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Categoria

Musica

Antonio
CinemaCulturaIn primo pianoMusica

Antonio Zannone: Io Pulp? Sì, ma con gusto!

scritto da L'Interessante

Antonio

Di Christian Coduto

Arrivare a Cellole, stamattina, ha richiesto un po’ di tempo. Complice sia il traffico sia la mia assoluta ignoranza geografica. Attendo Antonio in un bar al centro della città. E’ in leggero ritardo. Provo a chiamarlo sul cellulare. Non mi risponde. Gli invio dei messaggi sui social: anche qui, nessun segnale.

All’improvviso vedo comparire Antonio sull’uscio del locale. Abbigliamento sportivo, una maglietta a maniche corte. Occhiali da sole d’ordinanza. Si gira intorno. Incrocia il mio sguardo e non mi saluta. Si avvicina al tavolino dove sono seduto. “Sto locale è per fighetti” esordisce “Vieni con me”.

Mi conduce per delle stradicciole di campagna, usciamo dalla città. “Uh, un po’ come nei tuoi corti horror” gli dico. “Già” la sua risposta.

Arriviamo nei pressi di Baia Domizia, in un bar scalcinato. “Qui abbiamo girato alcune esterne di The Pyramid perché, d’inverno, si svuota ed assume una forma post apocalittica”. Solo allora inizia a sorridere. Ci sediamo e ordina due birre. Dopo aver visto la mia faccia contrariata, fa spallucce “Le birre rimangono sempre due, me le bevo io ugualmente”.

In un habitat a lui più congeniale, Antonio ritorna ad essere se stesso: un ragazzo che non ha alcun interesse nei confronti delle mode e di tutto ciò che fa tendenza. Si toglie gli occhiali e tira fuori tutta la sua simpatia. Comprendo ora il perché del suo atteggiamento iniziale …

Antonio Zannone risponde alle domande de “L’interessante”

Chi è Antonio Zannone?

La domanda più difficile in assoluto: io non parlo mai di me, mi imbarazzo. Anche quando mi chiedono “Cosa fai?” ho difficoltà a rispondere. Non mi prendo mai troppo sul serio. Come se tutto fosse un bellissimo gioco. Una mia cara amica dice che le ricordo Percy Shelley che va incontro alla tempesta, perché mi butto nelle cose, senza aver paura delle conseguenze. Osservo tanto, parlo molto poco, solo quando ho veramente qualcosa da dire. Forse è per questo che ho iniziato a fare cinema, comporre musica … sono due mezzi espressivi che mi permettono di dire tutto ciò che ho dentro.

Quando nasce la passione per il cinema di Antonio Zannone?

Non ho un ricordo preciso, in realtà. Però ti posso dire una cosa: da piccolino, guardando “Ben-Hur” in televisione con mio nonno, lui mi disse “Li vedi quei cavalli? Sono della scuderia di mio cugino!” In una sequenza c’è anche lui: una comparsa a cavallo! Avevo 5/6 anni … pensai che fare cinema fosse davvero bello. Con mio papà guardavo i western di Sergio Leone che, tra le altre cose, è stato regista di seconda unità proprio di “Ben-Hur” … vedi che tutto torna ? (Sorride). Ad 8 anni ho visto “Zombi 2” di Lucio Fulci con mia mamma, di notte. I miei genitori mi hanno sempre permesso di vedere la tv fino a tardi. Figurati, alle elementari, ero l’unico che poteva vedere “Twin peaks” di David Lynch. Il giorno dopo mi sentivo molto figo perché tutti mi chiedevano notizie in merito a questo serie (ridacchia). Nel tempo, rubai una videocamera super vhs nel negozio di elettrodomestici della mia famiglia. Nessuno la comprava e la presi: aprii semplicemente la vetrina e iniziai a girare le prime cose, a sperimentare.

Nel 2006 Antonio Zannone esordisce con il corto “L’assassino nel Diavolo” ed è subito pulp! Due anni dopo arriva “Il sequestro e la rapina”. Lo stile ben definito, che oramai già gli appartiene, e una storia che riserva davvero tante sorprese …

Sì sono d’accordo. Avevo già nella mia mente un quadro piuttosto chiaro del tipo di cinema che volessi fare. Però, prima, dovevo apprendere il linguaggio cinematografico, conoscere le regole di base, è una cosa fondamentale! Poi c’è Tarantino che, a quanto si dice, non ha mai studiato … ma questa è un’altra storia (ridiamo). “L’assassino del Diavolo” lo girai proprio con  due amici, mia cugina e la videocamera di cui ti parlavo prima! Non scrissi nemmeno la sceneggiatura … ero davvero tutto improvvisato. C’era solo l’amore per i B movie! Mi sono divertito da morire a lavorare con il lattice, il sangue finto, tutta la parte degli effetti è stata molto interessante. Lo inviai pure a diversi Festival, ma da un certo punto di vista non lo considero nemmeno un esordio, quanto piuttosto un divertissement tra amici.

“Il Sequestro e la rapina” è un corto piccolino, quasi amatoriale, ma è anche vero che ho avuto un direttore della fotografia, un fonico e attori più preparati. Una vera e propria troupe. Nel cast c’è Elio D’Alessandro, che lavora moltissimo in teatro. Nel corto ci sono personaggi pulp, un po’ al limite, sopra le righe, tanto sangue, situazioni estreme e violente, le cose ci sembrano chiare, ma si rivelano essere tutt’altro, i buoni si rivelano i cattivi … insomma, quelle situazioni a sorpresa, destabilizzanti. Il classico colpo di scena. L’idea della storia mi piaceva moltissimo. Al di là dei risultati finali (lo trovo ancora imperfetto), con questo corto ho capito quale fosse la mia strada e che avrei dovuto proseguirla per bene. Così ho frequentato una scuola di cinema!

Mi colpisce subito la sua modestia. Sul set è un professionista, lavora a ritmi serrati, ma riesce ad affrontare il tutto senza prendersi eccessivamente sul serio. Per lui fare cinema è un gioco. Rimanere con i piedi per terra gli permette di affrontare nel modo giusto sia le cose belle sia le delusioni che, inevitabilmente, possono esserci in questo mestiere.

