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Categoria

Cronaca

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AttualitàCronacaIn primo pianoParliamone

È MORTO IL “ LIDER MAXIMO”: ADDIO A FIDEL CASTRO

scritto da L'Interessante

Fidel Castro.

Di Vincenzo Piccolo

Ci sono due modi per osservare una figura come quella di Fidel Castro, da un lato c’è quella del tiranno che si è opposto, da sempre, ai diritti civili e all’uguaglianza. Dall’altro c’è quella del rivoluzionario che è riuscito a mettersi a capo di un popolo, guidandolo alla rivalsa per la libertà.

Raramente si sente che un dittatore scoraggi il culto della sua personalità, che rifiuti le apparizioni pubbliche, questo perché la sua missione politica è stata sempre quella di “difensore” piuttosto che di dittatore o tiranno. Se volessimo analizzare la sua figura da un punto di vista un po’ più Machiavellico, potremmo dire che Castro sia stato un ottimo “Principe”.

Ad annunciare la morte del Leader è stato suo fratello, e suo successore, Raul Castro, che trattenendo  a stento le lacrime si rivolge al popolo dicendo :” Caro popolo di Cuba: è con profondo dolore che compaio per informare il nostro popolo, gli amici della Nostra America e del mondo, che oggi 25 Novembre del 2016, alle 10:29, ore della notte, è deceduto il comandante in capo della Rivoluzione Cubana Fidel Castro Ruz.”

Sono stati proclamati nove giorni di lutto, durante i quali saranno vietate feste e spettacoli pubblici, la bandiera di Cuba dovrà essere issata a mezz’asta nelle sedi pubbliche e istituti militari. La radio e la tv dovranno avere una programmazione esclusivamente informativa. I funerali sono programmati per il 4 dicembre e avverranno nel cimitero di  Santa Ifigenia, nella città di Santiago de Cuba.

“ Il presidente era da tempo malato per problemi intestinali, già dal 2007 si era visto un suo allontanamento dalla vita politica, decisione che ha ufficialmente confermato nel 2008, cedendo il suo posto al fratello Raul.”

Fidel Castro: la Vita

Fidel Castro è stato un eroe per i socialisti nel mondo, ma un dittatore sanguinario per i nemici che lo osservavano. Il “ lider Màximo” ha sempre giocato un ruolo importante nella politica internazionale, più di quanto lasciano supporre le dimensioni geografiche, demografiche ed economiche di Cuba, a causa della sua posizione strategica e della vicinanza con gli Stati Uniti d’America. Il 2 dicembre del 1961 fondò il partito Comunista Cubano, istituendo la Repubblica di Cuba, uno Stato monopartitico di stampo socialista.

La leadership di Castro di è mantenuta nel tempo, nonostante i tanti tentativi da parte degli stati confinanti di rovesciare il suo regime, grazie al sostegno delle masse dovuto al miglioramento delle condizioni di vita. Secondo i detrattori, invece, la risposta andrebbe ricercata nell’utilizzo di metodi coercitivi e repressivi.

Tutti ricordiamo il ruolo fondamentale che ha avuto nella Rivoluzione Cubana, combattendo al fianco di Ernesto “Che” Guevara, Raul Castro e Camilo Cienfuegos per rovesciare il governo di Fulgencio Batista.

A Castro si deve anche la campagna per l’alfabetizzazione cubana, vennero usati quasi 270.000 insegnanti e studenti e nel ’61 il tasso di analfabetismo si ridusse dal 20 al 3,9%. Il Comandante consolidò il nazionalismo, confiscando beni di proprietà straniera e collettivizzando l’agricoltura, emanando politiche a beneficio dei lavoratori. Oggi l’UNESCO afferma che il tasso di istruzione e sanità di base a Cuba è tra i più alti dell’America Latina, inoltre il governo sta portando avanti un programma che consente a studenti stranieri, di trasferiti sull’isola e seguire programmi di studio gratuiti.

Si chiude un capitolo importante del ‘900, con la morte di una delle figure più imponenti del panorama politico, dopo il secondo conflitto mondiale. Adesso il popolo Cubano deve guardare al futuro.

Hasta la victoria siempre, popolo de Cuba!

È MORTO IL “ LIDER MAXIMO”: ADDIO A FIDEL CASTRO was last modified: novembre 26th, 2016 by L'Interessante
26 novembre 2016 0 commenti
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cohen
CronacaIn primo pianoParliamone

Arrivederci, signor Cohen

scritto da L'Interessante

Cohen

di Maria Rosaria Corsino

E’ venuto a mancare in questi giorni Leonard Cohen, grandissimo artista musicale che ha influenzato intere generazioni.

Noto per essere stato una voce graffiante e un poeta moderno, non è a tutti conosciuto come il vero autore dell’ “Hallelujah”.

Nato nel 1934 a Westmount, padre dell’ispirazione degli anni Sessanta/Settanta è da paragonare forse solo a Bob Dylan quanto a influenza, Cohen con la sua musica viene definito come “impossibile da ascoltare in una giornata di sole”.

