Renzi
<<Mai fidarsi troppo del giudizio dei cittadini: basti pensare che nel referendum più famoso della storia hanno liberato Barabba>> diceva Crozza in uno dei suoi più celebri discorsi, sottolineando come il Referendum stesso possa trasformarsi pericolosamente in un Giuda che pugnala alle spalle il proprio Messia, in un cane che tradisce il proprio padrone, in un “Barabba” che, muto nel suo silenzio indifferente, scatena poi tutte le sue conseguenze una volta liberato: “mai fidarsi”, ripeteva il comico, per evitare la concretizzazione di un assenso che ha vissuto di menzogne mescolate a verità nascoste per troppo tempo; <<Non votare è come non innaffiare la pianta della democrazia>> affermava, al contrario, Elio, interrogato anche egli sulle capacità tanto piccole quanto fondamentali di quella stessa decisione portata avanti con il coraggio di chi crede nella virtù del popolo, di chi desidera rappresentare la possibilità determinate nella scelta “saggia e giusta” del futuro, di chi vuole iniziare a vedere attivamente come può una quantità minima di acqua avere la forza di far fiorire nuove piante, più forti, più “autotrofe”. La verità, tuttavia, si trova nel mezzo: infatti, se da una parte bisogna offrire al cittadino l’informazione pura e semplice, dall’altra occorre rifornirlo continuamente dei mezzi necessari per valutare criticamente i quesiti proposti dal referendum, chiarire loro i pro e i contro, affrontare gli argomenti di valutazione in maniera chiara e costruire un vero e proprio “palazzo di vetro” per evitare di distorcere il processo di decisione democratica.
Ma siccome la teoria ha sempre redatto parole tanto autorevoli ma poco effettive, ci pensa la pratica a chiamare in causa l’azione:
il prossimo ottobre gli italiani saranno chiamati a votare un referendum costituzionale per approvare o respingere la riforma Boschi – Renzi ratificata definitivamente lo scorso 12 aprile e che porta il nome dell’attuale ministra Maria Elena Boschi, promotrice principale insieme al governo di Matteo Renzi
Ed è proprio intorno a questi due ultimi personaggi che si genera la domanda tipica da porre, quella che, rea della sua tradizione, necessita tanto coraggio prima di essere impostata: “Ce la faranno i nostri eroi a farla franca?”: perché si, in caso di sconfitta come ultimamente successo nel Referendum Costituzionale del 2006, il presidente del consiglio rischia di dire addio, insieme alla sua compagna di viaggio, alla sua poltrona d’oro e lasciare affondare una nave attaccata dai tanti sin dal momento in cui è salpata, Berlusconi docet. E così, esattamente come quella di dieci anni fa, la riforma è stata dapprima approvata in doppia lettura da camera e senato e dovrà ora passare al vaglio dei cittadini: non è previsto il raggiungimento del quorum perché, a differenza del referendum abrogativo, non è necessario che vada a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto ma, appunto, vinceranno i “sì” o i “no” indipendentemente da quante persone andranno ad esprimersi.
Quello che gli addetti ai lavori hanno concepito solo negli ultimi mesi è stato molto tempo prima realizzato dall’intuizione politica dei due politici di trasformare totalmente l’assetto istituzionale del paese, una trasformazione degna di essere presentata come la svolta della nazione ma altrettanto preoccupata dall’essere acclamata come l’eroina dei due mondi: la riforma, pertanto, si propone di vestire i panni di Anita Garibaldi, nell’intento di compiere la medesima impresa svolta due secoli fa, e di ammodernare un processo fattosi vecchio. Come? Superando dapprima il bicameralismo perfetto, che di perfetto presenta in effetti solo il nome: attualmente tutte le leggi, sia ordinarie sia costituzionali, devono essere approvate da entrambe le camere; con la potenziale entrata in vigore della riforma, invece, la camera dei deputati diventa l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto e l’unica assemblea che potrà sia approvare le leggi ordinarie e di bilancio che accordare la fiducia al governo, lasciando cadere, inevitabilmente, il Senato nel baratro della decadenza, nella “fossa dei leoni”: l’organo collegiale diventerebbe a tutti gli effetti solo un organo rappresentativo delle autonomie regionali composto non più da 315 senatori ma da 100, eletti direttamente dai cittadini e pagati con uno stipendio da amministratori, che potrà esprimere pareri sui progetti di legge approvati dalla camera e proporre modifiche entro trenta giorni dall’approvazione della legge, esercitando, pertanto, una funzione di “perfetto raccordo” tra lo stato, le regioni e i comuni. I provvedimenti successivi saranno presi in funzione di una “economizzazione” delle spese, quegli stessi costi tanto criticati in passato dalla popolazione e ora pronti ad essere allontanati dal premier, il <<Demolition Man>> per il Times, l’”uomo tutto d’un pRezzo” per il resto del mondo: verrà abolito il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro, organo ausiliare previsto dalla costituzione con la funzione consultiva per quanto riguarda le leggi sull’economia e il lavoro; verranno ridotte le partecipazioni in sede di elezioni presidenziale con l’esclusione dei delegati regionali a favore delle camere in seduta comune; torneranno “alla base” una ventina di materia di competenza esclusiva dello stato come l’ambiente, la gestione di trasporti e navigazione, la produzione e la distribuzione dell’energia, insieme alle politiche per il lavoro; infine sarà innalzato il tetto mimino di firme per la proposta di una legge d’iniziativa popolare, che passerà da 50mila a 150.
La battaglia tra gli schieramenti è appena cominciata sottoforma di campagna elettorale, il “salto di qualità” tanto respirato nell’aria di chi osanna il “si” è un passo coraggioso, l’”Italicum” appena votato che trasformerebbe la nazione con sovranità popolare in un paese autoritario è un pensiero stabile: il referendum visto come <<L’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione>> diventa così il grido di battaglia dei “Comitati del NO”, contrastato sull’altro fronte in maniera trasversale dai “Sostenitori del SI” con lo striscione “La nostra costituzione è la più bella al mondo, ma si può cambiare”. Come cani pronti a scannarsi per la propria preda, così le ragioni di una o dell’altra fazione provano a mostrare al mondo politico il macchinoso e costoso processo della guerra: da una parte la <<Madre di tutte le riforme>> persuade il pensiero del popolo in maniera positiva grazie al “taglio delle poltrone”, che permetterà di risparmiare 500 miliardi di euro l’anno e semplificherà l’iter legislativo evitando la “navetta”, ossia il viaggio che i testi di legge compiono più volte tra Camera e Senato per essere approvati; dall’altra la stessa <<Riforma non legittima>> allontana la sua approvazione, colpevole di un bicameralismo mai davvero superato bensì confuso mediante la creazione di potenziali conflitti di competenza tra Stato e Regione e tra Camera e nuovo Senato, e di una dettatura del governo, prodotta per iniziativa libera del parlamento e non scritta in maniera chiara e semplice. E’ bene quindi informarsi con intelligenza e accuratezza su cosa scegliere per il cambiamento o il mantenimento di una società che deve, a prescindere, portare i suoi frutti e rendersi conto che il voto è un diritto cittadino conquistato nel corso della storia: va rispettato, va consigliato ma soprattutto va usato nella maniera più giusta possibile, una giustezza che, nella sua soggettività, trova sempre un punto in comune con le altre opinioni salvaguardando il domani, perché è bene rammentare che se “gli storici falsificano il passato, i politici lo fanno con il futuro”.
Michele Calamaio