Cavalli
Di Christian Coduto
Giovedì 1 giugno, ore 18.30. Parco della Villa Floridiana, Vomero.
A quest’ora, il sole illumina ancora le strade.
L’estate, contrariamente a ciò che ci dice il calendario, c’è già venuta a trovare. Dopo aver fatto un po’ di giri per trovare un parcheggio, arrivo al posto scelto per l’intervista tutto trafelato e leggermente in disordine. Ritrovo Marco Cavalli seduto serenamente su una panchina, intento a fumare un sigaro.
Ha scelto un abbigliamento casual, ma con gusto: un pantalone che gli calza a pennello e una maglietta a maniche corte. Ma è la postura a fare la differenza … la prima parola che mi viene in mente è eleganza.
Appena mi intravede, sorride e si avvicina. Bella stretta di mano, vigorosa, di una persona sicura di sé. Mi chiede scusa se ha dovuto rinviare l’incontro per alcuni impegni lavorativi. Tono pacato, riflessivo, educato. Usa parole adeguate, è molto misurato, ma allo stesso tempo socievole e aperto al confronto.
L’intera intervista proseguirà allo stesso modo: in maniera totalmente rilassata e rilassante.
Mentre i bimbi giocano a pallone intorno a noi, richiamati dalle mamme affinché non facciano eccessivo rumore, iniziamo con le domande …
Marco Cavalli parla di sé a “L’interessante”
Chi è Marco Cavalli?
Allora … sono nato a Napoli il 25 aprile del 1975. Vivo con la mia compagna Ione e il nostro gatto Gabriele, detto anche Gabriellone, perché è decisamente grosso (ride). Lavoro alla CGIL e faccio l’attore, entrambe le cose per passione. Sono laureato in Scienze politiche. Ho preferito il percorso sindacale a quello politico/giornalistico che sognavo da ragazzino e posso dire di essere contento di aver fatto questo tipo di scelta. Ho svolto mille lavori: dal volantinaggio alla distribuzione degli album fuori dalle scuole, per due anni ho fatto ripetizioni ad alcuni ragazzini delle scuole medie ed elementari, per 6 anni sono stato lo stacca biglietti del San Paolo, per un anno e mezzo ho fatto il letturista dei contatori dell’acqua. Ho sempre voluto essere indipendente dalla mia famiglia, ho sempre dato il giusto peso al valore del lavoro. Nel tempo sono diventato redattore di un’agenzia di stampa; era un part-time, ma era molto impegnativo. Il mio primo contratto a tempo indeterminato. Nel frattempo, continuavo a svolgere la mia attività di volontariato presso la CGIL, che si è poi trasformato in un lavoro a tutti gli effetti.
Perché Marco Cavalli ha scelto la recitazione? Cosa rappresenta per te salire sul palco?
Il senso più profondo lo avevo già dall’infanzia. Da piccolino amavo il carnevale, i travestimenti. Ero inusuale persino nella scelta dei personaggi da interpretare: divieto assoluto al cowboy, l’indiano … erano benvenuti invece il vecchio carcerato, lo zombie trafitto e così via. Questo divertimento che provavo da bambino, credendo in maniera totalitaria nei personaggi che interpretavo nelle varie feste, me lo ritrovo pari pari nel gioco dell’attore.
Uscire da me stesso, indossare i panni di un altro e portarlo alle estreme conseguenze mi ha sempre divertito in una maniera pazzesca. Ecco perché ho scelto la recitazione.
Marco Cavalli lavora molto a teatro, spesso diretto da Nicola Guarino. Fare gavetta in sala cosa ti ha insegnato? Essere diretti da un regista che è anche attore facilita il processo di costruzione del personaggio che devi interpretare?
Nicola è un mio caro amico. Mi trascinò un po’ per caso in questo mondo magico. Venne a conoscenza della mia passione e mi spinse a provarci. Insieme abbiamo fatto diversi laboratori teatrali e tanti spettacoli, alcuni persino provocatori e naif. Con lui, ma anche con registi quali Ciro Pellegrino e Franco Zaccaro, ci siamo lanciati nel teatro off, decisamente d’avanguardia, anche se quest’ultimo termine è un po’ spocchioso e non mi piace utilizzarlo. Ritornando alla tua domanda: un regista che è anche attore talvolta può trovarsi in difficoltà nel momento in cui deve mettere in scena alcune cose, però quando si confronta con gli altri attori coinvolti il tutto è di gran lunga più costruttivo e stimolante.
