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natura

cani
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Cani. Socializzarsi in natura: intervista a Veronica Papa

scritto da L'Interessante

Cani

Cani

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati oggi vi porto a Ceggia, presso “La Margherita” centro cinofilo, dove ci aspetta l’istruttrice Veronica Papa.

La seguo da qualche tempo, scrive racconti di vita quotidiana di cani e umani sempre molto affascinanti.

Le sue foto e i suoi video prendono vita, come fossero film con sottotitoli.

  • Grazie Veronica per aver accettato questa intervista. Da un punto di vista professionale, come possiamo definirla?

“La tradizione definisce il mio mestiere come quello di Educatore Cinofilo- anche se secondo alcune scuole io  sarei Istruttore Cinofilo, in quanto abilitata ad occuparmi anche di quelli che molti chiamano problemi comportamentali del cane. Io sono però convinta che a occuparsi dell’educazione del cane debba essere chi lo cresce, quindi il suo umano; io posso solo fornirgli gli strumenti per svolgere questo compito nel miglior modo possibile, aiutandolo a superare le difficoltà derivanti dallo svolgere un ruolo che sarebbe stato in realtà di competenza della famiglia naturale.
Alcuni colleghi, per questi motivi, si definiscono Consulenti di Relazione oppure Interpreti Cinofili, ma essendo termini poco diffusi creano più perplessità che altro. Diciamo che sono un Educatore che Educa ad Educare”.

  • Educare fornisce molta consapevolezza, ciò di cui i proprietari hanno bisogno. A riguardo ci può spiegare con una definizione semplice cosa s’intende per socializzazione intraspecifica?

La socializzazione intraspecifica è la capacità di muoversi in modo disinvolto e consapevole all’interno delle relazioni con gli appartenenti alla propria specie.

 

  • Disinvolto e consapevole. Bella definizione. Qual è lo stile che attribuisce Veronica Papa alla socializzazione intraspecie?

“E’ fatta di esperienze, di competenze, di rappresentazioni delle diverse categorie e delle diverse possibilità di interazione. Un animale dalla socialità intensa e complessa come il cane richiede grandi competenze sociali per sviluppare un profilo caratteriale equilibrato, una consapevole conoscenza di se stesso, dei propri limiti e dei propri punti di forza, una chiara definizione del proprio ruolo. Attraverso le interazioni con i conspecifici il soggetto pone le basi per definire se stesso. Inoltre l’evoluzione dell’individuo avviene grazie ai modelli di comportamento proposti da coloro che rappresentano per lui dei riferimenti importanti; la corrispondenza morfologica e il fatto di condividere lo stesso etogramma rendono i conspecifici dei modelli molto più efficaci di quanto possano rappresentare individui appartenenti ad altre specie, anche se importanti dal punto di vista affettivo.
La convivenza con specie diverse può arricchire il vocabolario espressivo, fornendo spunti preziosi e alternative di analisi e comprensione della realtà, ma è il crescere con i propri conspecifici che offre le opportunità adeguate per maturare correttamente.
Non riesco a pensare ad un cane che non abbia esperienze di relazione con altri cani, che non ha un suo ruolo all’interno di un gruppo di conspecifici (non necessariamente conviventi) come ad un individuo completo.
Per imparare a stare insieme agli altri umani noi, fin dai primi giorni di vita, accumuliamo miliardi di esperienze con diverse categorie e figure (genitori, fratelli, cugini, zii, nonni, compagni di classe, maestre, presidi, commesse, medici, fidanzati, mariti/mogli, generi, suocere, amici speciali, eccetera eccetera), imparando, attraverso prove ed errori, modelli di riferimento, intuizioni, empatia,  egoismi, ambizioni e progetti, a stare con gli altri, ad evitare o a gestire i conflitti, a costruire alleanze  e collaborazioni; ma pretendiamo che il cane, separato a due mesi (quando gli va bene) dalla propria madre, dai fratelli e dagli altri adulti che compongono la sua famiglia naturale, e messo nelle condizioni di frequentare in modo sporadico e inadeguato i suoi simili, possieda le stesse competenze che noi costruiamo in 50/60 anni di esperienze continue!”

