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Eventi

Trasselli
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Giorgia Trasselli: garbo e professionalità

scritto da L'Interessante

Trasselli

Di Christian Coduto

Il sorriso è quello di sempre. Quello che vediamo da anni in televisione, al cinema o per chi (come me) ha avuto la fortuna di incontrarla, in tanti spettacoli teatrali: sincero, caloroso, accogliente. Ma, soprattutto, spontaneo.

Lavorare con artisti importanti, l’aver fatto una gavetta lunga ed impegnativa non le ha tolto l’umanità, è rimasta una donna concreta. Assume con me un atteggiamento quasi protettivo, da sorella maggiore. Se le faccio qualche complimento per le sue mille performance, si intimidisce e mi ringrazia ripetutamente. Parlerei con lei all’infinito: percepisci intorno a lei un’aura buona, di estrema positività.

Giorgia Trasselli ci racconta di sé

Quando nasce l’amore per la recitazione per Giorgia Trasselli?

Stando  ai ricordi dei  miei  genitori e dei miei parenti, l’amore  per la “recitazione”  pare sia nato  con me, ma è impossibile darti una data precisa: di sicuro  sin  da quando ero piccola, ai tempi delle elementari. Con l’adolescenza, l’amore  si è  trasformato in bisogno, una vera e propria necessità.

Al cinema sei stata diretta da registi del calibro di Paolo Genovese, Duccio Tessari, Luigi Magni e Marco Ferreri. Che differenze ci sono nella recitazione teatrale e in quella di fronte ad una macchina da presa?

Di sicuro cambiano i mezzi … la macchina da presa impone un lavoro profondo, capillare, forse più “piccolo” per usare un termine di  comodo. In teatro c’è la stessa profondità, la stessa ricerca, ma è indispensabile ampliare, non faccio riferimento solo alla  voce, sia chiaro. Tutto deve essere visto, fino all’ultima  fila. In più, la vita che si racconta si ripete, si  rinnova  sera  per  sera. La vita del personaggio, della musica, della scena, delle luci e così via …  

Cristina Comencini ti dirige ne “I divertimenti della vita privata”. In Italia, purtroppo, abbiamo pochissime registe. Qual è l’approccio di una donna che supervisiona un lungometraggio? Ti piacerebbe dirigere un film?

Beh … sappiamo  che  per  una  donna  è sempre tutto un po’ più complesso, ma non vorrei cadere  nei classici luoghi comuni. Credo che le opportunità ci siano sempre per le persone in gamba, tenaci e valide professionalmente. Per quanto riguarda  me, direi proprio di no. Non mi piacerebbe dirigere un  film, non ci ho  mai  pensato, anche perché non ne sarei  capace.  

Primo elemento che salta subito all’occhio: la modestia. Punta a far bene quello che ama fare, non si lancia in cose che non le appartengono. Non vuole strafare.

Rimarrai per sempre nel cuore degli spettatori italiani grazie al personaggio della “Tata” in “Casa Vianello”. Che ricordi hai di quella esperienza?

Ho dei ricordi meravigliosi legati al periodo di “Casa Vianello”. A distanza di anni, godo ancora dell’eredità in termini di notorietà e affetto da parte del pubblico che quella serie mi  ha regalato. 

Negli anni ’90 sei stata una delle più amate dai bambini grazie al gioco televisivo “Che fine ha fatto Carmen Sandiego?”. Com’è il pubblico dei più piccoli?

Uh! “Carmen San Diego” è stato un’altra  bellissima esperienza! Più difficile ed impegnativa di  quanto si possa immaginare. Ogni giorno dovevo  imparare a memoria un bel numero di copioni, ma si lavorava sodo e con immensa soddisfazione.

Tanto, tanto teatro a partire dagli anni ’70. Qual è lo spettacolo al quale sei maggiormente legata?

Sono affezionatissima agli  spettacoli  brechtiani  del  mio  primo  periodo  al Politecnico Teatro. Ne ricordo con piacere diversi allo Stabile  di  Roma  e uno  che  feci al Teatro Manzoni di Roma  “Morte  in esilio  per  debiti,  di  don  Antonio  Lucio  Vivaldi  Veneziano” diretto da Luigi  Tani. Sono molto legata anche a  “La vita  è gioco”  di Alberto  Moravia con  la regia  di  Luciano  Melchionna.

Nella lunghissima carriera di Giorgia Trasselli, c’è anche spazio per alcuni famosi spot televisivi …

Sì! La  birra Dreher con  la  regia  di  Leone  Pompucci, la  maionese  Calvè  con la regia di Massimo D’Alatri  e  di recente  uno  spot  accanto  a Gigi  Proietti (ero elettrizzata!) Senza dimenticarmi dei riuscitissimi  spot delle  gocciole Pavesi, in cui interpreto il ruolo  della suocera  di  Tarzan! …. sai ho capito, nel  tempo, quanto  sia difficile e importante allo stesso  tempo, lavorare  in buone  pubblicità; sono esperienze che ti arricchiscono artisticamente.

La osservo con molta attenzione, non posso farne a meno: è davvero bella. Ha dei lineamenti molto delicati, espressivi, degli occhi profondi. Eppure, ha costruito la sua intera carriera solo ed esclusivamente grazie alla sua personalità artistica. Prendendosi spesso in giro, con gustosa autoironia. Non ha mai avuto bisogno di finti scandali o gossip patetici: quando c’è sostanza, alla base, il pubblico ti ama e lo fa in maniera incondizionata.

Parliamo di un altro incontro di grande successo: quello con Luciano Melchionna e il suo “Dignità autonome di prostituzione”.

(Si illumina) … Dignità autonome è davvero un grande  amore: un format di per sé scoppiettante, sempre sorprendente nonostante sia in cartellone da tantissimi anni, complesso, faticoso … è un circo teatrante che richiede una precisione millimetrica, considerando la sua struttura. Mi sento legata al mio monologo, che  ripeto mille volte ad un  pubblico sempre  diverso e che, molto  spesso, già conosco perché torna a rivedermi più volte. Provo amore per PAPI Luciano Melchionna, grande direttore d’orchestra e maestro  d ‘anima. 

Melchionna ti dirige anche in “Parenti serpenti”, tratto dall’omonimo film di Mario Monicelli. A te è affidato il ruolo di Nonna Trieste. Uno spettacolo complesso, molto articolato. Due ore e mezza sul palco non sono affatto uno scherzo, vero?

“Parenti  serpenti” è uno spettacolo davvero molto bello; è stato prodotto da Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro lo scorso anno. Sono molto affezionata al mio ruolo, quello di Trieste, ma in realtà in questa storia tutti i personaggi sono interessanti. Sono stati curati tutti da Luciano con eguale amore e attenzione. E’ uno spettacolo forte, coinvolgente, che ha  avuto e che, ne sono certa, avrà una grande eco nel tempo.

La televisione ti corteggia tra “Ris”, “Un medico in famiglia”, “Distretto di polizia” e “Don Matteo”. E’ difficile per un attore, all’inizio, adattarsi a tempi e dinamiche così differenti rispetto a quelle teatrali?

E’ vero: il passaggio dal teatro alla televisione, a volte, un po’ difficile lo è. Tempi e ritmi differenti, diversa impostazione per creare le scene, i dialoghi, i personaggi, ma se dietro a tutto questo ci sono un buon autore e un buon regista, adattarsi diventa una cosa naturale.  

Teatro, cinema, televisione. Qual è l’ambito più naturale per Giorgia Trasselli?

Così, di impatto, mi verrebbe da dire il teatro. Però non posso  nascondere di trovarmi benissimo anche in televisione. Certo, dipende  anche dal tipo di televisione … il  cinema mi  piace moltissimo … sono molto indecisa, sono sincera!  

La tv è piena di Reality che vedono personaggi famosi coinvolti in situazioni strampalate e folli. Accetteresti di partecipare come concorrente ad un Reality? In caso affermativo, quale?

Onestamente? Non ho mai visto un Reality, giusto qualche  spezzone qui e lì facendo zapping. Non credo che sarei la tipa giusta  per partecipare ad uno spettacolo del genere: mi  butterebbero fuori già nel corso della prima puntata (scoppia a ridere).  

Capisco subito quello che vuole dire: lei è un’attrice. E’ quello che vuole fare ed è quello che effettivamente fa. In un Reality anche io la vedrei fuori luogo. Come potrebbe trovarsi a suo agio una donna che vive di arte in un habitat posticcio e programmato?

Io mi occupo di cinema. Qual è il film della vita di Giorgia Trasselli e perché?

Christian sai che questa è davvero una bella domanda? (E’ un po’ incerta) Non  riesco  a …  non credo che ci sia  film che … (ci ripensa) forse “Via col vento”, ma non tanto per il film in sé, quanto piuttosto per Rossella O’Hara. Ho sempre ammirato l’attrice Vivien Leigh, sin da piccola. Quel personaggio  poi … mi  sarebbe piaciuto molto somigliare a Rossella … un po’ di più, intendo (ride)

Cosa dobbiamo attenderci da Giorgia Trasselli per questo 2017?

Per l’intero mese di luglio  parteciperò a questa nuova avventura di acting itinerary, che mi vedrà in giro per  alcune  strade del centro di Roma in  costume  cinquecentesco. A novembre sarò a Firenze con lo spettacolo “Un per cento, punizione ad effetto”. A dicembre sarò al Teatro La Cometa di Roma  con ” La spallata” di Gianni Clementi, per la regia di Vanessa Gasbarri; subito  dopo riprenderemo “Parenti serpenti” all’Alfieri di Torino, all’Augusteo di  Napoli, all’Eliseo di Roma e in tante altre piazze … una lunga tournèe, insomma!  

Termino con una domanda alla Gigi Marzullo : fatti una domanda e datti una risposta

Oh Santo cielo! “Sarò ancora in grado di suscitare interesse e stima nel pubblico?” Risposta “Spero proprio di sì!”. 

Giorgia Trasselli: garbo e professionalità was last modified: luglio 18th, 2017 by L'Interessante
18 luglio 2017 0 commenti
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Fuoco
CulturaEventiIn primo pianoMusicaTeatro

Alessandro Tebano: Fuoco Fatuo e la mia esperienza personale

scritto da L'Interessante

Fuoco

Di Christian Coduto

Oggi parliamo con Alessandro Tebano: attore, mimo, ballerino, performer … ha intrapreso un percorso di pura arte che sfocia nel sociale. Ci incontriamo al centro di Caserta, di domenica mattina. E’ già in piedi da diverse ore, mi rivela, perché fermo non ci sa proprio stare. Sta trovando nuove chiavi di lettura e di rappresentazione per il suo nuovo progetto teatrale. “E’ un work in progress continuo”. Noto immediatamente la sua serietà, la sua professionalità. Eppure, nel corso dell’intervista, si lascerà spesso andare a gradevoli momenti di piacevole ironia, alternando attimi di malinconia.

Il Fuoco Fatuo di Alessandro Tebano

Alessandro, parliamo un po’ di “Fuoco Fatuo” …

“Fuoco fatuo” è uno spettacolo che, come si evince dal titolo, ha come protagonista indiscusso uno dei quattro elementi, il fuoco appunto. Il fuoco ha una natura indomita, utile e traditrice, può sì distruggere, ma anche purificare. Nel caso specifico, il fuoco è il fil rouge che collega due atti unici. Il sottotitolo dello spettacolo è “La terra della Janara e di Pulcinella”, due personaggi caratteristici. Abbiamo ipotizzato un processo della Santa Inquisizione che avviene a Benevento. La Janara, una figura che cercheremo di redimere, era una donna che, grazie alle sue conoscenze, cercava di aiutare le persone del suo paese. Venne, però, condannata, perché le sue conoscenze non erano quelle convenzionali, in quanto ritenute pagane perché serve di Diana dalla cui distorsione dialettale RIANA deriva Janara. Da un rogo del passato, quindi, passeremo a raccontare un rogo del presente, rievocando la figura di Pulcinella, che affronterà un discorso all’interno della terra dei fuochi. Viene svelata la vera natura di una maschera dietro cui si nasconde la verità di anime traghettate nell’aldilà. Quante volte nel tradizionale teatro dei burattini c’è Pulcinella che scende a compromessi con il diavolo? Non tutto è così esplicito all’interno dello spettacolo, ovviamente, ma attraverso l’evocazione simbolica, la parte canora (con musiche della tradizione popolare) e la teatro/danza cercheremo di dare quella liricità e quella poesia necessarie per rendere più fruibile l’argomento agli spettatori. I due atti sono unici, ma si incastrano perfettamente tra di loro.