Con un regista “puro”, invece, hai libertà di azione, puoi spaziare nella creazione del tuo personaggio.
Il teatro è una bella palestra: è estremamente fisico, ti insegna ad affrontare nel modo migliore possibile una fatica che, a mio giudizio, nel cinema non c’è. Non me ne voglia nessuno, ma è così! Il cinema è faticoso per chi lo organizza, per gli scenografi, i tecnici, il regista, ma non per l’attore. Il grande Marcello Mastroianni, non a caso, diceva “Beh, sempre meglio che andare a lavorare” (ride di gusto).
Hai svolto, in più occasioni, il lavoro di reading. Un compito molto impegnativo. Potresti spiegare, ai profani, quali differenze ci sono tra la recitazione pura e la lettura?
Un’esperienza bellissima! Per quanto mi riguarda, facevo dei reading in presenza di musicisti: sassofono, chitarra, tromba, contrabbasso … La selezione dei testi da leggere era invece curata da una carissima amica, che è anche una scrittrice.
È necessario in primis, che il testo rimanga fedele all’originale. Ma c’è contemporaneamente la necessità da parte di chi legge di interpretare le parole e fare qualche piccolo emendamento, tagliare qualche parola poco fluida e così via … quindi la grande differenza sta nel fatto che il lettore deve rendere ascoltabile la parola scritta. Il reader legge il testo, gli dona colore, sottolinea degli stati d’animo trasmessi dalla pagina, ma non deve snaturare ciò che gli viene affidato. In più, per trasmettere emozioni, hai solo la parola. Da un punto di vista recitativo, è qualcosa di assolutamente appagante.
Aggiungo anche che determinati testi danno un’emozione veramente forte ed è molto bello quando riesci a far arrivare all’intero uditorio le emozioni che stai provando tu.
Sei il protagonista di svariati cortometraggi. Ci racconti della genesi di “Come fossi una bambola?” E’ un progetto che ha anticipato i temi di “Lars e una ragazza tutta sua” …
Un’idea bellissima di Andrea Borgia, un altro regista al quale sono legato da una forte amicizia … lui aveva questa idea relativa alla solitudine e lo straniamento. Sì, è una storia molto semplice, però è riuscito a rendere magica la vicenda di quest’uomo che passa una serata, a cena, con una bambola gonfiabile ed è felice ed emozionato come se fosse una storia d’amore. La particolarità è che, attorno al protagonista, c’è un mondo assolutamente silenzioso, asettico, minimale. Sì, per noi è stata una sorpresa quando leggemmo di “Lars …” a tal proposito: lo sai che, sempre dopo “Come fossi una bambola”, uscì anche in Giappone una storia analoga? Coincidenze fortuite? (Ride).
Con “Peristalsi” del 2013 inizia la tua collaborazione con il regista Enrico Iannaccone. A questo, seguiranno poi “La ciofeca” e “Aniconismo”. Generi molto diversi, progetti ambiziosi. E’ importante, in termini di riuscita di un progetto, l’empatia tra il regista e gli attori coinvolti?
L’empatia è fondamentale perché, nello scambio profondo che intercorre tra il regista e l’attore, dà vita a qualcosa di proficuo. Poi, ovviamente, c’è anche chi preferisce avere rapporti solo ed esclusivamente lavorativi, preservando sempre la propria professionalità. Tra me ed Enrico, invece, c’è un legame che va oltre l’ambito artistico, visto che c’è un’amicizia profonda da diversi anni. Si condividono stati d’animo, emozioni vissute che giovano alla messa in scena.
Reciti tanto a Napoli. Quanto è artistica la tua città?
Guarda … di sicuro mi sento libero di dire che Napoli è una città ricchissima di veri talenti, sia nell’ambito registico sia nel settore attoriale. Purtroppo poco coordinata e senza budget a disposizione. Spero, un giorno, di fare esperienze artistiche altrove, per poterti dare una risposta più precisa al riguardo. E’ un osservatorio troppo piccolo.