La sua vita ha avuto due grandi momenti: quella parte di esistenza trascorsa nell’eccesso e quella parte dedicata a un’interna pace spirituale.

Il suo primo disco pubblicato nel 1967, “Songs of Leonard Cohen”, in cui aveva proposto le atmosfere della cantante tedesca Nico, non ebbe molto successo.

Tutta la sua discografia è permeata di malinconia e angoscia, di un tormento spirituale e religioso che sembra non trovare risposta.

L’Hallelujah di Cohen

E’ il 1984 quando viene pubblicato l’album “Various Position” che contiene uno dei brani più rifatti nella storia della musica: l’Hallelujah.

La composizione di quest’ultimo recò non pochi problemi all’autore, che impiegò più di due anni per terminarlo.

“Avevo riempito due blocchi degli appunti e ricordo che ero al Royalton Hotel seduto in mutande sul tappeto, mentre sbattevo la testa sul pavimento dicendomi “Non riesco a finire questa canzone”.

Il testo, che fa riferimento ai testi biblici dell’Antico Testamento non si cura solo degli aspetti religiosi, ma un po’ di tutto ciò che ci circonda.

“Questo mondo è pieno di conflitti e pieno di cose che non possono essere unite ma ci sono momenti nei quali possiamo trascendere il sistema dualistico e riunirci e abbracciare tutto il disordine, questo è quello che io intendo per halleluja. La canzone spiega che diversi tipi di halleluia esistono, e tutte le alleluia perfette e infrante hanno lo stesso valore. È un desiderio di affermazione della vita, non in un qualche significato religioso formale, ma con entusiasmo, con emozione. So che c’è un occhio che ci sta guardando tutti. C’è un giudizio che valuta ogni cosa che facciamo.”

Buon viaggio, signor Cohen

Si spegne così, all’età di 82 anni uno dei pilastri musicali del nostro secolo.

Poco prima aveva dovuto affrontare la dipartita della sua Marianne, a cui ha voluto augurare, con tanta dolcezza e amore, un buon viaggio.

E in queste piovose sere di Novembre nella nostra testa risuona solo un freddo e rotto Hallelujah.

Arrivederci, signor Cohen was last modified: novembre 12th, 2016 by L'Interessante
12 novembre 2016 0 commenti
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Ricerca
CronacaIn primo pianoParliamone

Umberto Veronesi: grande perdita nel mondo della ricerca

scritto da L'Interessante

Ricerca

Di Vincenzo Piccolo

 

Si è spento l’oncologo di fama mondiale Umberto Veronesi , a 90 anni.

Lascia un grande patrimonio, ma anche un grande vuoto, per la ricerca contro i tumori

Nato il 28 Novembre del 1925 è deceduto nella sua casa di Milano dove, nelle ultime settimane, si erano viste aggravare le sue condizioni. Tra i suoi tanti incarichi vale la pena ricordare quello di Ministro della Salute che ha ricoperto dal 2000 al 2001 e la carica di Senatore dal 2011. Fondatore dell’istituto per la lotta al cancro, che ha guidato per vent’anni, sotto l’egida di Enrico Cuccia. Ha portato in Italia il modello ospedaliero basato sulla centralità del paziente e non il suo male, istituendo una gestione che reinvestiva gli utili nella ricerca. Inventore del metodo della “quadrantectomia”, un intervento conservativo soft che non deturpa il corpo durante la rimozione del tumore mammario. Scoperta molto pionieristica, a suo tempo, tanto da portare molto scetticismo nella comunità scientifica, tant’è che molti chirurghi-oncologi, dell’epoca, non volevano rinunciare alla classica mastectomia.

A distanza di 40 anni tutto il mondo ha dovuto ammettere il primato di Veronesi, anche gli americani, il cui nome è legato ai grandi contributi scientifici che ha portato nella società.

 

Assegnatario di ben tredici lauree “ad honorem”, sia nazioniali che internazionali, il suo contributo intellettuale non era mirato solo alla scienza, ma anche alla vita pubblica e politica.

 

Importanti le sue battaglie per la laicità dello stato e l’equilibrio dei poteri, per la legalizzazione e la depenalizzazione delle droghe leggere.

Favorevole ai matrimoni tra persone dello stesso stesso, all’aborto e all’eutanasia,argomento sul quale ha scritto il libro Il diritto di morire: La libertà del laico di fronte alla sofferenza (2005).

Importanti i suoi studi sull’alimentazione,prima arma contro il cancro, che lo portarono ad adottare il vegetarianesimo riguardo al quale ha sempre sostenuto « Il nostro organismo, come quello delle scimmie, è programmato proprio per il consumo di frutta, verdura e legumi. Una dieta priva di carne non ci indebolirebbe certamente: pensiamo alla potenza fisica del gorilla. E pensiamo al neonato, che nei primi mesi quadruplica il suo peso nutrendosi solo di latte. Non solo una dieta di frutta e verdura ci farebbe bene, ma servirebbe proprio a tenere lontane le malattie>>.

