagnia di Johnny, il mio fidato cagnolino, e della mia amica Francesca, che me lo terrà buono per tutto il tempo dell’intervista. Mario Porfito li osserva girovacchiare sotto il sole, a debita distanza da noi e sorride mentre vede Johnny tirare nella mia direzione. “Falli sedere accanto a noi” esordisce “Non ci daranno certo fastidio!”.

Informale, socievole, distinto. Sono le prime parole che mi saltano alla mente.

Mario Porfito parla di sé …

La prima domanda è obbligatoria: chi è Mario Porfito?

Beh, partiamo decisamente bene! Allora … chi sono lo rivela il fatto che non abbia voluto fare l’intervista attraverso i social: sono uno che cerca e apprezza il rapporto umano. Solo parlando, solo dialogando puoi condividere dei momenti di verità. Rispondere in maniera impersonale non fa per me. Nella vita bisognerebbe imparare ad ascoltare gli altri e mettersi nei panni degli altri. Forse è questo il motivo per il quale faccio questo lavoro … l’attore cerca di comprendere le condizioni nelle quali gli altri vivono.

Mario Porfito è un attore, svolge questo mestiere da sempre. E’ un uomo fortunato perché ha avuto l’opportunità di prendere parte al gioco più bello del mondo. Mi sento realizzato.  

Tantissimo teatro, diretto da registi del calibro di Luca De Filippo, Giuseppe Patroni Griffi e Giorgio Strehler. Spettacoli molto diversi tra di loro … cosa hanno lasciato a Mario Porfito da un punto di vista artistico e da un punto di vista umano?

Da un punto di vista umano si tocca la sfera personale e sono inevitabilmente un po’ geloso, riservato.

Nel mio curriculum, questi sono i tre più grandi registi con i quali ho lavorato. Ti dirò: con una punta di orgoglio, posso anche aggiungere di aver collaborato con loro in più di uno spettacolo, non è stato un momento fugace della mia carriera.

L’avventura con Strehler è durata ben 6 anni al Piccolo Teatro di Milano. Quando ti trovi di fronte ad una persona che si impegna al massimo, tutto ciò che puoi fare è dare il massimo con uguale intensità. Giorgio ti spiegava come voleva che venisse rappresentato il personaggio e ci metteva un’energia infinita. Se tu la facevi come faceva lui, si arrabbiava tantissimo, perché non voleva una imitazione pura e semplice, il suo scopo era quello di comunicarti l’intensità, ma voleva che la rendessi tua.

Spesso è stato criticato perché lui era a favore della grandezza della messa in scena, le scenografie erano costosissime, però poi, quando assistevi ad un suo spettacolo, non potevi non emozionarti.

Giuseppe Patroni Griffi lavorava in modo completamente diverso. Ti racconto un aneddoto: mi chiamò per fare “Napoli milionaria”. Studiai a fondo il testo, perché odio non essere preparato a dovere. Io ero convintissimo di sapere tutto di quel testo di Eduardo. Eppure, appena iniziammo le prove, mi resi conto che Giuseppe stava aprendo delle porte dove io avevo visto solo delle pareti. Il suo approccio nei confronti dello spettacolo era basato sulla consapevolezza che non avrebbe mai potuto migliorare Eduardo da un punto di vista delle battute, però era interessato alla vita che c’era tra le battute. Per esempio: il momento in cui ci si riunisce nel basso per prendere il caffè al mattino. Donna Amalia prepara quello che in realtà è un surrogato e arrivano vari personaggi per berlo, pagando pochi centesimi. Giuseppe si inventò, per ognuno dei personaggi, un modo diverso di godersi la bevanda: ognuno di loro girava il caffè nella tazzina in maniera personale. Quel modo di usare il cucchiaino rappresentava lo stato d’animo di ciascuno di loro: il ragioniere faceva un rumore più ritmato, l’operaio girava più lentamente per ritardare il suo arrivo sul posto di lavoro e via dicendo. Era un vero e proprio concertato di cucchiaini … te lo garantisco, un momento molto emozionante. Abbiamo fatto un tournée lunghissima, dalla Sicilia al Nord Italia … dopo questo momento, puntualmente partiva un applauso molto sentito da parte del pubblico.

Giuseppe amava gli attori con i quali lavorava e li osservava sempre con attenzione. Non era solo una guida creativa, in lui trovavi anche una amico che apprezzava le cose belle che avevi da proporre sul palco.

Per ciò che concerne Luca De Filippo, abbiamo lavorato insieme per diversi anni. C’era una vera e propria simbiosi. Con lui ho affrontato i testi più divertenti di Eduardo. Durante le prove, non ci ha mai chiesto di essere divertenti … poi, in scena, le cose cambiavano all’improvviso. Le prove gli erano servite per capire quanto feeling ci fosse tra lui e i vari attori. Sul palco era lui a proporre il gioco e l’improvvisazione. Riuscendo sempre a controllare il tutto, rimanendo nella giusta misura. Era la perfezione.

Questi tre registi mi hanno insegnato l’amore per questo lavoro, la passione. E’ stata una scuola di vita. Ho avuto la possibilità di riuscire a comprendere il significato delle parole cura, attenzione, particolari, concentrazione.

C’è emozione pura nelle parole di Mario Porfito. La sua eleganza affonda le proprie radici nella gavetta che ha affrontato e negli incontri importanti della sua vita. Non riscontro tracce di autocelebrazione, tutt’altro: è molto misurato. Parla molto, coinvolgendoti nei suoi racconti, condividendo le sue idee.

A giudizio di Mario Porfito, credi sia necessaria l’esperienza teatrale per chi vuole intraprendere il percorso di attore? E’ una domanda che faccio spesso, legata al fatto che, al giorno d’oggi, la gavetta sembra essere un optional. Trascorri un paio di mesi in una casa circondata da telecamere e, all’uscita, giri 10 film …

E adesso vuoi farmi arrabbiare, vero? (Risata fragorosa). Che bella provocazione, la tua! Allora (ritornando immediatamente serio) … io provengo da una generazione di attori che hanno avuto la fortuna di poter iniziare questo mestiere partecipando a spettacoli con 20, 30 attori in scena di cui almeno 5, 6 di grande caratura. Per imparare, l’unico modo era metterci dietro le quinte e spiare, rubacchiare. Quello è stato un grandissimo privilegio. Io non ho mai fatto una scuola di teatro, io il teatro l’ho rubato. Poi, ovviamente, questi insegnamenti li ho fatti miei, ho proposto il mio modo di essere, la mia verità. Ci ho messo me stesso. E’ stato un immenso apprendistato, una forma di artigianato attoriale.

Detto questo, non posso credere che si possa arrivare alla recitazione senza aver percorso una strada analoga a quella della mia generazione, senza aver coltivato questo tipo di sensibilità.

Se fai “Grande fratello” non trovi nulla di nulla. Forse, un po’ di popolarità e un po’ di soldi che si potrebbero investire aprendo un bar, per esempio (ridiamo). Ma tutto ciò non è essere attori.

