Claudio
Di Christian Coduto
Oggi siamo in compagnia del regista Claudio Rossi Massimi. Nato a Roma nel 1950, ha realizzato la sua prima opera cinematografica, “La Sindrome di Antonio” dopo numerosi progetti in ambito televisivo e radiofonico. Ci incontriamo per discutere della proiezione del suo film nell’ambito della rassegna di cinema indipendente italiano “Independent Duel” (di cui sono Direttore Artistico) che avverrà in data 22 marzo, al Multicinema Duel. Gentile e disponibile, il regista descrive con entusiasmo il suo progetto …
Claudio Rossi Massimi ci parla di sé.
D: La prima domanda è di rito: chi è Claudio Rossi Massimi?
R: Sono un autore e un regista … lavoro da tanti anni nel settore cinematografico, radiofonico e televisivo. Ah! Sono anche uno scrittore! (sorride)
D: Quando è nata la passione per il cinema?
R: La passione per il cinema è, in primis, la passione per la cultura. Per questo motivo è nata con me. Sono stato sempre attratto dalle varie forme di comunicazione, dall’arte … non potrei dirti una data precisa.
D: Hai molta esperienza anche in campo televisivo … quali sono, sostanzialmente, le differenze che hai riscontrato nel campo cinematografico e quello della tv?
R: Le differenze sono tante. Difficili da riassumere in una singola risposta. La televisione deve rispettare degli obblighi di palinsesto. Anche al cinema devi rispettare la lunghezza, per esempio, o i limiti del budget, ma credo che sia una forma di espressione più libera. Non che la televisione non lo sia, per carità, ma segue un format più definito.
D: Perché “La Sindrome di Antonio?” Cosa ti ha portato a raccontare questa storia?
R: “La Sindrome di Antonio” è una storia generazionale, ambientata nel periodo della mia gioventù. Io, come dicevo prima, ho sempre avuto una grande passione per la scrittura. Volevo parlare di una generazione che ha fatto tantissimo da un punto di vista delle conquiste sociali (si pensi alla condizione della donna prima del ’68) ma che, da un punto di vista politico, è fallita perché non ha fatto grandi passi in avanti.
D: Nel tuo film ci sono tre camei eccezionali: Antonio Catania, Remo Girone e Giorgio Albertazzi. Come sei riuscito a coinvolgerli in questo progetto?
R: Il cameo vero è proprio è solo quello di Albertazzi, in realtà. Antonio ha un ruolo ben più definito e Remo è la voce narrante della storia (oltre a comparire in due scene). Guarda … ho semplicemente fatto leggere loro la sceneggiatura! Sembra impossibile, ma è proprio così! Bisogna provarci, lo dico sempre! Gli attori, più sono grandi, più non vivono di routine. Ciascuno di loro ha amato lo script e ha deciso di prendere parte al film.
L’impressione che ricevo è quella di un uomo sereno, pacato. Si pone educatamente, ha un atteggiamento di apertura. Ha un brutto raffreddore, ma affronta l’intervista in maniera vivace, ride spesso. Parla con cognizione di causa: le sue risposte sono brevi, ma complete.
D: Antonio intraprende un viaggio che è, in primo luogo, una ricerca di sé …
R: Assolutamente. Hai centrato in pieno il concetto. E’ un viaggio interiore che ciascun uomo o donna, deve intraprendere alla soglia della maturità per capire chi vuole essere da grande, piuttosto che cosa voglia fare …
D: I due giovani protagonisti, Biagio Iacovelli e Queralt Badalamenti sono davvero bravissimi. Cosa ti ha spinto a scegliere loro?
R: Devi sapere che non ho fatto i soliti casting, non mi sono fatto dare i classici libri con le fotografie e i curriculum. Sono andato ai saggi di varie scuole di cinema e teatro con la mia produttrice, Lucia Macale. Ho incontrato un certo numero di giovani attori e, tra loro, ho scovato Biagio. Queralt è un volto molto noto nell’ambito pubblicitario, le ho fatto fare una serie di letture della sceneggiatura: mi ha colpito la sua positività.
D: “La Sindrome di Antonio” è un progetto indipendente … quali sono i punti di forza e quelli deboli della produzione indie, a tuo parere?
R: Il punto di forza maggiore è la possibilità di raccontare ciò che desideri, in maniera completamente libera. Punti deboli: la mancanza di finanziamenti e la maggiore difficoltà di emergere. Noi abbiamo trovato una distribuzione, quindi mi ritengo assolutamente fortunato, ma questo non accade sempre, purtroppo.
D: Il film l’hai ideato, diretto e sceneggiato tu; in aggiunta a ciò, il punto di partenza è un tuo romanzo. E’ un tuo figlio a tutti gli effetti … rivedendolo, che impressioni hai avuto? C’è qualcosa che, ora come ora, cambieresti del risultato finale?
R: Direi che sono sostanzialmente soddisfatto del risultato finale. E’ chiaro, non tutto è perfetto, soprattutto considerando che ci troviamo di fronte ad un progetto indie come dicevamo prima. Però mi ritengo felice, orgoglioso.
D: Premettendo che un budget NON fa un film … quanto è costato “La Sindrome di Antonio”?
R: Questo lo dovresti chiedere alla produzione (ride). Il budget è nella media di un progetto indie però, considerando che è un film on the road, la cifra è sicuramente un po’ più alta.
D: Il problema maggiore per i progetti indipendenti è senza ombra di dubbio quello della distribuzione. Nonostante ciò, il tuo esordio è uscito in tutta Italia, in oltre trenta sale … un ottimo risultato!
R: Sì è vero! Il territorio è stato completamente coperto. Mi ritengo soddisfatto anche da questo punto di vista!
D: Cosa dobbiamo attenderci, ora, da Claudio Rossi Massimi?
R: Abbiamo in cantiere un progetto molto importante, un docufilm che stiamo girando. E’ relativo ad un libro di Papa Francesco. Nel tempo potrò dare indicazioni più precise!
D: Grazie mille per la tua disponibilità!
R: Grazie a voi!