Ateo convinto non ha mai avuto paura di scomparire, ma di perdere le sue facoltà intellettive e per questo si allenava ogni giorno. La sua più grande eredità sono le idee che lascia, queste vanno oltre lo stesso compito di ricercatore e professore, perché toccano il tessuto sociale e culturale di paese, tessendo la trama di una storia che ancora non ha trovato una fine, infatti, come diceva “non ho visto la soluzione finale contro il cancro ma arriverà!”.

Umberto Veronesi: grande perdita nel mondo della ricerca was last modified: novembre 12th, 2016 by L'Interessante
12 novembre 2016 0 commenti
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Dario Fo
CronacaCulturaIn primo pianoParliamone

Dario Fo, ultimo giullare

scritto da L'Interessante

Dario Fo

Di Vincenzo Piccolo

Si è spento oggi all’etá di 90 anni nell’ospedale di Sacco di Milano, dove era ricoverato da diversi giorni per complicazioni polmonari, il Premio Nobel per la Letteratura del ‘97, Dario Fo

A comunicarlo sono fonti ospedaliere.

Cantava, pochi momenti prima del ricovero, quando si erano viste aggravare le sue condizioni. Cosa che ha dell’incredibile, secondo il parere dei medici.

Difatti è sempre stato un anticonformista, un anticlericale, critico verso le istituzioni e la comune morale. “Chi ha detto che non si può cantare prima di morire?” Avrà pensato, lui che all’idea della morte non ha mai voluto cedere. Forse perché gli aveva tolto la cosa più cara che aveva, in arte come nella vita, sua moglie: Franca Rame. Con lei aveva saputo affrontare e mettere in scena temi importanti attraverso la satira e il grottesco, i suoi spettacoli erano disseminati da quei smitizzanti ribaltamenti sempre più frequenti nelle sue opere. Tipici i suoi rimandi alla Commedia dell’Arte, alle gag, al cinema muto con scene modellate sulle farse e le commedie brillanti. Una vita in scena, vissuta insieme a tante altre, cercando di comunicare qualcosa che forse non abbiamo mai capito.

L’arte di Dario andava oltre quella risata, troppo spesso malinconica, costellata di speranza. Una speranza che chiedeva cambiamento e, soprattutto, rovesciamento di quegli ideali alto-borghesi che avevano invaso la società dopo la seconda guerra mondiale. Sono molte le farse con cui Fo si prende gioco degli idealtipi appartenenti al mondo ecclesiastico o della morale borghese, intrise di valori sociali e politici. Quasi tutte interpretate e scritte, come già detto, con Franca Rame. La sua complice perfetta, in vita come in scena, fu subito colpo di fulmine, suggellato da un matrimonio e un figlio, Jacopo. Una figura fondamentale per la produzione artistica di Dario, tanto che decise di condividere con lei anche la medaglia del Nobel. Ma poi Franca se ne andó, morì il 29 maggio del 2013, lasciando Dario solo sulla scena. Quel duetto divenne un soliloquio che Dario continuava a recitare senza sosta, sotto quell’occhio di bue, quel fascio di luce che lo metteva a nudo con il suo dolore. Un dolore sempre nascosto sotto quel sorriso, stanco e consapevole che , spesso, la vita fa male.

Continua a scrivere, inarrestabile e sempre attento alla vita pubblica e all’arte. Dipinge e va in scena, organizza mostre, dibattiti e interventi, la speranza non si spegne. Non si dimentica di quel “Mistero Buffo”, di quella medaglia condivisa.

Non vuole lasciarsi abbattere dal tempo, che forse ha cambiato tutto ma non quello che voleva. Quel sorriso adesso sembra una ferita, ma ogni ferita può diventare feritoia, per questo ha continuato a ridere fino a poche ore fa. Dario da buon giullare lo sa, il riso è sacro.

 

 

Dario Fo, ultimo giullare was last modified: ottobre 13th, 2016 by L'Interessante
13 ottobre 2016 0 commenti
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Caso Emanuela Orlandi
CinemaCronacaCulturaIn primo pianoParliamone

Caso Emanuela Orlandi: “La verità sta in cielo”. Il film che sta dividendo l’opinione pubblica

scritto da L'Interessante

Emanuela Orlandi

Di Roberta Magliocca

Trentatrè. L’ann ‘e Cristo, risponderebbe mia nonna davanti alle cartelle della tombola sotto le luci intermittenti di un albero di Natale. Ma Natale non è, e quel numero niente ha a che fare con Cristo. Non è Natale e Cristo, nella vicenda di Emanuela Orlandi, scomparsa appunto 33 anni fa, non è mai entrato. Pur volendolo cercare, pur invocandolo, pur chiedendogli un segno, un indizio, lui non c’è. Non c’è Paradiso, nè inferno, non c’è guerra, nè pace, Emanuela non è viva, nè morta. 