 

Nello spettacolo si fa riferimento alla Terra dei fuochi. Da cittadino del territorio campano, come vivi questa realtà?

La vivo con immenso dolore: questo spettacolo attinge alla mia esperienza personale. Tutto ciò che è legato alla Terra dei fuochi, che non è soltanto denuncia di un tangibile inquinamento, ma anche di insorgenze di malattie, io l’ho vissuto sulla mia pelle, con la morte di mia madre, alla quale è dedicato il nome della compagnia, “La Margherita”. Il male l’ha consumata. Un male che, per l’iter medicale, è stato trattato alla stregua di ogni neoplasia. In realtà, ogni singolo paziente dovrebbe essere trattato seguendo un preciso protocollo. Purtroppo, quelli che non hanno a disposizione milioni di euro da investire, sono costretti a seguire un percorso unico, uguale per tutti. L’ho vista ardere davanti ai miei occhi. Utilizzo questo termine perché il dolore era un vero e proprio bruciore.

Questo spettacolo è organizzato dalla compagnia de “La Margherita” a cui accennavi prima, in collaborazione con l’associazione “Gianluca Sgueglia Onlus” …

Sì. Due associazioni che collaborano perché la Presidentessa è la stessa, Maria Luisa Ventriglia. Dopo la morte di mia madre, ha avuto inizio questa collaborazione ed ora, dopo 4 anni, abbiamo ottenuto un primo risultato di cui andare fieri. Abbiamo proseguito con la giusta calma, abbiamo rispettato i tempi per maturare il progetto. “La Margherita” prosegue un percorso principalmente artistico: sono due facce di una stessa medaglia. Questa sinergia di risorse ha fatto sì che lo spettacolo diventi un evento d’arte, come da mission associativa della “Margherita Education Art”, portando in scena quattro abiti dedicati ai quattro elementi elaborati dal “Liceo artistico di Cascano” e accogliendo il pubblico nella dimensione che vogliamo manifestare, con una mostra di pittura di vari artisti.

Il fuoco distrugge, purifica. Però, da ciò che viene distrutto, c’è una ricostruzione. E’ un augurio che vuoi dare alla nostra terra?

Certo! Il nostro spettacolo vuole scuotere le coscienze, in maniera poetica. Siamo consapevoli di ciò che accade intorno a noi, ma noi possiamo fare la differenza. Ammetto, però, che questa voglia di alzare la testa, rimboccarsi le maniche e risolvere le cose non la vedo ancora nelle persone. Io uso l’arte, ma ognuno dovrebbe usare ciò che ha nella propria quotidianità per reagire. Spesso sento dire in giro “Tanto, in un modo dobbiamo morire …” eh no! Io voglio morire in maniera dignitosa … spero solo che le cose cambino.

 

“Fuoco Fauto” è stato scritto da te, insieme a Serena della Peruta. Quanto tempo ha richiesto la realizzazione della sceneggiatura? Che tipi di studi avete fatto?

La nostra ricerca è stata non solo storica, ma anche un percorso di tipo emozionale, perché abbiamo seguito l’intuito. Il lavoro è stato molto complesso soprattutto per quanto riguarda il primo atto dedicato, come ti dicevo prima, all’ipotetico processo della Janara. Lo spettacolo dura 80 minuti: è stata una precisa scelta, quella di contenere la durata complessiva. Il tema è sicuramente duro, ma non era nostra intenzione rendere eccessivamente drammatica la visione, infatti c’è un messaggio di speranza rivolto al pubblico all’interno dell’intero spettacolo.

Nel secondo atto c’è invece uno studio sulla commedia dell’arte, che abbiamo voluto rendere più contemporanea. Un Pulcinella che, vedrete, è vittima di se stesso: la storia vuole che questa maschera (le cui origini risalgono all’Aversano) fosse un po’ il pagliaccio del paese, che portava allegria alle persone quando tornavano dai campi dopo un’intera giornata di duro lavoro. Lui intratteneva, raccontando gioie e dolori di ciò che stavano vivendo. Quindi non è un comico in sé, ma ha un lato oscuro e un lato luminoso. Volendo fare un riferimento letterario, Pulcinella rappresenta Caronte, così come Arlecchino, per esempio, rappresenta Lucifero.

Anche Alessandro (detto in arte Alexander) è una maschera dai due volti… lo si percepisce dall’andamento di questa chiacchierata.

Quando sarà possibile vedere “Fuoco fatuo” e dove?

Domenica 16 luglio alle ore 20.45 durante la prima edizione della manifestazione “Casagiove in scena”, presso il Quartiere Militare Borbonico. Noi saremo una delle dieci compagnie del territorio che parteciperanno a questo progetto. Si parla di compagnie e associazioni culturali all’interno del comune di Casagiove che sono state censite e coinvolte dalla nuova giunta comunale. Il costo del biglietto è di soli 3 euro. Per noi è un inizio che, speriamo, ci porterà altrove.

Te lo auguriamo di cuore!

Queste le info e la sinossi dello spettacolo:

Spettacolo Inedito: debutto domenica 16 luglio al “Casagiove in Scena”

Alle ore 20:45 c/o il Quartiere Militare Borbonico di Casagiove (CE) Ingresso: 3€

Compagnia teatrale della Margherita

presenta:

“Fuoco Fatuo“

La Terra della Janara e di Pulcinella

(una storia accompagnata da danze, musica e magia)

 

scritto da: Serena della Peruta e Alessandro Tebano

coreografie: Natasha D’Andrea

costumi: Maria Luisa Ventriglia

Scene: Francesco Albero e Antonio Viscusi

regia : Compagnia della Margherita

direzione artistica: Alessandro Tebano

In scena

“La Margò Popolar Band”

Chitarre: Mario La Porta, Pietro Fusco;

Voce solista: Anna Maria del Sorbo;

Voce e Tammorra: Rosy Paolella;

Corpo di Ballo

Ilaria Pero, Francesca Sorbo;

Cast

La Janara: Serena della Peruta;

donna Matteuccia: Rosy Paolella;

Inquisitore e Pulcinella: Alessandro Tebano

E con Emanuele Roviello.

Uno spettacolo di teatro sperimentale, che usa svariate arti sceniche per arricchirne i contenuti sociali presenti. Coinvolgendo il pubblico in una poetica fatta di parole, canzoni e gesti simbolici che raccontano con forza espressiva due storie che hanno per protagonisti delle figure mitologiche della nostra terra come una Janara e Pulcinella collegati dall’elemento Fuoco! Ispirandoci al concetto che i fuochi fatui spesso sono interpretati come la manifestazione dello spirito dei defunti, nelle leggende nordiche diventano l’espressione di esseri fantastici che animano foreste e brughiere attirando con le loro luci i viandanti ignari.

Questo si è tradotto in una messa in scena il cui l’elemento fuoco, il vero protagonista, parte da un percorso storico sulla nostra Campania, dove abbiamo ipotizzato un processo ad una Janara del beneventano, che attraverso i secoli giunge al nostro territorio con un presente costituito dai roghi della Terra dei Fuochi. Roghi che portano il fatuo, la superficialità, la leggerezza di fare vittime, che innescano un meccanismo dal quale bisogna imparare a dissentire, seminando la voglia di risorgere come una fenice dalle nostre stesse ceneri.

 

La compagnia nasce all’interno dell’Associazione Culturale e di Promozione Sociale “La Margherita Education ART” coadiuvata dall’Associazione “Gianluca Sgueglia Onlus”. Quest’ultime sono due facce della stessa medaglia, che portano il nome di due persone che hanno segnato il percorso umano dei soci che hanno costituito queste realtà associative. Cooperando in sinergia in ambito sociale ed educativo, con progetti di natura artistica e di recupero umano presso comunità, carceri, scuole e comuni.

Per la compagnia teatrale, è il primo vero debutto, dopo piccole collaborazioni e spettacoli di teatro ragazzi, è la prima grande esperienza, in cui si riesce a portare in scena un prodotto per un pubblico adulto. Un passaggio fondamentale per uno spettacolo totalmente costruito da noi, con un lungo percorso personale di ricerca e trasformazione emotiva, insieme ad uno studio continuo in ambito artistico.

Lo stile è quello di portare all’attenzione del pubblico, tematiche sociali trattate con sensibilità e coinvolgimento, per lasciare un segno nell’animo di chi apre la quarta parete del teatro con noi.

L’intento è quello di sensibilizzare alla bellezza, per liberare la verità della propria espressione artistica diventando ciò che si è veramente. Giungendo ad un traguardo personale che è quello di portare sulla scena della vita, la propria anima senza preoccuparti del giudizio.

Alessandro Tebano

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Alessandro Tebano: Fuoco Fatuo e la mia esperienza personale was last modified: luglio 5th, 2017 by L'Interessante
5 luglio 2017 0 commenti
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Pernice
CulturaEventiIn primo pianoMusicaTeatroTv

Gianni Pernice : Fatte ‘na pizza e canta insieme a me!

scritto da L'Interessante

Pernice

Di Christian Coduto

Si può essere artisti anche nella scelta della location per fare l’intervista …

Nella fattispecie, mi ritrovo a Villaricca, a Viale della Repubblica precisamente. Questa è la sede di “Fatte ‘na pizza”, la pizzeria del cantante Gianni Pernice, che mi appresto ad intervistare. Entro con curiosità nel locale e vengo inondato da tutti quei profumi che ti fanno venire subito fame. Gianni mi viene incontro trafelato; ha già indosso il camice. Mentre mi saluta mi chiede ripetutamente scusa per aver rinviato tante volte il nostro incontro. “Troppi pensieri” mi dice, indicando la testa (perfettamente rasata) e scoppia a ridere. Il locale è già pieno zeppo di persone; lui saluta tutti e riesce a rispondere alle mie domande allo stesso momento. Se mi fossi trovato al posto suo, sarei andato in panico. Lui, invece, mantiene una serenità invidiabile. Affronta ogni inconveniente con tranquillità. E quel sorriso non lo perde mai.

Gianni Pernice parla del suo esordio artistico …

Chi è Gianni Pernice?

Gianni Pernice è un ragazzino di appena 36 anni. Nella vita ho sempre lavorato. Lavoro da quando avevo 13 anni: la mattina andavo a scuola e, la sera, andavo in pizzeria. Sono estremamente attivo, non mi fermo praticamente mai. Alterno fasi di grande ottimismo a periodi di estremo pessimismo. Delle mille cose che potrei dirti di me, una spicca di sicuro: non mollo mai. Fino ad ora, tutto ciò che ho voluto fare o sognavo di fare l’ho realizzato. Con grande o piccolo successo (sorride).

Gianni e la musica … quando è iniziata questa storia d’amore?

(Spalanca gli occhi) ma … io e la musica siamo gemelli siamesi! Sogno di cantare sin da quando ero piccolino; mi chiudevo in bagno e cantavo davanti allo specchio, un po’ come tutti quelli che sognano di svolgere questa professione. Viviamo in simbiosi, non posso darti una data precisa. Il cantante non è come un musicista che, nel tempo, si appassiona ad uno strumento musicale … il cantante, lo strumento, ce l’ha dentro di sé da quando è nato, cresce insieme a lui.

Nel 2002 esordisci alla grande con “C’era una volta … Scugnizzi” di Claudio Mattone ed Enrico Vaime , un’esperienza importante …

Questo è il mio esordio da professionista. Sono stato scelto da Claudio Mattone tra almeno sei/settemila ragazzi che si presentarono ai provini. E’ stato il mio esordio da ogni punto di vista: la mia prima registrazione in sala di incisione, per esempio, è avvenuta proprio con “Scugnizzi”. Claudio era molto teso: mettere sul palco 16 ragazzetti, molti dei quali alla prima esperienza, è stata sicuramente una follia, ma è andata benissimo! La maggior parte degli attori erano studenti universitari … io invece ero il vero e proprio scugnizzo della compagnia (sghignazza). Figurati, durante le interviste, le ospitate televisive, Claudio mi metteva sempre in primo piano perché, a detta sua, i miei colori, il fatto che io sia piccolino, erano tutte cose che mi rendevano riconoscibile ed identificabile nel contesto dello spettacolo di cui facevo parte. Con questo spettacolo, sono stato in tournée per 4 anni … da un certo punto di vista, è stata un’immensa ed infinita gita scolastica!

