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Categoria

Curiosità

Stallo
CulturaCuriositàEventiIn primo piano

Ti stallo. Prove di adozioni

scritto da L'Interessante

Stallo

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati, bentrovati dal dogfriendly.  In questi giorni ho molto pensato al mondo dei volontari e per quest’articolo mi sono ispirato a coloro che si occupano di canili e cani vaganti sul territorio, agli sforzi che compiono, alle energie che investono nella loro missione.

A volte sono davvero stremati e avrebbero bisogno di collaborazioni funzionali a supportare le dinamiche che sovente si realizzano nelle adozioni: staffette, stalli, adozioni consapevoli. Ma cosa significano davvero queste parole?

Per farlo ho chiesto una mano a Chiara Porcile istruttrice cinofila di Mondo Cane, in quel di Genova, che da anni sapientemente lavora con il mondo degli animalisti, apportando il contributo da tecnico per una più fluida adozione. Come dico spesso, consapevole.

 

Realizzare uno stallo funzionale

Grazie mille Chiara per aver accettato l’intervista. Si sente spesso, soprattutto negli appelli lanciati dai volontari, il termine stallo: ma cosa s’intende?

“Con stallo si intende una sistemazione temporanea del cane fino all’adozione definitiva all’interno di un sistema famiglia. La sistemazione temporanea può essere all’interno di un canile/rifugio oppure a casa di un privato. In quest’ultimo caso si definisce stallo casalingo. Molto spesso gli stalli vengono richiesti per cani provenienti dal sud Italia affinché possano essere spostati al Nord e avere maggiori possibilità di adozione. In situazioni meno frequenti vengono richiesti stalli casalinghi per cani che vivono in modo particolarmente stressante l’ambiente di canile”.

Quindi il cane viene trasferito in un ambiente diverso da quello dove risiede, perdendo i sui punti di riferimento, l’ambiente conosciuto- per quanto a volte angusto-, gli operatori che gli danno da mangiare: come è possibile rendere uno stallo più accogliente per il cane?

“A mio avviso perché una sistemazione possa essere realmente accogliente per il cane lo stallo dovrebbe essere casalingo. Se si decide di spostare il cane da una gabbia di canile ad un’altra che semplicemente si trova geograficamente più in alto non ci sono comunque i presupposti per l’accoglienza.

Uno stallo casalingo permette al cane di conoscere una realtà che sarà poi quella che si troverà a vivere nel momento in cui verrà adottato definitivamente.

Per quanto riguarda il come renderlo accogliente vorrei poterti dire che so la risposta. Quello che posso fare è semplicemente riportarti quello che ho imparato in questi anni ospitando tanti cani diversi a casa mia e tenendo presente ovviamente che ogni cane è poi un soggetto a se stante e che, quindi, con ognuno di loro è necessario trovare la via giusta per arrivare a capirsi reciprocamente.

In linea generale credo che una questione fondamentale sia non preoccuparsi troppo di quello che potrebbero fare dentro casa. Che poi è spesso e volentieri il contrario di quello che fanno le persone una volta che il nuovo arrivato mette zampa nella loro abitazione: farà la pipì? Sporcherà in casa? Morderà il divano? Perché non si sdraia? Proverà a salire sul letto? Piangerà di notte?

Questo crea ovviamente una certa dose di tensione di cui il cane (che normalmente si è appena fatto 12 ore di viaggio in un camion dentro ad una gabbia) risente, a volte anche in modo profondo.

Quando arriva un cane in stallo a casa io ho già messo tutto in conto. Sono sicura che sporcherà in casa, ma sono altrettanto sicura che il pavimento si possa pulire senza troppa difficoltà o ansia; sono sicura che proverà a salire sul divano, sul letto e che magari ruberà anche il cibo dal tavolo ma sono tutte cose a cui si può rimediare. In altre parole credo che il presupposto fondamentale per l’accoglienza sia dare al nuovo ospite il TEMPO per capire dove si trova, chi sono le persone e gli altri cani con cui da un momento all’altro si trova a condividere spazi e risorse e come capirle e farsi capire.