Questo è il dramma delle sparizioni. Perchè al costante dolore, si aggiunge l’angoscia e la speranza. Ma facciamo un passo alla volta.

Emanuela Orlandi:  giovane per sempre

All’età di 15 anni, Emanuela, cittadina vaticana figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, sparisce dopo la sua settimanale lezione di musica. Denunciata la scomparsa, inizialmente si pensa ad una fuga volontaria, una bravata. Ben presto si capirà, invece, che la vicenda è ben più complicata di così e che non solo non si tratta di una bravata, ma che intorno alla sua scomparsa c’è un mistero che coinvolge i servizi segreti di diversi paesi, la banda della Magliana, gente di malaffare, giudici. Tutto questo all’ombra del cupolone. Emanuela non è ancora stata ritrovata e, molto probabilmente, nessuno la troverà mai. Il mistero non è ancora stato risolto e, molto probabilmente, nessuno lo risolverà mai.

La verità sta in cielo: Roberto Faenza cerca di ricostruirne la vicenda

Il 6 Ottobre scorso, nelle sale cinematografiche italiane, è uscito “La verità sta in cielo” film-inchiesta di Roberto Faenza sulla sparizione della giovane ragazza. Il film, in un continuo salto temporale tra il 1983 e il 2015, intreccia testimonianze, processi, inchieste come in una staffetta di luci e ombre, segreti e chiarezza. E di chiaro sembra non ci sia proprio nulla. Eppure si scava in un unico terreno fatto di sacro e profano, di chiesa e malavita, di quanto dovrebbe essere più opposto e invece si attrae fino a diventare un solo corpo.

Famiglia Cristiana attacca duramente il film

Nessuno scoop, anzi. Quanto ci si aspettava, tanto è successo. Famiglia Cristiana sostiene che, tra le varie piste aperte sulla scomparsa della ragazza, si è scelta quella della Chiesa per sparare – a detta loro – su un bersaglio preso di mira quotidianamente. Quasi come a voler trattare con saccenza e superbia la questione, Famiglia Cristiana parla di una banalità nell’intreccio di una trama che non sta in piedi perchè ogni accusa contro lo IOR e la Chiesa si è poi conclusa con un nulla di fatto. Solo chiacchiere, dunque, per il giornale in questione.

Ma se è vero che l’inchiesta è stata chiusa senza che le responsabilità di alcuno venissero accertate, se è vero che il dito puntato verso il Vaticano si è dovuto abbassare perchè nessuna prova è stata apportata, questa difesa della Chiesa e dello IOR – alla luce dei recenti scandali, appurati eccome, che li hanno coinvolti e travolti – forse risulta estrema a tal punto da far storcere il naso. E se è vero che Vatileaks e vicende annesse, nulla hanno a che fare con Emanuela Orlandi, certo servono a comprendere che il Vaticano non è quella tunica bianca scevra di macchie che Famiglia Cristiana difende a spada sguainata.

Tutto questo per dire che “La verità sta in cielo” non marcia a piedi pesanti sulla Chiesa tentando di schiacciare tutto ciò che vede. Tutt’altro. Tenta di far chiarezza. Chiarezza non per demonizzare la Chiesa, ma per farne uscire la parte sana che nel silenzio e nella chiusura non ha da guadagnare ma solo da perdere. Bisogna fare rumore, far saltare la corruzione e le mani sporche. In fondo, lo stesso Papa Francesco combatte in casa propria una guerra non certo facile, ma assolutamente necessaria per riacquistare credibilità.

Adriana Serrapica, la dolce Emanuela 

In un’intervista timida e gentile, Adriana Serrapica – l’attrice che nel film interpreta Emanuela Orlandi – ci racconta di essere entrata in punta di piedi e con estremo rispetto in uno dei casi di cronaca che, come abbiamo visto, fa discutere. A volte anche troppo. Perchè in questo gioco di poteri e di scaricabarile di accuse, a volte si perde di vista quel viso: una ragazza è scomparsa, una famiglia è stata distrutta. Per le strade italiane c’è un fratello che cerca ancora la sua sorrellina, che ancora chiede giustizia, che vuole la verità. A costo di cercarla ovunque nel mondo. Anche in cielo.

