Ferzan
Di Christian Coduto
Rosso Istanbul (Turchia, Italia 2017) **
Regia: Ferzan Ozpetek (7)
Con: Halit Ergenç (6), Nejat Isler (6), Mehmet Günsür (6), Tuba Büyüküstün (6/7), Serra Yilmaz (5/6)
Orhan Sahin ha avuto, in passato, un grande successo come scrittore. In seguito ad un evento traumatico che ha coinvolto lui e la sua ex moglie, ha deciso di abbandonare la sua amata Istanbul per trasferirsi in Inghilterra.
Dopo diversi anni, ritorna in madrepatria per incontrare Deniz Soysal, un affermato regista che si appresta a realizzare il suo romanzo d’esordio, in cui affronta la sua vita, i suoi amori e i legami familiari.
Nel libro, grande importanza assumono le figure di Yusuf, un ragazzo (cocainomane) con il quale Soysal ha vissuto un’importante relazione sentimentale e della splendida Neval, la migliore amica del regista.
Quando Soysal scompare all’improvviso, senza lasciare alcuna traccia, Orhan si mette alla ricerca dell’uomo. Il confine tra la finzione e la realtà non sembra essere più così netto …
Con “Rosso Istanbul” Ferzan Ozpetek, dopo il precedente “Allacciate le cinture” (meritevole di una degna rivalutazione), ritorna nel suo paese d’origine, sfruttando un cast di attori locali e raccontando una storia che profuma di nostalgia e di mistero.
Il film è ricco di simbolismi, la sceneggiatura si fonda su dialoghi spesso appena accennati, talvolta poco comprensibili.
Silenzi. Sguardi. Nuovi silenzi. Paesaggi. Lacrime sparse.
Dopo un quarto d’ora di proiezione, la noia è alle stelle. Al termine del film, il numero degli sbadigli è incalcolabile.
Sì, perché la pellicola è un gioco stilistico impeccabile, ma la storia è assente. Volutamente, certo, ma assente.
C’è un sottile filo che separa la poesia dalla presa in giro dello spettatore. Ozpetek ci circumnaviga intorno pericolosamente, con risultati che hanno il gusto della delusione.
Se, di impatto, può sembrare coraggioso il tentativo da parte del regista di provare ad allontanarsi dalle precedenti storie (variando del tutto location, situazioni e attori coinvolti), a ben vedere ci si accorge che nulla, in sostanza, è davvero cambiato:
le due zie di Yusuf, ad esempio, sono la copia perfetta di Carla Signoris e Elena Sofia Ricci in “Allacciate le cinture”; l’entrata in scena di Neval riporta subito alla mente Nicole Grimaudo in “Mine vaganti”. La stessa Yilmaz, attrice feticcio del regista, funge da trait d’union con il passato.
C’è, come sempre, il tema della morte.
E poi abbiamo il cibo: lunghe, immense, infinite tavolate, come nella migliore tradizione di Ozpetek.
I protagonisti mangiano sempre. Troppo.
Il dico e non dico, il non rendere chiaro gli eventi, ha un qualcosa di irritante.
Spiace perché Ozpetek è sicuramente un buon regista: sfrutta gli ambienti con intelligenza (un plauso anche al Direttore della fotografia, Gian Filippo Corticelli) e sceglie con attenzione i brani della colonna sonora.
Pecca, stavolta, nella direzione degli attori (suo noto punto di forza): svogliati e poco coinvolti in una storia che fa acqua da tutte le parti, con la sola Tuba Büyüküstün in grado di donare un certo fascino al personaggio di Neval.
Del tutto fuori luogo la scelta di fare doppiare Serra Yilmaz dalla stessa: la sua voce appare poco armonica e tendenzialmente sgradevole.
Un’occasione mancata. Auguriamo al regista di ritrovare al più presto l’ispirazione e l’originalità delle sue opere precedenti.