  • E’ proprio vero, a volte dimentichiamo che anche i nostri cani, in quanto soggetti, hanno bisogno di vivere delle esperienze positive e frequenti. Guardo spesso le sue foto; esperienze in natura, con scenari da mozzafiato. Perché decide di far socializzare i cani sempre in un ambiente naturale come laghi, spiagge ed aperta campagna, invece di un semplice campo recintato?

“Pur essendo naturale per un cane vivere inserito in un gruppo di conspecifici, o perlomeno frequentarlo con una certa assiduità, come specie generalmente non è particolarmente portato ad accogliere conspecifici estranei, con le dovute differenze determinate dalle caratteristiche della razza o del mix di razze cui appartiene, dalle sue caratteristiche genetiche individuali e dal suo percorso soggettivo.
Questo significa che l’incontro tra cani che si conoscono poco o non si conoscono affatto possono essere caratterizzati da un certo grado di tensione, soprattutto se i protagonisti possiedono poche competenze sociali; questa  tensione può esprimersi con comportamenti antagonistici, che in ambienti ricchi di proposte alternative trovano maggiori possibilità di essere gestiti al meglio, sia per quanto riguarda l’emotività dei cani che per quanto riguarda quella de i loro proprietari.
Poter usufruire di spazi molto ampi aiuta i cani a stemperare le tensioni aumentando le distanze tra loro se necessario, mentre gli stimoli olfattivi e gli arricchimenti ambientali (cespugli, terrapieni, corsi d’acqua, massi, tronchi, ecc.) offrono maggiori occasioni per costruire  comportamenti agonistici o collaborativi, anziché  ricorrere esclusivamente  a interazioni antagonistiche e competitive.
Inoltre gli stimoli che inducono i cani a cimentarsi in attività di tipo olfattivo (tracce, segnali chimici, materiale biologico, ecc.) solitamente richiedono molta concentrazione, che è favorita da un livello basso di eccitazione: il cane si impegna così nel seguire e analizzare odori interessanti, orientandosi in questo modo verso un assetto emozionale più riflessivo.
E per finire, particolare non trascurabile, anche gli umani si rilassano di più in ambienti ameni e naturali, si godono il panorama, si inebriano di odori, si disintossicano, trasmettendo ai loro compagni a quattrozampe un insieme di emozioni positive.
Il fatto di camminare insieme, nella medesima  direzione e verso una medesima meta fa diventare i singoli individui un gruppo, all’interno del quale generalmente le tolleranze sono maggiori che non in una situazione statica e priva di vie di fuga”.

  • Assolutamente ineccepibile. Dovremmo ricordarci più spesso di muoverci in concertazione con chi ci sta a cuore. Molti proprietari però hanno paura di slegare i loro cani in questi contesti: come arriva a convincerli“.