 

Caso Emanuela Orlandi: “La verità sta in cielo”. Il film che sta dividendo l’opinione pubblica was last modified: ottobre 11th, 2016 by L'Interessante
11 ottobre 2016 0 commenti
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Napoli
CronacaIn primo pianoParliamone

Napoli. Si contendevano la stessa ragazzina: accoltellato uno dei due pretendenti

scritto da L'Interessante

Napoli

Di Michela Salzillo

Succede a Napoli qualche giorno fa… 

Una lite, una scuola, una di quelle del centro storico. Due adolescenti di quindici e quattordici anni, una ragazzina che in anonimato si ritrova ad essere trascritta come il vero motivo del contrasto, un coltello, una sferrata, e quello che con una certa ordinarietà succede fra i banchi degli istituti di formazione, e non solo, diventa fatto degno di nota. Quando c’è di mezzo del sangue, un ricovero in ospedale e il grido alla grazia per il sopravvissuto, è giusto che se ne parli. È importante che si cerchi di capire come sono andate le cose, dettagliare il nome della scuola che, in questo caso, sarà quello dell’istituto comprensivo Teresa Confalonieri, sito nel vico San Severino, premunirsi di specificare che se anche il diverbio sia cominciato in classe, l’accoltellamento sia invece avvenuto all’esterno della stessa. È importante dare voce all’ insegnante che, giustamente, tiene a rimarcare quanto certi casi non debbano rappresentare l’ identità comune della Napoli perbene, cercando di mettere i puntini sulle “i “ in materia di responsabilità, perché se il fatto è avvenuto nel cortile della scuola, invece che di fronte alla lavagna prima della campanella, pare cambi molto.  Vengono fuori gli sfoghi che confermano quanto tutti sapevano, ma nessuno si era mai preoccupato più di tanto.  Lo dice la zia del ragazzo ferito, quando ancora era in ospedale, prima dello scampato pericolo: “Era un bullo, lo sapevano tutti”.

Perché allora non si è evitato quest’ epilogo, per fortuna riuscito alla meno peggio? Perché chi poteva non è intervenuto? Resta un mistero, uno di quelli difficili da decifrare, ma su cui fare ipotesi viene spontaneo. Non si parla perché tanto sono cose che succedono? Perché questi insegnanti non sanno dove sbattere la testa con classi di trenta ragazzi e un programma da gestire il più degnamente possibile? Perché quello che conta è dire del bullismo come l’argomento su cui interrogare all’esame, tanto se l’alunno sa la pappardella a memoria, merita il plauso o cose del genere? Forse tra queste domande c’è quella che dà risposte, forse tutte, in parte, sono la risposta o forse niente di tutto ciò  ha a che fare con le famiglie di questi ragazzi, dove magari si insegna che l’ uomo vero è quello che tira a calci e pugni, che il rispetto lo guadagni con la violenza, perché se non sai dare schiaffi allora vuol dire che sei scemo, “sei fesso”, “ Se non difendi  la donna tua, non sei buono”.

Bullismo: una definizione abusata piena di storie

 Che il lupo mangi l’agnello è una storia vecchia come il mondo, ma non è sempre il più debole ad essere inghiottito. Ce lo insegnano i fatti, ce lo dice la cronaca, ce lo racconta una lunga serie di storie archiviate sotto la piaga del bullismo, compresa quella che, magari, si sta svolgendo in questi minuti e di cui nessuno parlerà mai. È quella del ragazzo che è costretto ad abbassarsi i pantaloni in corridoio se no non passa dalla porta di ingresso, quello che durante la ricreazione viene ficcato con la testa nel water al cospetto del riso compiaciuto del gruppo che spalleggia il bullo. È il ragazzino omosessuale che tutti chiamano ricchione, quello che quando torna a casa si chiude in camera, nel silenzio generale, e fa i conti con l’inferno. È la ragazzina che viene appellata a poco di buono nei post di Facebook con fare oppressivo, è quella che, per questo, ogni tanto, pensa che è meglio farla finita.

 Secondo la definizione da enciclopedia, “fare il bullo” vuol dire agire secondo una forma di comportamento di tipo violento e intenzionale, che abbia natura sia fisica che psicologica, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal soggetto che perpetra l’atto in questione come bersagli facili e/o incapaci di difendersi. Di leziose spiegazioni legate al termine ne troviamo ovunque: dentro i libri, fuori dai manuali di pedagogia, nelle trame dei film e fra le prime diciture dei motori di ricerca. Non è svogliatezza se a definire la parola, in questo caso, sia stata una traduzione di tipo testuale che, fuori da questa pagina, potrete rintracciare con facilità, perché di copia e incolla, soprattutto per temi di questo tipo, ne facciamo davvero tanti. Non che sia sempre una scelta conscia, a volte è anche colpa di alcune imposizioni mediatiche, secondo cui se non ne parli, o sei poco informato o non te ne frega assolutamente nulla. Perciò finisce che si dica quello che tutti sanno, senza capire, però, come agire per diminuire l’alto tasso di drammi del genere. La materia è vasta e non essendo noi specialisti del settore, non intendiamo azzardare teorie infondate. Quel che certo, e non c’è bisogno di lauree per capire questo, è che un atteggiamento diventa vessatorio, quando oltre al branco che sostiene il bullo, a fargli forza ci sono persone che fanno finta di non vedere, quelle che si convincono che va tutto bene oltre ogni verità.