Ci parli un po’ di “S. Balentino”? Hai deciso di parlare della festa degli (orrore!) innamorati in una chiave decisamente cupa, seguendo lo sguardo di un bambino …

(Strabuzza gli occhi) Non lo so come tu faccia a sapere dell’esistenza di “S. Balentino”. E’ un corto che non è mai stato distribuito, è stato proiettato una sola volta in occasione dell’anteprima. E’ stato il primo lavoro che ho realizzato dopo aver terminato la scuola di cinema. Fui ingaggiato da una piccola casa di produzione che si occupava di progetti legati all’ambito scolastico. Me lo ricordo con piacere perché, per la prima volta, venni pagato per portare a termine l’incarico che mi era stato assegnato. Una storia carina, una favola nera, ambientata a San Valentino Torio. Lavorarono con me degli studenti di una scuola media. Il tema del corto è l’amore. Però il mio stile mi ha portato a fare una cosa decisamente meno mielosa. Ho sempre amato le favole nere, credo che si sia capito (ride). Il protagonista è un bambino che ha subito un trauma, in seguito alla morte del papà. E’ un po’ chiuso in se stesso, tende ad essere “cattivo” anche se, in realtà, non lo è per davvero. Un giorno la professoressa (una strega) gli fa una sorta di incantesimo e lui si risveglia in questo mondo in cui non c’è alcuna forma di sentimento, di amore. La madre non lo saluta, non gli prepara la colazione al risveglio e così via. In pratica, si ritrova in un mondo in cui tutti si comportano come lui. Un giorno una bimba sta per essere investita da una macchina e lui accorre a salvarla, venendo investito al suo posto. Poi, però, si sveglia e si ritrova nel suo letto e capisce che tutto era un sogno.

Una favola per bambini che, sono convinto, avrebbe potuto darci diverse soddisfazioni nei Festival come il Giffoni, per esempio. La produzione, però, non volle doppiarlo. I ragazzini coinvolti erano molto bravi e volenterosi, ma non avevano studiato recitazione. A mio giudizio il doppiaggio sarebbe stato necessario. Quindi, il progetto è rimasto lì, non ha avuto un seguito. Peccato.

Per me rimane sicuramente un’esperienza formativa, senza alcuna ombra di dubbio.

“Bastard Serial Killer! Kill! Kill!” è un omaggio di Antonio Zannone a Quentino Tarantino e Russ Meyer. Gli appassionati del genere vanno in visibilio e raggiungi le 25mila visualizzazioni sul web. Quanto è stato divertente realizzarlo?

Uh, si potrebbe parlare per ore di questo corto! La mia idea originaria era quella di girare un vero e proprio film. Capirai, avevo da poco terminato la scuola di cinema ed ero pieno di idee e di entusiasmo. Ma in Italia, soprattutto per ciò che concerne l’aspetto produttivo, le cose sono piuttosto complesse e delle idee te ne fai poco, quindi optai per un cortometraggio (sogghigna). Pensa che fui costretto a tagliarne circa 5 minuti per poterlo inviare ai Festival: per essere un corto, all’epoca, era considerato troppo lungo! Per quello che io considero il mio vero esordio, volevo che ci fosse il giusto omaggio al cinema di serie B, ma anche a Lucio Fulci, Umberto Lenzi, Ruggero Deodato … tutto quello che vedevo sin da piccolino, in pratica. E certo c’è anche Tarantino, che ha ripreso certi stili cinematografici e li ha rimessi insieme. C’è praticamente di tutto: la famiglia di malati riporta alla memoria “Non aprite quella porta”, c’è anche molto di Rob Zombie, un regista in gamba. C’è anche tanta ironia. Il che è tipico del mio carattere: io tendo a ridere un po’ di tutto, anche delle cose terribili.

La storia è quella di una banda di malviventi che rapina un furgone portavalori e il capo della banda, sotto effetto di meta anfetamina, inizia a sparare e ammazza un sacco di gente. Il gruppo riesce a trovare rifugio in una casa in campagna, dove nasconde la refurtiva. Vengono arrestati. Dopo anni escono dal carcere e vengono a scoprire che, in quella casa, ora vive una famiglia di squinternati cannibali.

Sì, è stato divertente girarlo, ma anche molto stressante: le riprese sono durate una settimana. Iniziavamo alle 8 del mattino per finire intorno alle 3, 4 del mattino del giorno dopo. Però ti dico una cosa: con l’esperienza che ho accumulato negli anni, se tornassi indietro, con il budget di allora, oggi, realizzerei quasi un intero film! Il corto vinse diversi premi, le recensioni furono davvero eccellenti.

Ecco, quindi, “Apocalypse” che entra a far parte del lungometraggio (diretto a cinque mani) “The Pyramid”. Lavori con il mito indie Alex Visani, che supervisiona l’intero progetto. Il tuo episodio si contraddistingue per l’ironia, un tuo marchio di fabbrica.

“The Pyramid” è stata una sorta di conseguenza naturale del successo di “Bastard”: Alex cercò di riunire i registi che, in quel periodo, non solo fossero più attivi, ma anche più adatti ad un progetto basato sulla collaborazione. Considera che, tra pre e post produzione e tutta la fase di presentazioni nei Festival, sono trascorsi oltre due anni. In tutto questo periodo, non c’è stato mai alcun problema tra di noi. Tutti ci abbiamo creduto molto e credo che il risultato finale sia davvero buono, soprattutto se consideri il budget bassissimo.

Alex aveva capito che, in quel periodo, stava prendendo piede la formula del film ad episodi. Però, in questo caso, il film ha una peculiarità in più: i 4 cortometraggi non sono slegati, a se stanti e poi cuciti insieme. Tutti e 4 i corti costituiscono altrettante parti della stessa storia. L’elemento che raccorda i vari segmenti, va da sé, è la piramide del titolo.

E’ stato bello prendere parte a questo progetto. Con Alex siamo entrati subito in sintonia, c’è una gran bella amicizia tra di noi. Ci ho messo del tempo perché la troupe non è stata pagata quindi dovevo attendere di averla a disposizione per girare. Gli unici soldi li ho investiti per i costumi, gli effetti speciali e i rimborsi. Abbiamo girato soprattutto nei fine settimana.   

In “The portrait” torni a lavorare con David Power, con cui avevi già girato “Apocalypse”. Quanto è importante, per la riuscita di un progetto, l’empatia regista/attori coinvolti?

Originariamente doveva fare parte di un progetto collettivo costituito da tanti cortometraggi poi, per problemi di tempo, non riuscii a completarlo. Ero impegnato in “The Pyramid”, quindi sfruttai lo stesso budget, la stessa troupe e gli stessi attori per terminarlo. E’ ispirato al racconto “Il ritratto ovale” di Edgar Allan Poe.

Il protagonista del corto è un pittore/serial killer che dipinge le sue vittime cercando di rappresentare sulla tela l’attimo in cui queste muoiono.

Per quanto riguarda David, credo che ci siano degli attori adattissimi ad interpretare un certo ruolo. Trovarli è fondamentale per realizzare qualcosa di convincente. Con lui è nata una simpatia immediata, ma soprattutto una grande stima: è un attore incredibile. Con questo corto ha vinto il premio come migliore attore alla IX edizione del The reign of horror short movie award 2014!

Parliamo di “Stigmate”, l’ultimo (capo)lavoro di Antonio Zannone …

Sei troppo buono! Beh, di sicuro credo moltissimo a questo progetto e prima o poi sono convinto che arriveranno molte soddisfazioni.