Parla molto, in modo schietto e sincero. Mi colpisce la sua semplicità umana. Non si atteggia, non si vanta. Racconta ciò che ha vissuto con uno sguardo che sembra dirmi “Ma davvero sono stato io a fare tutte queste cose?”.

Nel 2005 entri nel cast di “Quartieri spagnoli” in cui reciti accanto a Gianfranco Gallo e Massimiliano Gallo. Cosa ci puoi raccontare di questa esperienza?

Io subentrai a Gianni Lanni, in realtà. Interpretai il ruolo di un cantante neomelodico stonatissimo e cafone, un’esperienza molto divertente! Ero il coprotagonista del musical. Fu Massimiliano a contattarmi, dicendomi di partecipare al provino. Quando lessi il copione tutti risero di gusto. Le repliche proseguirono per almeno 6 mesi, tra matinèe scolastiche e serate al Teatro Trianon. Di Gianfranco e Massimiliano serbo un ricordo meraviglioso: sono due splendide persone ma, soprattutto, due grandi professionisti.

Nel 2006 ritorni a teatro nello spettacolo musicale “Napoli 1799”. Accanto a te, anche questa volta, i fratelli Gallo …

Un ruolo più piccolino, questa volta. Massimiliano, con il quale ho un ottimo rapporto di amicizia e rispetto, me lo diceva sempre “Quando sali sul palco, tu puoi fare quello che vuoi, perché sei simpatico, un casinista!”.

Tanta popolarità ti arriva con “Un posto al sole”. Parlaci un po’ del tuo ruolo, simpaticissimo: quello di Mimmo Calore. “Mimmo Calore” incide anche un brano, estremamente ironico “3MST” (tre metri sotto terra). Il videoclip della canzone è un trionfo, con quasi 180mila visualizzazioni su youtube …

Mi ero trasferito a Roma, vissi lì per tre anni. Dopo essere ritornato a Napoli, attraversai un periodo di blocco lavorativo. Per 4 anni non successe più nulla. Arriva, poi, l’opportunità di fare un provino per “Un posto al sole” per il ruolo di Mimmo Calore che, effettivamente, ricordava un po’ il personaggio che avevo interpretato in “Quartieri spagnoli”. Venni scelto per l’ironia del personaggio che, a detta di tutti, mi apparteneva.

Un’esperienza bellissima! Il teatro, sia chiaro, è una forma d’arte importantissima, ma il potere della televisione è incredibile: la gente mi fermava per strada, al cinema, al centro commerciale e mi chiedeva l’autografo o una fotografia. Mi ha dato tantissima popolarità. A distanza di tempo, mi rimane solo un po’ di amarezza: quella di non essere riuscito a gestire il momento nel modo giusto.

Si rabbuia per una frazione di secondo. Per uno che conosce il significato e l’importanza della parola lavoro, questo piccolo “passo falso” è imperdonabile. Un’occasione mancata. Poi, con la stessa velocità, torna a sorridere e proseguiamo la nostra chiacchierata. Rimorsi? Non può e non vuole averne.

Esce finalmente il tuo primo cd : “Vulesse essere …”, distribuito dalla prestigiosa casa discografica Zeus record. La canzone che dà il titolo all’album è, in primis, una dolcissima dedica alla tua compagna di vita …

Antonio Casaburi (l’autore del brano N.d.R.) mi fece ascoltare diverse canzoni, ma questa è la prima di cui mi sono innamorato. Credo sia il brano che mi rappresenti meglio, sia da un punto di vista musicale, sia per ciò che concerne il testo.

“Vulesse essere …” è un disco autoprodotto. Antonio propose il progetto a Vincenzo Barrucci della Zeus; a lui le canzoni piacquero molto e decise di distribuire il cd. Avresti dovuto vedermi: saltavo come un canguro per la felicità! (Ride). Per essere precisi, la distribuzione è stata affidata alla Napoli Project, uno dei tre marchi della Zeus Record. Come dicevi tu prima, è un’etichetta discografica molto importante, dalla lunga storia musicale. Lì ho trovato una seconda famiglia, si lavora sodo e bene. Ho sempre pensato che, per la struttura dei brani del cd, quella fosse la casa discografica più idonea e così è stato (sorride).

Realizzare il videoclip per la canzone è stata un’impresa … due o tre giorni prima dell’inizio delle riprese, ho racimolato tutte le persone che compaiono nel video, chi aveva altri impegni, chi doveva lavorare, un casino insomma! (ride).

Un momento di pura commozione è rappresentato dalla canzone “La nostra storia d’amore” in cui affronti il tema di un parto imminente …

Un brano molto intimo, delicato. L’argomento delle ragazze madri, a Napoli, è parte della quotidianità da sempre. E’ uno dei brani che preferisco in assoluto, anche perché io sono un sentimentale, un innamorato dell’amore. In più, il bambino per me rappresenta la purezza, l’ingenuità … il bambino è come dovrebbe essere vissuta la vita; purtroppo la società ci mette davanti mille ostacoli, infiniti problemi che tendono a cambiarci e a farci perdere quella genuinità che avevamo da piccolini.

Ma tu sei ancora puro, si vede. Si percepisce. Hai dei principi che molti esseri umani non hanno più … li hanno persi da tempo, rimanendo disincantati, senza sogni. Vorrei dirglielo, ma le mie parole rimangono lì, nella mia testa. 

Mi ha colpito molto “Nun te fidà mai” … in un album in cui il tema principale è l’amore, il testo è qui più duro, pragmatico …

In questo cd è la parentesi un po’ a sé stante perché, nelle altre canzoni, il tema predominante è l’amore. Invece, in questo caso, io parlo ad una ragazza e le consiglio di stare attenta perché le persone possono farti davvero male. È una lezione che mi appartiene: non mi fido facilmente degli altri. Prima ero un bambinone, credevo ciecamente a tutti, poi sono arrivate le bastonate.

Quanto tempo è stato necessario per incidere “Vulesse essere …” ? Come giudichi il lavoro in sala di incisione? Per alcuni cantanti il momento della incisione dei brani dovrebbe essere saltato, dedicandosi esclusivamente alle esperienze live …

Il disco è stato inciso in tempi davvero ristretti. Io sono un perfezionista, quindi dico a priori che avrei potuto fare di più e di meglio, ma sono io a non accontentarmi mai (sorride). Diciamo che, riascoltandomi, penso di aver cantato bene. Il lavoro in sala è sicuramente più meccanico, tecnico, quasi matematico: mettere il cuore in sala di incisione è più difficile; quando fai un concerto canti di fronte a tante persone e sai a chi stai trasmettendo le tue emozioni. In sala di incisione sei teso, hai paura di sbagliare, non si crea empatia. Riuscire a fare emozionare una persona che sta ascoltando il tuo progetto discografico non è da tutti, richiede un grande lavoro e una immensa professionalità. Un attimo solo …

Si avvicina al bancone e serve due ragazzetti.

Dicevamo?

Io mi occupo di cinema. Musica e cinema vanno, da sempre, di pari passo. Qual è il film della tua vita?

Sicuramente “La ricerca della felicità” di Gabriele Muccino, con Will Smith. Il protagonista è un uomo che tocca il fondo con le mani e che insegue la felicità che, nel film, è rappresentata dal lavoro. Anche io sono sempre alla ricerca della felicità … premettendo  che mi considero davvero fortunato ad avere un lavoro, credo che, nella vita reale, la gratificazione sia data da altro: in effetti io aspiro ad essere sereno.

Gianni Pernice, però, è anche un ottimo pizzaiolo …

Ebbene sì! Non faccio il pizzaiolo per mestiere, bensì per passione. L’anno scorso ho vinto il secondo posto del campionato mondiale della pizza a metro e mi sono classificato al quarto posto all’STG (Specialità Tradizione Garantita N.d.R.) ovvero la pizza margherita per eccellenza. “Fatte ‘na pizza”, la mia pizzeria, è gestita da me e dai miei due fratelli. Amo la pizza! Insieme alla musica e al mare rappresenta Napoli.

Ti racconto una cosa: da bambino volevo mangiare sempre la pizza … ad un certo punto diventare pizzaiolo è diventato quasi una necessità … (lo guardo interrogativo) altrimenti avrei speso troppi soldi per comprarla in continuazione (ridiamo!).

“Fatte ‘na pizza” deve essere ricordata, non solo per la qualità dei prodotti che offre, ma anche per un gesto nobilissimo: quello del volontariato …

E’ una cosa a cui tengo molto. Faccio parte di un gruppo parrocchiale “Gli angeli della stazione”. Aiutare il prossimo è una cosa doverosa: incontrare delle persone che non riescono a nutrirsi, che non hanno un posto in cui vivere mi fa arrabbiare, mi addolora. Il nostro gesto non è solo quello di dare loro qualcosa da mangiare, ma di abbracciarli, ascoltarli, parlare con loro. Le storie che ascolto sono dolorosissime. Ci sono tante realtà. Fare il volontariato mi dona moltissimo e mi migliora in quanto essere umano.

Pensare agli altri. Quanti lo fanno davvero?

Cosa dobbiamo attenderci da Gianni Pernice per questo 2017?

In primis voglio vincere al Superenalotto così risolvo un sacco di problemi (scoppia a ridere). A parte gli scherzi, spero di riuscire a promuovere “Vulesse essere …” nel migliore dei modi. Vorrei crescere ancora, sia artisticamente sia come uomo. Senza trascurare la mia attività di pizzaiolo. In effetti io svolgo due lavori per i quali devi dare il 100%, gestirli entrambi è al    quanto difficile, ma ce la posso fare senza problemi. Non si è mica Gianni Pernice per caso, no? (Sorride di nuovo).

Fatti una domanda e datti una risposta …                       

Gianni Pernice sei soddisfatto di ciò che hai fatto e del risultato ottenuto? Allora … artisticamente e lavorativamente parlando sì: tutti i traguardi raggiunti li devo solo ed esclusivamente al mio sudore, senza scorciatoie. Anche perché ho 36 anni e, se fossi stato raccomandato, avrei fatto molto di più e con minore fatica. Però, allo stesso tempo, non sono ancora contento: voglio sicuramente di più. Non per presunzione o immodestia, ma credo di meritare altre occasioni importanti, perché alle spalle ho tanta gavetta.

Prima di salutarlo, mi avvicino al bancone. Sono sincero: ho l’acquolina in bocca. “Ehm … a questo punto, visto che mi trovo qui … qual è il tuo cavallo di battaglia?” “Guarda, la specialità di Gianni Pernice è la pizza alla brace!”

Ne prendo una con zucca, salsiccia, provola e patate al forno …. ebbene: è subito magia!

Gianni Pernice : Fatte ‘na pizza e canta insieme a me! was last modified: giugno 27th, 2017 by L'Interessante
27 giugno 2017 0 commenti
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Cosimo
CinemaCulturaEventiIn primo pianoTeatroTv

Cosimo Sinforini: vivere d’arte? Si può!

scritto da L'Interessante

Cosimo

Di Christian Coduto

Due sono gli elementi distintivi di Cosimo Sinforini: i capelli (neri, lunghi e molto curati) che gli regalano l’apparenza del ragazzo selvaggio, ribelle, rivoluzionario, vagamente alla James Dean o alla Johnny Depp. E la voce: roca, assolutamente riconoscibile. “Se non dovessi avere successo come attore” scherza “Mal che vada posso sempre sfondare lavorando per una linea telefonica sexy”.

Socievole e espansivo come tutte le persone che sono cresciute a stretto contatto con il mare, parla senza freni. E’ amichevole il suo atteggiamento, di grande apertura. Mi racconta di cose che non riguardano esattamente la sua vita artistica (e che, ovviamente, non rivelerò in questa sede!).

