Violenza.
di Antonio Andolfi
Uno dei dibattiti più accesi degli ultimi secoli riguarda l’origine della violenza e delle uccisioni all’interno di una specie. L’uomo è naturalmente cattivo o sono le condizioni che scatenano la violenza? La nostra natura o la nostra cultura sono alla base delle guerre, delle lotte e degli omicidi?
L’analisi della nostra storia ha portato a posizioni le più varie, da quella di homo homini lupus (l’aggressione è connaturata all’uomo) a quella del “buon selvaggio” (la cultura occidentale rende tutti più violenti), non riuscendo a chiarire la questione. Un gruppo di studiosi spagnoli di varie università ha preso il toro per le corna e ha esaminato non solo la storia della violenza umana, ma quella di tutto il gruppo animale di cui facciamo parte, i Mammiferi.
L’albero della violenza
In un articolo pubblicato sulla rivista Nature , gli scienziati hanno usato i metodi della biologia evolutiva per ricostruire uno schema filogenetico della violenza letale nei mammiferi. Hanno così elaborato la causa di 4 milioni di uccisioni avvenute nella storia dei mammiferi, basandosi su comportamenti e analisi storiche che riguardano 1.024 specie, la nostra compresa, appartenenti a 137 famiglie. Secondo gli autori, nei primissimi mammiferi solo una morte su circa 300 (0,30%) era causata da membri della stessa specie. Con l’andare del tempo, la differenziazione e la vera esplosione evolutiva tra vari ordini ha portato a stili di vita del tutto differenti, e quindi anche diversi comportamenti per quanto riguarda il rapporto con gli altri.
Primati di uccisioni
Man mano che passava il tempo e ci si avvicinava ai nostri antenati, seppure lontani, la violenza letale aumentava. E raggiungeva il 2,3% circa negli antenati di primati e tupaie (insettivori del sud-est asiatico, simili a grossi toporagni ma lontani parenti dei primati) e all’1,8% nei veri primati. All’origine della nostra specie questa percentuale era di circa il 2%. Altri animali, come pipistrelli e balene, sembrano molto più pacifici, e hanno una percentuale di uccisioni molto più bassa.
Scritto nei geni? Non solo.
Gli autori concludono quindi che la violenza non è caratteristica di una specie o di un’altra, ma ha basi genetiche (anzi, filogenetiche) che devono essere prese in considerazione, anche quando ci sono stati profondi cambiamenti nello “stile di vita” delle specie. In generale, per esempio, i carnivori sono più violenti degli erbivori. Ma soprattutto contano gli stili di vita. Le cause di questo aumento di percentuale di morti per violenze interne alla specie sono state, infatti, la nascita in mammiferi più vicini a noi di comportamenti complessi, come la territorialità e la vita di gruppo. Vivere assieme e dover difendere le risorse, alimentari o meno, oppure cercare di invadere territori altrui, come fanno oggi gli scimpanzé, ha portato a un aumento del numero di scontri tra animali simili, e quindi a morti causate da questi scontri. Le cose si sono complicate quando nella nostra specie è subentrata la cultura, che ha fatto diventare più complessi ed estremamente diversificati i rapporti tra gli uomini. Per chiarire il quadro, il gruppo di ricerca ha cercato di capire come fossero andate le cose anche nel Paleolitico (da 2,5 milioni a 10.000 anni fa), nel Mesolitico (dal 10000 all’8000 a.C.) e in altri periodi anche recenti. Il risultato è che la percentuale di violenza varia moltissimo nel tempo, e può arrivare al 15-30% tra i 3.000 e i 500 anni fa. Per diminuire poi quando il compito di usare la violenza, se necessaria, è stato assunto dagli Stati e dalla polizia. Anche se l’idea è interessante, ci sono molte obiezioni a questo studio. Una prima è del tutto intuitiva: non è facile stabilire quale fosse la percentuale di morti ammazzati qualche migliaio di anni fa, e in specie lontane da noi nel tempo e nello spazio. Una seconda obiezione riguarda la pesante influenza nella specie umana della cultura, che può variare di molto la percentuale di omicidi da una società a un’altra, anche se vicine, e da un’epoca alla successiva. Nonostante i dubbi, però, uno studio che faccia notare come la violenza all’interno della linea filetica cui appartiene una specie sia un fattore da tenere in considerazione quando si studiano le società animali, e umane, è estremamente interessante e innovativo.