Cani
Cani
Di Luigi Sacchettino
Cari lettori interessati oggi vi porto a Ceggia, presso “La Margherita” centro cinofilo, dove ci aspetta l’istruttrice Veronica Papa.
La seguo da qualche tempo, scrive racconti di vita quotidiana di cani e umani sempre molto affascinanti.
Le sue foto e i suoi video prendono vita, come fossero film con sottotitoli.
- Grazie Veronica per aver accettato questa intervista. Da un punto di vista professionale, come possiamo definirla?
“La tradizione definisce il mio mestiere come quello di Educatore Cinofilo- anche se secondo alcune scuole io sarei Istruttore Cinofilo, in quanto abilitata ad occuparmi anche di quelli che molti chiamano problemi comportamentali del cane. Io sono però convinta che a occuparsi dell’educazione del cane debba essere chi lo cresce, quindi il suo umano; io posso solo fornirgli gli strumenti per svolgere questo compito nel miglior modo possibile, aiutandolo a superare le difficoltà derivanti dallo svolgere un ruolo che sarebbe stato in realtà di competenza della famiglia naturale.
Alcuni colleghi, per questi motivi, si definiscono Consulenti di Relazione oppure Interpreti Cinofili, ma essendo termini poco diffusi creano più perplessità che altro. Diciamo che sono un Educatore che Educa ad Educare”.
- Educare fornisce molta consapevolezza, ciò di cui i proprietari hanno bisogno. A riguardo ci può spiegare con una definizione semplice cosa s’intende per socializzazione intraspecifica?
La socializzazione intraspecifica è la capacità di muoversi in modo disinvolto e consapevole all’interno delle relazioni con gli appartenenti alla propria specie.
- Disinvolto e consapevole. Bella definizione. Qual è lo stile che attribuisce Veronica Papa alla socializzazione intraspecie?
“E’ fatta di esperienze, di competenze, di rappresentazioni delle diverse categorie e delle diverse possibilità di interazione. Un animale dalla socialità intensa e complessa come il cane richiede grandi competenze sociali per sviluppare un profilo caratteriale equilibrato, una consapevole conoscenza di se stesso, dei propri limiti e dei propri punti di forza, una chiara definizione del proprio ruolo. Attraverso le interazioni con i conspecifici il soggetto pone le basi per definire se stesso. Inoltre l’evoluzione dell’individuo avviene grazie ai modelli di comportamento proposti da coloro che rappresentano per lui dei riferimenti importanti; la corrispondenza morfologica e il fatto di condividere lo stesso etogramma rendono i conspecifici dei modelli molto più efficaci di quanto possano rappresentare individui appartenenti ad altre specie, anche se importanti dal punto di vista affettivo.
La convivenza con specie diverse può arricchire il vocabolario espressivo, fornendo spunti preziosi e alternative di analisi e comprensione della realtà, ma è il crescere con i propri conspecifici che offre le opportunità adeguate per maturare correttamente.
Non riesco a pensare ad un cane che non abbia esperienze di relazione con altri cani, che non ha un suo ruolo all’interno di un gruppo di conspecifici (non necessariamente conviventi) come ad un individuo completo.
Per imparare a stare insieme agli altri umani noi, fin dai primi giorni di vita, accumuliamo miliardi di esperienze con diverse categorie e figure (genitori, fratelli, cugini, zii, nonni, compagni di classe, maestre, presidi, commesse, medici, fidanzati, mariti/mogli, generi, suocere, amici speciali, eccetera eccetera), imparando, attraverso prove ed errori, modelli di riferimento, intuizioni, empatia, egoismi, ambizioni e progetti, a stare con gli altri, ad evitare o a gestire i conflitti, a costruire alleanze e collaborazioni; ma pretendiamo che il cane, separato a due mesi (quando gli va bene) dalla propria madre, dai fratelli e dagli altri adulti che compongono la sua famiglia naturale, e messo nelle condizioni di frequentare in modo sporadico e inadeguato i suoi simili, possieda le stesse competenze che noi costruiamo in 50/60 anni di esperienze continue!”
- E’ proprio vero, a volte dimentichiamo che anche i nostri cani, in quanto soggetti, hanno bisogno di vivere delle esperienze positive e frequenti. Guardo spesso le sue foto; esperienze in natura, con scenari da mozzafiato. Perché decide di far socializzare i cani sempre in un ambiente naturale come laghi, spiagge ed aperta campagna, invece di un semplice campo recintato?