E’ stato un lavoro velocissimo: non ho mai realizzato un progetto con la stessa celerità in vita mia! Ho buttato giù la sceneggiatura in un pomeriggio, di impatto, non l’ho più ritoccata. Per questo motivo la prima stesura è stata proprio quella che ho utilizzato, al momento delle riprese. Organizzato in due giorni, girato in un giorno e mezzo, montato in una settimana. Prima di inviarlo ai Festival, ho fatto diverse prove: l’ho inviato a tutti gli amici che stimo e a coloro che fanno questo lavoro (produttori, registi, anche di mainstream). Ho ricevuto ottimi feedback.

Io ho immaginato un diverso contesto, un presente alternativo in cui la chiesa ha mantenuto un potere temporale e in cui svolge anche operazioni di polizia e magistratura. Ci ritroviamo, quindi, in questa caserma dove il signor Marlowe viene condotto in arresto perché accusato di essere un ateo. In questa situazione un po’ kafkiana, il protagonista viene sottoposto a diverse angherie psicologiche e fisiche, fino a quando non verrà trasformato in un martire da utilizzare a proprio vantaggio dalla chiesa, da mostrare ai fedeli. La religione, in realtà, l’ho utilizzata come pretesto per raccontare la storia del potere che fa delle nostre vite ciò che vuole. Anche quando parliamo di democrazia. Non è affatto un corto contro chi crede in Dio, mi preme ribadirlo, bensì sull’uso subdolo che il potere ha sempre fatto delle religioni. In più, volevo portare le persone a riflettere sul fatto che nel nostro paese non esista il reato di tortura.

Il corto è stato presentato, in anteprima, al Napoli Film Festival con molto successo.

Antonio Zannone, però, è anche un musicista …

Beh, sono un musicista non professionista. Anche se ho sempre suonato, sin da piccolo, per me la musica è soprattutto uno sfogo. In questi anni ho suonato tantissimo, ho fatto molti concerti con “I Malpertugio” e “This is not a brothel”, ma anche con progetti solisti, perfino all’estero. Però la musica rimane soprattutto una passione. La mia vera professione è quella del film-maker.

 

Hai realizzato tanti videoclip per diversi musicisti: Il Malpertugio, Lain, Carbonifero … trasformare in immagini le note musicali è complesso, soprattutto considerando che devi raccontare una storia in un intervallo di tempo, spesso, piuttosto ristretto?

Allora … quando ho iniziato a girare dei video, le prime cose riguardarono, ovviamente, proprio i miei progetti musicali. Il mio video più famoso, in tal senso, è “Zany zoo” con un featuring di Roberta Gemma. Questi lavori sono piaciuti molto e tanti altri musicisti, diverse band, mi hanno contattato affinché realizzassi per loro delle clip. Considero i videoclip uno svago, un momento di relax azzarderei. Hanno un linguaggio differente rispetto a quello cinematografico, non ci sono vincoli di sceneggiatura. Puoi affidarti alle immagini. In aggiunta a ciò, il mondo dei videoclip è assai vicino al surrealismo e questa è una cosa che mi piace tanto, soprattutto per ciò che riguarda la pittura. Mi ispiro ai quadri di Dalì, Max Ernst. Non sei obbligato a raccontare una storia … per me è estetica.

Si gira spesso intorno, osserva tantissimo, riuscendo contemporaneamente a rispondere alle mie domande. E’ un animo inquieto, ha molto da dare.

Antonio … domanda multipla: ultimo film visto al cinema, ultimo cd acquistato, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.

Non vado spesso al cinema perché mi irrita quando le persone sedute accanto a me iniziano a smanettare con il cellulare. Ciononostante, ho visto due volte “Lo chiamavano Jeeg Robot”. Al teatro non vado mai. Compro moltissimi vinili, l’ultimo è stato “Unknown pleasures” dei Joy Division.

 

Cosa dobbiamo attenderci da Antonio Zannone per questo 2017?

Come prima cosa: creare una mia casa di produzione. Ci sto già lavorando. La fonderò a Dubai, molto probabilmente. Da settembre vorrei trasferirmi. C’è un buon equilibrio tra le tasse da pagare e tutte le altre spese che ne derivano. Lì di sicuro non potrei fare splatter, horror e così via, però mi dedicherò a reportage, video, documentari per le aziende. Gli introiti di questi progetti li potrò reinvestire per realizzare, in Italia, opere nel mio stile. Non voglio girare cose brutte o fatte male, il mio desiderio è quello di trasformare in immagini le storie che mi va di raccontare.

Ho già pronte un paio di sceneggiature … vedremo quale riuscirò a trasformare in film.

Diventa di colpo serio. Un elemento a sorpresa in questa intervista. Durante la nostra chiacchierata non si è risparmiato in battute e sberleffi. Eppure, ci tiene a sottolineare che punta in alto. Ha dei sogni da realizzare e, forse, ha trovato la strada giusta, quella che gli permetterà di attuarli.

Ed ora … marzulliamo : fatti una domanda e datti una risposta

Ma interesserà a qualcuno quello che sto dicendo in questa intervista? Secondo me, solo a te! (Scoppia a ridere).

Nella strada di ritorno verso la mia macchina osservo Antonio per un po’: sì, è ancora un bambino, che si entusiasma di fronte ad una macchina crea-emozioni. Probabilmente, con il cuore e la mente, è ancora lì, sul divano insieme al nonno, a cercare di carpire alcuni dei segreti di realizzazione di un film. Un animo buono (ma questo non glielo diciamo!) che esorcizza con la violenza estrema e lo splatter un evidente bisogno di comunicare …

Antonio Zannone: Io Pulp? Sì, ma con gusto! was last modified: maggio 23rd, 2017 by L'Interessante
23 maggio 2017 0 commenti
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Emiliano
CulturaIn primo pianoLibriMusica

Emiliano Gambelli: quando comporre è sinonimo di nobiltà d’animo

scritto da L'Interessante

Emiliano

Di Christian Coduto

Conosciamo oggi Emiliano Gambelli, scrittore e cantautore. Socievolissimo, si siede accanto a me e sorride. Nel momento in cui gli pongo la prima domanda, inizia a chiacchierare allegramente.

 

Emiliano Gambelli risponde alle domande de “L’interessante”

D: Parlaci un po’ di te …

R: Lo ammetto … domande del genere mi imbarazzano un pochino, perché mi riportano alla mente i colloqui di lavoro (scoppiamo a ridere). Molto semplicemente, Emiliano Gambelli è un ragazzo che si diverte a comporre musica e scrivere libri per passione. Senza alcun fine di fama o di soldi. Sono pragmatico, rimango con i piedi per terra. E’ un mio sogno: lasciare una traccia di me, per rimanere nel ricordo delle persone che mi vogliono bene.