La nostra professione, oggigiorno, viene confusa con l’improvvisazione. Ci sono volti che si prestano di più, televisivamente parlando. A loro non è richiesto essere anche bravi. Devono solo riempire giornali di gossip e quant’altro.

Quando ho iniziato volevo essere Marlon Brando. Un ragazzino, oggi, magari spera di diventare come qualcuna di queste meteore … ebbene: sta sognando decisamente male. Se sogni, sogna in grande … altrimenti che si sogna a fare?

Quest’ultima frase la dice lunga. Perché avere, come punti di riferimento, un gruppetto di coinquilini semi isterici anziché guardare in direzione di chi l’arte la vive e la crea? Bisogna dare un giusto peso alle cose. La nostra vita è ciò che ci viene offerto. Il nostro compito è quello di separare ciò che vale la pena conoscere da ciò che non ci lascerebbe nulla.

Lina Wertmuller ti dirige in “Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti”. Quali differenze hai riscontrato (in termini di empatia, direzione degli attori) quando, alla regia, c’è una donna?

No, non ho mai avvertito differenze di questo tipo, sono sincero. In termini di sensibilità ci sono sicuramente degli elementi interessanti, ma una grande regista quale Lina Wertmuller non ha mai subito la sua condizione di donna.

Considera che “Un complicato intrigo …” è uno dei primi film in cui si parla di droga: il vedere uno spacciatore che buca un ragazzino è un vero e proprio cazzotto nello stomaco.

Lei è molto autoritaria; abbiamo lavorato in diversi film insieme e ci siamo frequentati anche al di fuori dei set cinematografici, avendo diversi amici in comune. A casa sua ha organizzato delle bellissime serate che erano delle straordinarie lezioni di cinema e teatro, il tutto di fronte ad un piatto di spaghetti. Lina, mentre dirige un film, pretende quello che vorrebbe vedere come spettatrice al cinema. E uno spettatore il sesso non ce l’ha, non ha genere. I suoi film devono avere quell’ironia velata, che la contraddistingue anche nella vita di tutti i giorni.

 

E’ stato (e, forse, lo è ancora, da qualche punto di vista) un ottimo alunno. Si è affidato agli insegnamenti di persone che gli hanno regalato il modo più giusto di affrontare una professione che è, soprattutto, un duro momento di autoconsapevolezza interiore.

Mi racconta mille aneddoti e lo fa con un tono pacato. In questo momento, sono io ad essere l’alunno. È una sensazione gradevole, che richiede però molta concentrazione e attenzione.

Mario Martone e l’esperienza di “Morte di un matematico napoletano” …

Stai facendo riferimento ad un film che, personalmente, ho amato moltissimo. Mario, che stimo molto anche a teatro, è un regista che potrebbe mettere in scena qualunque cosa, persino l’elenco telefonico (ridiamo). E’ capace di trasformare ogni situazione in teatro o film; credo che questo sia il suo punto di forza maggiore. Purtroppo, dopo questa pellicola, non ho avuto più la fortuna di collaborare con lui e me ne dispiaccio. C’è molta stima reciproca: ogni volta che ci vediamo, trascorriamo sempre del tempo a parlare dei nostri progetti.

 

Ed arriva la televisione: “La squadra” e il personaggio di Antonio Ramaglia ti donano un’immensa popolarità. Come vivi l’esperienza televisiva? Ci sono molti attori che si possono definire “puristi”: tendono a storcere un po’ il naso nei confronti del tubo catodico …

Io, in realtà, non è che ne abbia fatta molta di televisione. Non a caso, ho sempre pensato di essere un attore teatrale prestato per un periodo alla tv. Detto questo, “La squadra” è una cosa a parte: questa serie è stata realizzata in un periodo in cui Raitre era diretta dal giornalista Ruffini, un uomo di grandissima cultura. La sua idea, in relazione al progetto, era quella di una sorta di telegiornale amplificato. Non doveva essere solo puro entertainment, ma voleva che le storie raccontate venissero contestualizzate.

Gli attori scelti erano tutti provenienti da teatro: oltre a me, Massimo Wertmuller, Renato Carpentieri, Massimo Bonetti …

Se dovessi definirla, per me sarebbe una fiction di impegno civile.

Se vogliamo cambiare un quartiere come Scampia, non serve una macchina della polizia in più, che gira più frequentemente per quelle strade, quanto piuttosto innestare dei meccanismi di emulazione positivi.

Lo stesso Centro Polifunzionale in cui giravamo gli episodi, situato nei pressi della 167, divenne un posto in cui si poteva scoprire, entrandoci, l’esistenza di tantissime professionalità, dagli scenografi ai costumisti, passando per gli attrezzisti e i macchinisti. Spesso abbiamo utilizzato molti dei ragazzi del quartiere come figuranti. E’ questa la scuola che si può offrire ad un quartiere per cambiarlo.

A distanza di anni, io e gli altri colleghi siamo stati avvicinati da alcuni ragazzi che ci hanno rivelato che, dopo aver preso parte ad alcuni episodi della serie, si sono innamorati di questo mestiere e sono diventati macchinisti e così via.

Poi, ad un certo punto, la serie è terminata, purtroppo. Credo che avessimo ancora molto da poter raccontare.

Sono stati 8 anni meravigliosi.

Sai qual è stata la più grande soddisfazione? Spesso abbiamo ricevuto dei complimenti da parte di tanti papà, di vari genitori: “Avevamo paura, timore, di raccontare alcune cose ai nostri figli, volevamo trovare il modo più giusto. Ci avete aiutato”. Non a caso, negli episodi abbiamo parlato di temi importanti quali droga, aids e così via.

L’animo buono di Mario Porfito si rivela in toto. Ha un atteggiamento protettivo, quasi paterno. Autoritario? Chissà … di certo, molto attento all’evolversi delle situazioni.

Interpreti due film con Salvatore Piscicelli, “Blues metropolitano” e “Baby gang”. Quanto è importante, ai fini della riuscita del progetto, l’empatia tra un regista e gli attori coinvolti?

Certo, sicuramente!

Salvatore, tra le altre cose, è stato il primo a raccontare un Napoli diversa, così come è stata descritta poi da tante fiction e tanti film, almeno venti anni dopo. Ha anticipato i tempi, anche a costo di scontentare i gusti di un pubblico medio. La gente, all’epoca, inorridiva di fronte alle storie che mostrava. Pensavano che quei microcosmi non gli appartenessero … solo più tardi, si è resa invece conto che quei personaggi vivevano sul loro stesso pianerottolo. Forse, c’era solo il rifiuto di accettare tali situazioni. Questa, credo, sia stata la sfortuna di Salvatore, al quale poco è stato riconosciuto. Avrebbe meritato indiscutibilmente di più. Restano alcune pellicole bellissime, come “Le occasioni di Rosa”, cinematograficamente straordinario.