“Pur essendo naturale per un cane vivere inserito in un gruppo di conspecifici, o perlomeno frequentarlo con una certa assiduità, come specie generalmente non è particolarmente portato ad accogliere conspecifici estranei, con le dovute differenze determinate dalle caratteristiche della razza o del mix di razze cui appartiene, dalle sue caratteristiche genetiche individuali e dal suo percorso soggettivo.
Questo significa che l’incontro tra cani che si conoscono poco o non si conoscono affatto possono essere caratterizzati da un certo grado di tensione, soprattutto se i protagonisti possiedono poche competenze sociali; questa tensione può esprimersi con comportamenti antagonistici, che in ambienti ricchi di proposte alternative trovano maggiori possibilità di essere gestiti al meglio, sia per quanto riguarda l’emotività dei cani che per quanto riguarda quella de i loro proprietari.
Poter usufruire di spazi molto ampi aiuta i cani a stemperare le tensioni aumentando le distanze tra loro se necessario, mentre gli stimoli olfattivi e gli arricchimenti ambientali (cespugli, terrapieni, corsi d’acqua, massi, tronchi, ecc.) offrono maggiori occasioni per costruire comportamenti agonistici o collaborativi, anziché ricorrere esclusivamente a interazioni antagonistiche e competitive.
Inoltre gli stimoli che inducono i cani a cimentarsi in attività di tipo olfattivo (tracce, segnali chimici, materiale biologico, ecc.) solitamente richiedono molta concentrazione, che è favorita da un livello basso di eccitazione: il cane si impegna così nel seguire e analizzare odori interessanti, orientandosi in questo modo verso un assetto emozionale più riflessivo.
E per finire, particolare non trascurabile, anche gli umani si rilassano di più in ambienti ameni e naturali, si godono il panorama, si inebriano di odori, si disintossicano, trasmettendo ai loro compagni a quattrozampe un insieme di emozioni positive.
Il fatto di camminare insieme, nella medesima direzione e verso una medesima meta fa diventare i singoli individui un gruppo, all’interno del quale generalmente le tolleranze sono maggiori che non in una situazione statica e priva di vie di fuga”.
- Assolutamente ineccepibile. Dovremmo ricordarci più spesso di muoverci in concertazione con chi ci sta a cuore. Molti proprietari però hanno paura di slegare i loro cani in questi contesti: come arriva a convincerli“.
E’ necessario distinguere tra il proprietario che non sente alcun bisogno di liberare il proprio cane e quello che invece lo vorrebbe fare ma ha troppa paura.
Il primo desidera avere la situazione sotto controllo, ed è poco propenso a muoversi verso un’emancipazione del proprio quattrozampe, verso una sua autonomia, seppure parziale.
In questo caso non sono io la persona giusta per lui, in quanto cerca altro rispetto a ciò che io sono in grado di offrire, e la cosa più corretta è invitarlo a rivolgersi a figure professionali diverse.
Ben diversa è invece la situazione con una persona che si pone come obiettivo aiutare il cane nella sua crescita verso una maggiore responsabilizzazione possibile, con i dovuti limiti dettati da quanto la società consente; costui ha solo bisogno di essere rassicurato, di sperimentare che il suo cane è all’altezza ma soprattutto che lo è la loro relazione e lo è lui stesso.
E’ fondamentale saper accogliere le sue preoccupazioni e le sue ansie, valutarle attentamente e farsene carico; costruire i presupposti per la fiducia necessaria a compiere il passo, perché spesso il cane si allontana proprio dall’ondata emozionale che il suo umano emana; e infine scegliere inizialmente luoghi molto sicuri, privi di pericoli e che io stessa conosco molto bene, in modo da potermi mostrare tranquilla io stessa, aumentando gradualmente la complessità dell’ambiente man mano che il binomio è pronto ad affrontarla.
Non esiste un cane che “scappa” dal proprietario, a meno che davvero non vi siano problemi eclatanti all’interno della loro relazione, ma in questo caso sicuramente emergerebbero negli incontri preliminari.
E’ più probabile che il cane metta distanza tra sé e l’ansia dell’umano, la sua angoscia, il suo inconsapevole bisogno di aggrapparsi a quel controllo, spesso a dispetto della sua stessa volontà.
Il mio compito è fare in modo che imparino a fidarsi uno dell’altro, e diventino squadra.
Centrato questo obiettivo qualsiasi problema, di qualunque natura, solitamente sparisce”.
Non esiste un cane che scappa. Siamo noi a dover fuggire dalle nostre paure di perderli.
I cani si meritano la libertà.
Noi di vederli appagati.