 E’ necessario distinguere tra il proprietario che non sente alcun bisogno di liberare il proprio cane e quello che invece lo vorrebbe fare  ma ha troppa paura.
Il primo desidera avere la situazione sotto controllo, ed è poco propenso a muoversi verso un’emancipazione del proprio quattrozampe, verso una sua autonomia, seppure parziale.
In questo caso non sono io la persona giusta per lui, in quanto cerca altro rispetto a ciò che io sono in grado di offrire, e la cosa più corretta è invitarlo a rivolgersi a figure professionali diverse.
Ben diversa è invece la situazione con una persona che si pone come obiettivo  aiutare il cane nella sua crescita verso una maggiore responsabilizzazione possibile, con i dovuti limiti dettati da quanto la società consente; costui ha solo bisogno di essere rassicurato, di sperimentare che il suo cane è all’altezza ma soprattutto che lo è la loro relazione e lo è lui stesso.
E’ fondamentale saper accogliere le sue preoccupazioni e le sue ansie, valutarle attentamente e farsene carico; costruire i presupposti per la fiducia necessaria a compiere il passo, perché spesso il cane si allontana proprio dall’ondata emozionale che il suo umano emana; e infine scegliere inizialmente luoghi molto sicuri, privi di pericoli e che io stessa conosco molto bene, in modo da potermi mostrare tranquilla io stessa, aumentando gradualmente la complessità dell’ambiente man mano che il binomio è pronto ad affrontarla.
Non esiste un cane che “scappa” dal proprietario, a meno che davvero non vi siano problemi eclatanti all’interno della loro relazione, ma in questo caso sicuramente emergerebbero negli incontri preliminari.
E’ più probabile che il cane metta distanza tra sé e l’ansia dell’umano, la sua angoscia, il suo inconsapevole bisogno di aggrapparsi a quel controllo, spesso a dispetto della sua stessa volontà.
Il mio compito è fare in modo che imparino a fidarsi uno dell’altro, e diventino squadra.
Centrato questo obiettivo qualsiasi problema, di qualunque natura, solitamente sparisce”.

Non esiste un cane che scappa. Siamo noi a dover fuggire dalle nostre paure di perderli.

I cani si meritano la libertà.

Noi di vederli appagati.

Cani. Socializzarsi in natura: intervista a Veronica Papa was last modified: novembre 24th, 2016 by L'Interessante
24 novembre 2016 0 commenti
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Palme
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

COME FANNO LE PALME A RESISTERE AGLI URAGANI?

scritto da L'Interessante

Palme

di Antonio Andolfi

Il passaggio di un uragano porta distruzioni di ogni tipo: case crollate, inondazioni, alberi divelti, ma non le palme, che per la maggior parte riescono a reggere alla furia del vento e restano in piedi.  Come fanno queste piante a resistere anche agli uragani più forti?

Le radici delle palme

Le palme hanno un gran numero di radici: sono relativamente corte, ma si sviluppano a raggiera nel suolo e riescono ad ancorare con molta forza al terreno. Tante radici, infatti, lavorano meglio nel creare una base che aiuta la pianta a rimanere in posizione anche se investita da venti molto forti.

Il tronco 

Il tronco delle palme è costituito da molti piccoli fasci di materiale legnoso, che si può immaginare come un cavo elettrico costituito da tanti fili.

A differenza di altre piante, come ad esempio la quercia, le palme non sono in grado di sostenere pesi enormi, come rami grossi e folte chiome, ma in compenso hanno una flessibilità notevole, tant’è che una pianta di palma può piegarsi anche di 50 gradi prima di spezzarsi.

La maggior parte degli alberi possiede una folta chioma di rami e ramoscelli e un gran numero di foglie per catturare quanta più luce possibile dal Sole, ma questo produce un notevole effetto vela quando sono investite da venti forti, che possono tirare la pianta fino a sradicarla. Le palme invece hanno foglie molto grandi con una “colonna vertebrale” centrale flessibile: assomigliano cioè a enormi piume. Quando c’è bel tempo le fronde producono una folta chioma, ma in caso di forte vento le foglie si ripiegano seguendo la direzione del vento: in questo modo offrono meno resistenza e possono reggere più facilmente anche agli uragani più forti.

COME FANNO LE PALME A RESISTERE AGLI URAGANI? was last modified: novembre 1st, 2016 by L'Interessante
1 novembre 2016 0 commenti
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URAGANO
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

MATTHEW E GLI ALTRI. ANATOMIA DI UN URAGANO

scritto da L'Interessante

Uragano

di Antonio Andolfi

Le immagini dell’uragano Matthew, prima su Haiti poi sulla costa orientale degli Stati Uniti, ci mostrano distruzioni di ogni tipo: case crollate, inondazioni, alberi caduti. Ma perché si formano uragani di questo tipo?