D: Sei un artista a tutto tondo … hai realizzato, infatti, anche due romanzi: “L’ultima danza” e “I due angeli” …

R: Sì a tutto tondo … magro come un chiodo, ma a tutto tondo (ridacchia). Artista, non lo so francamente. Se fai riferimento al fatto che creo arte, allora sì. Io vivo il tutto come una passione: metto su carta o trasformo in musica quello che provo durante l’arco della giornata, dei mesi, della vita. Quello che provo io e, spero, anche gli altri. Talvolta scrivo delle canzoni che non parlano necessariamente di me, ma raccontano situazioni che possono capitare a tutti. Scrivo del quotidiano, una definizione che mi è stata data e che amo molto. Per ciò che riguarda i miei romanzi, che sono ancora in vendita, vorrei aggiungere una cosa che per me è motivo di orgoglio: con “L’ultima danza” sono in finale al concorso “AlberoAndronico” il 7 aprile! Non mi importa se non dovessi vincere, per me presenziare al Campidoglio è già una grande soddisfazione!

D: Con lo pseudonimo de “Il matematico” hai inciso il cd “Domande aperte”…

R: “Domande aperte” è il mio primo cd come “Il matematico” e il secondo da solista. Il primo fu “Tea time” del 2010. Un progetto autoprodotto, più casereccio, alle prime armi e completamente in inglese. “Domande aperte” l’ho realizzato con Valerio Allegrini, un arrangiatore e chitarrista bravissimo, di Roma come me. E’ un cd composto da 7 tracce: del brano “Houdini” esiste un videoclip su youtube; è una canzone che affronta il tema della difficoltà di emergere in un mondo ricco di raccomandazioni. In realtà, più che emergere, sopravvivere, anche nei lavori più semplici. La meritocrazia, purtroppo, è merce oramai rara … la canzone “Il matematico”, invece, ha come tema i numeri della vita. Ha un testo che si basa sui giochi di parole. Un equilibrio tra parole e numeri. Nasce dalla mia difficoltà, nella vita, di far quadrare i conti. Tra le altre cose, lo sai che io ho sempre odiato la matematica? E’ stato un modo per esorcizzare la materia!

D: Com’è il tuo lavoro in sala di incisione? Sei il tipo “Buona la prima”?

R: Non sono assolutamente il tipo da “Buona la prima”! Non lo sono in sala di incisione, né tantomeno all’Ikea quando devo comprare un mobile o nella vita in generale. Però ammetto che non passerei mai due mesi per incidere un brano. Se una cosa non mi convince la rifaccio, certo. Credo nel lavoro di gruppo, nella sinergia. Se ho un limite, preferisco collaborare con qualcuno che sia migliore di me in quel contesto. Di base, io porto in sala di incisione la bozza della canzone (gli accordi, l’idea, la metrica, la linea melodica, il testo) e poi si lavora insieme per ciò che è l’arrangiamento, per completare in brano in quanto tale.

Spigliato, gentile, autocritico. Colpisce la sua onestà. E’ un tipo alla mano. Ammiro il suo lanciarsi in mille avventure. Alcune avranno successo, altre (forse) meno? Non importa: mai vivere di rimpianti.

D: Qual è l’esperienza live che ti ricordi con più affetto?

R: Me ne ricordo parecchie. Ognuna in un periodo differente. Con uno dei primi gruppi (avevo 18/19 anni), facemmo un live a Roma su un palchetto costruito all’interno di una stazione di benzina. In tutto, facemmo tre concerti. Il secondo lo tenemmo all’interno di un pub. Fu un’esperienza bellissima perché vennero tutti gli amici e i conoscenti del quartiere. Per la prima volta vedemmo gente cantare la nostra canzone e pogare sotto il palco. Con la Tribute Band dei The Darkness (proprio quelli di “I believe in a thing called love” N.d.R.) ci fu un concerto a Potenza, in Basilicata, che fu particolarmente divertente. Ogni live lo ricordo con affetto, anche quelli più intimi, come quelli che ho tenuto in teatro.

D: “Domande aperte” è molto vario e variegato, ha stili e sonorità differenti. Quanto tempo ha richiesto la stesura dei brani e l’incisione?

R: E’ un album variegato perché ascolto tanta musica. Nella “sfortuna” di non avere un’etichetta discografica, ho la fortuna di essere libero e di poter fare ciò che voglio, cercando di unire il tutto dando una sequenzialità, magari richiamando i vari brani tra di loro, pur toccando stili completamente diversi che vanno dal rock di “Houdini” al pop più ammiccante de “Il matematico” fino ad arrivare ad una ballad come “Sai perché”. Mi piace che sia così, non voglio rimanere ancorato ad un singolo stile.

D: Il singolo “Eclissi mentale” ha per te un significato particolare, per una serie di motivi …

R: Sì … ho avuto la fortuna di incontrare una persona che mi ha fatto conoscere questa struttura Onlus alla quale saranno devoluti gli incassi del brano. Sono venuto a conoscenza di tante informazioni preziose relative a malattie rare, di cui non si parla mai abbastanza. Ho voluto dare un mio piccolo contributo alla ricerca. Il brano costa 99 centesimi, dobbiamo essere in tanti per ottenere qualcosa di significativo! Invito tutti a dare un’occhiata al sito di “Viva la vita Onlus Italia”  www.vivalavitaitalia.org . Spero solo di fare qualcosa di utile, di accendere un piccolo riflettore sul problema, ricordandoci sempre che la parola rara è difficile da comprendere quando si è colpiti … si può acquistare il brano su Amazon, Itunes e Google play. Ad integrazione del mio brano, anche il 50% degli incassi relativi alla vendita del cd “Domande aperte” sarà destinato a Viva la vita Onlus Italia. Siamo partiti fortissimi: pensa che, nelle prime settimane, mi sono ritrovato al primo posto delle classifiche di Google Play!

D: Io mi occupo di cinema. Cinema, musica e scrittura vanno di pari passo … qual è il film della tua vita e perché?

R: Il film della mia vita … credo che ce ne sia più di uno. Allora: “Braveheart” di Mel Gibson e “The butterfly effect”. Tra i film italiani ho un grande amore per “Non ci resta che piangere”! Ultimamente mi hanno colpito “Perfetti sconosciuti” e “Smetto quando voglio”. Adoro i film tratti dalla Marvel; il cinema per me è intrattenimento, uno svago.

D: Cosa dobbiamo attenderci da Emiliano Gambelli per questo 2017?

R: Dipende dal Fantacalcio (ride): se lo vinco, preparo subito un altro brano! Mi piacerebbe realizzare un EP con i “La fine” e organizzare degli eventi live, impresa ardua ma non impossibile! Con la AUGH edizioni uscirò con un nuovo romanzo entro aprile!

D: Grazie mille per la tua disponibilità!

