Ariston
Che si spengano le luci, la festa è terminata. Il 30 giugno, come se la storia appartenesse al passato, cala il sipario del cine– teatro Ariston di Marcianise
Lo spettacolo è finito. E non certo per andare in vacanza. Non c’è niente più da guardare. Ad annunciare la chiusura definitiva dello stabile è stato Emilio Napolitano, gestore dell’antico teatro cittadino.
Anche l’ultimo angolo di palco, di fronte alle amarezze di quanti ne hanno vissuto crescita e successi, si piega in valigia e va a morire di vecchiaia nella soffitta dei ricordi.
A poche ore dai sigilli ufficiali, l’ultimo applauso e già nostalgia. È stato un lungo cortometraggio di esperienze che, iniziato negli anni quaranta, ha collezionato file di consensi. Una stima solida, comprovata dal magone che, all’alba dei titoli di coda, è difficile da digerire.
L’Ariston è il primogenito artistico del Mugnone, fondato dal padre di Emilio, Pasquale Napolitano, in una Marcianise bucolica, pregna di tradizioni ed echi culturali, ben distanti da una modernità che se ne frega di guardarsi alle spalle.
Non è necessario indagare sulle cause di tale scelta– ha dichiarato in una lettera aperta il titolare dell’Ariston – che, invece, ha ritenuto giusto sottolineare il soddisfacente percorso realizzato in questi anni, una traiettoria piena di solidi rapporti umani, allegria, cultura e intrattenimento. Valori inestimabili, questi, che resteranno certamente intramontabili in quanti si sono lasciti coinvolgere da un’avventura che non ha nulla da rimpiangere.
Raccontarsi che doveva andare così, stando alle reazioni di molti cittadini marcianisani, resta comunque uno sforzo.
La rassegnazione per una fine che sembrava preannunciata dal tempo che passa, e trasforma qualunque minuzia in qualcosa di diverso, non basta per dimenticare.
L’Ariston è stato lo scenario di appoggio per molti successi del gemere, difficili da scordare la promozione e l’organizzazione di stagioni teatrali di primissimo livello. Dal Gotha del teatro italiano Albertazzi a Mario Scaccia, da Ottavio Piccolo a Ugo Pagliai e Paola Gassman.
Non è stato un teatro, ma il teatro. Quello che aveva le mura impegnate di identità e profumo antico, quello che dovevi cercare tra le viuzze di una Marcianise che voleva continuare a farsi sentire.
La città del vecchio Mugnone, nato per rilassare i visi stanchi di chi faceva ritorno da una giornata di duro lavoro nei campi, il profumo delle caldarroste nel carretto ambulante, che sostituiva dignitosamente i pop corn di oggi, sono soltanto l’ultima scena dell’ultimo atto di un meraviglioso spettacolo. Questa volta, però, inchinarsi o applaudire è un po’ più complicato.
Michela Salzillo