Gli uragani sono cicloni tropicali, cioè imponenti masse d’aria in rapida rotazione e che traslano intorno a un centro di bassa pressione. Si formano sugli oceani a cavallo dell’equatore e si prendono il nome di uragani soltanto quando riguardano l’Oceano Atlantico e colpiscono gli USA e i Caraibi.

Ma come si formano?

Affinchè un ciclone tropicale si possa formare servono alcune condizioni fondamentali. L’acqua del mare deve essere piuttosto calda e superare i 27°C di temperatura. Deve esserci abbastanza umidità che possa alimentare il ciclone nella parte bassa dell’atmosfera. I venti nell’alta atmosfera non devono essere troppo intensi. Quando tutto ciò si verifica, le calde acque oceaniche riscaldano l’aria sovrastante, che inizia a salire e a roteare; mano a mano che sale, questa massa d’aria vorticosa si raffredda e forma un imponente cumulonembo. Il vuoto di pressione al centro del ciclone richiama aria, dando origine a forti venti.

Matthew e gli altri. L’uragano e i nomi propri

Perché hanno nomi propri? Gli uragani sono chiamati per nome proprio per facilitare il riconoscimento dei cicloni e la diffusione di notizie sul loro conto. L’Organizzazzione meteorologica mondiale ha stilato sei liste di nomi per la stagione degli uragani atlantici, cha va da Giugno a Novembre, ciascuna con 21 nomi. I nomi seguono le tradizioni e le lingue locali: Rita, Mitch e Matthew colpiscono gli Stati Uniti, Ketsana si è abbattuto sul Giappone, Ondoy sulle Filippine.  I loro effetti si misurano attraverso la scala Saffir-Simpson, basata sulla velocità dei venti e la propensione al danno. Un uragano è definito tale quando i suoi venti superano i 119 Km orari; al di sotto di questa velocità è chiamato semplicemente tempesta o depressione tropicale. La scala prevede 5 gradi, il quinto comporta venti superiori ai 252 Km orari, inondazioni con onde alte sei metri e oltre.

L’uragano Matthew si è abbattuto su Haiti quando era di categoria 4, lasciando oltre 900 vittime e la peggiore devastazione dopo il terremoto del 2010.

L’ uragano più costoso della storia

Quando un uragano ha avuto un impatto particolarmente devastante, il suo nome viene ritirato. Così Katrina indicherà per sempre la tragedia vissuta a New Orleans nel 2005.  Questo uragano in particolare detiene il triste primato di ciclone tropicale più costoso di sempre: i danni economici che ha causato sono quantificabili in 45 miliardi di dollari, circa 40 miliardi di euro. Più di un milione di persone rimasero senza casa per colpa di Katrina, e più di 1300 persero la vita. L’uragano che investì Galveston, in Texas, l’8 settembre 1900, con una velocità stimata dei venti di 233 km orari, è ad oggi classificato come il più mortale disastro naturale che abbia mai interessato gli Stati Uniti. Uccise 8000 persone. Colpì in un’epoca in cui ancora gli uragani non avevano nomi, ed è chiamato anche la Grande Tempesta.

L’occhio dell’uragano

La regione centrale del ciclone, dove viene registrata la pressione atmosferica più bassa, viene chiamata “occhio”. In generale è sgombra da nubi o coperta di nubi basse, è ampia qualche decina di km, ha una forma piuttosto regolare e aria più calda rispetto al resto dell’area coperta dalla tempesta. Oggi i satelliti compiono il grosso dello sforzo di visualizzazione degli uragani, ma non riescono a misurare la pressione barometrica e nemmeno, in modo accurato, la velocità dei venti dei cicloni, informazioni vitali per prevederne lo sviluppo. A questo pensano gli Hurricane Hunters, aerei della NOAA o della US Air Force che si spingono all’interno delle tempeste per raccogliere dati scientifici sul loro comportamento. Il primo a cimentarsi nel pericoloso – e talvolta fatale – compito fu Joseph B. Duckworth, colonnello dell’Aeronautica militare statunitense, nel 1943, con un monomotore da addestramento. Oggi si sta cercando di inviare i droni in queste difficili missioni. Il senso di rotazione dei venti degli uragani è antiorario nell’emisfero nord e orario in quello sud, per effetto della rotazione terrestre. Le tempeste da sole non si muovono in un senso o nell’altro: sono spinte e propagate dai venti dell’alta atmosfera.

