Trump
Di Valerio Andalò
Trump, giorno dopo giorno, si sta dimostrando un personaggio esplosivo. Le dichiarazioni contrarie al politically correct e le azioni non convenzionali, ormai all’ordine del giorno, ne fanno una figura più che controversa. Il neo presidente USA non è un uomo “che compone”, non è un abile stratega che cerca di tessere la tela della diplomazia. Piuttosto è una persona che tende a dividere e che pare agire seguendo il motto “o con me o contro di me”. C’è poco da dire, il miliardario datosi alla politica a tempo pieno, o lo si ama alla follia o lo si disprezza. Tuttavia, nonostante questa amministrazione sia alla guida degli Stati Uniti da pochissimi mesi, si notano alcune crepe.
Quattro interrogativi sull’azione politica del presidente Trump
1) Trump ha deciso di rivedere tutta la parte relativa agli “accordi sul clima” e puntare nuovamente sui combustibili fossili. Ora, partendo dal presupposto che il clima “cambia durante le ere” ma che “anche noi ci stiamo mettendo del nostro per velocizzare questo cambiamento”, una riflessione sorge spontanea: il puntare sui fossili determinerà un aumento dell’effetto serra e dunque un aumento della desertificazione dell’area sub sahariana. Tutto ciò comporterà un aumento esponenziale della migrazione per motivi economici (considerando la mutazione dei territori). Non è un controsenso battersi contro l’immigrazione ma al contempo creare le condizioni affinché il fenomeno aumenti?
2) Trump ha nominato all’interno del suo team governativo personaggi come: Steve Mnuchin (un passato importante in Goldman Sachs), Jay Clayton (potente avvocato di Wall Street) e Rex Tillerson (ad della compagnia petrolifera ExxonMobil). Come si concilia tutto questo con la presunta “vocazione anti establishment” del neo presidente?
3) Trump recentemente ha firmato il decreto con cui è stato vietato l’arrivo di cittadini di sette Paesi mussulmani (Iraq, Iran, Yemen, Libia, Siria, Somalia e Sudan). Sono esclusi alcuni Paesi con cui la Trump oranization fa affari o è in procinto di firmare accordi. Tra questi ci sono Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Libano, da cui arrivarono i terroristi dell’11 settembre 2001. Inoltre, nella lista nera non figurano l’Indonesia (uno dei più grandi stati a maggioranza mussulmana) e il Pakistan, da tempo accusato di sostenere e finanziare il terrorismo e definito da Trump, subito dopo l’elezione, un “paese fantastico”. Ricordiamo che l’attentato di San Bernardino del 2015 fu commesso da una coppia di origini pachistane. Omissioni che per la stampa americana indicano chiaramente un conflitto di interesse. Pertanto, non è una contraddizione sostenere di voler combattere aspramente il terrorismo senza inserire nella “black list” i principali “stati canaglia”?
4) Trump, come ogni buon reazionario che si rispetti, ha sempre avuto parole di fuoco nei confronti dei “comunisti”. D’altra parte il partito di McCarthy si è sempre dimostrato particolarmente sensibile nella difesa del “Mondo libero dal pericolo rosso”. L’Unione Sovietica era considerata il male assoluto e non poche volte gli USA intervennero materialmente per cercare di arginare “il diffondersi dell’idea socialista”. Spesso con una politica estera quanto mai bizzarra: tra colpi di stato in Sud America, guerre più o meno incomprensibili (Corea e Vietnam) e finanziamenti ai mujaheddin in Medio Oriente (precursori dell’estremismo islamico). Oggi uno dei principali alleati del presidente statunitense è la Russia. In particolare Trump considera Putin una figura di riferimento, nonostante il leader russo “mostri una gestione tipicamente stalinista del potere”, adeguata ovviamente ai tempi. Senza dimenticare le oscure manovre del Cremlino che pare abbiano “influenzato” il risultato delle ultime “presidenziali”. Non è forse grottesco osservare un’amministrazione legata al “Tea Party” (la parte più reazionaria del partito repubblicano che si identifica naturalmente in Trump) andare a braccetto (per non dire sottomessa) con l’ex spauracchio russo?
Sarebbe bello poter porre queste domande direttamente a Trump o in mancanza al suo staff, nonostante qualche giorno fa il Presidente abbia escluso da un suo breafing i corrispondenti della CNN e del New York Times.