R: Un abbraccio!

ph. di copertina di Monja Zoppi

Emiliano Gambelli: quando comporre è sinonimo di nobiltà d’animo was last modified: marzo 31st, 2017 by L'Interessante
30 marzo 2017 0 commenti
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Francesco Galavotti
In primo pianoMusica

#CHIACCHIERE TRA AMICI: Francesco Galavotti, da Modena con Furore

scritto da L'Interessante

Francesco Galavotti

Di M.Rosaria Corsino

Una Domenica sera d’inverno, una trasferta a Santa Maria a Vico per ascoltare quegli amici che suonano da una vita, un locale che ha in sé tutto e niente.

È qui che, tra i vari artisti che suonano, uno ha tutta la nostra attenzione: One Glass Eye, all’anagrafe Francesco Galavotti.

Non so se sia più corretto dire che Francesco suoni da solo, o che suoni con la sua chitarra, fatto sta che incanta.

Le luci soffuse del locale, i colori pastello e la sua voce trasportano il pubblico in una dimensione tra la realtà e il sogno.

L’idea di chiedergli di volersi raccontare è sorta spontanea: in un panorama musicale dove i fuochi si spengono presto, Francesco sembra destinato a durare.

Nasce così un’ “intervista” insolita, stravagante.

Nessuna penna, taccuino, caffè o mozziconi di sigarette, solo uno scambio telefonico e un vocale Whatsapp.

Il resto, ve lo faccio raccontare da lui.

La parola a Francesco

L’esordio avviene da bambino, quando verso i dieci anni mio padre mi mandava a lezione di chitarra dopo la messa.

E così il mio primo palcoscenico è l’altare della chiesa. Molto rock ‘n roll.

Continuo a suonare in cover band e comincio a sperimentare pezzi miei per poi arrivare verso i diciotto, diciannove anni con i Cabrera, band che mi tengo stretto!

C’è nel frattempo un progetto solista, ma in italiano.

È verso Febbraio/Marzo del 2016 che avviene la svolta: compongo pezzi in inglese che immediatamente registro.

In realtà l’ho presa alla leggera, quasi per scherzo. Insomma, non avevo grandi aspettative.

Ma le cose sono andate nel verso giusto, e ho fatto ben sessanta date più altre in programma

Progetti per il futuro? Sicuramente un nuovo disco, non so ancora se in italiano o in inglese, ma ci saranno inserti di elettronica per tenere il tempo.

La chitarra? Immancabile.

#CHIACCHIERE TRA AMICI: Francesco Galavotti, da Modena con Furore was last modified: marzo 22nd, 2017 by L'Interessante
22 marzo 2017 0 commenti
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blind
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BLIND DATE, concerto al buio di Cesare Picco: sublime sinestesia

scritto da L'Interessante

Blind

Di Luigi Sacchettino 

 

Un mese fa. 14 febbraio. San Valentino. Una festa piena di luce, candele e luccichii.  

Io decido di stare al buio. No, non sono uno di quei single che in quel giorno un po’ arranca.  

Decido di stare al buio del teatro Bellini. Nel rosso Bellini. 

Sì, perché torna al Teatro Bellini il Blind Date, il concerto al buio ideato nel 2009 dal pianista e compositore Cesare Picco e portato in giro da CBM Italia Onlus. CBM è la più grande organizzazione umanitaria internazionale impegnata nella prevenzione e cura della cecità e della disabilità nei Paesi del Sud del mondo;  sono  circa 39 milioni le persone affette da cecità, una condizione che tuttavia potrebbe essere evitata nell’ 80 per cento dei casi, con interventi mirati. A un costo irrisorio se si pensa all’importanza della vista. 

Com’è strutturato il blind date? 

Il concerto è basato su una semplice e magica formula: si inizia con la  LUCE-, si passa al BUIO, intenso, pesto, lungo 30 minuti–, e si termina con la LUCE. A voler rappresentare il percorso che un malato affetto di cataratta può subire. Una formula che esprime appieno la missione di CBM: ridare la vista alle persone che non vedono e che, senza l’intervento dei medici di CBM, sarebbero destinate a vivere nella cecità e nel buio assoluto. 

Blind date è un’esperienza sensoriale e percettiva unica. Cosa c’è di strano nello stare mezzora ad occhi chiusi ad ascoltare della musica?- starete pensando.  

Ho vissuto sulla mia pelle cosa significhi non usare la vista come organo di senso principale: occhi chiusi oppure aperti il risultato in quel momento è il medesimo. Inizialmente ci si sente combattuti, si prova e riprova a spingere gli occhi a vedere. Poi ci abbandona a quel senso di impotenza.  

Si sposta l’attenzione dal pensiero alle sensazioni e all’emozioni. Ci si abbandona più a udito, tatto, naso. 

Perché in un momento di disorientamento  ci si ritrova ad allungare la mano versa la spalla di un’ amica e toccandola si torna sereni, condividendo quel momento di solitudine. Insieme. Da solo sarebbe stato devastante.  

Perché pensi a quanto dannatamente sei fortunato a poterle vedere certe cose. E subito empatizzi con coloro che tutto ciò non possono farlo. Eppure per noi aprire gli occhi e vedere è un gesto facilissimo. Scontato. Naturale. 

Abbiamo un potere enorme nel poter aiutare chi, al momento, questo potere naturale, scontato l’ha perso. 

Io ho guardato, ed ho decido di vedere. 

Non sarei potuto rimanere cieco rispetto a tutto ciò. 

“Non importa quello che stai guardando, ma quello che riesci a vedere.” 

Henry David Thoreau. 

 

 

BLIND DATE, concerto al buio di Cesare Picco: sublime sinestesia was last modified: marzo 13th, 2017 by L'Interessante
13 marzo 2017 0 commenti
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L’album Double Fantasy: all’asta la copia che John Lennon firmò al suo assassino

scritto da L'Interessante

Album

Di M.Rosaria Corsino

L’album di John Lennon autografato dallo stesso ex Beatle per Mark David Chapman, l’uomo che solo qualche ora dopo lo uccise a colpi di pistola davanti alla sua residenza di New York, e’ in vendita per 1,35 milioni di dollari (circa 1,27 milioni di euro). Double Fantasy, l’album del suo ritorno al lavoro, dopo il periodo dedicato a fare il papà per il suo secondo figlio Sean, e’ offerto dalla californiana Moments in Time (momentsintime.com), una casa d’aste specializzata tra l’altro nella vendita di manoscritti e documenti storici, autografi, fotografie firmate e oggetti appartenenti a personaggi famosi. Lennon, ricorda il sito di Moments in Time, firmò l’album su richiesta del suo assassino cinque ore prima che venne colpito a morte l’8 dicembre del 1980 sull’ingresso del Dakota, l’ormai celebre palazzo dell’Upper West Side di Manhattan dove l’artista viveva insieme a Yoko Ono. E quella copia di Double Fantasy, con le impronte digitali di Chapman, venne acquistata da un giardiniere che la trovò in un vaso di fiori davanti al cancello del Dakota. L’album divenne famoso anche grazie alle immagini, che allora fecero il giro del mondo, di John Lennon proprio mentre lo autografava per il suo assassino. L’anonimo fortunato possessore dell’album decise di venderlo 19 anni più tardi, nel 1999, ad un acquirente privato, sempre attraverso Moments in Time.