Napoli. Si contendevano la stessa ragazzina: accoltellato uno dei due pretendenti was last modified: ottobre 10th, 2016 by L'Interessante
10 ottobre 2016 0 commenti
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Cinema Duel
CinemaCronacaCulturaIn primo piano

Duel Cinema: La verità sta in cielo. Il primo film su Emanuela Orlandi

scritto da L'Interessante

Duel Cinema

L’attrice Adriana Serrapica presenta al Duel Village

‘La verità sta in cielo’ il primo film su Emanuela Orlandi

Domenica 9 ottobre alle ore 19.00  in via Borsellino a Caserta

Sarà l’attrice Adriana Serrapica a presentare al Duel Village di Caserta – domenica 9 ottobre alle ore 19.00 –  ‘La verità sta in cielo’, il nuovo film di Roberto Faenza sul misterioso caso, tutt’ora irrisolto, di Emanuela Orlandi.  La giovane protagonista campana, che nel film interpreta proprio la ragazza scomparsa nel giugno del 1983, incontrerà il pubblico in sala prima della proiezione. Un ruolo misterioso, complesso e affascinante, che segna per Adriana il suo esordio sul grande schermo. Un bella sfida professionale in cui l’artista, 19 anni, si ritroverà al centro di una vicenda che ripercorre 30 anni di storia, riaprendo il ‘cold case’ Orlandi. Partendo dall’indagine della giornalista Rai, Raffaella Notarile, e frutto di una ricostruzione meticolosa dei fatti, il film fa luce infatti su uno dei casi più torbidi ed emblematici della vita della Capitale, quello dell’improvvisa e apparentemente inspiegabile sparizione, a soli 15 anni, il 22 giugno dell’83 nel centro di Roma, di Emanuela Orlandi, figlia di un commesso della Prefettura Pontificia. Sullo sfondo di quel misterioso episodio di cronaca, diventato uno dei delitti più discussi dalla stampa internazionale, l’oscuro intreccio di interessi riguardanti il Vaticano, la famigerata Banda della Magliana, il Banco Ambrosiano, lo IOR, lo Stato italiano e i servizi segreti, peraltro non solo italiani. Nel film anche  Riccardo Scamarcio, Maya Sansa, Greta Scarano e Valentina Lodovini.

Il film resterà in programmazione al Duel Village tutta la settimana alle ore 16.00 – 17.30  – 19.00 – 20.45

LA TRAMA

Il 22 giugno 1983 Emanuela Orlandi, quindicenne cittadina vaticana, figlia di un messo pontificio, sparisce dal centro di Roma, dando inizio a uno dei più clamorosi casi irrisolti mai accaduti in Italia, conosciuto anche all’estero. Dopo decine di indagini, oscure ipotesi, coinvolgimento di “poteri forti”, depistaggi di ogni genere, una cosa è certa: Emanuela non ha fatto più ritorno a casa. Sollecitata dallo scandalo “Mafia capitale” che attanaglia Roma ai giorni nostri, una rete televisiva inglese decide di inviare a Roma una giornalista di origine italiana (Maya Sansa) per raccontare dove tutto ebbe inizio: quel 22 giugno di tanti anni prima. Con l’aiuto di un’altra giornalista (Valentina Lodovini), inviata di un noto programma televisivo italiano, che ha scoperto una nuova pista, entra in scena un personaggio inquietante: Sabrina Minardi (Greta Scarano). E’ l’amante di Enrico De Pedis (Riccardo Scamarcio), meglio conosciuto come Renatino, il boss che ha saputo gestire meglio di ogni altro il malaffare della capitale, poi finendo sotto i colpi della banda rivale della Magliana. Nonostante il suo passato, Renatino verrà sepolto nella Basilica di S. Apollinare, nel cuore di Roma, proprio accanto alla scuola di musica frequentata da Emanuela: un altro mistero. La Minardi si decide a raccontare quanto afferma di sapere sul sequestro della ragazza.
E’ la verità? Quale intreccio indicibile si cela dietro i delitti rimasti impuniti nell’arco di trent’anni?

IL TRAILER

 

 

Duel Cinema: La verità sta in cielo. Il primo film su Emanuela Orlandi was last modified: ottobre 7th, 2016 by L'Interessante
7 ottobre 2016 0 commenti
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Stefano Cucchi e Ilaria Cucchi
AttualitàCronacaIn primo pianoParliamone

Cucchi: la verità sulla perizia

scritto da L'Interessante

Stefano Cucchi

Di Michela Salzillo

Se la verità fosse una parodia, scoprirla sarebbe una cosa seria.

 Quando ti diverti tutto diventa più semplice, anche riconoscere la realtà per quella che è. Se Stefano Cucchi fosse stato il centrale personaggio di una sceneggiatura comica, a cui la fantasia avrebbe fatto dire di esser morto per un curioso “pestaggio epilettico”, non avremmo avuto di certo il bisogno di scomporci più di tanto perché, si sa, un corto circuito cerebrale può farti perdere conoscenza, ma è assodato che non ti congedi dalla vita con tumefazioni da foto ricordo. È per questo che quando, due giorni fa, diverse agenzie di stampa hanno fatto intendere che ad uccidere Stefano sarebbe stata una morte improvvisa per epilessia, conclusione che si diceva fosse ampliamente documentata da una nuova perizia, l’opinione pubblica ha scatenato il suo più completo dissenso. Sono partite vignette e diverse occasioni di satira che, nella maggior parte dei casi, pur boicottando la notizia ufficiale, non lasciavano presagire alcun dubbio. La perplessità, però, è quasi scontata in casi del genere, proprio perché, vista dal lato della semplice riflessione, un’informazione di questo tipo fa acqua da tutte le parti.