Oltre a questo quello che cerco di fare è creare per ognuno di loro uno spazio all’interno del gruppo dove possano trovare stabilità, dove possano sentirsi al sicuro e dove possano trovare le energie per ripartire. Quello che devi considerare è che quasi tutti i cani che arrivano da me hanno conosciuto la solitudine, la violenza, la mancanza di libertà e spesso sono stati recuperati con gravi problematiche di salute. Quello di cui hanno bisogno è qualcuno di cui possano fidarsi. Qualcuno che dia loro fiducia, che dia loro la possibilità di sperimentare e di provare a muoversi nel mondo e che, allo stesso tempo, sia una guida sicura. La difficoltà nel fare gli stalli sta proprio in questo: esserci sempre, per ognuno di loro, ogni volta che ne hanno bisogno perché ognuno di loro è parte del gruppo ed è importante. Credo che solo così possano trovare le risorse di cui hanno bisogno per iniziare una vita completamente nuova”.

 

Non si corre il rischio così di illudere il cane che abbia trovato una famiglia definitiva?

 

“Si. Questo è il motivo per cui ad ogni richiesta di adozione segue un percorso di inserimento all’interno della nuova famiglia della lunghezza adeguata a seconda del soggetto che ha ricevuto la richiesta.

Ritengo anche che valga la pena prendersi questo rischio se penso che spesso l’alternativa sarebbe stata il canile a vita o se penso a tutte le adozioni “dirette” che hanno avuto come conseguenza il rientro in canile del cane o, forse peggio, una vita passata nel terrore e nella paura.

Per ogni cane che tengo in stallo vengono valutate attentamente le richieste di adozione e vengono prese in considerazione solo quelle ritenute idonee per quel soggetto. Inoltre ognuno di loro impara a muoversi al guinzaglio, in libertà, a stare all’interno della casa e a vivere dei momenti di solitudine in serenità. Tutto ciò spesso è determinante per far sì che le adozioni vadano a buon fine e che poi, realmente, l’adozione possa essere definitiva.

Per quella che è stata la mia esperienza ne è sempre valsa la pena. Rimango in contatto con tantissimi adottanti e quello che vedo sono cani sereni. A me questo fa pensare che il beneficio finale sia superiore rispetto al rischio iniziale che si è preso”.

Consigli per i  futuri adottanti per mettere il cane in agio?

 

“Oltre al percorso di conoscenza a cui ho accennato in precedenza, passo tantissimo tempo a raccontare loro il più possibile su chi sia il loro cane, che cosa gli piace fare, cosa lo può disturbare o far innervosire, cosa gli può fare paura e quali sono le sue abitudini. Cerco di fare in modo che loro lo conoscano il più possibile e che il cane possa ritrovare nella nuova casa oggetti e situazioni a lui conosciute. Per quanto possibile punto sul trasmettere loro alcuni modi di fare o modi di comunicare che il cane ha imparato a comprendere e interpretare da me, in modo che ci sia una base da cui partire per costruire una loro comunicazione”.

Stallare. Dimorare in una stalla. Sostare. Passivamente, quindi. Grazie a Chiara  Porcile per averci fornito il suo punto di vista sul più funzionale- e rispettoso- so stare in famiglia.

Ti stallo. Prove di adozioni was last modified: giugno 9th, 2017 by L'Interessante
9 giugno 2017 0 commenti
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Contadino
CulturaCuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Il cane del contadino

scritto da L'Interessante

Contadino

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati questa settimana avevo un po’ di dubbi su quale argomento affrontare: ancora razze? Le controversie tra i colleghi sulle tecniche migliori per l’educazione del cane? Il fatidico concetto di dominanza? Insomma, non riuscivo a decidermi. Poi stamane l’illuminazione.

Vi racconterò del cane del contadino.

Sì, stavo andando al campo, che è in una zona di campagna. Molti contadini lavorano ancora nell’ orario in cui arrivo io. Uno di loro era in pausa, lì col suo cane accanto. Alla vista della mia automobile il contadino ha preso in braccio il cagnetto, riponendolo a terra solo quando ero ormai distante e non più pericoloso. Il cagnetto allora lo ha guardato- si sono dati un segnale e insieme hanno iniziato a rincorrersi, sorridendosi di vero cuore.