Parliamo di televisione e della tua esperienza ad “Amore criminale” …
Ho lavorato con Matilde D’Errico, che io reputo un’autrice e una regista di grandissimo talento. E’ riuscita a fondere, in una maniera estremamente efficace, il testo giudiziario con il testo televisivo. “Amore criminale” è un format che racconta episodi di cronaca molto duri. Nel caso specifico, la puntata affrontò la storia di Teresa Bonocore, una cittadina di Portici, madre di una ragazzina che era stata violentata da un vicino di casa. La donna lo aveva denunciato e fatto arrestare. L’uomo però, dal carcere, ordì la spedizione di morte contro di lei. Tutti i colpevoli sono stati arrestati.
Io ho interpretato il ruolo del commissario. In quell’occasione sono rimasto sorpreso dalla capacità di sintesi della D’Errico. Un’esperienza molto piacevole, veloce, molto ben organizzata. La rifarei molto volentieri.
Il tuo curriculum è molto vario e variegato. Tra le tue esperienze, anche qualche videoclip musicale. Tra questi, “How to cure hangover in april” è quello sicuramente più interessante …
E’ effettivamente un lavoro del quale conservo un piacevole ricordo! Tanta energia e un apparato tecnico non indifferente. La storia è quella di quest’uomo che decide di comprare Ben, un robot, affinché lo aiuti nella fase di hangover in cui si ritrova … l’uomo beve, si droga, partecipa a festini. Il problema è che Ben inizia a sostituirsi al protagonista in ogni cosa della sua vita, fino ad arrivare a prendere il suo posto con la fidanzata (ridacchia). Un’esperienza divertentissima.
Nel 2014, diretto da Enrico Iannaccone, ecco il film “La buona uscita” accanto a Gea Martire. Interpreti il ruolo di Marco Macaluso. Il tema trattato è di quelli forti …
Un regista esordiente ed io, per la prima volta, protagonista di un film. Che dire? Un’esperienza magnifica. Avevo già fatto tanto teatro, ero apparso in tv, vari videoclip e diversi corti … eppure, quando mi sono rivisto sullo schermo, dopo una conferenza stampa nazionale, mi sono chiesto quando avessi preso la strada giusta che mi stava portando a tutto ciò. Ed ho pensato alla “Nausea” di Sartre: il protagonista è in un bar e sta ascoltando questa cantante di colore che sta eseguendo un blues. Ad un certo punto dice “Sono stato nel deserto, mi sono battuto con diversi uomini, ho amato donne e tutto questo mi ha portato in questo momento, in questo bar, in questa bolla di luce, avvolto dalle note”. Questa è stata la sensazione che ho provato … non ho ancora trovato una risposta: forse è stata fortuna, perseveranza, l’allegria e il divertimento che metto nel lavoro o il fatto che non abbia scelto la recitazione come mestiere principale, chissà.
O forse, semplicemente, perché Marco Cavalli è davvero un bravo attore? È così difficile ammetterlo? Umile, per nulla propenso all’autocelebrazione. Non è un atteggiamento forzato o costruito, il suo … Marco è autenticamente sorpreso dalla stima che riceve da chi lo ha visto recitare o da coloro i quali lo hanno scelto per i vari lavori. Non riesce quasi a farsene una ragione. Questo è probabilmente il vero motivo del suo successo: non si prende troppo sul serio. Recitare è una passione? Ecco, la vive come tale. Quindi, la vive bene.
Parliamo di Marco Macaluso … nelle note al personaggio che inviammo prima delle presentazione stampa venne definito come “Un uomo che, se fosse stato saggio, sarebbe stato un epicureo”. Invece lui è uno che consuma la propria vita e quella degli altri, solo ed esclusivamente per il proprio ego. Dopo la visione, molti mi hanno chiesto se Marco, così spregevole, fosse tipico di un particolare ambiente napoletano. Io dico, semplicemente, che è un personaggio trasversale … è il classico uomo dei nostri tempi, con i soldi, perché proviene da una famiglia molto ricca. Quello che tutti vorremmo essere: il forte che schiaccia gli altri, che ha il potere datogli dal denaro.
Se non lo guardiamo da un punto di vista morale, quest’uomo tocca il tema che Enrico voleva trattare nel film: i limiti della libertà.
Ci parli de “Il labirinto dell’anima” di Claudio Gargano, che uscirà prossimamente nelle sale?