Nell’Ottobre del 1991, sull’Oceano Atlantico, l’uragano Grace investì la costa est degli Stati Uniti, entrò in rotta di collisione con altre due aree di bassa pressione provenienti da Nord e da Sud, circostanza che si verific soltanto ogni 50 o 100 anni.  Venne chiamata la “tempesta perfetta”.

 

 

MATTHEW E GLI ALTRI. ANATOMIA DI UN URAGANO was last modified: ottobre 29th, 2016 by L'Interessante
29 ottobre 2016 0 commenti
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farfalle
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Farfalle all’Orto Botanico di Napoli

scritto da L'Interessante

Immaginate una primavera di colori, un insieme indefinito di ali fluorescenti, ridimensionate la fantasia e voltate lo sguardo su una mostra meravigliosa e inconsueta al tempo stesso.

Dal 6 al 22 maggio basterà recarsi all’orto botanico di Napoli, fondato nel 1807 da Giuseppe Bonaparte, per assistere ad uno spettacolo di arte contemporanea all’insegna della libertà, intesa in chiave concreta e metaforica.

Si tratta di un ‘esposizione di farfalle viventi , esemplari di rara rintracciabilità, provenienti da Africa Australia e Sud America. Bruchi e Crisalidi  si lasceranno percorrere dallo sguardo e la curiosità di chiunque voglia saperne di più sulla specie.

 L’evento si preannuncia un’esplosione di entusiasmo irrinunciabile per tutti, senza limiti di età.

Un universo d’eccezione da esplorare attraverso la guida di esperti del settore che, con tappe previste dal programma, forniranno ai visitatori notizie relative al ciclo vitale delle farfalle e peculiarità legate ai diversi stadi di trasformazione.

Sarà allestito, per i più piccoli, un laboratorio artistico che prediligerà il rapporto ludico con i colori. Si potranno realizzare farfalle di gesso da portare a casa, in ricordo di un’ esperienza di apprendimento alternativa.

  La mostra e l’Orto Botanico garantiranno ,inoltre, un’apertura straordinaria fino alle 20.00, in piena collisione  con il periodo della rassegna in esposizione.

L’universo delle farfalle – informazioni

lunedì, mercoledì e venerdì dalle 09.30 alle 14,00

martedì e giovedì dalle 09.30 alle 16.00

domenica aperto dalle 09.00 alle 14.00

6-7-8 maggio apertura straordinaria dalle 10.00 alle 20.00

sabato chiuso

I biglietti sono acquistabili online, nei botteghini convenzionati o in loco.

Per maggiori info e prenotazioni: Tel 081 5096335 – 333 8564409 – 331 324414

Pagina Facebook dell’Evento e Pagina Facebook dell’organizzazione Etoile Produzioni.

Cosa aspettate a prenotare il vostro biglietto?

 L’emozione del volo e della leggerezza sta per arrivare.

Michela Salzillo

Farfalle all’Orto Botanico di Napoli was last modified: maggio 4th, 2016 by L'Interessante
4 maggio 2016 0 commenti
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New York
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo pianoNotizie fuori confineViaggi Interessanti

New York: natura ed innovazione

scritto da Roberta Magliocca

New York

Le conosciamo le stazioni nostrane. Il puzzo di urina ignora i nasi già assuefatti dei pendolari abitudinari. I cestini della spazzatura sono vuoti, perché bicchieri di caffè e le carte ben oleate del pranzo sono ben posizionate per terra, come un mosaico moderno ideato da un contemporaneo posatore di ceramiche artistiche.

