Francesco Galavotti
Di M.Rosaria Corsino
Una Domenica sera d’inverno, una trasferta a Santa Maria a Vico per ascoltare quegli amici che suonano da una vita, un locale che ha in sé tutto e niente.
È qui che, tra i vari artisti che suonano, uno ha tutta la nostra attenzione: One Glass Eye, all’anagrafe Francesco Galavotti.
Non so se sia più corretto dire che Francesco suoni da solo, o che suoni con la sua chitarra, fatto sta che incanta.
Le luci soffuse del locale, i colori pastello e la sua voce trasportano il pubblico in una dimensione tra la realtà e il sogno.
L’idea di chiedergli di volersi raccontare è sorta spontanea: in un panorama musicale dove i fuochi si spengono presto, Francesco sembra destinato a durare.
Nasce così un’ “intervista” insolita, stravagante.
Nessuna penna, taccuino, caffè o mozziconi di sigarette, solo uno scambio telefonico e un vocale Whatsapp.
Il resto, ve lo faccio raccontare da lui.
La parola a Francesco
L’esordio avviene da bambino, quando verso i dieci anni mio padre mi mandava a lezione di chitarra dopo la messa.
E così il mio primo palcoscenico è l’altare della chiesa. Molto rock ‘n roll.
Continuo a suonare in cover band e comincio a sperimentare pezzi miei per poi arrivare verso i diciotto, diciannove anni con i Cabrera, band che mi tengo stretto!
C’è nel frattempo un progetto solista, ma in italiano.
È verso Febbraio/Marzo del 2016 che avviene la svolta: compongo pezzi in inglese che immediatamente registro.
In realtà l’ho presa alla leggera, quasi per scherzo. Insomma, non avevo grandi aspettative.
Ma le cose sono andate nel verso giusto, e ho fatto ben sessanta date più altre in programma
Progetti per il futuro? Sicuramente un nuovo disco, non so ancora se in italiano o in inglese, ma ci saranno inserti di elettronica per tenere il tempo.
La chitarra? Immancabile.