 

Mario Porfito porta la sua immensa professionalità sia nel mainstream sia in progetti indipendenti. Quali sono i punti di forza e i punti deboli del lavoro indie?

I punti di forza sono la creatività e la capacità di raccontare senza costrizioni, in maniera libera. Un regista che affronta un progetto indie per la prima volta, ha un coraggio ammirevole.

“Romeo e Giulietta” è la storia d’amore più famosa … quanti hanno parlato d’amore al cinema? Eppure c’è sempre una nuova chiave da rappresentare. Ogni volta ne rimango sorpreso. Queste novità danno sempre nuova linfa al mondo del cinema.

I registi indie sono sicuramente più aperti nei confronti delle nuove grammatiche di racconto.

Persino gli americani affidano progetti multimilionari a ragazzi giovanissimi, di 27/28 anni, perché sanno che questi cineasti daranno uno sguardo diverso, più fresco.

Poi, sia chiaro: l’indipendente deve andare di pari passo con le qualità artistiche. Se l’indie viene accompagnato dalla cialtronaggine, non è più cinema.

“Il sogno nel casello” di Bruno De Paola, nonostante il budget limitato e i mille intoppi distributivi, è diventato un vero e proprio cult. Secondo te, il pubblico è davvero così impreparato alla novità?

Bruno De Paola è stato uno dei registi de “La squadra”. E’ un ottimo regista. Il suo sogno era quello di esordire con un lungometraggio. Quando mi ha contattato, ho accettato con entusiasmo perché mi è piaciuto il progetto all’istante. E’ chiaro, i mezzi sono ridotti e talvolta i limiti si riconoscono, però mi è sembrato giusto partecipare. Mi fa piacere che tu l’abbia ricordato in questa intervista.

Ritornando alla tua domanda … no, il pubblico non esiste in quanto entità omogenea. Esiste la proposta. Alle persone devono essere offerte le cose, le alternative. Starà poi a loro la decisione di sceglierle o meno.

Purtroppo, molti produttori sono convinti di conoscere i gusti del pubblico. Questo determina un appiattimento generale dell’offerta. Non si possono intercettare le preferenze degli spettatori.

Di sicuro, quando ci sono qualità, professionalità e impegno le persone gradiscono ciò che gli proponi.

Non cambia quasi mai il tono della voce nel corso dell’intervista. Tende però a difendere le sue idee in maniera schietta, con una punta di orgoglio. Ha stima per il suo lavoro e quello dei suoi colleghi. Il rispetto prima di tutto.

Le mille anime di Mario Porfito: dal drammatico alla commedia. C’è un ruolo che vorresti interpretare e che non ti hanno ancora offerto?

Non saprei dirti sai? Sicuramente c’è qualcosa che vorrei esprimere, ma che non ho ancora espresso. Questa sensazione io l’avverto, ma non saprei spiegartela né tantomeno quale ruolo la potrebbe contenere, nel caso. C’è la voglia di raccontare altri miei stati d’animo, che forse non ho ancora trovato nei personaggi che mi hanno offerto. Ma un ruolo preciso non te lo so dire così, su due piedi.

Giusto per dire: se interpretassi un serial killer troverei delle sfumature stimolanti, ma le stesse potrei ritrovarle recitando il ruolo di un impiegato di banca.

Domanda multipla: ultimo film visto al cinema, ultimo libro letto, ultimo cd acquistato, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.

“La tenerezza” di Gianni Amelio. Mi è piaciuto davvero tanto. Nel cast, un Renato Carpentieri strepitoso. Sai cosa mi fa arrabbiare? Solo ora il cinema italiano si sta accorgendo di lui. Questo dimostra come il pubblico e la critica siano ancora distratti. Con Renato ho lavorato spesso, anche a teatro, lo conosco bene. Credo sia, in assoluto, uno dei migliori attori italiani.

Al momento sto leggendo “La strada degli americani” un libro di Giuseppe Miale di Mauro. Molto interessante, ne consiglio la lettura.  Tra le altre cose, tra un libro e l’altro, ritorno sempre a Simenon, uno dei miei autori di riferimento.

Cd non ne compro da tempo. Ho sempre amato i cantautori italiani come Ivano Fossati. Quel tipo di musica non lo trovo più in giro. Qualche volta mi lascio un po’ trasportare dalle canzoni che mi postano sui social.

A teatro ho visto “Spoglia-Toy” di Luciano Melchionna, all’Accademia delle Belle Arti. Uno spettacolo molto riuscito. Luciano è stato in grado di dare un’immagine del mondo del calcio cinica, vera e con il giusto distacco. Tra i calciatori, a me è capitato il bravo Lorenzo Balducci.

Al termine di questa domanda Mario Porfito mi chiede di riportare tutto quello che, di buono, ha detto dei suoi colleghi. Non è in competizione con nessuno, riconoscere i pregi degli altri, non lo renderà di certo inferiore o meno bravo. Questo equilibrio caratteriale è estremamente invidiabile.

Cosa dobbiamo attenderci da Mario Porfito per questo 2017?

Allora … da me dovete solo aspettarvi il mio impegno a coltivare questo lavoro nel migliore dei modi possibili. In aggiunta a ciò, durante l’inverno interpreterò “Dì che ti manda Picone”, scritto da Elvio Porta. E’ il seguito della storia del film ”Mi manda Picone”. E’ la storia del figlio di quel Picone, che viene avvicinato da un gruppo di politici (essendo lui il figlio di un eroe del lavoro) che gli propongono di candidarsi alle elezioni per poi poterlo utilizzare a loro piacimento per intrallazzi vari. Il protagonista è Biagio Izzo, in un ruolo assolutamente nuovo.

Terminiamo con una marzullata : fatti una domanda e datti una risposta

E’ finita l’intervista? Mi auguro di sì! (Scoppia a ridere).

Mario Porfito termina così, in leggerezza. Nel momento in cui ci saluta, mi dona una pacca sulla spalla, quasi per dire “Chissà, magari un giorno troverai una chiave per interpretare quello che ci siamo raccontati oggi pomeriggio”.

L’osservo allontanarsi, con quel passo elegante e delicato. “Se sogni, sogna in grande” ha detto prima … mi piacerebbe, nel tempo, conquistare parte di quell’equilibrio che lo contraddistingue. Credo che questo sogno, in quanto tale, sia grande abbastanza …

Mario Porfito: Se sogni, sogna in grande! was last modified: agosto 31st, 2017 by L'Interessante
31 agosto 2017 0 commenti
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Gallo
CinemaCulturaIn primo pianoTeatroTv

Gianfranco Gallo: un artista 365 giorni l’anno

scritto da L'Interessante

Gallo

Di Christian Coduto

Questo incontro mi incuriosisce.

Mi ha sempre affascinato il confine tra la realtà e la finzione.

