Giallo. Giallo. Giallo.
Di Erica Caimi
Sicuramente l’abilità di un buon affabulatore sta nell’elaborare una trama che faccia scivolare il lettore in un microcosmo verosimile e coinvolgente. In questo senso, il nuovo romanzo giallo di Roberta Lucato “ La Donna Sapiente e il delitto della decima Cappella”, edito da Pietro Macchione Editore, riesce perfettamente. L’autrice amalgama l’invenzione letteraria a una competente conoscenza storico-geografica del territorio varesino e il risultato è uno squisito intreccio narrativo.
Chi è l’autrice del giallo?
Roberta Lucato vive e lavora in provincia di Varese. Bibliotecaria e giornalista pubblicista, cura la rubrica “Accadde 100 anni fa” per il quotidiano “La Prealpina”. È autrice di diversi saggi di storia locale, fra cui “Processi per stupro”, “Contrabbandiere mi voglio fare”, “Varese tra Expo e Belle Époque” e dei romanzi gialli “Saluti da Lugano” e “La Donna Sapiente e il delitto della decima Cappella”. Entrambi i romanzi, sono frutto di un’accurata ricerca storica, spulciando negli archivi dei giornali di cent’anni fa e scavando negli atti giudiziari dell’epoca conservati nei tribunali.
La Donna Sapiente: ambientazione e personaggi
L’ambientazione è quasi onirica: una baldanzosa Varese della Belle Époque ospita la Fiera d’aprile, una manciata di giorni durante i quali la grande piazza Mercato si popola di bancarelle e carrozzoni dai quali spuntano stravaganti circensi. Alla manifestazione si può trovare davvero di tutto, tra cui il toboga, l’altalena, il tiro a segno, i Fenomeni Parascientifici, il Museo Meccanico, il Gran Serraglio, la Casa degli Specchi, giostre, giostrine, banchetti strabordanti di dolciumi e persino l’attrazione delle attrazioni, la macchina delle immagini, il taumaturgo dei sogni: il Cinematografo Kullmann. La ricostruzione storica si arricchisce pagina dopo pagina di particolari che irrobustiscono la tela narrativa. Il proprietario del Cinematografo itinerante, ad esempio, era un ambulante tedesco di nome Franz Kullmann, realmente esistito e molto conosciuto tra Piemonte e Lombardia nel corso dei primi decenni del ‘900.
Anche i protagonisti del libro si trovano a Varese per partecipare alla fiera, il buon Remigio, burbero Re Sputafuoco insieme alla moglie Palmira dividono il carrozzone con la dolce cantante Mimì e la povera Enrietta, detta “Donna Colosso” a causa del suo ingombrante peso. Non mancava neppure il Padiglione dei Fenomeni, dove il Nano e il Gigante si esibivano col loro numero da uomini “fuori taglia”. Queste erano le uniche prospettive di vita riservate alle persone con evidenti disabilità o disfunzioni fisiche agli inizi del ‘900. Agli sfortunati non restava che vivere ai margini della società o essere esibiti come fenomeni da baraccone. Una sera, la stravagante combriccola composta da Remigio, Palmira, Mimì e il Nano scorgono nell’oscurità la sagoma di un uomo accasciato a terra dolorante e gli si avvicinano per soccorrerlo. Poco lontano, s’imbattono in un altro straccione ossuto che dice di chiamarsi Gaìna, che in dialetto lombardo significa gallina, e di essere amico del mendicante in fin di vita. Grazie al Gaìna, scoprono che l’uomo lì disteso si chiama Natale Abbiati, che tutti conoscono come il Barbarossa o semplicemente Barba per via del colore dei capelli, rossi per l’appunto. Tempo addietro, il destino incrociò la strada del Barba, un solitario cultore della bellezza, che viveva nella quattordicesima Cappella della Via Sacra, quella dell’Assunzione al Cielo della Vergine, con quella del Gaìna, un poveretto scappato dal Veneto e specializzato in furti notturni di galline. Così, l’improbabile coppia si trovò a condividere quel rifugio di fortuna e spartire quel poco che la vita gli aveva dato, ma che per entrambi era sufficiente per essere felici. Con loro viveva anche il Peòcio, pidocchio in dialetto veneto, un cagnolino mingherlino e sgraziato, ma infinitamente fedele, un esserino bistrattato ed emarginato che avevano adottato e che da loro non si allontanava mai. Il Barba era un uomo buono e ingenuo, un sognatore che sapeva cogliere l’incanto nascosto nel risvolto della semplicità, un’anima così lontana dal male che non sarebbe stato capace neppure di riconoscerlo.
Varese si tinge di giallo: il delitto e le indagini
Remigio, Palmira, Mimì, il Nano e il Gaìna trasportano il moribondo Barba in ospedale, ma il poveretto muore qualche giorno più tardi, accudito dall’affetto di quegli sconosciuti, senza voler rivelare il nome del suo assassino e perdonandolo in punto di morte. Il caso, diventato ufficialmente omicidio, viene raccolto dal Giudice Gagliardi, un integerrimo tutore della legge che con onestà s’impegna a risolvere il delitto, avvenuto, come si saprà soltanto in seguito, all’inizio della via Sacra. Le indagini prendono la giusta piega grazie ai “suggerimenti” della misteriosa “Donna Sapiente”, una famosa sciantosa, di cui s’ignora il nome vero, ma che all’epoca era piuttosto famosa tra politici e regnanti che si mettevano nelle sue mani per farsi predire il futuro. La chiromante, infatti, era solita dilettarsi con lettura del pensiero e divinazione nei luoghi d’incontro dell’alta società. La Donna Sapiente, giunta a Varese per la fiera, con i suoi cavalli dagli occhi di fuoco, chiede un incontro col Giudice Gagliardi, il cui contenuto è destinato a rimanere segreto, ma che darà una svolta decisiva alla vicenda.
Sullo sfondo, il nefasto passaggio della cometa di Halley, un’attesa che aveva tenuto il mondo col fiato sospeso: avrebbe forse portato con sé cataclismi naturali?! Era quella la resa dei conti per l’umanità? L’autrice ricostruisce perfettamente il clima tragicomico, fomentato dalla stampa, che si era venuto a creare attorno al fenomeno astronomico. I giornali erano pieni di interviste a scienziati e astronomi che preannunciavano l’evento: nella notte tra il 18 e il 19 maggio la terra avrebbe attraversato la coda della cometa, composta di gas rari e venefici. C’erano i creduloni e gli scettici, ma il dubbio lavorava silenziosamente nella mente di ciascuno. Si vendevano maschere ad ossigeno e persino bottiglie piene di aria pura, come antidoti per continuare a respirare nel caso di «spruzzatine» di gas cianogeno dalla coda di Halley.
A colpire è la grande solidarietà dei personaggi, il mangiafuoco e gli artisti di strada si distinguono per la spontaneità con la quale soccorrono uno sconosciuto e se prendono cura fino all’ultimo. I dialoghi, ben costruiti e le battute, spesso in dialetto varesino, rinforzano l’impianto narrativo, conferendogli maggiore verosimiglianza.
Che dire ancora del Barba e di tutti i protagonisti? Esiste forse modo migliore per rendere loro giustizia se non quello di strapparli agli abissi del passato, che oscura volti e percorsi per ridare loro quella meritata dignità che sopravvive soltanto attraverso il racconto di vite vissute?