Mi ha chiesto di incontrarci in un bar nel Borgo Marinari “Il contatto con l’acqua mi fa stare bene, mi rilassa. Il Borgo, di primo pomeriggio, è piuttosto tranquillo. Qui possiamo parlare in maniera più rilassata”. Ho l’impressione che abbia leggermente paura delle domande che sto per porgli. O forse è solo un po’ di ansia … prima mi ha detto che è un perfezionista, ci tiene a fare le cose per bene. Sia che si parli di una performance teatrale (o cinematografica) sia che si tratti di un’intervista. Ama essere ricordato per aver fatto bene le cose.

Cosimo Sinforini risponde alle domande de “L’interessante”

Chi è Cosimo Sinforini?

Cosimo Sinforini è un ragazzo che proviene da Torre del Greco che, nel tempo, si è rivelata una fucina di giovani talenti. Sono molto legato alla mia città che, tra le altre cose, è la città del corallo. Geograficamente è posizionata tra il Vesuvio e il mare, un binomio vincente. Il ritrovarmi al centro tra gli elementi acqua e fuoco, mi ha fatto crescere folle, ma nel modo giusto. Voglio vivere di arte. Essendo tenace e testardo di natura, farò in modo di realizzare il mio sogno!

 

Reciti da oltre 15 anni. Quando hai capito che diventare un attore sarebbe stato lo scopo della tua vita?

L’ho sempre saputo sai? Ero piccolo, avrò avuto otto, nove anni e mi divertivo ad imitare i personaggi che vedevo in televisione o in strada. Cercavo di trovare degli aspetti che gli altri non erano in grado di vedere. Ho la “capacità” di vedere in profondità, una sorta di studio dell’anima. Amo molto il campo della psicologia.

Quando mi dicono che recitare è un gioco, io rispondo sempre di fare attenzione, perché è un lavoro “pericolosissimo”: ti immerge in realtà nuove, altro che lsd, è una vera e propria droga (scoppiamo a ridere). Entrare nella mente di un’altra persona, di un personaggio da interpretare non è affatto facile! È un mestiere che va vissuto con la giusta serietà e una buona dose di ansia.

Nel tempo, questa mia voglia di carpire gli aspetti privati delle persone, si è trasformata nel bisogno di interpretare realmente un’altra persona.

Ti racconto una cosa: ero da mia nonna, avevano da poco trasmesso “Rocky III” in tv … quel film mi piacque così tanto che davo cazzotti ovunque e a tutti, volevo essere Rocky!

 

Mi immagino un ragazzetto piccolino, ma con la stessa amabile sfrontatezza del Cosimo di oggi, che sbuffa, si impegna, si agita, suda per assomigliare il più possibile a Sylvester Stallone. Forza di volontà ne ha, eccome. È lodevole la sua caparbietà.

Ti sei formato all’Accademia delle belle arti di Napoli per poi approfondire i tuoi studi in Inghilterra. Tanta gavetta alle spalle. Cosa che sembra mancare, negli ultimi tempi: partecipi ad un reality e diventi subito noto. Non credi che tutto ciò sia un processo di involuzione culturale?

Sono laureato in arti visive e disciplina dello spettacolo presso “L’accademia delle belle arti di Napoli”. Parallelamente, ho studiato presso il teatro “Elicantropo” di Napoli, diretto da Carlo Cerciello, una vera e propria palestra che mi ha permesso di crescere artisticamente. Un’altra formazione fondamentale è stata quella del “Teatro Spazio Libero” di Napoli di Vittorio Lucariello. In quest’ultima struttura si sono formati i migliori artisti dell’avanguardia storica napoletana, da Toni Servillo a Mario Martone. Ricordiamoci che lì passò anche Andy Warhol.

Al termine degli studi sono andato a vivere in Inghilterra per due anni … ho imparato molte cose, soprattutto il diverso modo di vivere il teatro e varie tecniche di recitazione.

Ritornando alla domanda: per fare questo mestiere devi buttare il sangue, devi metterci anima e corpo. Un reality ti regala popolarità, certo, ma senza mezzi e senza testa non vai da nessuna parte. Se adesso, avendo un bel faccino, riesci a fare dei film senza conoscere la tecnica, significa che abbiamo sbagliato tutto …

 

Quali sono i tuoi punti di riferimento artistici?

Molti sono legati al passato. Avrei dato non so che per lavorare in un film diretto da Federico Fellini, per esempio. Però anche lavorare con Paolo Sorrentino non sarebbe male! (ride) Con “The Young Pope” ha raggiunto piena consapevolezza dei propri mezzi. Per ciò che concerne gli attori, invece: Toni Servillo, ma anche Stefano Accorsi, Claudio Santamaria. Però il mio attore preferito in assoluto è Al Pacino. Conosco tutti i suoi film … considerando la mia vocalità, mi ritengo un po’ un suo figlioccio artistico. Con questo voglio solo dire che per me lui è un attore immenso, dal quale tutti dovrebbero trarre ispirazione continuamente.

 

Punta in alto, è vero … ma questo è sicuramente un pregio. All’improvviso si sbilancia “Christian, le cose o le fai come si deve o lasci proprio perdere”. L’istinto mi dice che, un giorno, lavorerà davvero con qualcuno dei suoi miti, scommettiamo?

Un incontro importante è quello con il bravissimo Lello Arena, del quale hai seguito un laboratorio e che ti ha diretto, a teatro, in “Sugar spell”…

Lello è stato un maestro del secondo capitolo della mia carriera teatrale! Feci un seminario con lui, meraviglioso. Quando l’ho incontrato ero davvero emozionato. Credo che lui sia la figura più rappresentativa dell’ultimo grande periodo del cinema e del teatro napoletano. E’ un uomo che sembra schivo, una sorta di orso burbero … in realtà è una persona di una sincerità disarmante, spontaneo, generoso. Non ha remore, non si risparmia mai: ti dona tutto ciò che sa. Al termine del seminario, ci incontrò singolarmente. Fece dei colloqui con ciascuno di noi. Mi disse “Cosimo, tu hai molto potenziale. Puoi diventare un grande attore, ma non devi sentirti un attore. Devi essere un uomo al servizio di un personaggio e di un regista. Non assumere mai l’atteggiamento da supereroe”. E’ riuscito a farmi rimanere con i piedi ben radicati al suolo.

Ovviamente, ci sono stati molti momenti dedicati al ricordo di Massimo Troisi, di una tenerezza incredibile.

Devi sapere che Lello Arena è un patito del biliardino. Io facevo sempre coppia con lui.

L’ultima serata di “Sugar spell” avevamo fatto una scommessa: la coppia sconfitta sarebbe stata attaccata con una serie di secchi pieni di acqua. L’idea del pegno era stata proprio la sua. Oh … non siamo riusciti a perdere? Mi fece un cazziatone incredibile (ride di gusto).

Nel tempo, siamo rimasti molto amici, gli sono molto affezionato.

 

Tra i registi dei tuoi spettacoli teatrali, troviamo anche Beatrice Messa e Serena Di Marco. Credi che ci siano differenze, in termini di empatia e di rappresentazione delle immagini, quando a dirigere c’è una donna?

Lavorare con le donne è molto interessante perché hanno indubbiamente una sensibilità maggiore della nostra. L’unico “problema” è la gestione del cast, soprattutto quando la regista è molto dolce.

Per il resto differenze non ne ho riscontrate … l’unica cosa importante è che il regista (uomo o donna che sia!) sappia cosa fare e che riesca a trasmettere il tutto agli attori.

 

Nel 2015 compari nel videoclip di Emma Marrone “Arriverà l’amore”. Un ruolo piuttosto sgradevole (è un ragazzo che sbeffeggia una coppia omosessuale N.d.R.) … come avrebbe reagito Cosimo l’essere umano?

Ebbene sì, un ruolo piuttosto sgradevole. Il Cosimo della vita reale avrebbe reagito incazzandosi ed andando contro quei teppistelli. Siamo nel 2017 e, purtroppo, ci sono ancora situazioni così spiacevoli.

Nel mondo dello spettacolo ci sono moltissimi ragazzi e ragazze omosessuali …

Chi inveisce contro una persona omosessuale per me non è felice della propria vita.

Così come quando, allo stadio, partono quegli stupidi cori contro le persone di colore. Sono forme di razzismo che hanno, di base, una frustrazione personale.

Ognuno deve vivere la propria vita a testa alta. E’ inammissibile che un ragazzo omosessuale si nasconda, perché ne va della sua felicità umana.

Per quanto riguarda invece Emma, è una persona fantastica. Si è sempre un po’ prevenuti, perché viene da un format televisivo e così via. Con lei si è instaurato un buon rapporto umano e lavorativo.

Si infervora un po’ mentre risponde alla mia domanda, mantenendo però inalterata l’educazione. E’ abituato a credere che, nella vita, le cose debbano andare necessariamente nel verso giusto o, almeno, come vuole lui. È un bravo ragazzo, non c’è che dire.

Sempre nel 2015, ecco una bella esperienza televisiva: “Alta infedeltà”. Che ricordi hai di questa avventura?

Un’occasione nata quasi per gioco: mi contattarono dalla produzione, dicendo che ero perfetto per quel ruolo. Guarda, ti dirò: ci sono sempre tanti pregiudizi … non so se mi spiego … Un attore serio certe cose non le fa … ma “Alta fedeltà” non è mica, boh, un reality! Sono stato chiamato per interpretare una parte, per recitare. Ecco perché ho accettato di buon grado: c’è grande professionalità. Ero l’amante della moglie del mio migliore amico. Mi ha dato tanta popolarità; ancora oggi, quando vedono il video, mi contattano e mi dicono “Ma che hai fatto? Sei stato un bastardo!” (scoppia a ridere). Vedi? Questo è il rovescio della medaglia del mio mestiere: quando fai il buono, l’eroe di una storia, tutti ti esaltano. In questo caso ero l’amante e mi odiavano tutti (ridiamo).

 

Sia parlando di Emma sia del format televisivo, ci tiene a sottolineare che lui va al di là dei pregiudizi. L’arte può esistere in mille forme e in mille colori. Fare il finto snob non è da lui. Quello che conta è la professionalità. Chi ha le capacità merita ogni tipo di rispetto.

Punto a suo favore: non si finge chic per apparire migliore. È pane al pane e vino al vino. Mi domando se il suo essere così schietto e diretto gli abbia mai creato problemi, con gli amici per esempio o in campo lavorativo, con qualche regista un po’ rompiscatole.

Nel 2009 Antonio Capuano dirige Cosimo Sinforini nel film “L’amore buio”. Che ricordi hai della tua prima volta cinematografica?

Una vera e propria esperienza extrasensoriale … è un regista caratterizzato da una lucida e sana follia. Sa perfettamente quello che vuole: riesce a far sì che tutti gli attori, tutte le persone sul set seguano la strada che ha già deciso in precedenza. In apparenza, sembra distratto, in realtà è concentratissimo e ti segue attimo per attimo.

La mia prima esperienza sul set era piccola, ma mi sono trovato davanti Fabrizio Gifuni che, a mio parere, è uno dei migliori attori italiani del momento.

Una bella emozione, che ripeterei di sicuro.

 

A proposito di cinema, parliamo un po’ di “Dead country” …

Un’esperienza molto carina, una produzione totalmente indipendente e low budget. Giovanni Roviaro, il regista, è davvero giovanissimo ed è riuscito a trarre il meglio da un cast di attori che, nel tempo, sono diventati grandi amici. Nonostante il budget ridotto, il set era pieno di professionisti.

 

Hai recitato in oltre 10 cortometraggi. “Tela Bianca – La morsa del Daimon” è quello più recente. Possiamo avere delle anticipazioni?

Il cortometraggio è una scuola di vita, soprattutto per un attore che abbia intenzione di percorrere la strada della recitazione. E’ importante non solo per il momento attoriale, ma anche per imparare a relazionarsi con gli altri … i macchinisti, i tecnici, gli operatori. Ci sono dei meccanismi e dei ruoli che devi imparare a rispettare. “Tela Bianca” è diretto da Giuseppe Rasi, con il quale è nata una bella amicizia. Abbiamo in cantiere anche un lungometraggio, incrociamo le dita! In questo cortometraggio io interpreto il ruolo di un pittore che è stato allontanato dalla famiglia, che non approva la sua scelta di vita.