Se facessi riferimento solo ai ruoli che ha interpretato, sarei tentato (superficialmente) di classificarlo come “cattivo e antipatico” … ma, d’altro canto, è in casi come questi che ci si rende conto se il lavoro di attore è fatto bene, in maniera magistrale: quando provi rabbia nei confronti di un personaggio sul grande schermo, significa che l’artista è riuscito a dargli la giusta connotazione.

Lo scoprirò presto…

Gianfranco Gallo mi accoglie con un bel sorriso e mi stringe la mano in maniera cordiale. Ha uno sguardo molto profondo, attento. Eppure trapela una leggera riservatezza.

Gianfranco Gallo risponde alle domande de “L’interessante”.

Chi è Gianfranco Gallo?

Un artista 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno, un padre di due figlie bellissime, Bianca e Greta, un amico di Fox il mio Spitz … una persona leale, onesta, a volte dura come dura è la realtà, di certo troppo dura con se stessa. Una persona che ha sbagliato come tutte, che come tutte le persone ha sofferto e che per la legge della vita avrà fatto soffrire qualcuno, ma che è capace di slanci di affetto che nessuno sospetta se non chi la conosce davvero. Amo per sempre ma so anche cancellare per sempre.

La sua prima risposta mi lascia di stucco: il suo pensiero è lì, offerto senza fronzoli, immediato. Non vuole apparire perfetto, perché la perfezione non esiste. E’ un personaggio del mondo dello spettacolo, lo sappiamo, ma è soprattutto un essere umano. Il suo amore per il suo cagnolino è la dimostrazione di un animo buono.

Quando hai capito che la recitazione avrebbe fatto parte della tua vita?

Da sempre, con mio padre cantante ed attore e mia madre attrice, lo spettacolo in qualche modo è stato parte della mia vita. Poi verso i 15,16 anni capii che sarei stato dalla parte illuminata dai riflettori. In realtà avevo avvertito da subito la necessità di dovermi esprimere, ero timido e introverso, per questo a 10 anni scrivevo poesie. Ho sempre scritto, poi ho cantato, recitato, scritto commedie, testi drammatici, ho fatto quello che ero e oggi sono quello che faccio.

“Timido, introverso” … appunto. L’arte come autoanalisi, come via di uscita da una piccola chiusura caratteriale.

Attore, regista, autore … ti cimenti anche nel canto durante i tuoi spettacoli. Gianfranco Gallo è un artista completo. Hai fatto tanta gavetta, un termine ormai sconosciuto ai più. Al giorno d’oggi, partecipi ad un reality in cui raccogli pietre in Nicaragua e diventi protagonista di 15 serie tv e altrettanti lungometraggi. Non credi che questo sia un processo di involuzione culturale?

 

Io ho cominciato come cantante di Roberto De Simone, uno dei personaggi di maggior spicco della cultura musicale internazionale degli anni ’80, ma poi mi sono espresso in tante altre forme. Dipingo anche, con le mani, senza pennelli, forse roba strana ma se ne sento il bisogno lo faccio. L’involuzione culturale è stata dettata dal mercato: dalle TV commerciali in poi c’è stata una gara verso il basso, l’artista oggi spesso non si differenzia dal pubblico che lo guarda. In certi show, ad artista e pubblico puoi scambiare i ruoli e nessuno se ne accorge … l’artista, a mio giudizio, dovrebbe indicare qualcosa a chi lo segue da una poltrona con la testa in su.

Hai spesso interpretato magnificamente dei ruoli da cattivo. Quali sono i pregi ed i difetti del dare vita a personaggi “antipatici”?

Cerco sempre di variare quella cattiveria di cui parli. Come attore sono pignolo e i personaggi non sono mai gli stessi se li affronti facendogli e facendoti mille domande. La psicologia dei personaggi è tutto. I “cattivi” comunque difficilmente li dimentichi … il difetto, se di difetto si può parlare, sta nel fatto che se fai il cattivo per la maggior parte dei casi sarai sempre l’antieroe.

Lavori spesso con tuo fratello Massimiliano. Quanto è importante, per la riuscita di un progetto, di uno spettacolo, l’empatia che si viene a creare?

Fuori dal palco sarebbe indispensabile ma si sa che a volte c’è e a volte no. Per quel che vede il pubblico invece, l’empatia ormai siamo in grado di crearla per l’occasione e di metterla a disposizione di chi la vuole trovare, quando vogliamo noi. E’ un bene, alla fine il nostro è un mestiere.

In “A Sud di New York” sei stato diretto da Elena Bonelli. Pensi che ci siano differenze, in termini di sensibilità, quando alla regia c’è una donna?

Con lei è stato un breve incontro, mentre con Francesca Comencini quest’anno ho girato tanto e devo dire che la differenza la noti: Francesca è eccezionale, lei non scinde mai la donna dalla regista e dunque il set acquista una sensibilità, una dolcezza, un mood unici. Anche se è una tosta … ma le donne sono così. Io la adoro.

 

Hai lavorato in “Un posto al sole”. Come vivi le esperienze del tubo catodico? Ci sono i puristi che storcono un po’ le labbra quando si parla di televisione …

Sì sono stato Rocco Giordano per più di un anno e mezzo, poi ho recitato ne “La Nuova Squadra”, ne “Il Clan dei Camorristi” e poi in “Don Matteo”, “Sotto Copertura”, “Squadra Mobile” e da due anni sono nel cast della serie che i giornali americani hanno reputato la terza a livello mondiale: “Gomorra”. Recito il ruolo di Giuseppe Avitabile, suocero di Genny che nella terza stagione da novembre su Sky, avrà un ruolo fondamentale. Questo per dire che non c’è una sola TV, io le ho frequentate un po’ tutte. C’è quella fatta bene, meno bene o benissimo. “Gomorra” ad esempio per tempi, professionalità, organizzazione, regie, sceneggiature, direttori della fotografia e quant’altro non ha nulla di diverso dal Cinema. Fatto sta che la TV ti da la popolarità che il grande schermo non offre soprattutto in quest’epoca. I grandi investimenti sono per le serie, per questo molti grandi attori e molti grandi registi sono passati a fare TV, secondo me è un bene perché sale il livello della produzione televisiva ed un male perché il Cinema finirà sempre di più per essere un’esclusiva di chi fa botteghino senza necessariamente fare Arte, anzi.

C’è un ruolo che vorresti interpretare e che non ti hanno ancora offerto?

In Teatro Cyrano e Shylock de “Il Mercante di Venezia”, al Cinema mi piacerebbe interpretare invece un personaggio complesso tipo Hannibal Lecter o all’opposto, una figura come quella di Padre Pio, caratteri diversissimi ma intriganti, contorti, da studiare per mesi e restituire poi agli spettatori secondo la mia sensibilità.

 

Un dualismo interessante: gli estremi che affascinano. Sono sicuro: darebbe vita a due personaggi altrettanto indimenticabili.

Domanda multipla: ultimo film visto al cinema, ultimo cd acquistato, ultimo libro letto, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.