L’album prima della tempesta: quel tagico 8 Dicembre

Poche settimane dopo l’uscita del disco, la sera dell’8 dicembre 1980 alle 22.51, al termine di un pomeriggio trascorso al Record Plant Studio, mentre Lennon si accingeva a rincasare con la moglie e si trovava di fronte all’ingresso del Dakota Building (il lussuoso palazzo in cui risiedeva, sulla 72ª strada, nell’Upper West Side a New York), un venticinquenne di nome Mark Champman esplose contro di lui cinque colpi di pistola colpendolo quattro volte (il quinto colpo non andò a segno) mentre esclamava: «Hey, Mr. Lennon». Uno dei proiettili trapassò l’aorta e Lennon fece in tempo a fare ancora qualche passo mormorando «I was shot…» (mi hanno sparato), prima di cadere al suolo perdendo i sensi.

Soccorso da una pattuglia di polizia, Lennon perse conoscenza durante la corsa verso il Roosvelt Hospital, dove fu dichiarato morto alle 23.07.

L’album Double Fantasy: all’asta la copia che John Lennon firmò al suo assassino was last modified: marzo 9th, 2017 by L'Interessante
9 marzo 2017 0 commenti
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vietato
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Vietato morire: la libertà da Gaber a Ermal Meta

scritto da L'Interessante

Vietato

 

 

Di Michela Salzillo

La libertà non invecchia mai. E il diritto  alla sua difesa è sempre materia prioritaria. Forse perché è ancora così lontana, forse è un vizio che abbiamo paura di dimenticare, di confondere con il resto, e allora cerchiamo di raccontarcela, per non farla morire. Per non lasciarci morire. La libertà è partecipazione, scrive Gaber, non è lo spazio libero e neanche il volo di un moscone.  E’ muoversi dunque, è cogliersi ed accogliersi, è rispettarsi prima di rispettare, come fa il bambino appena nato che cammina dentro un bosco con la gioia di inseguire un’avventura.  Perché forse è così che bisogna fare. Per insegnarci il coraggio di essere liberi non abbiamo bisogno della sapienza, non quanto l’ ingenuità di chi è così tanto decostruito da sposare ogni forma di apertura e ribellione come la cosa più naturale del mondo.

La libertà non aspetta il destino, non la fa passare liscia a nessuna regola  e non  c’è nulla che sia più anarchico di questo. Essere libero vuol dire avere la forza di cambiare le stelle, se ci provi riuscirai, conferma qualche passo più avanti Ermal Meta, che se a Sanremo arriva al terzo posto, sul podio delle nostre riflessioni guadagna sicuramente una posizione di testa, perché lo sappiamo benissimo che morire da vivi è una condanna che ci infliggiamo troppo spesso. Sappiamo quanto è difficile capire l’amore per noi stessi e quanto sia proporzionale l’esistenza di ciascuno fra ciò che siamo in grado di donare e la libertà che il dare insegna.

 

Vietato morire: una canzone che educa al  valore della disobbedienza.

Se per Gaber votare è disobbedire ad ogni forma di mancata democrazia, con Ermal Meta la libertà arriva trasgredendo ogni tipo di schema, non in materia di politica ma in termini di vita negata; dal fare più semplice a quello più complesso. C’è da dire che quando nell’ inciso Ermal canta: figlio mio, ricorda bene che la vita che avrai non sarà mai più grande dell’amore che dai, e prima ancora lascia intendere che quel messaggio sia scritto ad una madre, la sua, che da un libro di odio gli ha insegnato l’amore, tutti cadono nel tranello della canzone denuncia che parla di violenza.

Ma la smentita arriva dall’autore stesso, che dichiara: “ la violenza, in questa canzone, è soltanto la fionda. Il sasso che dovrebbe colpire il messaggio che ha dentro, cioè la disobbedienza. Bisogna imparare a disobbedire ricominciando a usare la propria testa.”

È come un martello, per Ermal, la capacità di disobbedire, che se usato nella maniera giusta può aprire dei varchi importanti verso una vita più felice. Dire di no, dunque. Dirlo ogni volta che qualcosa influisce negativamente sulle personali volontà e la rispettiva serenità. Vietato morire è una canzone che parla anche di violenza, quindi, ma non solo, perché ci sono molte forme di stupro capaci di annientare, a volte anche invisibili,  per questo urge riconoscere che rimandare non è mai il momento giusto per ribellarsi a qualcosa che non ci rappresenta, perché la vita preferisce sempre il qui ed ora al domani qualunque, che rischierebbe di arrivare in ritardo all’ appuntamento con quello che vogliamo ottenere ed essere, per diventare  a tutti gli effetti padroni delle nostre vite ed evitare la morte a piccole dosi.

Vietato morire: la libertà da Gaber a Ermal Meta was last modified: marzo 5th, 2017 by L'Interessante
5 marzo 2017 0 commenti
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Carnevale
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Sabato di Carnevale a Caserta, ecco gli eventi in programma

scritto da L'Interessante

Carnevale.

Sabato di Carnevale a Caserta dedicato ai più piccini con magia ed animazione. Stasera grande musica popolare con i Ragazzi del Tiglio

Si è aperta ieri pomeriggio, in piazza Vanvitelli, la VI edizione del Carnevale a Caserta 2017 organizzato dall’associazione
Casertaville con il Comitato Provinciale Asi di Caserta e la partnership di Street Food Business, Campania Sport e la nuova collaborazione stretta con la Pro Loco «Casali del Carolino».

La pioggia non ha fermato i casertani che hanno apprezzato, ieri, la splendida tammurriata dei Suonatori per Caso, che torneranno anche nella giornata di domenica, e gli Ape Car di street food che hanno cominciato a sfornare le loro prelibatezze.
Il pomeriggio di oggi sarà dedicato ai più piccini con lo spettacoli di magia ed illusionismo di Mago Alex e l’animazione dei ragazzi di Mr Joy che trasformeranno piazza Vanvitelli in una grande ludoteca a cielo aperto.
La serata è nel segno della tradizione popolare casertana con il concerto de i Ragazzi del Tiglio che porteranno in piazza musiche ed atmosfere di altri tempi.
Annullate, per motivi tecnici, la sfilata dei carri allegorici di questo pomeriggio e di martedì pomeriggio.