Premettendo che la mia famiglia mi è sempre stata accanto nelle mie scelte, riconosco qualcosa di Cosimo anche in questo personaggio: spesso, quando dico alle persone che faccio l’attore, tanti mi guardano straniti, mi chiedono “Ma allora riesci a vivere di questo?” embè … (sorride). Presto verrà presentato nei migliori Festival, auguro a questo progetto di vincere tanti premi!

 

Nel tuo curriculum, anche due spot televisivi. I tempi ristretti, una sceneggiatura (solitamente) ridotta … riesci (o provi) a dare un’impronta attoriale anche in situazioni come queste?

Beh … una cosa è recitare un monologo di Shakespeare sul palco e un’altra è ripetere alcune battute velocissime per uno spot. Ma, nonostante tutto, anche in quest’ultimo caso c’è spazio per l’interpretazione. Giusto per dire: l’ultimo spot che ho girato con i The Jackal, quello per la Muller, è costituito da una serie di mini pillole che usciranno a breve … ebbene, lì c’è talento puro, mi è stata data la possibilità di recitare al 100%!

 

Domanda multipla: ultimo film che hai visto al cinema, ultimo libro letto, ultimo cd acquistato, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.

“Song to song” di Terrence Malick … attori fantastici e una regia esemplare, da vedere! “Conversazioni su di me e tutto il resto” di Woody Allen … consigliatissimo. “Bird is free” di Charlie Parker; ti immerge in realtà che ormai, musicalmente, ce le possiamo solo sognare! “Ragazzi di vita” al Teatro Vascello, interpretato da Fabrizio Gifuni.

 

Cosa dobbiamo aspettarci da Cosimo Sinforini per questo 2017?

Allora … sono piuttosto scaramantico, quindi preferisco far parlare direttamente il lavoro. Ne vedrete delle belle, ma non anticipo nulla (sghignazza).

Terminiamo con un simpatico omaggio a Marzullo: fatti una domanda e datti una risposta

“Cosimo, che rapporto hai con Napoli?” “Un rapporto di odio e amore. Ce l’ho da sempre. Napoli è una città bellissima, senza ombra di dubbio. Dona ampio spazio agli artisti, ma allo stesso tempo soffre di vittimismo. Noi napoletani dovremmo iniziare ad andare avanti a testa alta. Da un punto di vista artistico abbiamo avuto il boom di Gomorra, ma tutto ciò non basta sicuramente. E’ giusto che tutti i giovani della nostra città riescano a realizzare i propri sogni, in qualunque settore della loro vita!”

L’intervista si chiude con questo augurio alla sua città. C’è una bella dose di critica, perché nella vita non bisogna mai smettere di analizzarsi. Quegli stessi rimproveri che Cosimo si è fatto, nel tempo, per levigare le sue doti di attore. Quella dose di severità che gli ha permesso di rimanere lucido, pragmatico, nonostante i mille sogni da realizzare. E che, sono convinto, realizzerà negli anni a venire …

Ph. Laura Di Legge

Cosimo Sinforini: vivere d’arte? Si può! was last modified: giugno 12th, 2017 by L'Interessante
12 giugno 2017 0 commenti
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Stallo
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Ti stallo. Prove di adozioni

scritto da L'Interessante

Stallo

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati, bentrovati dal dogfriendly.  In questi giorni ho molto pensato al mondo dei volontari e per quest’articolo mi sono ispirato a coloro che si occupano di canili e cani vaganti sul territorio, agli sforzi che compiono, alle energie che investono nella loro missione.

A volte sono davvero stremati e avrebbero bisogno di collaborazioni funzionali a supportare le dinamiche che sovente si realizzano nelle adozioni: staffette, stalli, adozioni consapevoli. Ma cosa significano davvero queste parole?

Per farlo ho chiesto una mano a Chiara Porcile istruttrice cinofila di Mondo Cane, in quel di Genova, che da anni sapientemente lavora con il mondo degli animalisti, apportando il contributo da tecnico per una più fluida adozione. Come dico spesso, consapevole.

 

Realizzare uno stallo funzionale

Grazie mille Chiara per aver accettato l’intervista. Si sente spesso, soprattutto negli appelli lanciati dai volontari, il termine stallo: ma cosa s’intende?

“Con stallo si intende una sistemazione temporanea del cane fino all’adozione definitiva all’interno di un sistema famiglia. La sistemazione temporanea può essere all’interno di un canile/rifugio oppure a casa di un privato. In quest’ultimo caso si definisce stallo casalingo. Molto spesso gli stalli vengono richiesti per cani provenienti dal sud Italia affinché possano essere spostati al Nord e avere maggiori possibilità di adozione. In situazioni meno frequenti vengono richiesti stalli casalinghi per cani che vivono in modo particolarmente stressante l’ambiente di canile”.

Quindi il cane viene trasferito in un ambiente diverso da quello dove risiede, perdendo i sui punti di riferimento, l’ambiente conosciuto- per quanto a volte angusto-, gli operatori che gli danno da mangiare: come è possibile rendere uno stallo più accogliente per il cane?

“A mio avviso perché una sistemazione possa essere realmente accogliente per il cane lo stallo dovrebbe essere casalingo. Se si decide di spostare il cane da una gabbia di canile ad un’altra che semplicemente si trova geograficamente più in alto non ci sono comunque i presupposti per l’accoglienza.

Uno stallo casalingo permette al cane di conoscere una realtà che sarà poi quella che si troverà a vivere nel momento in cui verrà adottato definitivamente.

Per quanto riguarda il come renderlo accogliente vorrei poterti dire che so la risposta. Quello che posso fare è semplicemente riportarti quello che ho imparato in questi anni ospitando tanti cani diversi a casa mia e tenendo presente ovviamente che ogni cane è poi un soggetto a se stante e che, quindi, con ognuno di loro è necessario trovare la via giusta per arrivare a capirsi reciprocamente.

In linea generale credo che una questione fondamentale sia non preoccuparsi troppo di quello che potrebbero fare dentro casa. Che poi è spesso e volentieri il contrario di quello che fanno le persone una volta che il nuovo arrivato mette zampa nella loro abitazione: farà la pipì? Sporcherà in casa? Morderà il divano? Perché non si sdraia? Proverà a salire sul letto? Piangerà di notte?

Questo crea ovviamente una certa dose di tensione di cui il cane (che normalmente si è appena fatto 12 ore di viaggio in un camion dentro ad una gabbia) risente, a volte anche in modo profondo.

Quando arriva un cane in stallo a casa io ho già messo tutto in conto. Sono sicura che sporcherà in casa, ma sono altrettanto sicura che il pavimento si possa pulire senza troppa difficoltà o ansia; sono sicura che proverà a salire sul divano, sul letto e che magari ruberà anche il cibo dal tavolo ma sono tutte cose a cui si può rimediare. In altre parole credo che il presupposto fondamentale per l’accoglienza sia dare al nuovo ospite il TEMPO per capire dove si trova, chi sono le persone e gli altri cani con cui da un momento all’altro si trova a condividere spazi e risorse e come capirle e farsi capire.

Oltre a questo quello che cerco di fare è creare per ognuno di loro uno spazio all’interno del gruppo dove possano trovare stabilità, dove possano sentirsi al sicuro e dove possano trovare le energie per ripartire. Quello che devi considerare è che quasi tutti i cani che arrivano da me hanno conosciuto la solitudine, la violenza, la mancanza di libertà e spesso sono stati recuperati con gravi problematiche di salute. Quello di cui hanno bisogno è qualcuno di cui possano fidarsi. Qualcuno che dia loro fiducia, che dia loro la possibilità di sperimentare e di provare a muoversi nel mondo e che, allo stesso tempo, sia una guida sicura. La difficoltà nel fare gli stalli sta proprio in questo: esserci sempre, per ognuno di loro, ogni volta che ne hanno bisogno perché ognuno di loro è parte del gruppo ed è importante. Credo che solo così possano trovare le risorse di cui hanno bisogno per iniziare una vita completamente nuova”.

 

Non si corre il rischio così di illudere il cane che abbia trovato una famiglia definitiva?

 

“Si. Questo è il motivo per cui ad ogni richiesta di adozione segue un percorso di inserimento all’interno della nuova famiglia della lunghezza adeguata a seconda del soggetto che ha ricevuto la richiesta.

Ritengo anche che valga la pena prendersi questo rischio se penso che spesso l’alternativa sarebbe stata il canile a vita o se penso a tutte le adozioni “dirette” che hanno avuto come conseguenza il rientro in canile del cane o, forse peggio, una vita passata nel terrore e nella paura.

Per ogni cane che tengo in stallo vengono valutate attentamente le richieste di adozione e vengono prese in considerazione solo quelle ritenute idonee per quel soggetto. Inoltre ognuno di loro impara a muoversi al guinzaglio, in libertà, a stare all’interno della casa e a vivere dei momenti di solitudine in serenità. Tutto ciò spesso è determinante per far sì che le adozioni vadano a buon fine e che poi, realmente, l’adozione possa essere definitiva.

Per quella che è stata la mia esperienza ne è sempre valsa la pena. Rimango in contatto con tantissimi adottanti e quello che vedo sono cani sereni. A me questo fa pensare che il beneficio finale sia superiore rispetto al rischio iniziale che si è preso”.

Consigli per i  futuri adottanti per mettere il cane in agio?

 

“Oltre al percorso di conoscenza a cui ho accennato in precedenza, passo tantissimo tempo a raccontare loro il più possibile su chi sia il loro cane, che cosa gli piace fare, cosa lo può disturbare o far innervosire, cosa gli può fare paura e quali sono le sue abitudini. Cerco di fare in modo che loro lo conoscano il più possibile e che il cane possa ritrovare nella nuova casa oggetti e situazioni a lui conosciute. Per quanto possibile punto sul trasmettere loro alcuni modi di fare o modi di comunicare che il cane ha imparato a comprendere e interpretare da me, in modo che ci sia una base da cui partire per costruire una loro comunicazione”.

Stallare. Dimorare in una stalla. Sostare. Passivamente, quindi. Grazie a Chiara  Porcile per averci fornito il suo punto di vista sul più funzionale- e rispettoso- so stare in famiglia.

Ti stallo. Prove di adozioni was last modified: giugno 9th, 2017 by L'Interessante
9 giugno 2017 0 commenti
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Good
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Good As You in casa Rain

scritto da L'Interessante

Good

Di Luigi Sacchettino

30 maggio 2017.  È sera. Eppure al teatro Ricciardi di Capua ci sono tanti colori. Sì, quelli dell’associazione Rain Arcigay Caserta onlus, che ha organizzato la proiezione del film  “Good As You – Tutti i colori dell’amore” di Mariano Lamberti. L’evento rientra nell’iniziativa CinePride, rassegna cinematografica a tema lgbt ideata dall’Associazione, sotto la direzione artistica di Christian Coduto.

Good As You: i protagonisti

In sala ad accoglierci il regista e uno degli attori, Lorenzo Balducci, che nel film interpreta Adelchi, un ossessivo e soffocante architetto, troppo tendente al controllo.

In un clima molto confidenziale rivolgo la mia operatività verso Lamberti, avendo intravisto il suo ultimo libro “Una coppia perfetta. L’amore ai tempi di Grindr”, e gli domando subito com’è nata l’idea di una storia d’amore da una chat dove l’interazione ha forme spesso liquide, superficiali, a tratti spicciole.

“Quando ho pensato alla storia d’amore non mi sono concentrato sulla chat. L’amore può nascere ovunque, anche in una chat. Ho una coppia di amici che si sono conosciuti lì e tutt’ora stanno ancora insieme”.

Un pensiero ottimista, penso.

Incalzo con una domanda sulla (in)fedeltà; un tema spesso presente nelle storie d’amore.

Mi racconta che a suo avviso siamo portati ad essere curiosi verso il mondo esterno, in una lotta di impulsi- come ci insegnava già Freud, o tra ragione e sentimento, per dirla alla  Jane Austen.

Eppure da primati umani dovremmo essere portati al mantenimento del senso di sicurezza e protezione, di appartenenza e come tale la dimensione di coppia monogama potrebbe essere il progetto più solido e valido per il raggiungimento di tale obiettivo, rifletto tra me e me.