Contadino, in pausa da un lavoro pesante, gioca con il suo cane, divertendosi- penso.

Quanta cura, quanta accortezza, quanta condivisione in quei tre minuti di interazione. Eppure il contadino era con la pesante zappa in mano poco prima. Il cagnetto ha aspettato il suo turno, in cui poter alleggerire il peso di quella zappa attraverso corse scodinzolanti. Evidentemente sapeva che il suo turno sarebbe arrivato.

Ho pensato a tutte quelle famiglie del “non ho tempo per il mio cane”.

Il tempo è una risorsa preziosa ed oggigiorno manca sempre più: ma non si è soliti recitare forse “Quando il perché è forte il come si trova sempre”? Certo, poiché è tutto un discorso di motivazione. Lo dice la parola stessa, ci vuole il motivo che ti spinge all’azione, cioè a fare qualcosa. E spesso questo motivo è legato all’importanza che si da all’altro. Alla capacità di lettura ed empatia verso l’altro. Ti capisco, ti accolgo, condividiamo. E vale, perché anche io sto meglio con te. Sarebbe più onesto portare a consapevolezza un “non ti voglio più”, o anche “ho sbagliato ad adottare un cane ora”. L’errore è umano, la non ammissione è invischiante. La perseveranza nell’errore diabolica.

A noi istruttori un’altra frase induce orticaria: “Se avessi una casa col giardino prenderei un cane”. Come se il cane fosse l’ottavo nano.

Vi assicuro che tutti i cani che vivono in giardino distanti dai loro proprietari trascorrono il loro tempo vicino alla porta d’ingresso, o curiosando su cosa si sta facendo in casa, o ancora provando ad attirare l’attenzione dei proprietari. E se tutto ciò non funziona, trovano spesso strategie auto appaganti, comportamenti come rincorrere le lucertole, abbaiare agli estranei oltre il cancello, leccarsi le zampe o manifestare stereotipie.

Perché non è lo spazio la risorsa principale da avere nella vita con un cane; è il tempo. E pure di qualità. Per le passeggiate, per l’educazione, per la socializzazione, per pulire le pipì del cucciolo e le marachelle fisiologiche, necessarie per la crescita serena del soggetto. Per la condivisione. Il tempo per dare e dire sì; perché per ogni No che diciamo al cane per via del nostro stile di vita, dovremmo pensare ad un Sì per il suo stile di vita.

Il tempo per divertirsi. Ma per divertirsi bisogna crearle le situazioni. E bisogna avere il tempo per crearle. Tempo e voglia. Così come quel contadino ha portato con sé il suo cagnetto e appena possibile si è dedicato piacevolmente a lui, anche noi umani di città dovremmo alzare la motivazione.

Sennò che relazione è?

Attenzione a non diventare coinquilini con il vostro cane.

Fortunato quel cane.

Ode a quel contadino.

Il cane del contadino was last modified: maggio 13th, 2017 by L'Interessante
13 maggio 2017 0 commenti
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Shiba
CulturaCuriositàIn primo piano

Il piccolo, ma non troppo Shiba Inu. Intervista ad Antonio Lombardo

scritto da L'Interessante

Shiba

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati il fascino che l’Oriente riveste sull’Occidente è spesso notevole, e anche nel mondo della cinofilia si avverte questa tendenza. E’ per questo che dopo i maestosi Akita inu abbiamo deciso di concentrarci sugli Shiba inu, e per farlo ci siamo affidati ad Antonio Lombardo, Educatore Cinofilo FICSS, ex allevatore di Akita Inu con affisso Enci, che da due anni e mezzo collabora con il più grande allevamento di razze giapponesi d’Europa, in provincia di Torino.

Partiamo dall’origine dello Shiba inu

Grazie mille per aver accettato l’intervista. Qual è l’origine di questa razza orientale? A volte saperne l’origine aiuta la conoscenza del comportamento da parte dei proprietari.