Al Cinema “Indivisibili” dove sono Don Salvatore … dopo la vittoria al Festival di Venezia, del settembre 2016, avrò assistito come ospite ad una decina di proiezioni ed in estate non c’è stata arena che non lo abbia proiettato; la più bella è stata quella dell’isola di Tavolara in Sardegna per il Festival del Cinema organizzato dal Piera Detassis, direttore di Ciak: uno scenario unico, da sogno, da film appunto. Per i CD sono un pirata on line ma non lo dire in giro (ridacchia), faccio le mie selezioni. Sto leggendo un libro su Charlie Chaplin. Per quanto riguarda l’ultimo spettacolo teatrale non ricordo: il Teatro non mi attira molto in questo periodo. Certamente sarà stato uno spettacolo in uno dei quei piccoli teatrini anche in provincia dove vado spesso, che non fanno pubblicità perché non hanno i soldi ma dove si fanno messe in scena con un senso ed una motivazione.

Cosa dobbiamo attenderci da Gianfranco Gallo?

Se ve lo dice avvisatemi.

Ride di gusto. Ha un’ironia educata, mai sopra le righe. Un giusto equilibro tra la sua riservatezza e il suo lavoro, che comporta inevitabilmente un continuo contatto, continue interazioni con le persone.

Ed ora marzulliamo un po’: fatti una domanda e datti una risposta

Perché hai rilasciato un’altra intervista? Perché non erano le solite domande.

Gianfranco Gallo mi saluta così: con una risposta del tutto inaspettata (e gradita).

Che dite, è davvero così malvagio come appare al cinema e in televisione?

Ph: Spectra

Gianfranco Gallo: un artista 365 giorni l’anno was last modified: agosto 21st, 2017 by L'Interessante
21 agosto 2017 0 commenti
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Martire
CinemaCulturaEventiIn primo pianoTeatroTv

Gea Martire: tento di essere me stessa

scritto da L'Interessante

Martire

Di Christian Coduto

“Buongiorno Christian” e allunga la mano per stringere la mia.

La butto lì: già la adoro. Saranno quei capelli mossi, così curati. Quel vestito rosso che le calza a pennello. Quel fare amabilmente sopra le righe, leggermente burlesco, spontaneamente teatrale … Gea Martire appare immediatamente così: iconica.

Osserva, scruta, con attenzione, ma senza mai mettere in imbarazzo. E’ in cerca di un contatto umano, non di una serie di domandine preparate.

Spigliata, ironica con gusto, intelligente. Parla e difende le sue idee, con un tatto raro.

Gea Martire si racconta ai microfoni de “L’interessante”

Chi è Gea Martire?

(Ci pensa su un attimo) … Un continuo tentativo di essere Gea Martire

Quando hai capito che la recitazione avrebbe avuto un ruolo così importante nella tua vita?

Da quando avevo 14 anni il teatro è stato presente nella mia vita, per divertimento, per passione … condividevo con amici un gruppo amatoriale. Poi, dopo la laurea e un concorso, ho cominciato a lavorare come impiegata. Presto ho cercato una via di salvezza e il teatro me l’ha offerta.

Cosa significa, per te, calcare le tavole del palcoscenico e interpretare un ruolo davanti ad un pubblico?

La possibilità di entrare in altri mondi, viaggiare in altre vite …

Il teatro è sudore, fatica, ma anche tanta gratificazione. Hai lavorato in tantissimi spettacoli, qual è quello che ti è rimasto maggiormente dentro e perché?

Alcuni anni fa lessi un breve racconto di Francesca Prisco. Da lì nacque MULIGNANE, scritto sotto forma di monologo da me e Antonio Capuano. Racconta la storia di una donna che non ha nome perché incarna la storia di tante, troppe donne incapaci di comprendere e amare se stesse, capaci di lasciarsi maltrattare, di amare e comprendere un qualunque idiota. Ma questa donna, e non poteva essere diversamente in un monologo da me interpretato e diretto da Antonio Capuano, ha una radicale trasformazione e da “pietra grezza” diventerà diamante. Il bello è che tutto avviene ridendo, perché secondo me l’intelligenza ha sempre un sorriso.

C’ero anche io, tra i tanti spettatori di quello spettacolo. Ci sono progetti che nascono sotto una buona stella: lo percepisci all’istante. “Mulignane” è uno di questi, senza ombra di dubbio.

“Tempo scaduto” lo hai scritto e diretto tu. Com’è stato passare dall’altro lato della barricata? Credi ti sia servita la tua esperienza di attrice per affrontare la prova registica?

Tutte le esperienze servono, se le sai usare. Quella, per esempio, è servita a farmi capire che non andava ripetuta (la guardo sorpreso). Mi spiego meglio: si confondono troppo i piani, a me piace il mestiere di attrice. Già concentrarsi su quello è complicato. Per essere contemporaneamente un buon attore, un buon regista e magari anche un buon autore bisogna essere geniali e io non lo sono.

Per il Napoli Teatro Festival ti abbiamo appena visto ne “Le serve” di Jean Genet, diretta da Antonio Capuano. Ti va di parlarci di questo spettacolo?

 

E’ una riscrittura di Antonio Capuano in lingua napoletana. Il noir di Jenet si stempera, acquista tinte brillanti, anche se il fondo scuro del pozzo nel quale le due attrici precipitano è ben visibile fin dall’inizio, pronto ad accoglierle.

 

Parliamo di “Non farmi ridere, sono una donna tragica” di Massimo Andrei …

E’ stato il risultato di una collaborazione, di una buona intesa, di una lenta esplorazione nella vastità dell’universo femminile alle prese con quello maschile. Il confronto con un regista, la possibilità di esprimersi liberamente, mescolare le idee e metterle in prova mi fanno lavorare con gioia. E con Massimo è stato possibile.

Luca De Filippo, Enzo Moscato e Vincenzo Salemme sono solo alcuni dei grandi nomi che ti hanno diretta a teatro. Cosa ti hanno lasciato umanamente e artisticamente queste avventure lavorative?

Si tratta di piantare semi e raccogliere frutti. Ma il terreno fertile sei tu, è te stesso che devi coltivare onde evitare che gli accadimenti della vita inaridiscano tra i sassi. Con Salemme è stato un breve incontro, molti anni fa, finito lì, ma sufficiente per guardare gli ingranaggi di una macchina comica perfetta. Era il tempo in cui faceva compagnia con Buccirosso, Casagrande, Nando Paone. Luca De Filippo un pilastro, la solidità di grandi tradizioni, l’intelligenza della consapevolezza. Moscato rappresenta la drammaturgia che più amo: contemporanea, di grande valore, l’alta poetica della cultura e della lingua napoletana. E’ davvero un faro tra gli autori contemporanei.

Rimango della mia idea: è una donna di grande fascino. Ha un dono non comune: è in grado di rimanere con i piedi per terra. Sul palco va veloce come un treno, ti incanta. Eppure, riesce a non prendersi troppo sul serio. Una dicotomia che ti conquista, è disarmante.