Lamberti ha come padre il cinema: quello concreto, che riporta alla realtà de “i soldi ci sono? Ok, il film si fa”, e per madre l’accogliente letteratura, che lascia ampio spazio all’espressione, in un qui ed ora non vincolato dalla materialità.

Passo a Balducci, che accoglie tutti con un sorriso timido e una capigliatura biondo platino, tutt’altro che anonima.

Mi racconta che tra cinema, tv e teatro- nonostante la grossa passione per quest’ultimo- preferisca il primo, avendolo immaginato sin da piccolo. La possibilità di poter riprodurre dei momenti lo affascina, seppur non ami rivedersi.

Strani meccanismi della mente umana, mi dico; la sua bellezza statuaria è visibile agli occhi di tutti.

Mi incuriosisce quel platino:  Balducci mi rivela faccia parte del suo ruolo nel prossimo spettacolo “Spoglia-TOY”,  di Luciano Melchionna visibile il 16, 17 e 18 giugno al Napoli Teatro festival. Non può rivelarci altro.

Lo prendo in giro, per il giusto mix di curiosità e indizi che fornisce a riguardo.

La serata trascorre con la visione del film, che mantiene ancora viva la comicità e l’attualità, nonostante i 5 anni di età e una legge per il riconoscimento delle coppie di fatto.

Good as you vuole raccontare uno spaccato della dimensione LGBT senza partire dal pietismo o dal melodramma; così, con schiettezza, sagacia, arguzia e simpatia, si affrontano gli stereotipi relazionali. Il sieropositivo da parchetto, la lesbica mascolina, l’etero curiosa e confusa, la bambola sexy, l’effemminato eccentrico e così via.

Lamberti vuole rappresentare una ‘grande famiglia’ il cui principio di aggregazione è la scelta: scegliere le persone con cui condividere, con cui parlare e con cui accompagnare la propria esistenza.

E lo fa dalla visione gay, non dal racconto degli etero. Lo fa da dentro. Con libertà.

Non ci si annoia affatto, e la riflessione è dietro l’angolo.

La mia riflessione è proprio sugli stereotipi, con l’auspicio che lo spettatore di Good as you non si fermi alle generalizzazioni. Il rischio che si può correre è di non aiutare a a normalizzare un vissuto fatto di persone che si svegliano, vanno a lavoro, soffrono e sorridono per amore e si affannano e lottano per la vita.

Con Dignità di persone. Non di orientamenti.

Good As You in casa Rain was last modified: giugno 2nd, 2017 by L'Interessante
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Parigi
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Luigi La Rosa : Parigi, la mia salvezza e la mia rinascita

scritto da L'Interessante

Parigi

Di Christian Coduto

“Christian, sai che non sono mai stato a Caserta?”. Ha inizio così la mia chiacchierata con Luigi. Mentre passeggiamo per i giardini della Reggia, lo vedo girarsi intorno con curiosità, fame di sapere. Ha indosso una polo color vinaccia e dei pantaloni rosso pompeiano. Persino il trolley che si porta dietro è tendente al rosso. “Non è che sia il mio colore preferito” ammette ingenuamente “Il fatto è che il mio trolley l’ho distrutto e questo è di mia madre”.

Siciliano (messinese, per la precisione), vive tra l’Italia e la Francia da molto tempo. Come tutte le persone che provengono da terre ricche di sole, è socievole ed affettuoso. Lo riempiresti di abbracci, per quanto è gentile. Parla come se ci conoscessimo da una vita. si lascia andare a confidenze private con uno sguardo da eterno bambino e ascolta le mie parole quando gli racconto situazioni analoghe che ho vissuto anche io. Ama l’arte: rimane incantato dalla bellezza del palazzo edificato da Luigi Vanvitelli …

Luigi La Rosa ci parla della “sua” Parigi

Chi è Luigi La Rosa?

Luigi La Rosa è un’identità. Quella che cerca di assumere da sempre (e quello che sta cercando di diventare) è la figura di un narratore di storie e di personaggi che vengono da lontano e che portano nel rapporto con la città di Parigi, ma soprattutto nel rapporto con l’arte e con la dimensione estrema del vivere una loro autenticità personale.

Perché hai deciso di trasmettere le tue emozioni attraverso la scrittura?

Ho studiato per almeno 6 anni pianoforte e composizione. Fino a 18 anni ero convintissimo che il mio futuro sarebbe stato quello della musica. Premetto, però, che io scrivo da sempre. Mi dicono che da piccolino, quando avevo all’incirca 3 anni, stavo sul tappeto e scrivevo per interi pomeriggi … a 7 anni avevo già un quaderno di poesie … a 12 anni lessi il mio primo romanzo “Menzogne e sortilegio” di Elsa Morante. Da quel momento è stato un crescendo di letture nuove. Ad un certo punto mi resi conto che il mio rapporto con la parola stava diventando più forte del mio rapporto con la musica. Intendiamoci: ancora oggi, se ascolto un pezzo di Chopin mi viene la pelle d’oca … però era sempre più chiaro che la musica non era la strada che avrei dovuto e voluto seguire. La parola era il “luogo” in cui potevo essere completamente me stesso, per raggiungere quel massimo di intensità ed espressività verso le quali tendevo. In effetti iniziai a studiare pianoforte sul tardi, avevo già 12 anni … tra i 18 e i 20 anni la scrittura si è impossessata di me: ho messo da parte le poesie e ho iniziato a scrivere racconti, testi di narrativa e così via.

Parliamo di “La luce e il riposo” e il viaggio che fa il protagonista …

Quello del protagonista è un viaggio che, in qualche modo, si muove verso la ricerca di qualcosa: deve consegnare un libro (che ha trovato in metropolitana) ad un uomo. Quest’uomo, che è già comparso nel libro precedente, diventa automaticamente un ideale amoroso, sentimentale. Durante la ricerca, il protagonista si imbatte in alcune figure, che sono in realtà delle presenze, degli spettri, figure di uomini e donne vissuti anni addietro che, sempre a Parigi, hanno trovato una direzione nel piano dell’amore e della creatività perché sono tutti grandi artisti del passato. È un libro sull’inseguimento. Ci sono anche dei momenti di riposo, durante i quali il protagonista contempla Parigi, vive in questa dimensione onirica, ma di base è un romanzo di fughe verso questo ideale estetico, che accomuna poi tutti i personaggi descritti.

In tutti i miei libri c’è sempre questo bisogno di cercare Parigi per cercarsi e ritrovarsi. Parigi è un labirinto che sfugge a chi tenta di possederlo … a questo punto qual è la maturazione del personaggio? Rendersi conto che Parigi è stato un pretesto per una ricerca che è tutta interiore. Parigi è un luogo ideale, potrebbe essere Vienna, Berlino … come dice il poeta greco Konstantinos Kavafis “Itaca non è la meta che devi raggiungere, ma è quella spinta che ti ha portato a viaggiare”.

“Solo a Parigi e non altrove. Una guida sentimentale”. A chi è dedicata? A quale tipologia di lettore?

Non ha un lettore ideale. E’ una guida sentimentale perché ti porta attraverso la dimensione d’amore che hanno vissuto gli artisti. Però, allo stesso tempo, è un romanzo di formazione perché il personaggio perde un amore, ne incontra un altro. E, come sempre accade, subisce un’evoluzione, una crescita. Ed è anche un diario di viaggio perché è un reportage di come muoversi per la città. Quindi ci sono diverse stratificazioni per altrettante tipologie di potenziali lettori.

“Quel nome è amore. Itinerari d’artista a Parigi” …

Anche qui abbiamo degli itinerari. Il mio tentativo, in queste storie, è creare dei piccoli cammei in cui rappresento delle esistenze esemplari di artisti che sono diventati immensi nell’arte come Jean Cocteau, Raymond Radiguet, Jean-Frédéric Bazille o Carlos Casagemas, pittore amico e rivale di Pablo Picasso.

Ha una conoscenza culturale a 360 gradi. Si destreggia con facilità tra pittura, scrittura, poesia e quant’altro. Provo leggera soggezione a relazionarmi con lui. Eppure, nulla in Luigi La Rosa lascia trasparire atteggiamenti di superiorità: è un uomo semplice, che ama condividere e mettersi in discussione.

Messina e Parigi … così distanti, così vicine. E decisamente poetiche …

Sì. Il luogo in cui sono nato e il luogo in cui sono rinato, rispettivamente. In realtà sono l’antitesi: la radice da cui mi stacco volontariamente (sebbene con un certo dolore) e la meta che scelgo con egual dolore perché lì ti assumi delle responsabilità. E’ un paese straniero, una lingua che non è la mia … adesso è diverso, ho tanti amici lì, ma all’inizio ero completamente solo. I due poli di un cammino ideale … la nascita e il punto di arrivo. Ammetto anche di essere molto combattuto tra i due poli, sento costantemente il bisogno di ritornare non solo a Messina, ma proprio in Italia. Parigi è la mia città, la amo incondizionatamente, ma non posso fare a meno dell’Italia e non sono in grado di rinunciare alla cultura che mi ha formato, che mi appartiene. Parigi è un arricchimento perché si aggiunge a ciò che era già mio, pensa al Rinascimento per esempio. Grazie al Rinascimento ho potuto quindi apprezzare e comprendere l’Impressionismo.

Che tipo di amore vivi? Sei uno di quelli che riesce ad essere distaccato o ti lanci a capofitto?

 

 

Io mi lancio completamente a capofitto! Vivo l’amore di pancia, di viscere. Il cervello e la razionalità li metto da parte. Anzi, ti dirò: quando sono innamorato, la razionalità la vedo proprio come una nemica. Il che mi porta a commettere dei casini assurdi (ridiamo amaramente), do delle capocciate terribili dalle quali devo poi riprendermi. Non mi pento del mio modo di amare perché sono situazioni che mi lasciano delle cose molto forti, sia in termini di passione sia di dolore e ferite. Ho un rapporto molto passionale e conflittuale con l’amore … è una forza per me necessaria, ma sento anche la crisi che genera in me.

Strano.

Normalmente, un personaggio famoso, un personaggio pubblico, è solito porsi di fronte all’intervistatore o ad un pubblico di potenziali acquirenti con l’aplomb di chi non ha dubbi, che sa perfettamente ciò che vuole.

Qui, invece, accade esattamente il contrario: Luigi mette in mostra i suoi punti deboli. Li espone senza timore di apparire imperfetto. Sa che sono parte di sé e, senza di essi, non sarebbe più l’uomo che ha visto crescere umanamente e culturalmente in tutti questi anni. L’amore gli dona e gli toglie qualcosa ogni volta, se ne rende conto. Eppure, non può farne a meno. Gestire le emozioni è complesso, soprattutto quando a viverle è una persona di una sensibilità così evidente come nel suo caso.

Qui da noi si dice che, quando un essere umano si fa male soprattutto in amore, poi gli altri lo devono venire a raccogliere con il cucchiaino. Tu ti fai aiutare dagli amici o ti salvi da solo?

Lo diciamo anche a Messina! Sai una cosa? Non solo mi faccio salvare quando l’amore finisce … io, già mentre sto vivendo il tormento dell’amore, giornalmente ho i miei preziosi amici, quelli più cari che mi tengono d’occhio e mi danno consigli. Il problema è che ho una testa mia e, dopo aver parlato con loro, faccio completamente l’opposto di ciò che mi hanno detto (ride fragorosamente). Ringrazio la vita per questi amici che mi vogliono un bene enorme … talvolta mi lasciano cadere perché sanno che il farmi male è necessario, ma allo stesso tempo mi dicono “Cadi pure, tanto ti rialziamo noi!”

Quanto di personale c’è nelle storie che racconti?

Tantissimo: quando scrivo io divento il personaggio. Avverto proprio il bisogno di entrare nelle storie che racconto, di farne parte. Divento contemporaneamente Raymond Radiguet, Carlos Casagemas … considera che, mentre le scrivo, io sto male … percepisco i crolli, sento le cadute, le accensioni, ma mi porto dietro anche le leggerezze, le passioni. Non è un caso che, nei miei libri, non si capisca mai perfettamente dove termini il personaggio e dove inizi Luigi La Rosa. E quando anche ti sembra di averlo capito, è un bluff perché c’è molto altro. E’ un gioco che coinvolge il lettore.