Sabato di Carnevale a Caserta, ecco gli eventi in programma was last modified: febbraio 25th, 2017 by L'Interessante
25 febbraio 2017 0 commenti
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ARENADIANA APS: IL 22 FEBBRAIO IL VIA AGLI EVENTI CON MUSICHE BRASILIANE DEL DUO ETTARI – DEDA A VILLA VANNUCCHI A SAN GIORGIO A CREMANO

scritto da L'Interessante

arenadiana aps

Arenadiana APS a San Giorgio a Cremano: il 22 febbraio, Villa Vannucchi ore 20,30, il via agli eventi musicali con il duo Gloria Ettari e Massimo Deda

Mercoledì 22 febbraio alle 20,30, a San Giorgio a Cremano, nel cuore del miglio d’oro e nella splendida cornice della vanvitelliana Villa Vannucchi, l’Associazione Arenadiana APS dà il via alla programmazione degli eventi musicali con il Live di Gloria Ettari e Massimo Deda.

Sound e sonorità brasiliane per l’esordio

Un tuffo nelle sonorità brasiliane in perfetto stile partheno-carioca. Una delle combinazioni più felici tra le tradizioni musicali del Brasile e dell’Italia: Gloria Ettari, voce delicata che sa farsi potente, cantante italiana radicata in Brasile, e Massimo Deda, chitarrista, compositore e paroliere di grande talento. Nella delicata formazione di chitarra e voce presenteranno musiche dal repertorio del disco d’autore registrato a Rio nel 2011 ed interpretazioni del canzoniere brasiliano, da Milton Nascimento ed Ivan Lins ad Ary barroso, Dorival Caymmi e Antonio Carlos Jobim.

Ospite dell’evento il compositore Luigi Montesanto

Sarà ospite dell’evento l’autore e compositore Luigi Montesanto, che con il duo Ettari-Deda ha condiviso un concerto a Rio de Janeiro nel giugno scorso, e che nell’occasione presenterà in anteprima le ultime composizioni cantautoriali.

Luigi Montesanto, presidente di Arenadiana APS, così sintetizza lo start: “si realizza un altro step sul percorso di valorizzazione e promozione sociale e culturale del territorio vesuviano, area che sempre più si rivela come terra che produce straordinaria bellezza.”

ARENADIANA APS: IL 22 FEBBRAIO IL VIA AGLI EVENTI CON MUSICHE BRASILIANE DEL DUO ETTARI – DEDA A VILLA VANNUCCHI A SAN GIORGIO A CREMANO was last modified: febbraio 21st, 2017 by L'Interessante
21 febbraio 2017 0 commenti
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sanremo
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Sanremo story: canzone che vieni, canzone che vai, canzone che resti

scritto da L'Interessante

Sanremo.

Di Michela Salzillo

Ci siamo! Ormai anche la 67esima edizione del Festival della canzone italiana sta per essere rimandata a consultazione d’archivio. Questa sera Maria De Filippi e Carlo Conti ci restituiranno il vincitore ufficiale che, si sa, fra i podi annunciati dalle scommesse e le rivelazioni dell’ultimo minuto, arriva sempre come una sorpresa nell’ uovo di Pasqua.

 Antica tanto quanto lo stupore è senz’altro la tiritera delle canzoni che la gara esclude ma il gradimento premia. Quanti brani, nel corso di questi sessant’anni e passa, ci hanno insegnato che la musica con la competizione non vuole avere nulla a che fare? Tanti. E sono davvero molte quelle melodie che, come un gran andirivieni in un porto di mare, ci rimangono dentro.

È sfida persa per chiunque provi a negare che la tradizione del festival di Sanremo regala da sempre testi e arrangiamenti capaci di attraversare le epoche così come le emozioni: canzoni che ricordiamo perché magari hanno fatto da colonna sonora a momenti di vita importanti; altre che si sono guadagnate la fama per aver proposto al pubblico novità irriverenti -almeno secondo la cultura musicale dell’epoca-;  poi ci sono quei brani che rimangono attuali oltremodo e tempo  perché a ogni ascolto sono come un pugno nello stomaco straordinario.

Ebbene, senza voler preparare lo sgambetto alle classifiche delle canzoni più belle di sempre, abbiamo scelto di creare insieme a voi un focus poco pretenzioso su alcune perle sanremesi che, al di là di ogni dubbio, sul quel palco e altrove hanno disegnato un’ impronta  profondissima.

“Ciao, amore ciao; non ho l’età; nel blu dipinto di blu” : tre canzoni per il nostro sanremo story

Se avessimo voluto fare una classifica, di quelle solite che in questi giorni si sono litigate i lettori, avremmo senz’altro dovuto riconoscere a canzoni come La solitudine, che aprì il sipario sulla sfavillante carriera della Pausini nel Sanremo 1993, un primo posto di diritto. Probabilmente, pareggio varrebbe per la famosa vita spericolata di Vasco, presentata al festival nel 1983 e posizionatasi al penultimo gradino del podio; un destino che ha tenuto fede all’ ultimo per il primo, visto il successo smisurato avuto poi dallo stesso brano. Potremmo continuare così e muoverci sulla scia di canzoni vincitrici come Luce, di Elisa,- Sanremo 2001- o magari spostarci  in là nel tempo e citare la più vetusta Gianna di un Rino Gaetano in edizione 1978.

 Potremmo, certo, ma per ogni posto assegnato ne rimarrebbero fuori tantissimi altri. Proprio perché la lunga tradizione sanremese rende limitativa una classificazione che sia coerente con il merito, compreso il fatto che non rientra nei nostri intenti quello di stilare un giudizio tecnico –  dado che lasciamo trarre a chi la musica la fa per mestiere- vogliamo, tuttavia, proporvi una sorta di gioco.

 Abbiamo deciso di analizzare le radici e curiosità di tre brani che, volente o nolente, hanno scritto la storia di sanremo, ma lo vogliamo fare a modo nostro.

Ciao, amore ciao. Non ho più l’età per amarti nel blu dipinto di blu! No, nessun errore di punteggiatura, tranquilli. È una licenza di cui ci siamo appropriati per l’occasione.

 Se è vero che le canzoni non sono poi così diverse tra di loro, che i testi, spesso, scrivono una precaria originalità, perché d’amore che va e di quello che arriva raccontano un po’ tutti, abbiamo unito qualche titolo storico per farne un’unica sperimentazione, augurandoci che in qualche modo  alleggerisca critiche mai abbastanza vecchie per andare in pensione. Non ce ne voglia nessuno, è chiaro che si fa per scherzare e, lasciatecelo dire, anche per sottolineare dei veri e propri capolavori d’autore.

Lo sapevi che?

  Ciao, amore ciao , canzone scritta e interpretata da Luigi Tenco, è una  dedica d’amore struggente che ha radici nel tormentato rapporto  fra lo stesso cantautore e la bellissima  Dalida. Fu presentata al Sanremo del 1967 ed è tristemente famosa per essere indissolubilmente legata al suicidio di Tenco, avvenuto in quel di Sanremo il 27 gennaio dello stesso anno, in seguito alla definitiva esclusione del brano dalla competizione canora.