“Come avviene per tante razze, l’origine dello Shiba inu è alquanto vaga, ma ciò che sappiamo per certo è che si tratta di uno dei cani asiatici più antichi. E’ il più piccolo tra le sette razze native giapponesi, e veniva indicato come cane da caccia, a differenza del più grande e conosciuto cane giapponese, ovvero l’Akita inu, indicato altresì da caccia e lavoro. Il suo magnetismo risiede nel contrasto della sua essenza, selezione, ma scrupoloso mantenimento dei caratteri ancestrali. E’ un cane dall’aspetto essenziale e rustico, è un cacciatore formidabile, versatile e fatto per qualsiasi superficie e preda. Specialista nella caccia di piccole prede, veniva utilizzato dai cacciatori persino per irretire gli Orsi: inducendoli a sorreggersi sulle due zampe posteriori, il cuore della preda poteva così divenire facile bersaglio per le frecce dell’uomo”.

Spesso i futuri adottanti scelgono questo cane per la loro estetica e simpatia: ma cosa comporta vivere uno shiba nella realtà?

“Come già accennato i suoi scopi selettivi ci danno più che un’ idea sul suo comportamento. Molto dinamico e attivo, si lega molto ai propri referenti, ma ha anche una buona dose di socievolezza. Come tutti i cani nipponici, è estremamente silenzioso e particolarmente pulito. Stoico come pochi nel trattenere i propri bisogni già dalle prime settimane in casa, detesta sporcare i propri spazi. Apprezza i confort domestici, ma adora la natura: quello è il suo areale, dove i suoi occhi luccicano e si infiammano al contatto con la neve, il suo naso gocciola all’annusar del bosco. In libertà ha distanze medio-ampie, molto predatorio e autonomo nell’esplorazione, come tutti i cacciatori ama le tracce e godersi i sapori olfattivi”.

Quanto si discosta il comportamento di uno shiba da quello del cugino akita? Spesso si sente dire che uno shiba è un akita in miniatura: cosa ne pensa a riguardo?

“In verità si somigliano parecchio, ma non esteriormente: dal punto di vista morfologico sono tecnicamente molto differenti; infatti uno shiba che assomiglia ad un akita non è uno shiba in tipo. Internamente sono molto simili, poiché entrambi portano con sé tutto il prodotto della coevoluzione col popolo Giapponese. Discrezione, delicatezza, pulizia sono le peculiarità di queste due razze. E’ definito più nevrile, ma a me piace raccontarlo semplicemente come più vivace, più attivo e dinamico del cugino di grande taglia”.

Cosa può consigliare ai futuri adottanti che è necessario debbano sapere su questa razza?

“Uno shiba adulto è capace di farvi percorrere 50 metri in 30 minuti: se prima non ha terminato la sua zelante ispezione è impossibile proseguire. Scherzi – ma non troppo- e tecnicismi a parte, è un cane attivo, che dice la sua, che propone e sceglie. Tende ad essere incompatibile coi conspecifici di egual sesso ma può tranquillamente avere degli amici cani. Non è di certo un cane da area cani- ammesso che esista il cane da area cani-, è di piccola taglia ma non pensate che sia una fantastica reliquia giapponese da lasciare lì, sul divano, tutta da contemplare. Lo shiba, come tutti i cani da caccia, ama i caldi ripari, soprattutto dall’umidità, ma ha anche un bisogno di fare importante. Come detto, non disdegna la vita d’appartamento, ma ha bisogno di esperienze in natura che gli permettano di ritrovare il proprio equilibrio. Molto solare, è un compagno discreto per i bambini, festoso con chi ritiene amico, tende alla diffidenza verso cani ed umani, ma meno che l’akita, per questo va vivamente consigliata una buona conduzione alla maturità, attraverso una corretta esposizione sociale. E’ un cane molto forte e longevo, non ha patologie peculiari di forte incidenza, facile da pulire, ha mute due volte l’anno che sono più frequenti nei soggetti maggiormente esposti alle escursioni termiche”.

Piccolo, ma non troppo.

Orientale, ma con la simpatia di un partenopeo. La si scopre bene su Youtube, dove abbondano video molto esplicativi con protagonisti gli shiba.