Ora, prendiamo questa stessa stazione abbandonata e posizioniamola a New York. Et voilà. Nella grande mela, si vedrebbe sorgere un parco. Così sarà. Un progetto presentato nel 2011 a New York, infatti, propone una riqualificazione degli spazi attraverso la realizzazione di un’oasi con cavi di fibra ottica che porteranno luce nel sottosuolo.

Il parco si chiamerà Lowline. Un po’ di numeri riusciranno a far comprendere meglio ciò che si andrà a realizzare nell’amatissima New York

– 5.500 metri quadrati; questa l’ampiezza dell’area che verrà riconvertita in un parco;

– 48 milioni di euro; ecco i fondi che saranno versati per finanziare il progetto;

– 106 anni; l’età del Williamsburg Bridge Trolley Terminal di New York, stazione dove si fermavano i tram al capolinea.

La stazione è inutilizzata dal 1948. Il sindaco di New York, Bill de Blasio – di origini campane – è entusiasta del progetto e ne ha dato l’ok.

È ben noto che sottoterra la luce non è proprio delle migliori. Niente paura. La natura, in questo progetto, sposa l’innovazione. Un sistema di collettori parabolici sistemati in superficie “ruberà” la luce del sole che splende sopra New York che, attraverso cavi di fibra ottica, verrà indirizzata a cupole riflettenti. Queste, a loro volta, distribuiranno la luce a tutto il parco. Tutto questo per un doppio vantaggio. Il primo: alla vegetazione sarà data la possibilità di crescere con luce naturale. Il secondo: si ridurrà notevolmente il consumo di elettricità.

Non ci resta che aspettare, dunque. La statua della libertà di New York è sopravvalutata. Le passeggiate in parchi sottoterra alla luce del sole, quelle sì che hanno dello straordinario.

Roberta Magliocca

New York: natura ed innovazione was last modified: aprile 16th, 2016 by Roberta Magliocca
17 aprile 2016 0 commenti
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San Lupo
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San Lupo: terra di streghe e janare

scritto da Roberta Magliocca

In provincia di Benevento può capitare di imbattersi in un paesino che ha il nome tanto insolito, quanto di buon augurio. Si tratta di San Lupo

Tale nome, molto probabilmente, trae origine dal vescovo francese San Lupo di Troyes, in quanto proprietario dell’antico monastero dei Santi Lupolo e Zosimo.

Storia. Prima feudo demaniale sotto i normanni, passò nuovamente al monastero dei Santi Lupolo e Zosimo grazie agli Svevi. Passò poi al Capitolo Metropolitano di Benevento, sotto la giurisdizione episcopale di un Vicario Capitolare. Successivamente divenne possedimento dei Caracciolo e, nel 1506, della famiglia Carafa che lo tenne fino alla abolizione della feudalità avvenuta nel 1806. Fu nella provincia di Principato Ultra fino al 1811. Un terremoto, datato 5 giugno 1688, distrusse il paese. In poco tempo venne ricostruito. Proclamato comune del Molise, divenne nel 1861 parte del mandamento di Pontelandolfo nel circondario di Cerreto nella Provincia di Benevento.

Da vedere. Il centro storico è caratterizzato da stretti vicoli, abbelliti da archi e pontili. Di notevole interesse sono i portali in pietra di alcune architetture civili, realizzati da scalpellini locali. Da non perdere la visita della Chiesa di San Giovanni Battista, chiesa maggiore del paese. L’interno reca la statua a mezzo di busto di San Lupo, realizzata dallo scultore Giacomo Colombo nel 1708. Il campanile è sormontato da un cupolino con embrici maiolicati gialli e verdi.

Bella ed elegante, la Fontana Sant’Angelo è stata realizzata nel 1614 in pietra locale, dotata di tre getti d’acqua intervallati da mascheroni e da una figura femminile. Nel frontone della fontana sono siti due stemmi e delle scritte in latino che invitano i pellegrini a dissetarsi. La fontana è posta nel luogo dove sorgeva un monastero benedettino.