E’ un lavoro dalla genesi inusuale: inizialmente doveva essere un medio metraggio poi, nel tempo, ha assunto la forma di un lungometraggio vero e proprio sulla Napoli esoterica. E’ tratto dagli scritti di Laura Miriello, una storica che è esperta anche in esoterismo. Il film rappresenta una Napoli molto noir. Il protagonista si imbatte in una serie di segni per lui sconosciuti, inediti che gli permetteranno di affrontare un viaggio che lo metterà a confronto con la città in cui vive, che è ricca di elementi occulti. E’ molto interessante da vedere, è una chiave di lettura di Napoli davvero poco sfruttata in ambito cinematografico.
Lo ammetto: non è che fossi a conoscenza della materia. Il che, in effetti, è stato un bene perché mi ha fatto affrontare questo progetto come se fossi un foglio bianco sul quale Claudio e Laura hanno lavorato.
A proposito di cinema: qual è il film della vita di Marco Cavalli e perché?
“Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri, con Gian Maria Volontè del 1970. Il film più bello che abbia mai visto. L’ho pensato dopo la prima volta che lo vidi e continuo tuttora a pensare che lo sia. Volontè, a mio giudizio, è la maschera dell’attore, quello che vorrei essere. Il film fa il paio con “Arancia meccanica” di Kubrick: entrambe le pellicole affrontano il tema del potere dello Stato in una maniera sublime.
Tra le altre cose, io amo il cinema italiano, credo di avere una bella cultura al riguardo. “indagine …” è l’apice da questo punto di vista. In aggiunta, costituisce una sorta di summa filosofica, grazie ad una sceneggiatura pazzesca.
Fonti sicure mi dicono che il sig. Cavalli è un bravissimo ballerino di tango. Cosa ti affascina di più di questo tipo di danza?
(Sorride) … Chissà chi te lo ha detto, eh? (Io e Marco abbiamo un’amica in comune, che balla insieme a lui N.d.R.) Per me è una droga. Ho trovato, nel tango, quello che non ho più dal palcoscenico ovverosia: quel rapporto fisico con la presenza scenica, quel rapporto immediato tra il corpo, l’azione, la passione che ti muove dall’interno e, il tutto, indipendentemente dal fatto che ci sia del pubblico o meno! E’ un moto molto intimo tra due persone. Sono 7 anni che ballo. Ora come ora, sarebbe una delle cose più difficili a cui potrei rinunciare.
Da piccolo, mi ricordo di uno sceneggiato televisivo con Gastone Moschin, la cui sigla era “Libertango” di Astor Piazzolla. Avevo 5 anni … quel ritmo, quella melodia così struggente, mi catturarono.
Con la maturità, ho deciso di lanciarmi in questa forma di danza.
Ah, a tal proposito: amo anche la fotografia! Purtroppo sto dedicando poco tempo a questa passione negli ultimi tempi. Ho vinto anche un premio della critica al Napoli Film Festival!
L’amore per il tango spiega la postura. Questo elemento aggiuntivo, questa passione così raffinata rende Marco Cavalli un uomo d’altri tempi. Eppure, sempre al passo con i tempi. Un dualismo divertente.
Cosa dobbiamo attenderci da Marco Cavalli per questo 2017?
Speriamo tantissime cose! Come dico sempre “Io sto qui. Quando qualcuno mi propone qualcosa, io la valuto” (ride di gusto). Con Enrico Iannaccone abbiamo appena girato un altro videoclip, molto gustoso. Attendo l’uscita del film di Gargano e c’è una web serie con Nicola Guarino, che ho ritrovato dopo un bel po’ di tempo. Stiamo per ultimarla, la durata di ogni episodio è di 6 minuti circa.
Concludiamo l’intervista con una marzullata : fatti una domanda e datti una risposta
In tutta risposta, Marco Cavalli inizia a recitare: “Mi sono svegliato stamattina con una grande voglia di restare a letto tutto il giorno, a leggere. Ho cercato di combatterla per un minuto, poi ho guardato fuori dalla finestra la pioggia e mi sono arreso, mi sono affidato totalmente alla custodia di questa mattinata piovosa. Rivivrei la mia vita un’altra volta? Rifarei gli stessi imperdonabili errori?” “Sì, se potessi, sì. Li rifarei.” E’ un passo di Raymond Carver, contenuto nei “Racconti in forma di poesia”. Lo lessi tempo fa per un reading e credo sia adattissimo anche in questa occasione.
So che non potete ascoltare la sua voce, ma fidatevi di me: il risultato è da brividi!