Aggiungo: c’è molto di me, ma anche di quello che mi piacerebbe essere. La forza, il coraggio che talvolta mi mancano, ma possiedo il desiderio di ottenerle, farle mie.

Spesso mi dicono “E’ strano … è una storia tragica, eppure si esce dal libro con una passionalità e una leggerezza inaspettate”. Il tutto avviene perché la passione e l’intensità dei protagonisti li riscatta in pieno.

Empatia. Ecco il suo tallone d’Achille: provare ciò che provano gli altri. Provare troppo. Impossibile chiedergli di agire diversamente: significherebbe rinnegare la sua vera natura. E’ una piccola condanna dell’essere, anche se dà l’idea di convivere bene con  i suoi “limiti”, sempre che così si possano definire …

Sei stato ospite di Rain Arcigay Caserta Onlus per presentare “Quel nome è amore”. Che impressioni hai avuto della serata e dell’associazione?

Mi sono trovato benissimo! Un gruppo di persone meravigliose. Mi è piaciuto tanto il senso di unione, amicizia, libertà e rispetto. C’è l’impegno, il confronto che non è sempre frequente, purtroppo. Ideali, sentimenti, passioni … tutto ciò è molto bello davvero. E’ stata un festa, tanto interesse nei confronti del libro. Auguro a Rain un lavoro costante di crescita, perché di queste associazioni ne abbiamo tanto bisogno. Spero rimanga invariato il senso di giocosità, perché questo spirito di amicizia è unico.

Qual è il film della tua vita e perché?

Ne ho diversi, ma quello che rivedo sempre con maggiore struggimento è “Il favoloso mondo di Amelie” perché c’è quella dimensione di candore, mista a diversità, che sento molto nel mio rapporto con Parigi. Il personaggio interpretato da Audrey Tautou mi assomiglia tanto: da un lato è una sognatrice, ha un’idea estetica della vita, ma è anche una diversa, per certi versi può sembrare strana, esce dagli schemi. Quel suo senso di poesia mi ha fatto innamorare di Parigi per la prima volta. Tra le altre cose … più di metà del libro è stato scritto nel bar in cui è girato “Amelie”. Un localino delizioso a Montmartre … dietro di me c’era la locandina del film, il nanetto in bagno e così via.

Se dovessero trarre un film da uno dei tuoi libri, quali attori vorresti?

Per il mio ultimo libro? Sicuramente vorrei Michael Fassbender nel cast, un attore pazzesco. E Meryl Streep! Un’attrice e una donna dal fascino infinito.

E adesso marzulliamo : fatti una domanda e datti una risposta                                                                                                                                                             

“Ma ti stancherai mai di Parigi?” La risposta, ovviamente, è NO! Spesso gli amici mi dicono che, con il passare del tempo, anche questa città diventerà come tutte le altre. Invece a me succede l’opposto: più passa il tempo, più sento la necessità di viverla e conoscerla ulteriormente.

Prima di salutarci, rivolgo a Luigi un’ulteriore domanda … “Una piccola curiosità: ma hai mai visto Midnight in Paris?” “Certo” risponde all’istante “Dodici volte! Lo amo da morire!”

Non avevo alcun dubbio …

Luigi La Rosa : Parigi, la mia salvezza e la mia rinascita was last modified: giugno 1st, 2017 by L'Interessante
1 giugno 2017 0 commenti
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Volontariato
CulturaEventiIn primo piano

Storie di Volontariato del CSV Asso.Vo.Ce

scritto da L'Interessante

Volontariato

Di Christian Coduto

Il Centro di Servizio per il Volontariato della provincia di Caserta CSV Asso.Vo.Ce. ha lanciato nelle scorse settimane la campagna di comunicazione “Storie di Volontariato”: l’obiettivo primario è quello di raccontare storie esemplari del volontariato, ma anche portare le persone a riflettere su come il Centro di Servizio per il Volontariato Asso.Vo.Ce., in più di dieci anni di attività, abbia contribuito alla crescita e al consolidamento delle organizzazioni di volontariato casertane, in maniera professionale e assolutamente gratuita.

Cos’è la campagna di comunicazione Volontariato del CSV Asso.Vo.Ce.?

“Storie di volontariato” si compone di una serie di azioni tese a raggiungere una platea il più ampia e variegata possibile: chi non ha mai fatto volontariato (e magari è un po’ diffidente), chi è già nel settore e desidera maggiori informazioni, chi fa già volontariato e ancora non sfrutta appieno i servizi del CSV Asso.Vo.Ce. e così via.

La parte più “visibile” della campagna “Storie di Volontariato” è rappresentata dai manifesti 6 x 3 che da diverse settimane hanno fatto la loro comparsa in provincia di Caserta.

I manifesti, che rappresentano volontari nell’esercizio delle loro attività, raccontano tre “modi” di vivere la solidarietà: l’integrazione sociale delle persone con disabilità (nel caso specifico, coinvolte in un’azione di agricoltura sociale), il supporto scolastico di minori a rischio di esclusione e la riqualificazione di spazi urbani in disuso. Lo slogan “Loro avevano la volontà di cambiare le cose. Noi avevamo la volontà di aiutarli” si ricollega alla libera scelta del volontario di aiutare gli altri, ma anche al percorso di qualificazione e crescita del volontariato che il CSV Asso.Vo.Ce. offre alle associazioni di volontariato della provincia di Caserta: dalle consulenze progettuale ai servizi logistici, passando per i corsi di formazione e per i servizi di assistenza fiscale e legale.

E’ online dal 28 aprile il sito www.storiedivolontariato.it, che rappresenterà il collettore di tutte le attività del progetto.  Oltre alle foto dei manifesti e a una serie di informazioni utili per fare volontariato, il sito riporta una serie di approfondimenti sui “volontari storici” della provincia di Caserta, con interviste mirate e racconti personali. Il sito, in continuo aggiornamento, riporterà tutte le novità della campagna.

Nelle prossime settimane sarà completato il percorso di ricerca e le interviste “di caso” che porteranno alla pubblicazione del volume “Storie di volontariato”, prevista per fine settembre. Sono state raccolte le testimonianze di circa 70 volontari, incontrati singolarmente o in occasione di focus group tematici.

Il presidente del Centro di Servizio per il volontariato Asso.Vo.Ce. Camillo Cantelli esprime la propria soddisfazione per la campagna in atto: “Con Storie di Volontariato, il CSV restituisce voce, immagine e corpo a chi negli anni si è dedicato agli altri, a promuoverne i diritti, a sostenerne le lotte, a creare occasioni di sviluppo. Siamo orgogliosi”  prosegue “di dare la possibilità ai volontari di raccontare se stessi e le loro storie, il loro impegno e l’impatto sociale delle loro azioni sul territorio e sulla comunità”.

Il CSV Asso.Vo.Ce., è uno dei 5 centri istituiti dal Comitato di Gestione del Fondo Speciale regionale della Campania. E’ situato in Via Cappella la Rosa 47, a Maddaloni.

Ha compiti relativi alla crescita della cultura della solidarietà, alla consulenza e all’assistenza qualificata a volontari ed associazioni, alla formazione e alla qualificazione, all’informazione e alla documentazione.

Offre servizi di varia natura: Servizi logistici (Uso delle strutture e delle sale riunione, prestito dei beni, servizio fotocopie, servizi stampe a colori …), Consulenze Specialistiche (Consulenze amministrative – fiscali  di base e specialistiche, Consulenze legali di base e specialistiche, Consulenza e supporto alla progettazione sociale), Informazione e comunicazione (Ufficio Stampa, Newsletter – Attività di news-making, Pubblicizzazione eventi, ideazione grafica brochure e volantini, campagne di comunicazione), Corsi di formazione per volontari e aspiranti volontari, Promozione del volontariato (Promozione del volontariato giovanile, Servizio Civile/Garanzia giovani, Attività di sensibilizzazione ed informazione sulle opportunità connesse al mondo del volontariato), Progettazione sociale (Consulenza progettuale, Servizio Informa bandi), Ricerca e documentazione ( Banca dati volontariato, Centro di documentazione/Prestito libri, Trova associazioni).

Per info ed eventuali:

Ufficio Stampa CSV Asso.Vo.Ce.

Diana Errico

n. di telefono: 0823/326981

e-mail:

comunicazione@csvassovoce.it

Storie di Volontariato del CSV Asso.Vo.Ce was last modified: maggio 25th, 2017 by L'Interessante
25 maggio 2017 0 commenti
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Rain
CulturaEventiIn primo piano

Rain Arcigay Caserta Onlus: PhotoMarathon, sabato 20 maggio

scritto da L'Interessante

Rain

Di Christian Coduto

Un messaggio rivolto ai numerosissimi amanti della fotografia del territorio campano che, di sicuro, non mancheranno all’appello!

Per dare libero sfogo alla fantasia e all’arte, ecco una splendida iniziativa (dai fini nobili) organizzata dal comitato di Rain Arcigay Caserta Onlus, di cui riportiamo il comunicato stampa

Descrizione dell’evento PhotoMarathon di Rain Arcigay Caserta Onlus

Una gara di 12 ore i cui concorrenti si sfideranno a colpi di scatti fotografici rigorosamente entro i confini di Caserta: è questa la PhotoMarathon, maratona fotografica, in programma sabato 20 Maggio dalle 12.30 alle 20.00 .

L’evento è organizzato da Rain Arcigay Caserta onlus ed inserito in MAGGIOinPRIDE 2017, la rassegna di eventi a Caserta inaugurata mercoledì 17 Maggio (Giornata Mondiale contro omofobia e transfobia) e che durerà fino alla fine del mese, per sensibilizzare sulle tematiche LGBT.

I concorrenti, dopo essersi iscritti sul sito

http://www.rainarcigaycaserta.it/photomarathon/

(sul quale andranno caricate le foto), si presenteranno sabato alle 12.00 a Via Verdi 15 armati di liberatoria e vestiti di giallo in modo da essere riconoscibili, visto che le foto, scattate rigorosamente in città lungo l’arco della giornata, potranno essere realizzate coinvolgendo comuni cittadini/e e turisti/e .

Tutti i mezzi tecnologici potranno essere usati per gli scatti.

Una giuria di esperti (fra cui Pietro Junior Zampella e Dario Alifano) decreterà i vincitori.

In palio premi messi a disposizione da NCItaliaFoto :

http://www.ncitaliafoto.com

Tutte le foto saranno in mostra presso la sede di Rain Arcigay Caserta onlus, in Via Verdi numero 15, Caserta.

Questo il Link all’evento

https://m.facebook.com/events/1866289080310321?acontext=%7B%22ref%22%3A%2298%22%2C%22action_history%22%3A%22null%22%7D&aref=98

Ecco i contatti telefonici e gli indirizzi telematici per info ed eventuali:

Il Presidente: Bernardo Diana – presidente@raincaserta.it

Numero di cellulare +39 3274658281

Addetto Ufficio Stampa: Gianuario Cioffi – ufficiostampa@raincaserta.it

Numero di cellulare +39 3472234961

Rain Arcigay Caserta onlus

Via Verdi 15, 81100 Caserta

Numero Telefonico +39 0823 1607485

Sito web: www.rainarcigaycaserta.it

Contatto Facebook: https://www.facebook.com/rainarcigaycaserta/

Rain Arcigay Caserta Onlus: PhotoMarathon, sabato 20 maggio was last modified: maggio 19th, 2017 by L'Interessante
19 maggio 2017 0 commenti
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Raffaele
CulturaEventiIn primo pianoTeatro

Raffaele Patti e Teresa Perretta: Cyrano, uno splendido perdente.

scritto da L'Interessante

Raffaele

Di Christian Coduto

Al Teatro Izzo di Caserta, un pubblico numerosissimo e concentrato, ha seguito con molta attenzione il riadattamento del “Cyrano De Bergerac” di Edmond Rostand ad opera di Raffaele Patti, che ne ha curato la regia e si è ritagliato il ruolo del protagonista. La storia è nota: Cyrano è un uomo brutto (ha un naso enorme), ma ha una meravigliosa sensibilità. E’ innamorato di Rossana, a sua volta interessata a Cristiano, un ragazzo molto affascinante, ma sicuramente privo di quel dono dell’oratoria, dell’intelligenza e di quella emotività che caratterizzano invece il protagonista della vicenda. Cyrano decide quindi di sacrificarsi e di prestare la sua voce, il suo cuore e la sua mente a Cristiano, scrivendo frasi d’amore dedicate a Rossana.