Settecentesco, invece, è Palazzo Iacobelli, che ha ospitato Ferdinando II delle Due Sicilie, presso il controverso imprenditore Achille Iacobelli.

Meritanto turismo anche la fontana Capodaqua, la Cappella De Giorgio  – tomba cimiteriale neoclassica – e la chiesa dell’Annunziata (XVII secolo).

Santo Patrono. La festa patronale ha luogo dal 27 al 29 Luglio di ogni anno.

Leggende. E’ risaputo che la provincia di Benevento è la “terra delle Streghe e delle Janare“. Leggenda vuole che si riunissero nei pressi di un noce per i loro riti sabbatici. Proprio a San Lupo si trova il torrente delle Janare, attraversato da un ponte in pietra, detto “Ponte delle Streghe”. Ancora oggi si tramandano oralmente leggende del medioevo. Si racconta che, nel torrente, dopo una notte di sfrenati riti sabbatici, fu rinvenuta una neonata che, recuperata, fu adottata da una coppia che non aveva figli. Divenuta signorina, nel pascolare il suo gregge, fu oggetto di attenzione da un maturo signore, proveniente dal vicino castello di Limata. Questi però, rifiutato dalla fanciulla, sparse la voce di averla veduta compiere pratiche demoniache, provocando in tal modo la reazione del popolo che la congiurò, gettandola dal Ponte delle Streghe. Il corpo non fu mai ritrovato, trascinato da un vortice nelle profondità. Qualche tempo dopo l’accaduto, molti giurarono di aver visto una ragazza nuda danzare sulle rocce del torrente e tuffarsi nel momento in cui qualcuno avesse tentato di avvicinarla. Tanti anni dopo, un giovanetto discendente dalla famiglia dell’anziano signore di Limata fu attratto da quella apparizione e, una notte vedendo la ragazza tuffarsi, la seguì. Anche il suo corpo, come quello della sventurata fanciulla, non fu mai ritrovato.

Una terra ricca di fascino, musica e leggende quella di Benevento. Fatevi incantare.

Roberta Magliocca

San Lupo: terra di streghe e janare was last modified: aprile 16th, 2016 by Roberta Magliocca
17 aprile 2016 0 commenti
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Trivelle
CulturaEventiIn primo piano

Che non siano solo le trivelle il nostro unico pensiero

scritto da Roberta Magliocca

Che non siano solo le trivelle il nostro unico pensiero

Trivelle si, trivelle no, non solo trivelle

Il 17 Aprile si sta avvicinando e le polemiche – soprattutto sul web e sui social – si stanno districando tra il SI, il NO, l’astensione. Le battaglie etiche contro quelle economiche, le preoccupazioni per una salute del mondo che tanto sembra importante. Ora.

Si, perchè che fine hanno fatto le fiaccolate per la Terra dei Fuochi? L’allarmismo per la diossina? E le polveri sottili, si, gli incentivi per i mezzi pubblici, la circolazione a targhe alterne? Per non parlare della dieta mediterranea, quella vegana. L’aspartame ieri faceva bene, oggi è veleno. 

Tutti grandi problemi, tutti terremoti, tante corse al riparo per poi dimenticarsi di ogni pericolo e ritornare ad occuparsi della prossima imminente catastrofe.

Ma abbiamo mai pensato a rendere il mondo un posto migliore con piccoli gesti, ogni giorno, a poco a poco, senza dover per forza gridare alla tragedia? Perchè se noi andiamo a votare SI per lo smantellamento degli stabilimenti, per dire no alle trivelle, ma poi continuiamo a mantenere le nostre abitudini, questo mondo non lo salviamo.

Se per fare anche solo 500 metri prendiamo la macchina, se con distrazione non ci occupiamo della differenziata, se per non lavare le stoviglie la sera continuiamo ad usare i piatti di plastica, se non smettiamo di fumare, se continuiamo a mangiare tanto e male, se la natura non sarà nei nostri pensieri chiodo fisso da preservare, beh, votare SI al referendum non solo non ci salverà, ma farà emergere un dato certo: la nostra incoerenza.

