Nellie
Di Erica Caimi
Nellie Bly di fegato ne aveva da vendere. La sua vita avventurosa, le sue idee rivoluzionarie trasmesse con parole sincere e taglienti testimoniano la personalità di questa ragazza che ha cambiato la storia del giornalismo.
La gioventù di Nellie Bly
Elizabeth Jane Cochran, in arte Nellie Bly, nasce il 5 maggio 1864 a Cochran’s Mills, in Pennsylvania. Come si deduce dal cognome, la cittadina natale è stata fondata proprio dal padre Michael Cochran, un facoltoso giudice e proprietario terriero di origine irlandese. Elizabeth è la terza di cinque figli avuti dalla seconda moglie Mary Jane Cochran, un unione nata dopo che entrambi erano rimasti vedovi. Mary Jane non aveva avuto figli dal primo marito, mentre Micheal ne aveva già dieci.
Quando il padre muore improvvisamente senza lasciare testamento, cominciano i guai finanziari per la famiglia della piccola Elizabeth, che allora aveva soltanto sei anni. Ma la vita va avanti, nonostante la perdita. Dopo la scuola decide di iscriversi all’Indiana Normal School, un piccolo college della Pennsylvania, dove studia per diventare insegnante. Il suo percorso universitario, però, non dura a lungo, poiché le ristrettezze economiche la costringono ad abbandonare i sogni per venire a patti con la dura realtà e guadagnarsi da vivere. Lascia il college e si trasferisce con la madre vicino a Pittsburgh dove insieme avviano e gestiscono una piccola pensione.
Nellie Bly e i primi passi nel giornalismo
La sua carriera giornalistica comincia per uno strano caso del destino. Elizabeth legge un articolo apparso sul Pittsburgh Dispatch scritto dal giornalista Erasmus Wilson, noto ai lettori del quotidiano come “Quiet Observer”. Nel suo pezzo, quel tranquillo osservatore sostiene che per natura l’intelletto femminile è limitato al mero svolgimento dei lavori domestici e alla cura dei figli, definendo le donne lavoratrici “a monstrosity”, una mostruosità. La ragazza, colpita nell’orgoglio da quelle parole ingiuste, scrive un’accesa lettera alla redazione nella quale non soltanto esprime il suo rammarico per l’articolo, ma dimostra anche una grande capacità dialettica nel confutare quella tesi sessista. Quell’azzardo, così ben confezionato, attira l’attenzione dell’editore George Madden che vuole incontrarla di persona. Sarà pur stata una donna, ma con le parole ci sapeva fare. Incuriosito dalla sua personalità, le offre un posto da reporter ad un salario di 5$ la settimana ed è lui a darle il soprannome di Pink, dal colore del suo vestitino e ad affibbiarle lo pseudonimo di Nellie Bly, dalla canzone di Stephen Foster. Così comincia il viaggio di Elizabeth nel mondo del giornalismo distinguendosi fin da subito per la forte sensibilità nell’affrontare temi scomodi e facendosi strada con lo pseudonimo Nellie Bly. Poco dopo il giornale decide di relegarla contro la sua volontà alle pagine femminili a causa dell’acume di quelle inchieste fastidiose, motivo che la spinge a cercare altrove nuove opportunità, chiedendo a Joseph Pulitzer di essere assunta al New York World.