A rattoppare le stranezze di certi titoli da prima pagina, però, sono arrivate le dichiarazioni della sorella di Cucchi, Ilaria, che in un’intervista a Fanpage ha dichiarato:

“La perizia ha riconosciuto quello che noi abbiamo sostenuto per ben sette anni, ossia, le duplici fratture sul corpo di mio fratello che sono state negate in ogni maniera. Onestamente, sono rimasta basita quando mi sono arrivate le telefonate dei giornalisti che dichiaravano Stefano morto per epilessia.  I documenti non dicono questo.”

Dopo le dichiarazioni rilasciate alla giornalista Claudia Torrisi, occasione in cui Ilaria Cucchi ha anche asserito che, dal punto di vista mediatico, fare un processo contro i carabinieri è molto diverso rispetto al farlo contro chiunque altro, la dirigenza della Rai ha sentito il dovere di pareggiare i conti con la verità, rettificando i servizi della messa in onda, almeno rispetto alle prime indiscrezioni dei giorni scorsi; ma prima  di chiarire i dettagli della vicenda, facciamo un passo indietro.

 

Chi è Stefano Cucchi? Perché la sua morte ha richiesto un’indagine più accurata?

Arrestato il 16 ottobre del 2009 nel parco degli Acquedotti di Roma per il possesso di venti  grammi di hashish, al momento dell’arresto, secondo quanto riferito dai familiari, Stefano Cucchi stava bene e non aveva segni di alcun tipo sul volto. La mattina del 17, all’udienza per direttissima, il padre ha notato che aveva delle tumefazioni al volto e agli occhi. La sera stessa è stato comunicato alla famiglia che il ragazzo era stato trasferito d’urgenza al reparto detentivo dell’ospedale “Sandro Pertini” di Roma, sembra per “dolori alla schiena”. I genitori si sono precipitati a fargli visita, ma non sono stati ammessi né sono riusciti a parlare con i medici. Il permesso è stato loro accordato per giovedì 22, ma proprio quella mattina Stefano Cucchi è morto. I genitori hanno potuto rivederlo solo per il riconoscimento all’obitorio, sei giorni dopo. Il 29 ottobre la famiglia ha indetto una conferenza stampa, diffondendo le foto del corpo scattate dall’agenzia funebre dopo l’autopsia.  Nella documentazione fotografica si vede una corporatura estremamente esile, con il volto tumefatto, l’occhio destro rientrato nell’orbita, l’arcata sopraccigliare sinistra gonfia e la mascella destra con un solco verticale, segno di una frattura. Per queste ragioni, la procura di Roma aprirà un’inchiesta, ipotizzando il reato di omicidio preterintenzionale a carico di ignoti; un’accusa che oggi, proprio grazie all’ ultima perizia, sembra essere confermata. Vediamo perché.

Anche se si fosse trattata di morte epilettica, il probabile accaduto sarebbe comunque legato alle condizioni fisiche di Stefano dovute al pestaggio e alle fratture. L’inchiesta vede indagati cinque carabinieri per il presunto accanimento nei confronti di Cucchi in quella notte fra il 15 e il 16 ottobre 2009. Da due giorni, a disposizione del GIP ci sono oltre ottocento pagine di perizia. Secondo gli esperti, il decesso per epilessia appare come un’ipotesi attendibile, anche se, scrivono, non è documentabile. Dagli incartamenti emerge, inoltre, una seconda probabile causa di decesso, che sarebbe riconducibile alla frattura di una vertebra, oltre che alle lesioni del nervo sacrale. Tutto questo può aver determinato complicazioni alla vescica e causato un infarto. In entrambi i casi, però, i periti escludono che le contusioni riportate dopo l’arresto siano causa o concausa della morte. Pertanto, la verità starebbe nel mezzo.

“Noi non abbiamo mai sostenuto che le lesioni fossero mortali, questo è evidente. Ci sono delle altre responsabilità, ma quello che conta è il riconosciuto omicidio.” –  così continua a parlare Ilaria Cucchi, ospite anche nel programma Unomattina, qualche giorno fa. –

Al momento l’accusa, per tre carabinieri, di lesioni e quella di falsa testimonianza per gli altri due, sono affidate al giudizio dei P.M., che dovranno stabilire anche se ci sono gli estremi per riconoscere l’omicidio preterintenzionale.