Il piccolo, ma non troppo Shiba Inu. Intervista ad Antonio Lombardo was last modified: maggio 6th, 2017 by L'Interessante
6 maggio 2017 0 commenti
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Emilio
CulturaCuriositàEventiIn primo piano

Emilio Porcaro: l’acchiappapensieri

scritto da L'Interessante

Emilio

Di Christian Coduto

A Napoli ci si ingegna. Si crea arte, si trasmettono emozioni, si dona calore in mille modi.

Le nuove generazioni sfruttano canali più recenti, ma sono in grado di riutilizzare anche vecchie forme di comunicazione, regalando loro nuova linfa vitale, reinventandole.

Oggi incontro Emilio Porcaro, un ragazzo giovanissimo. Egli è il fondatore di “Io penso che …”.

A lui piace esprimere impressioni attraverso la fotografia.

L’elemento caratteristico di questo lavoro è quello di donare alle persone fotografate, un foglio su cui ognuno può scrivere un pensiero, un concetto, uno stato d’animo. Lo stesso foglio diventa poi parte integrante (anzi, fondamentale) della foto che verrà scattata.

Ci diamo appuntamento al Nuovo Teatro Sanità, a Via San Vincenzo 1, dove c’è una mostra permanente di “Io penso che …”. Dopo un saluto a Mario Gelardi, il direttore artistico del teatro, mi soffermo a guardare gli shooting fotografici opera di Emilio e dei suoi collaboratori: immagini che straripano di vita, di gioia. Talvolta si evidenziano degli attimi di leggera malinconia (forse, per qualcosa che non è stato detto o fatto a tempo debito). Non sono scatti freddi: trasudano energia, si rimane incantati, sono vivi.

Emilio mi raggiunge poco dopo, con un sorriso contagioso. Sembra molto più piccolo dei suoi trenta anni (che sono già pochissimi, di per sé N.d.R.). Poi, quando inizia a parlare, rimango colpito dalla profondità delle sue parole.

Emilio Porcaro racconta il suo percorso artistico.

La prima domanda è d’obbligo: chi è Emilio Porcaro?

Allora (corruga le sopracciglia) … Emilio è un architetto di 31 anni che vive a Napoli. Ho vissuto a Londra per 5 mesi e a Firenze per un anno e mezzo. Solitamente, sfrutto il mio tempo libero per scattare fotografie.

Quando nasce la passione per la fotografia?

E’ nata quando ho iniziato l’università, intorno al 2006. All’inizio fotografavo paesaggi e tutto ciò che fosse relativo alle materie che stavo studiando (palazzi, strutture e via dicendo). Con la fotografia sono riuscito a comunicare. Intendo: La comunicazione verbale è bellissima, ma le fotografie mi permettono di sentire quel quid in più, proprio nel momento in cui scatto. Percepisco il luogo e le cose che mi circondano. Riesco così a catturare il tutto. E’ un discorso di empatia: se non riesci a cogliere ciò che gli ambienti e gli oggetti ti trasmettono, lo scatto risulterà freddo.

Sei il fondatore di “Io penso che …”, che è diventato un vero e proprio caso virale. Ti va di parlarcene?

Certo! Adesso parliamo di un vero e proprio collettivo: un foto progetto che è cresciuto nell’arco di soli due anni. Si è sviluppato in tutta Italia, grazie alla presenza di tanti fotografi che vanno da Palermo fino ad arrivare a Genova. E’ un progetto nato quasi come un gioco, durante il mio soggiorno a Firenze. Una sorta di controreazione alla fine della mia ultima storia. Non potevo credere che tutti gli esseri umani fossero portati a basare la propria vita sulla falsità, a non dire la verità. Avevo bisogno di capire se le persone fossero in grado di comunicare realmente. Siamo abituati a comunicare attraverso una patina  data dal digitale e poco de visu. Quindi, nel tempo, il target di “Io penso che …” ha assunto una forma più definita: quella della comunicazione sentita, reale.

Ha una sensibilità incredibile. Le sue parole hanno un peso. Glielo sta dando il ricordo di un dolore, un’esperienza che ha vissuto. Non c’è costruzione … solo tanta, tanta onestà. Si sta aprendo, mettendo a nudo di fronte ad una persona che non ha mai né visto né sentito prima. Ci vuole coraggio da vendere, gliene rendo davvero atto.