Il suo incarico d’esordio è il caso del Women’s Lunatic Asylum di Blackwell’s Island. E’ settembre 1887 quando la ventitreenne Nellie compare davanti a un giudice di primo grado dello Stato di New York. La giovane, dall’aspetto sgangherato e confuso, ha lo sguardo perso nel vuoto e si atteggia in modo parecchio strano. Il giudice, vedendola s’impietosisce a tal punto che prima di farla internare al Women’s Lunatic Asylum, il manicomio femminile della città, fa diffondere il caso della trovatella sulla stampa, nella speranza che qualcuno la riconosca. Ma nessuno si fa vivo, quindi la fanciulla, come da prassi, viene accompagnata nella struttura d’igiene mentale. Tutti ignorano che dietro a quell’aspetto fintamente innocente e stralunato, si cela una giornalista d’inchiesta perfettamente sana di mente che aveva minuziosamente organizzato quella messa in scena per indagare sulle condizioni delle malate. La sua indagine, durata dieci giorni, conferma la cattiva fama del sanatorio, più simile a un luogo di reclusione che di cura, definendolo «una trappola umana per topi. È facile entrare ma, una volta lì, è impossibile uscire». Cibo scadente, bagni freddi, scarsa igiene, terapie che medici e infermieri propinano alle ricoverate senza reale esigenza, maltrattamenti fisici e pressioni psicologiche sono all’ordine del giorno. Inoltre, insieme alle pazienti che soffrono effettivamente di patologie psichiatriche, sono internate anche emigrate povere e donne ripudiate dai familiari, sane di mente ma sgradite alla società. Nellie Bly prende nota di tutto: nomi, volti, storie ed episodi di maltrattamenti. Dopo che gli avvocati del New York World la tirano fuori da quell’inferno, esce il suo primo articolo intitolato Ten Days in a Madhouse (Dieci giorni in un manicomio), poi ampliato e riadattato in versione di libro da Ian L. Munro. Racconta della signora Louis Schanz, una tedesca che non sapeva l’inglese e che per questo veniva considerata ritardata, della tragica morte di Josephine Despreau, soffocata dagli infermieri per essersi dichiarata sana di mente, di Sarah Fishbaum, internata dal marito perché a parer suo l’aveva tradito. Gli articoli precisi ed affilati indignano a tal punto l’opinione pubblica da spingere lo Stato a prendere dei provvedimenti. Nellie passa tutto il materiale raccolto all’assistente procuratore distrettuale di New York Vernon M. Davis e vengono avviate delle indagini. La sensibilizzazione dell’argomento spinge le autorità a riformare la sanità pubblica: vengono stanziati oltre un milione di dollari per l’assistenza ai malati di mente, viene istituito un organo di sorveglianza sull’attività di medici e infermieri e vengono introdotti dei regolamenti per evitare il sovraffollamento nelle strutture di correzione.
Le ultime avventure di Nellie Bly
Seguono altri lavori, quasi sempre all’insegna del giornalismo d’inchiesta sotto copertura. Si spaccia per ragazza madre con un figlio indesiderato per smascherare il traffico dei neonati, si fa arrestare per documentare la condizione delle detenute nelle prigioni, s’infila tra le operaie di una fabbrica di scatole di cartone per denunciare le condizioni di schiavitù alle quali devono sottostare. Molto si prodiga per i diritti civili e per l’emancipazione delle donne, intervistando figure di spicco come Emma Goldman e Susan B. Anthony.
Un’altra delle sue storiche imprese è quella di sfidare Phileas Fogg, il personaggio del libro di Jules Verne ne Il giro del mondo in 80 giorni. Così, il 14 novembre 1889 Nellie Bly s’imbarca dal porto di Hoboken per circumnavigare il mondo e tentare di battere il record: non soltanto sarebbe stato un viaggio epico, ma se ci fosse riuscita sarebbe passata alla storia come la prima donna a fare il giro del mondo in solitaria. Visita Italia, Regno Unito, Cina, Giappone, Hong Kong e così via per un totale di 40.000 chilometri. Si sposta con moltissimi mezzi di trasporto tra cui barca, cavallo, risciò, asino, sampan e altri ancora, suscitando la curiosità di chi la incontra, in effetti doveva sembrare strano per l’epoca vedere una donna viaggiare da sola. Alla fine riesce a completare il giro in 72 giorni, 6 ore, 11 minuti e 14 secondi, stabilendo il record mondiale. Da questa esperienza nasce l’avvincente libro “Around the world in seventy-two days”, il giro del mondo in 72 giorni.
Dopo aver intrapreso questa epocale avventura sposa il milionario Robert Seaman e si ritira dal giornalismo convinta di aver già dato abbastanza. Alla prematura morte del consorte, decide di prendere in mano le redini della sua azienda. Impara il funzionamento delle macchine della fabbrica, studia nuovi processi di fabbricazione e si prodiga per migliorare le condizioni dei propri dipendenti, creando biblioteche comuni e garantendo a tutti l’assistenza sanitaria. E’ stata una manager molto apprezzata e quando l’impresa va in rovina, si rimbocca le maniche per rientrare nel mondo del giornalismo e potersi mantenere.
Solo una terribile polmonite riesce a stroncarla all’età di cinquantasette anni. Lascia questo mondo molto presto, ma cosciente di aver vissuto intensamente. “I always have a comfortable feeling that nothing is impossible if one applies a certain amount of energy in the right direction” (“ho sempre avuto una confortante sensazione che niente è impossibile se si convoglia una notevole quantità di energia nella giusta direzione”).