Gea Martire e il cinema: “Dagobert” di Dino Risi è il tuo esordio. Com’è stata la tua prima volta su un set cinematografico?

Mi sono sentita Alice nel paese delle meraviglie. E’ stata all’altezza di quelle prime volte che si stampano nei ricordi, nelle emozioni, nel cuore. Incancellabile, indimenticabile, irripetibile.

Dopo Risi arrivano Nanni Loy, Carlo Verdone, Ettore Scola, Mario Monicelli … tanti registi di successo che rimangono folgorati dalla tua bravura. Quali differenze ci sono, a tuo giudizio, tra il cinema e il teatro in termini di empatia, dinamiche, tempistiche, interazione con il proprio personaggio?

Folgorati dalla mia bravura??!!! Mah! Diciamo che hanno apprezzato il mio lavoro e già questo mi fece e mi fa felice. Il mio primo amore è stato il Teatro e ha continuato ad esserlo anche dopo aver conosciuto il Cinema. La consapevolezza che, in fase di montaggio, possano fare di te quello che vogliono, dal tagliarti al cancellarti, mi mette molto a disagio. Nel cinema sei totalmente in balìa, dipendi da una macchina. Il teatro dipende da te.

“La buona uscita” di Enrico Iannaccone ti regala un ruolo da protagonista assoluta …

Grande talento, quello di Enrico. Giovane ma deciso, sembra già carico di grandi esperienze. Ha realizzato un film duro, difficile, ha disegnato perfettamente un  personaggio femminile che, alle soglie di un’età matura, comincia ad avere paura di se stessa, del suo totale, inalienabile senso di libertà. Bello. Mi è piaciuto molto interpretare questo ruolo.

Cinzia Th Torrini ti dirige nel film tv “Caramelle”… ti piace il format televisivo o preferisci la realtà teatrale?

Mi ripeterei dicendo quello che ho già detto del cinema.

 

In “C’è posto per tutti”, diretto da Giancarlo Planta, si affronta il problema della disoccupazione. Un film piccolino, che ha avuto grandi problemi di distribuzione, ma sicuramente molto avanti nei temi trattati …

Ho veramente poco da dirti in proposito perché non mi ricordo quasi niente né del film né di quello che facevo … ma credo molto poco se non conservo ricordi (sorride).

 

Diretta, onesta, chiara.

Gea Martire e il rapporto con il regista: ti piace intervenire nella costruzione del personaggio che ti viene affidato o preferisci fidarti completamente di chi ti sta dirigendo?

Credo sia doveroso da parte di un attore esprimere quello che ha da dire sul personaggio. Il suo rapporto col personaggio è molto più diretto, intimo, confidenziale, autentico di quello che possa instaurare un regista, impegnato a pensare alla totalità della messinscena. Doveroso sarebbe da parte del regista ascoltare. Ma pochi lo fanno, i migliori.

Domanda multipla: ultimo film visto al cinema, ultimo libro letto, ultimo cd acquistato, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.

Ultimo film: Elle. Libro: “Il regno” di Emmanuel Carrère. Ultimo cd boh? E’ passato un po’ di tempo. Forse Cesaria Evora. Ultimo spettacolo: Ian Fabre al NTF

Cosa dobbiamo attenderci da Gea Martire per questo 2017?

Allora … riprenderò la tournèe teatrale di “Ferdinando” di Annibale Ruccello con la regia di Nadia Baldi. In più reciterò nello sceneggiato televisivo, termine che preferisco alla parola fiction (sorride), “E’ arrivata la felicità”.

Terminiamo in perfetto stile Marzullo : fatti una domanda e datti una risposta

Domanda: Riusciranno i nostri eroi? Risposta: E se no che eroi sono! (Scoppia a ridere).

Al termine dell’intervista, Gea Martire mi saluta con sincero affetto. La vedo allontanarsi con eleganza, eterea, leggera e scomparire all’improvviso, come quando il sipario si chiude all’improvviso, al termine di uno spettacolo.

Chissà, forse questo incontro è solo frutto della mia immaginazione …

Gea Martire: tento di essere me stessa was last modified: agosto 2nd, 2017 by L'Interessante
2 agosto 2017 0 commenti
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Augusteo
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Teatro Augusteo: la stagione 2017/2018

scritto da L'Interessante

Augusteo

Di Christian Coduto

Mercoledì 19 luglio, ore 12.

Un anno importante, il 2017, per il teatro Augusteo: si festeggiano, infatti, le nozze d’argento della storica riapertura. Venticinque anni di successi, di spettacoli, concerti e nomi celeberrimi che hanno calcato le scene di un luogo che ha fatto dell’arte il proprio cavallo di battaglia, il proprio punto di forza.

Il foyer, gremito fino all’inverosimile per l’occasione, è letteralmente invaso dai giornalisti provenienti dall’intera regione. Ad accoglierli, Giuseppe Caccavale (figlio del grande Francesco, scomparso nel 2015): emozionato ed orgoglioso, l’uomo rivela i titoli degli spettacoli della stagione teatrale in arrivo e presenta i prestigiosi ospiti in sala.

La presentazione della stagione del Teatro Augusteo

Ad aprire le danze è il noto attore Lello Arena, il protagonista di “Parenti serpenti”, in cartellone a partire da venerdì 12 a domenica 21 gennaio 2018. Lo spettacolo, diretto da Luciano Melchionna, è ispirato all’omonimo film di Mario Monicelli. “Siamo molto felici. La commedia è stata baciata da un successo di pubblico davvero straordinario. Abbiamo collezionato tanti sold out. È bello poter ritornare qui, a Napoli … al teatro Augusteo, con un bel numero di repliche”.

“Parenti serpenti è un’avventura meravigliosa” aggiunge Giorgia Trasselli che, nello spettacolo, interpreta il ruolo di Trieste “Abbiamo avuto una bellissima accoglienza da parte del pubblico di tutta Italia. La tournèe è stata davvero molto lunga. Lavoro con una compagnia scelta cum grano salis da parte del regista Luciano Melchionna. È un onore, per me, lavorare accanto a Lello Arena: con lui impari, apprendi costantemente”.

In sala, anche Raffaele Ausiello che, nella pièce teatrale, è Michele.

Il microfono passa quindi a Peppe Iodice. Il suo “Una sera all’improvviso!” sarà in scena all’Augusteo il giorno martedì 23 gennaio. “Sono stato qui 25 anni fa per il mio primo spettacolo: Sali e tabacchi, accanto a Gino Rivieccio. Ci ho messo un po’ di tempo per ritornare qui, anche se vivo a San Giorgio a Cremano” scherza “Sarà una vera e propria festa. Nei prossimi sei, sette mesi mi concentrerò per trovare nuove battute da proporre al pubblico. Voi non lo saprete mai, ma le presenterò come cavalli di battaglia del mio repertorio” ridacchia.