I protagonisti delle foto di “Io penso che …” sono attori di teatro, gente del mondo dello spettacolo, ma anche studenti, persone che girano per la città e così via. Come vengono scelti? Come affrontano il loro momento da “fotomodelli”?

Per me tutte le persone sono uguali, visto che il centro del progetto è il pensiero. Ho notato che, da tempo, si tende a dare troppa importanza alla notorietà, se uno è in grado di stare su uno schermo oppure no. “Io penso che …” permette alle persone di esprimere ciò che pensano, in maniera concreta. Senza fregarsene dei like che possono eventualmente ottenere. Si crea una sorta di rapporto di amicizia, un’empatia tra il fotografato e il fotografo.

Come scelgo le persone? Guarda, io osservo tanto. Deve colpirmi un viso, un particolare dell’abbigliamento, un atteggiamento.

La reazione delle persone coinvolte è quasi sempre positiva, anche se capita di incontrare qualcuno che non ama o non vuole essere fotografato. 

Non parlerei di fotomodelli. Prima di scattare la foto, cerco di far capire alle persone il vero significato del progetto, che la popolarità non c’entra nulla!

Le foto sono in bianco e nero, cosa che adoro perché il tutto aggiunge fascino al progetto. Gli altri colori sono “banditi”, se escludiamo qualche deliziosa comparsata di un blu, ad esempio, tra le imbracature di alcune acrobate o il rosso e il verde dei pensieri che vengono trascritti sui fogli. Perché questa scelta?

Sì c’è sempre un colore che varia, che è quello della scritta. La scelta è legata al fatto che l’occhio umano è attratto, in primis, da tutto ciò che è colorato. Poiché il progetto deve dare importanza ai pensieri, sono proprio le parole che devono risaltare, devono rimanere impresse. Tutto il resto rimane in bianco e nero perché passa in secondo piano. La foto, in effetti, può essere letta a tre livelli: la parte scritta, l’inquadramento della persona e, infine, il contesto, la location. Talvolta qualcuno mi dice “No, forse quello che voglio scrivere è banale, non è il caso”. Non sono d’accordo: se una cosa è sentita, se è reale, non sarà mai banale. Ovviamente, chi leggerà quella scritta, quel pensiero, potrà avere una reazione positiva o negativa. E questa è una dinamica che mi affascina molto.

Tanti i partner di questo progetto, tra i quali l’Assessorato alla cultura e Assessorato ai giovani del comune di Napoli …

Guarda, colgo l’occasione per ringraziare l’Assessore Alessandra Clemente, che ha creduto sin dal principio al mio progetto; mi ha dato spazio, lo ha pubblicizzato. Alessandra è una persona che ama chi ha voglia di fare.

Continuiamo a collaborare anche con il Teatro Bellini, il Nuovo Teatro Sanità, L’Ente Cassa Risparmio Firenze, il progetto “Siamo Solidali” sempre a Firenze … è un progetto no profit, mi preme ricordarlo. Quando c’è un’idea che viene vista e apprezzata, le persone sono ben liete di partecipare.

Le foto vengono “ritoccate” o lasciate tal quali?

Le foto non vengono mai ritoccate. Non ci sono modifiche dei tratti somatici delle persone. C’è il bianco e nero, ma la foto rimane quella. Sarebbe un’alterazione della realtà e non lo accetterei. Per me è necessario mostrare la realtà dei fatti.

Un fotografo deve essere in grado di cogliere l’attimo: quanto tempo richiede uno scatto? Sembra una domanda banale, vero?

Nel mio caso, tanto pochi minuti quanto una mezz’ora complessiva. E’ cambiato il mio modo di fotografare: all’inizio, le persone tenevano in mano il foglio con la scritta. Ora, invece, metto il cartello vicino alle persone, al fine di avere una composizione maggiore. Mi piace molto studiare le posture. A volte tendo a dare un’interpretazione di ciò che è stato scritto proprio in base al linguaggio del corpo. Spesso mi dicono che riesco a catturare l’attimo, l’emozione. E’ una cosa che mi gratifica, mi rende felice. Significa riuscire ad agguantare l’essenza del soggetto immortalato.

