Napoli
Di Michela Salzillo
Succede a Napoli qualche giorno fa…
Una lite, una scuola, una di quelle del centro storico. Due adolescenti di quindici e quattordici anni, una ragazzina che in anonimato si ritrova ad essere trascritta come il vero motivo del contrasto, un coltello, una sferrata, e quello che con una certa ordinarietà succede fra i banchi degli istituti di formazione, e non solo, diventa fatto degno di nota. Quando c’è di mezzo del sangue, un ricovero in ospedale e il grido alla grazia per il sopravvissuto, è giusto che se ne parli. È importante che si cerchi di capire come sono andate le cose, dettagliare il nome della scuola che, in questo caso, sarà quello dell’istituto comprensivo Teresa Confalonieri, sito nel vico San Severino, premunirsi di specificare che se anche il diverbio sia cominciato in classe, l’accoltellamento sia invece avvenuto all’esterno della stessa. È importante dare voce all’ insegnante che, giustamente, tiene a rimarcare quanto certi casi non debbano rappresentare l’ identità comune della Napoli perbene, cercando di mettere i puntini sulle “i “ in materia di responsabilità, perché se il fatto è avvenuto nel cortile della scuola, invece che di fronte alla lavagna prima della campanella, pare cambi molto. Vengono fuori gli sfoghi che confermano quanto tutti sapevano, ma nessuno si era mai preoccupato più di tanto. Lo dice la zia del ragazzo ferito, quando ancora era in ospedale, prima dello scampato pericolo: “Era un bullo, lo sapevano tutti”.
Perché allora non si è evitato quest’ epilogo, per fortuna riuscito alla meno peggio? Perché chi poteva non è intervenuto? Resta un mistero, uno di quelli difficili da decifrare, ma su cui fare ipotesi viene spontaneo. Non si parla perché tanto sono cose che succedono? Perché questi insegnanti non sanno dove sbattere la testa con classi di trenta ragazzi e un programma da gestire il più degnamente possibile? Perché quello che conta è dire del bullismo come l’argomento su cui interrogare all’esame, tanto se l’alunno sa la pappardella a memoria, merita il plauso o cose del genere? Forse tra queste domande c’è quella che dà risposte, forse tutte, in parte, sono la risposta o forse niente di tutto ciò ha a che fare con le famiglie di questi ragazzi, dove magari si insegna che l’ uomo vero è quello che tira a calci e pugni, che il rispetto lo guadagni con la violenza, perché se non sai dare schiaffi allora vuol dire che sei scemo, “sei fesso”, “ Se non difendi la donna tua, non sei buono”.
Bullismo: una definizione abusata piena di storie
Che il lupo mangi l’agnello è una storia vecchia come il mondo, ma non è sempre il più debole ad essere inghiottito. Ce lo insegnano i fatti, ce lo dice la cronaca, ce lo racconta una lunga serie di storie archiviate sotto la piaga del bullismo, compresa quella che, magari, si sta svolgendo in questi minuti e di cui nessuno parlerà mai. È quella del ragazzo che è costretto ad abbassarsi i pantaloni in corridoio se no non passa dalla porta di ingresso, quello che durante la ricreazione viene ficcato con la testa nel water al cospetto del riso compiaciuto del gruppo che spalleggia il bullo. È il ragazzino omosessuale che tutti chiamano ricchione, quello che quando torna a casa si chiude in camera, nel silenzio generale, e fa i conti con l’inferno. È la ragazzina che viene appellata a poco di buono nei post di Facebook con fare oppressivo, è quella che, per questo, ogni tanto, pensa che è meglio farla finita.
Secondo la definizione da enciclopedia, “fare il bullo” vuol dire agire secondo una forma di comportamento di tipo violento e intenzionale, che abbia natura sia fisica che psicologica, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal soggetto che perpetra l’atto in questione come bersagli facili e/o incapaci di difendersi. Di leziose spiegazioni legate al termine ne troviamo ovunque: dentro i libri, fuori dai manuali di pedagogia, nelle trame dei film e fra le prime diciture dei motori di ricerca. Non è svogliatezza se a definire la parola, in questo caso, sia stata una traduzione di tipo testuale che, fuori da questa pagina, potrete rintracciare con facilità, perché di copia e incolla, soprattutto per temi di questo tipo, ne facciamo davvero tanti. Non che sia sempre una scelta conscia, a volte è anche colpa di alcune imposizioni mediatiche, secondo cui se non ne parli, o sei poco informato o non te ne frega assolutamente nulla. Perciò finisce che si dica quello che tutti sanno, senza capire, però, come agire per diminuire l’alto tasso di drammi del genere. La materia è vasta e non essendo noi specialisti del settore, non intendiamo azzardare teorie infondate. Quel che certo, e non c’è bisogno di lauree per capire questo, è che un atteggiamento diventa vessatorio, quando oltre al branco che sostiene il bullo, a fargli forza ci sono persone che fanno finta di non vedere, quelle che si convincono che va tutto bene oltre ogni verità.