Ecco Andrea Sannino; salirà sul palco dell’Augusteo il giorno giovedì 30 novembre. “E’ una grande responsabilità, per me, far parte di questo cartellone. Adoro l’Augusteo. Qui sono stato battezzato artisticamente nel 2010 con C’era una volta scugnizzi. Durante lo show avrò modo di presentare il mio nuovo cd dopo il successo di Uanema”.

Si conclude alla grande con il performer Sal da Vinci “Tornerò per la seconda volta all’Augusteo nel periodo natalizio, a partire da giovedì 21 dicembre fino a domenica 7 gennaio. Mi sono avvalso della collaborazione di Davide Marotta che, insieme a Lello Radice, sarà parte integrante del mio spettacolo, Italiano di Napoli. Presenterò anche alcuni brani del mio cd Non si fanno prigionieri, la cui direzione artistica è stata affidata a Renato Zero. A marzo, però, sarò di nuovo in scena con Peter Pan, proprio in corrispondenza del mio esordio in questo teatro, ben quindici anni fa, con C’era una volta scugnizzi. Ringrazio la famiglia Caccavale, che supporta e sopporta ogni mia idea artistica”.

Prima dei saluti finali, Giuseppe Caccavale annuncia la riapertura della Cumana, cosa assai gradita ai fruitori del teatro, che sarà di nuovo facilmente raggiungibile senza il rischio di trovarsi bloccati nell’incredibile traffico cittadino.

“Questo venticinquesimo anniversario sarà dedicato alla memoria di mio padre Francesco”, conclude. Una scelta doverosa e condivisa, da tutti noi.

Questo il programma del Teatro Augusteo:

Da venerdì 27 ottobre “La banda degli onesti” con Gianni Ferreri e Anna Falchi

Da venerdì 10 novembre “Il sorpasso” con Giuseppe Zeno

Da venerdì 8 dicembre “Rosso napoletano” con Serena Autieri

Da venerdì 12 gennaio “Parenti serpenti” di Luciano Melchionna, con Lello Arena e Giorgia Trasselli

Da venerdì 26 gennaio “Spamalot” di Claudio Insegno, con Elio

Da venerdì 16 febbraio “Dirty dancing”

Da venerdì 2 marzo “No grazie, il caffè mi rende nervoso 2” di Lello Arena, con Paolo Caiazzo

Da giovedì 16 marzo “Peter Pan il musical” con Sal da Vinci

Da venerdì 6 aprile “La strana coppia” di Pasquale Squitieri, con Claudia Cardinale

Da venerdì 20 aprile “Viktor e Viktoria” con Veronica Pivetti

In opzione agli abbonati

Da giovedì 21 dicembre “Italiano di Napoli” di Sal da Vinci e Alessandro Siani

Data da definire “Sciuscià” di Leonardo Ippolito

Fuori abbonamento

Sabato 24 e domenica 25 settembre “I dieci comandamenti”

Sabato 30 settembre e domenica 1 ottobre “Bentornata Piedigrotta”

Sabato 14 ottobre e domenica 15 ottobre “Masha e orso”

Da giovedì 19 ottobre e domenica 22 ottobre “Artecinema”

Data da definire “La musica provata tour” con Erri De Luca, Stefano Battista e Nicky Nicolai

Martedì 28 novembre “Edoardo Bannato in concerto”

Giovedì 30 novembre “Andrea Sannino”

Giovedì 11 gennaio “TaleEQualeAMe…Again” di e con Gabriele Cirilli

Martedì 23 gennaio “Una sera all’improvviso” con Peppe Iodice

Data da definire “Giovanni Allevi in concerto”.

Teatro Augusteo: la stagione 2017/2018 was last modified: luglio 20th, 2017 by L'Interessante
20 luglio 2017 0 commenti
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Trasselli
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Giorgia Trasselli: garbo e professionalità

scritto da L'Interessante

Trasselli

Di Christian Coduto

Il sorriso è quello di sempre. Quello che vediamo da anni in televisione, al cinema o per chi (come me) ha avuto la fortuna di incontrarla, in tanti spettacoli teatrali: sincero, caloroso, accogliente. Ma, soprattutto, spontaneo.

Lavorare con artisti importanti, l’aver fatto una gavetta lunga ed impegnativa non le ha tolto l’umanità, è rimasta una donna concreta. Assume con me un atteggiamento quasi protettivo, da sorella maggiore. Se le faccio qualche complimento per le sue mille performance, si intimidisce e mi ringrazia ripetutamente. Parlerei con lei all’infinito: percepisci intorno a lei un’aura buona, di estrema positività.

Giorgia Trasselli ci racconta di sé

Quando nasce l’amore per la recitazione per Giorgia Trasselli?

Stando  ai ricordi dei  miei  genitori e dei miei parenti, l’amore  per la “recitazione”  pare sia nato  con me, ma è impossibile darti una data precisa: di sicuro  sin  da quando ero piccola, ai tempi delle elementari. Con l’adolescenza, l’amore  si è  trasformato in bisogno, una vera e propria necessità.

Al cinema sei stata diretta da registi del calibro di Paolo Genovese, Duccio Tessari, Luigi Magni e Marco Ferreri. Che differenze ci sono nella recitazione teatrale e in quella di fronte ad una macchina da presa?

Di sicuro cambiano i mezzi … la macchina da presa impone un lavoro profondo, capillare, forse più “piccolo” per usare un termine di  comodo. In teatro c’è la stessa profondità, la stessa ricerca, ma è indispensabile ampliare, non faccio riferimento solo alla  voce, sia chiaro. Tutto deve essere visto, fino all’ultima  fila. In più, la vita che si racconta si ripete, si  rinnova  sera  per  sera. La vita del personaggio, della musica, della scena, delle luci e così via …  

Cristina Comencini ti dirige ne “I divertimenti della vita privata”. In Italia, purtroppo, abbiamo pochissime registe. Qual è l’approccio di una donna che supervisiona un lungometraggio? Ti piacerebbe dirigere un film?

Beh … sappiamo  che  per  una  donna  è sempre tutto un po’ più complesso, ma non vorrei cadere  nei classici luoghi comuni. Credo che le opportunità ci siano sempre per le persone in gamba, tenaci e valide professionalmente. Per quanto riguarda  me, direi proprio di no. Non mi piacerebbe dirigere un  film, non ci ho  mai  pensato, anche perché non ne sarei  capace.  

Primo elemento che salta subito all’occhio: la modestia. Punta a far bene quello che ama fare, non si lancia in cose che non le appartengono. Non vuole strafare.

Rimarrai per sempre nel cuore degli spettatori italiani grazie al personaggio della “Tata” in “Casa Vianello”. Che ricordi hai di quella esperienza?

Ho dei ricordi meravigliosi legati al periodo di “Casa Vianello”. A distanza di anni, godo ancora dell’eredità in termini di notorietà e affetto da parte del pubblico che quella serie mi  ha regalato. 