Lo spettacolo è forte, intenso, di grande spessore. Raffaele Patti la fa da mattatore, con un amabile aplomb gigionesco. Al suo fianco, la solida professionalità di Teresa Perretta, una convincente Rossana. Non è da sottovalutare, infine, la bella prova di Gabriele Russo che, nello rappresentazione, è ovviamente Cristiano.

Un progetto che mescola elementi di varia natura (musiche moderne, un ottimo gioco di luci, un allestimento minimalista per emozionare nella maniera più immediata possibile), con un ritmo sostenuto.

Diverse sono state le versioni di questa opera, tra le più note ricordiamo quella con Gigi Proietti e una versione cinematografica con Gérard Depardieu, senza trascurare la commedia americana “Roxanne” con Steve Martin e Daryl Hannah. Patti ha scelto un approccio decisamente più drammatico, con risultati eccellenti.

Al termine dello spettacolo, attendo i due protagonisti nei pressi dei camerini e scambio con loro opinioni sul lavoro. Sono molto felici, orgogliosi.

Raffaele Patti ci racconta della genesi del Cyrano

Raffaele, perché la scelta di Cyrano De Bergerac? Perché lanciarsi in questa sfida così insidiosa?

Conoscevo, un po’ come tutti, la figura di Cyrano seppure negli elementi di base, quelli più comuni (il nasone e l’aspetto estetico poco piacevole, per esempio). Poi, una sera di un paio di anni fa, mi sono imbattuto nella replica televisiva di una trasmissione curata da Alessandro Baricco, “Miti ed eroi”. In quell’occasione si parlò, tra le altre cose, proprio del personaggio ideato da Edmond Rostand. Ne rimasi talmente colpito che, nei giorni successivi, decisi di approfondire meglio il testo. Sono sincero: è stato amore a prima vista! La prima lettura è stata sicuramente appassionata … questo romanticismo, questo stoicismo nel rincorrere Rossana … già in quel momento incominciai a pensare alla possibilità di poterlo rappresentare a teatro. Ci sono state tante rappresentazioni di “Cyrano”, ma ammetto di non averne mai vista una. Il che, da un certo punto di vista, è una cosa estremamente positiva: una visione vergine, se posso definirla così, mi permette di non essere influenzato in alcun modo. Si evita di cadere, anche senza volerlo, in qualche forma di citazionismo. Ho semplicemente intersecato le mie passioni cinematografiche, musicali e teatrali e le ho messe nello spettacolo. La storia è stata dunque asciugata, scarnificata. Anche perché sono convinto che, per Rostand, lo scopo fosse proprio questo: cogliere l’essenza della storia. Non a caso, l’originale è suddiviso in 5 atti (qui sono 3) ed è una commedia. Io ho scelto di virare nel terreno drammatico.

E’ insidioso, così come lo sono tutti i testi classici, però credo che un approccio nuovo, coraggioso alle opere del passato sia necessario per chi ama il lavoro di attore. Il sacro deve essere dissacrato, non nel senso di svilirlo, svalutarlo, ovviamente, bensì ricreando una struttura che vada in una direzione diametralmente opposta all’originale.

Al di là dell’impegno, mi piace sottolineare come l’approccio del protagonista nei confronti della vita, il suo coraggio sia stato un’ispirazione non solo per me, ma anche per gli altri attori sul palco.

Raffaele ha una voce amichevole. Sorride in maniera garbata. Ascolta con molta attenzione le mie impressioni. Com’è giusto che sia, trae profitto dai feedback che riceve dal pubblico. Ha lavorato tanto per portare in scena questa storia. Sente il bisogno di raccontare, di spiegare, di fare capire il perché delle sue scelte. Ogni tanto si lascia andare a qualche risata liberatoria. E’ un professionista, senza ombra di dubbio.

Da un punto di vista linguistico lo spettacolo è strutturato in rima. Quanto è stato impegnativo il lavoro per dare i giusti accenti ai dialoghi?

Devi sapere che non avevo mai lavorato con un testo in rima. C’è bisogno di un ritmo completamente diverso. Noi non abbiamo suggeritori a darci una mano, sul palco siamo solo in tre! Quindi è stato necessario un lavoro di memoria e di consapevolezza del testo molto approfondito, così come è stato necessario individuare la giusta ritmica da proporre poi agli spettatori. Confrontarsi con un testo come il “Cyrano” è stata una sfida vera e propria: c’era un paletto poetico/linguistico e da questo sono state liberate le emozioni, la parte emotiva tua e del personaggio che interpreti, ovviamente. E’ stato un anno impegnativo, ma che ha permesso a me e ai miei colleghi di crescere artisticamente.

Lo spettacolo è stato già portato in scena per le scuole. Come affrontano i ragazzi questa storia così forte, drammatica?

Ecco un’altra sfida! Molti insegnanti mi chiedevano se fosse adatto ad un pubblico di giovanissimi. Io rispondevo con convinzione di sì, ma il dubbio si insinuava. Per fortuna, sin dalla prima rappresentazione, al Liceo Scientifico di Marcianise, ci siamo resi conto che i ragazzi hanno un approccio forte, di grande passione nei confronti di questa drammaticità. Sono sempre coinvolti. Tra le altre cose, abbiamo guidato questi spettatori, facendoli entrare a mano a mano nella storia: abbiamo organizzato un dibattito dieci, quindici giorni prima della rappresentazione in cui abbiamo parlato del testo, dei personaggi e così via. Dopo lo spettacolo, c’è stato un secondo dibattito, proprio per portare a compimento l’intero progetto.

Cyrano è un eroe romantico. Si dice che un attore metta sempre qualcosa di sé nei ruoli che interpreta. Quanto c’è di Cyrano in Raffaele e di Raffaele in Cyrano?

In maniera volontaria o involontaria, capita sempre di mettere qualcosa di te nel personaggio. Con Cyrano e’ stato uno scambio reciproco. Il personaggio mi ha fatto comprendere i miei limiti, attraverso i suoi. La cosa più bella che mi ha donato è stato l’ affrontare la vita con coraggio, nonostante il fallimento. Alla fine c’è la battaglia contro i suoi nemici: la menzogna, i compromessi, la viltà e la stupidità. Tutti, per amore.

Nello spettacolo ho messo molti dei miei errori, i miei “fallimenti”, ma anche la volontà di affrontarli e di riscattarmi.

Dove vi porterà la tournée di Cyrano?

Ovunque! Per ciò che concerne la Campania: Napoli, Salerno, Benevento, Avellino … ma incrocio le dita anche per portare questo progetto in altre regioni. Di sicuro verrà presentato in diverse rassegne, alcune di portata nazionale. Vincere dei premi sarebbe un sogno e una grande soddisfazione. Sul “Cyrano” continuiamo a lavorare giornalmente: i personaggi sono in perenne trasformazione, lavoriamo sulle scene in maniera costante. Poi, prima dell’estate, inizieremo le prove di un nuovo spettacolo, ma non posso anticiparvi nulla!

Passiamo ora a Teresa Perretta

Una cosa che ho sempre amato di questo spettacolo è il fatto che i protagonisti si evolvano nel corso della vicenda. Rossana è il caso esemplare …

Parliamo di maturazione di un processo evolutivo. E’ quello che Rossana fa ed è più evidente rispetto agli altri due personaggi che, soprattutto nel caso di Cristiano, sono un po’ costretti dagli eventi. Rossana invece si evolve autonomamente. Credo che sia il suo aspetto più interessante. Una ragazzina che diventa donna. Sono sincera: all’inizio ho rifiutato un po’ questa ragazzetta perché non mi apparteneva. Troppo superficiale e furba, calcolatrice. Ma poi, con la maturità, si accorge che la verità è ben altro rispetto all’essere fisicamente e al saper parlare in un certo modo. Questo passaggio mi ha affascinato. Però ammetto che l’affrontare questa trasformazione non è stato affatto facile. Il motivo è semplice: lo sappiamo … nella vita reale, una crescita richiede molto tempo, un rapporto costante con te stesso e con gli altri. Nel riadattamento realizzato da Raffaele il tutto avviene invece con tempistiche più ristrette.

Rossana ama Cristiano che è bello e (crede) poetico ed intelligente. Però lo amerebbe anche se fosse brutto. In tutta onestà, se al posto di Rossana ci fosse stato un uomo, credi che avrebbe avuto lo stesso comportamento con una donna bruttina?

Non credo ci siano differenze tra uomini e donne in questo contesto. Sì, volendo seguire dei luoghi comuni, forse la donna ci arriva prima dell’uomo (scoppia a ridere). Però voglio andare al di là delle solite analisi. Anche perché credo che il tutto dipenda dall’uomo coinvolto, dalla sua sensibilità, dalla sua emotività, dalla sua empatia. Una donna è più predisposta a certi passaggi sia fisicamente sia emotivamente. Però l’uomo non è da meno. Il cuore è quello.

In alcuni casi lo si dà troppo per scontato.

Secondo me sta all’uomo decidere di cogliere e portare con sé quei passaggi viscerali tipici dell’amore. Così facendo può fare in modo che crescano. E’ un percorso totalmente soggettivo, si basa su una scelta: quella di ricercare la verità e di ottenere un equilibrio relazionale e non solo. Di sicuro c’è bisogno di tanto coraggio … eh, hai detto niente! (Ride di gusto).

Il fatto è che siamo troppo soggetti alle convenzioni sociali e molto spesso abbiamo quasi paura di imporci ad esse. Le nostre scelte sbagliate dipendono anche da questo, indipendentemente dal fatto che sia un uomo o una donna a farle.

Rispetto al personaggio che ha interpretato sul palco (inevitabilmente più controllato), dietro le quinte, Teresa è un vero e proprio uragano: trascinante e coinvolgente. Ogni frase è substrato per una nuova battuta. E’ il suo modo di scaricare la tensione, lo si capisce al volo. Nel corso dell’intervista rivela una personalità assai complessa ed articolata.

Sei romantica? Ti piace l’idea del rapporto epistolare? Tra Whatsapp et similia sembra destinato a svanire…

Bella domanda! Sì, sono estremamente romantica. In un primo momento non ho amato moltissimo questi social. Hanno reso sterili i rapporti umani, li hanno resi frettolosi, privandoli di un contesto romantico, poetico. Non sono contro il progresso, sia chiaro, ma questi nuovi contesti di comunicazione dovrebbero essere utilizzati nel modo giusto. Se ne fa un uso spropositato. Dovrebbero rendere la vita più semplice e ce l’hanno invece rovinata. Adoro la corrispondenza epistolare: da bambina scrivevo un sacco di lettere alle mie amiche delle vacanze. Adesso si usano le e mail, i messaggi e i vari programmi di messaggistica. Io cerco di usarli per lavoro. Però un sentimento non si esprime così … non c’è paragone con il profumo del foglio, il colore dell’inchiostro della penna, la forma delle lettere. Mi dispiace per le nuove generazioni, che non hanno avuto l’opportunità di poter vivere il sapore dello scrivere una lettera. Durante i laboratori con i ragazzi abbiamo fatto spesso questa domanda “Avete mai scritto una lettera?”  La risposta è triste. Preferiscono il whatsapp.

Ma poi … vogliamo parlare dell’attesa? Il tempo necessario per ricevere la risposta, l’immaginarsi quello che c’è scritto. Sono cose indescrivibili, uniche! Mi appartengono perché le ho vissute.

Secondo me i ragazzi dovrebbero essere rieducati a scrivere lettere in italiano, senza la x al posto del però e del perché e così via. Io le chiamo le parole mozzate.

Recentemente, cinque o sei mesi fa, ho scritto una lettera troppo bella ai miei genitori. Sai che li ho fatti commuovere?

No, non c’è proprio paragone!

Saluto i due giovani attori, augurando loro che questo progetto possa portare loro le più belle soddisfazioni umane ed artistiche.

Raffaele Patti e Teresa Perretta: Cyrano, uno splendido perdente. was last modified: maggio 17th, 2017 by L'Interessante
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