Il percorso, dunque, è ancora in salita per la famiglia di Stefano, ma i nuovi sviluppi sul caso promettono buone speranze per chi, ormai, chiede solo che sia fatta giustizia.

Cucchi: la verità sulla perizia was last modified: ottobre 6th, 2016 by L'Interessante
6 ottobre 2016 0 commenti
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Caso Cucchi: tu chiamala se vuoi, Epilessia

scritto da L'Interessante
Caso Cucchi: tu chiamala se vuoi, Epilessia was last modified: ottobre 5th, 2016 by L'Interessante
5 ottobre 2016 0 commenti
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Siamo quelli di un passo avanti e dieci indietro

scritto da L'Interessante

Siamo

Di Michela Salzillo

A volte sembra che il tempo si confonda, che mescoli passati remoti a futuri semplici. Succede quando progresso e regressione diventano sinonimi di una stessa epoca, e non si capisce se siamo parenti stretti dell’homo erectus o imbucati di concetto alla festa degli extraterrestri. Parliamo di noi, del nostro Paese, inteso in senso lato e in quello stretto, quando stare nella comunità delle avanguardie, viverci e santificarne le invenzioni, sembra quasi il contentino che fa da tappa buchi all’ ignoranza. La nostra è l’era della velocità, quella che con la calma non ci costruisce neppure più i palazzi, e se poi si spezzano in due come fossero di carta pesta, non è mai colpa della nostra fretta, ma è sempre uno scrupolo mancato al Dio qualunque che non ci considera più.

Siamo quelli dell’emancipazione a metà fra una donna ministro e l’uomo padrone che ancora decide per due. Non ci piace dire che il maschilismo non è affare di ieri e neppure che alcune donne non riescono a guardarsi fuori da certe catene, quei retaggi vecchi, per luogo e cultura, che le rende ancora mogli fedeli, madri ineccepibili e ottime rassettatrici di mensole e penisole, ma incapaci di volersi altro da tutto questo. Navighiamo per ore e abbiamo ottimi mezzi per stare connessi al circostante, ma la comunicazione è sempre troppo poca per dirsi soddisfatti. Siamo liberi(almeno così dicono), ma a volte è quasi una condizione difficile, perché essere svincolati implica una scelta, e prendere posizione non è mai cosa semplice. Sappiamo tutto, ma siamo poco informati, perché la verità non è di massa, ma è merito di chi si impegna per trovarla; non la leggiamo sui giornali, non su tutti almeno, perché quello che conta far conoscere è la notizia, e non sempre corrisponde alla realtà. 

Siamo quelli dei gay pride che vanno bene perché non è più l’ora del medioevo, ma se poi se ne parla troppo di questi omosessuali significa che stiamo dando i numeri

 Due donne, una poliziotta ed una maestra d’asilo, qualche giorno fa, si sono unite in matrimonio, è successo a Caserta, l’avrete letto. Grande sintomo di civiltà, ha azzardato qualcuno, e forse non è sbagliato aver trovato in questa prima volta un gesto di rispetto e dignità civile, ma forse ci dovremmo soffermare sul fatto che una scelta del genere sia ancora uno scoop, una novità che somiglia all’eroismo e non all’ordinarietà.

 Abitudine più che eccezione è invece ciò che è successo a Roma, alla gay street, qualche giorno prima: i genitori di una ragazza sono entrati in un bar e hanno aggredito la fidanzata della figlia, urlando: “Tu ci hai rovinato la vita, ora ti facciamo vedere noi”, e l’hanno presa a schiaffi. A Fravia, invece, paesino in provincia di Torino, il sindaco ha deciso di non celebrare le unioni civili, e non delegare nessun altro a farlo perché, stando alle sue dichiarazioni, non poteva andare contro le proprie convinzioni etiche, quelle stesse che gli avevano suggerito, in passato, degli ottimi motivi per prendere parte al movimento delle “sentinelle in piedi”.

 Certo, quando si è indietro di cent’anni, rispetto all’Europa ed oltre, un passo è meglio che niente, ma un centimetro non fa di certo i chilometri. Come un noto giornalista ha scritto in questi giorni: “occuparsi della ricerca della felicità per le persone che vogliono vivere liberamente i propri sentimenti e la propria sessualità, non è mai una cosa di secondaria importanza.” Ma questo l’Italia deve ancora capirlo.

Manca parecchia strada alla macchina del tempo, che sbanda di continuo senza riuscire a fermarsi ad oggi, ed è ancora molta la fatica che bisogna fare prima di per poterci riposare in un paese che sia veramente civile, totalmente distante dal preistorico. Mille parole nuove possiamo imparare per fare finta di inventare cose alternative, ma se le intenzioni di chi le usa si stanno ancora vestendo con bustini soffocanti nelle camere di conti e baroni che credono il loro mondo l’unico degno di essere tale, fare festa è solo un favore prestato alle apparenze.

Siamo quelli di un passo avanti e dieci indietro was last modified: settembre 30th, 2016 by L'Interessante
30 settembre 2016 0 commenti
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