Negli anni ’90 sei stata una delle più amate dai bambini grazie al gioco televisivo “Che fine ha fatto Carmen Sandiego?”. Com’è il pubblico dei più piccoli?

Uh! “Carmen San Diego” è stato un’altra  bellissima esperienza! Più difficile ed impegnativa di  quanto si possa immaginare. Ogni giorno dovevo  imparare a memoria un bel numero di copioni, ma si lavorava sodo e con immensa soddisfazione.

Tanto, tanto teatro a partire dagli anni ’70. Qual è lo spettacolo al quale sei maggiormente legata?

Sono affezionatissima agli  spettacoli  brechtiani  del  mio  primo  periodo  al Politecnico Teatro. Ne ricordo con piacere diversi allo Stabile  di  Roma  e uno  che  feci al Teatro Manzoni di Roma  “Morte  in esilio  per  debiti,  di  don  Antonio  Lucio  Vivaldi  Veneziano” diretto da Luigi  Tani. Sono molto legata anche a  “La vita  è gioco”  di Alberto  Moravia con  la regia  di  Luciano  Melchionna.

Nella lunghissima carriera di Giorgia Trasselli, c’è anche spazio per alcuni famosi spot televisivi …

Sì! La  birra Dreher con  la  regia  di  Leone  Pompucci, la  maionese  Calvè  con la regia di Massimo D’Alatri  e  di recente  uno  spot  accanto  a Gigi  Proietti (ero elettrizzata!) Senza dimenticarmi dei riuscitissimi  spot delle  gocciole Pavesi, in cui interpreto il ruolo  della suocera  di  Tarzan! …. sai ho capito, nel  tempo, quanto  sia difficile e importante allo stesso  tempo, lavorare  in buone  pubblicità; sono esperienze che ti arricchiscono artisticamente.

La osservo con molta attenzione, non posso farne a meno: è davvero bella. Ha dei lineamenti molto delicati, espressivi, degli occhi profondi. Eppure, ha costruito la sua intera carriera solo ed esclusivamente grazie alla sua personalità artistica. Prendendosi spesso in giro, con gustosa autoironia. Non ha mai avuto bisogno di finti scandali o gossip patetici: quando c’è sostanza, alla base, il pubblico ti ama e lo fa in maniera incondizionata.

Parliamo di un altro incontro di grande successo: quello con Luciano Melchionna e il suo “Dignità autonome di prostituzione”.

(Si illumina) … Dignità autonome è davvero un grande  amore: un format di per sé scoppiettante, sempre sorprendente nonostante sia in cartellone da tantissimi anni, complesso, faticoso … è un circo teatrante che richiede una precisione millimetrica, considerando la sua struttura. Mi sento legata al mio monologo, che  ripeto mille volte ad un  pubblico sempre  diverso e che, molto  spesso, già conosco perché torna a rivedermi più volte. Provo amore per PAPI Luciano Melchionna, grande direttore d’orchestra e maestro  d ‘anima. 

Melchionna ti dirige anche in “Parenti serpenti”, tratto dall’omonimo film di Mario Monicelli. A te è affidato il ruolo di Nonna Trieste. Uno spettacolo complesso, molto articolato. Due ore e mezza sul palco non sono affatto uno scherzo, vero?

“Parenti  serpenti” è uno spettacolo davvero molto bello; è stato prodotto da Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro lo scorso anno. Sono molto affezionata al mio ruolo, quello di Trieste, ma in realtà in questa storia tutti i personaggi sono interessanti. Sono stati curati tutti da Luciano con eguale amore e attenzione. E’ uno spettacolo forte, coinvolgente, che ha  avuto e che, ne sono certa, avrà una grande eco nel tempo.

La televisione ti corteggia tra “Ris”, “Un medico in famiglia”, “Distretto di polizia” e “Don Matteo”. E’ difficile per un attore, all’inizio, adattarsi a tempi e dinamiche così differenti rispetto a quelle teatrali?

E’ vero: il passaggio dal teatro alla televisione, a volte, un po’ difficile lo è. Tempi e ritmi differenti, diversa impostazione per creare le scene, i dialoghi, i personaggi, ma se dietro a tutto questo ci sono un buon autore e un buon regista, adattarsi diventa una cosa naturale.  

Teatro, cinema, televisione. Qual è l’ambito più naturale per Giorgia Trasselli?

Così, di impatto, mi verrebbe da dire il teatro. Però non posso  nascondere di trovarmi benissimo anche in televisione. Certo, dipende  anche dal tipo di televisione … il  cinema mi  piace moltissimo … sono molto indecisa, sono sincera!  

La tv è piena di Reality che vedono personaggi famosi coinvolti in situazioni strampalate e folli. Accetteresti di partecipare come concorrente ad un Reality? In caso affermativo, quale?

Onestamente? Non ho mai visto un Reality, giusto qualche  spezzone qui e lì facendo zapping. Non credo che sarei la tipa giusta  per partecipare ad uno spettacolo del genere: mi  butterebbero fuori già nel corso della prima puntata (scoppia a ridere).  

Capisco subito quello che vuole dire: lei è un’attrice. E’ quello che vuole fare ed è quello che effettivamente fa. In un Reality anche io la vedrei fuori luogo. Come potrebbe trovarsi a suo agio una donna che vive di arte in un habitat posticcio e programmato?

Io mi occupo di cinema. Qual è il film della vita di Giorgia Trasselli e perché?

Christian sai che questa è davvero una bella domanda? (E’ un po’ incerta) Non  riesco  a …  non credo che ci sia  film che … (ci ripensa) forse “Via col vento”, ma non tanto per il film in sé, quanto piuttosto per Rossella O’Hara. Ho sempre ammirato l’attrice Vivien Leigh, sin da piccola. Quel personaggio  poi … mi  sarebbe piaciuto molto somigliare a Rossella … un po’ di più, intendo (ride)

Cosa dobbiamo attenderci da Giorgia Trasselli per questo 2017?

Per l’intero mese di luglio  parteciperò a questa nuova avventura di acting itinerary, che mi vedrà in giro per  alcune  strade del centro di Roma in  costume  cinquecentesco. A novembre sarò a Firenze con lo spettacolo “Un per cento, punizione ad effetto”. A dicembre sarò al Teatro La Cometa di Roma  con ” La spallata” di Gianni Clementi, per la regia di Vanessa Gasbarri; subito  dopo riprenderemo “Parenti serpenti” all’Alfieri di Torino, all’Augusteo di  Napoli, all’Eliseo di Roma e in tante altre piazze … una lunga tournèe, insomma!  

Termino con una domanda alla Gigi Marzullo : fatti una domanda e datti una risposta

Oh Santo cielo! “Sarò ancora in grado di suscitare interesse e stima nel pubblico?” Risposta “Spero proprio di sì!”. 

Giorgia Trasselli: garbo e professionalità was last modified: luglio 18th, 2017 by L'Interessante
18 luglio 2017 0 commenti
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