Roberta Magliocca

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Che non siano solo le trivelle il nostro unico pensiero was last modified: aprile 5th, 2016 by Roberta Magliocca
5 aprile 2016 0 commenti
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Giornate Fai
CulturaEventiIn primo piano

Giornate FAI in 400 città italiane

scritto da Roberta Magliocca

Giornate Fai

Tornano in 400 città italiane le giornate FAI. È una serie di due appuntamenti, quella organizzata dal fondo ambiente italiano, che apre il sipario su 900 luoghi della nostra penisola.

Il 19 e 20 Marzo saranno echi di preludio alla primavera della bellezza, origine da cui l’uomo stesso proviene e che, per circostanze talvolta inspiegabili, sembra non riuscire a preservarne le peculiarità.

È con questo spirito che saranno concesse al pubblico aperture straordinarie a chiese, musei, palazzi, ville, spazi naturali ed archivi storici. La corrente edizione, che battezza il ventiquattresimo anno della rassegna, avrà come tema cardine quello della mutazione. È un dato innegabile, infatti, la trasformazione geografica che, di generazione in generazione, ha travolto la   superficie e l’anima del nostro pianeta, così come diversi sono gli approcci   ad iniziative del genere.

Sono stati 8.500.00 gli italiani scesi in piazza, agglomerandosi in chilometriche file di attesa, che in questi ventitré anni hanno assistito allo spettacolo dell’Italia che ricomincia a splendere, se poi si tratta di un entusiasmo a tempo determinato sembra non essere rilevante.

La Campania, come dimostrato dalle opportunità fissate nel calendario delle iniziative regionali, non accenna a voler arrivare impreparata al ripetuto noviziato della riscoperta.

È giusto che anche le nostre province richiamino l’interesse a restituirsi un’identità storica ed artistica ben definita. Ecco, dunque, alcune delle irrinunciabili opportunità fra Caserta e Napoli:

La reggia di Caserta aprirà le porte a stanze restaurate, saranno visibili le suggestive collezioni Terrae Motus, una serie di opere attribuite a rinomati artisti del 900 che furono, secondo fonti note, commissionate in occasione del terremoto dell’Irpinia. Presenti anche 140 dipinti che finora avevano conosciuto vecchiaia negli scaffali dei depositi.  Previsto , fra gli itinerari più interessanti, un percorso negli spazi dei sottotetti ,per ammirare le tecniche architettoniche utilizzate da Vanvitelli, proprio lì, dove in quel periodo di conflitto mondiale si appostavano le truppe alleate per sorvegliare il monumento.

A Napoli, invece, saranno aperte le catacombe di San Gaudioso: un’atmosfera coinvolgente sintetizzata in una particolare mistura fra barocco e l’epoca paleocristiana.

Dal XVII secolo la zona fu chiamata “Sanità” perché ritenuta incontaminata e salubre, anche grazie a proprietà miracolose attribuite alla presenza delle tombe dei Santi.

Si narra che alla fine del 1500 i frati domenicani ospitarono la sepoltura di alcuni nobili napoletani, in quest’ ipogeo sarebbero infatti conservati  i loro crani; i rispettivi corpi furono affidati all’arte di Giovanni Balducci che ne ritrasse le pareti.

Non resta , dunque, che abbandonarsi a questo tintinnio di meraviglia e lasciarsi ammaestrare dallo stupore non solo di quello che siamo in grado di vedere, ma anche da ciò che siamo disposti ad immaginare oltre le canoniche alternative di aggregazione come in questo caso.

Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore (Peppino Impastato)”.

Michela Salzillo

Giornate FAI in 400 città italiane was last modified: marzo 16th, 2016 by Roberta Magliocca
16 marzo 2016 0 commenti
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