Non ho l’età è invece firmato dalla voce di Gigliola Cinquetti che a soli quindici anni calcò le scene del Sanremo 1964. Una canzone che le ha indubbiamente segnato la vita, passando alla storia come una coscienziosa confessione su cui però, e forse non tutti lo sanno, la Cinquetti non ero affatto d’accordo. È lei stessa che qualche anno fa, nell’ambito di un ‘intervista alla rivista Oggi, in cui ripercorreva la sua carriera, ha dichiarato:

 “Io questa canzone non la canto, dissi, inutile insistere, proprio non me la sento! “Non ho l’età esprimeva concetti sull’amore che non condividevo, l’amore non è un fatto anagrafico! Mi escludeva da quel sentimento che io e quelli della mia età aspettavamo di incontrare. Non mi piaceva quel concetto di “aspetta e spera”, e non volevo che quelli della mia età mi guardassero come un fenomeno da baraccone, o peggio come un’opportunista che si fingeva virtuosa”.

 Erano tempi in cui si sentiva già chiara l’eco della rivoluzione sessuale, ma ciononostante l’amore delle canzoni era ancora quello che faceva rima con cuore, preservando forse una già eccessiva pudicizia per vedute ormai modificate . La giovane Gigliola, però, già ai tempi stava mettendo le basi per un carattere ribelle e non voleva assolutamente essere in sintonia con quella che, all’epoca, era la diffusa tendenza del buonismo sentimentale, proprio lei che il marito, Luciano Teodori, lo ha sposato in Jeans e maglietta.

E come non citare Nel blu dipinto di blu?

Meglio conosciuto come volare, il brano fu scritto nel 1958 da Franco Migliacci e Domenico Modugno che poi ne divenne l’interprete. Fu presentato a Sanremo nello stesso anno in cui venne composto, a interpretarlo fu la coppia Dorelli – Modugno.

Un duo profetico, visto che dopo aver ottenuto la vittoria in casa nostra, il brano divenne un successo planetario, fino ad arrivare a essere una delle canzoni italiane manifesto nel mondo. Musicalmente parlando, nel blu dipinto di blu è un esempio vigoroso di un pezzo che va controcorrente. Il brano di Modugno infatti sarà considerato il primo punto di rottura della musica tradizionale e l’ inizio di una nuova dimensione artistica. La canzone, si nota sin dalle prime battute, risente delle influenze swing statunitensi e, pur presentandosi con una struttura armonica tradizionale, all’epoca sottolineò una innovazione di argomento.

Insomma, in attesa delle  somme finali, abbiamo voluto riportare all’attenzione dei brani che hanno contribuito senz’altro a filare la trama della Sanremo Story, un filone che di certo continuerà. Non le abbiamo ordinate secondo nessuna cronologia, neppure queste tre, perché se è vero che ogni gara ha le sue regole, la musica ha come unico principio quello della bellezza, e dovrebbe essere questa la sola  cosa da incoronare. Sempre!

Sanremo story: canzone che vieni, canzone che vai, canzone che resti was last modified: febbraio 11th, 2017 by L'Interessante
11 febbraio 2017 0 commenti
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CulturaEventiIn primo pianoMusica

Sanremo: storia di una tradizione

scritto da L'Interessante

Sanremo.

di Maria Rosaria Corsino

1950.

La canzone italiana era snobbata e poco capita dalla maggioranza del popolo, che parlava solo il dialetto, e non capiva alcuni testi.

Erano gli anni delle canzoni Francesi, il trionfo mondiale di Edith Piaf con “La vie en rose”, dei ritmi latino-americani.

Quando nacque l’idea del festival della canzone Italiana, la città di Sanremo era ancora mal ridotta, con tanti problemi da affrontare e risolvere. il Teatro comunale era andato distrutto dai bombardamenti, la guerra era finita da poco.

Ma c’era la volontà di uscire dall’impedimento guerresco e la città era intenzionata a riprendersi il suo ruolo principale, nel campo turistico e floricolo.

Sanremo: sessantasei anni di storia

Le edizioni del “Festival di Sanremo” degli anni 70 furono determinate da diversi eventi, spiacevoli e di contestazione.

Nel 1972 lo sciopero dei cantanti.

Furono gli anni della televisione a colori, e del dilagare nelle discoteche della “febbre del sabato sera”.

La cultura Italiana, era in evoluzione.

La crisi a Sanremo si fece sentire, per diversi anni, il festival non era più l’evento nazionale, e la televisione manifestò poco interesse, così fece anche il gran pubblico. Il decennio, restò impresso come il più basso, insignificante per le manifestazioni canore di quegli anni. Nel 1977 ci fu il cambiamento di sede. La manifestazione canora si spostò dal Casinò Municipale al teatro dell’ Ariston, e la Televisione mandò in onda il primo Festival a colori.

Nel 1979 ci fu un grande evento a Sanremo, con la presenza di Stars Internazionali come Tina Turner e Kate Bush.

I Festival degli anni 70, però, produssero per il mondo musicale grandi cantanti della canzone Italiana, come Lucio Dalla e la combinazione Mogol -Battisti.

Il 1970 vide la nascita del gruppo Ligure “I Ricchi e Poveri” dopo la loro partecipazione al festival del 70 e del 71, infatti, diventarono il gruppo più popolare d’Italia.

Gli anni ottanta furono incisivi per il rilancio del Festival di Sanremo.

L’ evento della Televisione commerciale fu la molla che determinò la competizione.

Tornarono anche i personaggi del Festival, si produssero più spettacoli, e si ritornò a parlare di nuovo di Sanremo e della canzone Italiana, e la non dimenticata frase,”tanto si sa sempre prima chi vincerà il Festival”.

La rinascita del Festival di Sanremo, con il ritorno in gara dei big della canzone Italiana, e l’intervento degli ospiti internazionali, attribuì un qualcosa in più alla manifestazione, che riprese possesso della sua funzione, imponendosi come evento più importante e seguito dal gran pubblico.

Gli anni novanta, lanciati verso il duemila, furono il decennio, dei molti cambiamenti per la manifestazione canora. Fu abolito il Play-back, e le Orchestre che accompagnarono i cantanti nell’esibizione tornarono di nuovo di moda

Per il quarantennale del Festival, la manifestazione fu spostata nella mega struttura in Valle Armea: si trattò del Palafiori.

Fu considerata una “pazzia” del Patron Adriano Aragozzini, che riuscì a trasformare uno stanzone vuoto, in un teatro pronto ad accogliere cinque mila persone. Il Patron ebbe tutti contro, convinti che avrebbe fallito in quell’impresa che sembrava impossibile

Invece dovettero dargli ragione: infatti invitò e portò nella città dei fiori e delle canzonette, grandi nomi della musica Internazionale, e la manifestazione riuscì perfettamente.

La canzone Italiana in questi anni, percorse il mondo intero.

Sanremo: storia di una tradizione was last modified: febbraio 11th, 2017 by L'Interessante
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