Architetto, fotografo e (inconsapevole) psicologo. Mica male eh?

Hai vissuto per un po’ a Londra. Cosa ti ha lasciato quel periodo in termini di comunicazione ed eterogeneità culturale?

Londra mi ha formato completamente. E’ una realtà così varia e variegata, ti dona tanti input, ti elasticizza la mente. Tutti dovrebbero vivere per un po’ al di fuori della propria realtà quotidiana. Non esiste il luogo perfetto. Siamo propensi a credere che il posto migliore sia quello in cui viviamo o siamo cresciuti, ma non è affatto così. Le realtà sono varie, ci sono tanti tipi di comunicazioni differenti. Si viene a contatto con molteplici culture; ciò ti permette di crescere.

Le mostre fotografiche dedicate a “Io penso che …” sono tantissime, tra Napoli, Torino e Firenze (alcune delle quali, permanenti!). E’ una realtà che interessa tante città italiane, oltre a quelle che ho citato prima, anche: Milano, Torino, Roma, Palermo e Genova. Un risultato impressionante. Quanto lavoro ha alle spalle?

Ci sono due mostre permanenti: una al teatro Bellini e un’altra al Nuovo Teatro Sanità. “Io penso che … “ funziona per un semplice motivo: il pensiero è ovunque, non è legato ad un singolo luogo. Non ho mai amato la territorialità, non mi sono mai sentito solo partenopeo, quanto piuttosto un cittadino italiano o, volendo enfatizzare, un cittadino del mondo (sorride). La territorialità fa sì che le cose vengano fatte esclusivamente “di pancia”. Sarebbe necessario invece ragionare con la mente, il cuore e la pancia. Solo così si crea un qualcosa che può essere usato e che non sia legato ad un contesto. Con questo foto progetto siamo stati a Londra, Madrid, Berlino e Monaco. Abbiamo studiato i pensieri degli italiani che vivono all’estero.

Il lavoro alle spalle è immenso. Un grazie va ovviamente ai ragazzi che lavorano con me. Sono tutti incredibili, soprattutto Guglielmo Verrienti e Mario Falco, che sono amici da una vita e mi danno una mano in maniera assidua.

A tal proposito: questo è il sito del nostro progetto: http://www.iopensoche.altervista.org/

Il pensiero n.499 vede come protagonista proprio te

Questa foto è stata scattata da Federica Cilento. “Io penso che … bisogna capire per cosa vale la pena attendere” che è poi il mio modus vivendi. E’ una frase ricorrente nella mia vita: spesso mi sono ritrovato a dover capire per cosa valesse la pena attendere. Il che, nel tempo, mi ha reso molto paziente. Prendo le cose a mano a mano, così come vengono. Cerco di concentrarmi su ciò che mi sono prefissato; non mi arrendo facilmente. Se hai la pazienza di coltivare le cose, ottieni i giusti frutti.

“Io penso che …” è sicuramente un gran bel lavoro di gruppo. Quali sono gli altri membri dello staff?

Marco Rinaldi (Palermo), Anna Rita Cattolico (Roma) Eleonora Litta (Firenze) Baldassare Tudisco (Torino), Jacopo Ardolino (Milano) e Roberto Palombo (Genova). Poi c’è la “squadra napoletana”, come la chiamo io: il fotografo Guglielmo Verrienti, il web master Mario Falco, la video maker Linda Russomanno e la fotografa e press office Federica Cilento. Come già dicevo prima, soprattutto Mario e Guglielmo sono dei collaboratori incredibili, oltre che amici fraterni.

Io mi occupo di cinema. La fotografia e il cinema hanno tanto in comune, essendo due meravigliose forme d’arte. Qual è il film della tua vita?

“The terminal” con Tom Hanks. In questo film lui interpreta un uomo che cerca di comunicare, di farsi comprendere, nonostante le difficoltà iniziali. Anche io sono così, in alcune occasioni. Per errore mio, forse, o per sensibilità differenti. Il problema spesso è proprio questo: la capacità di sentire. Non tutti ne sono in grado, ne hanno voglia. A volte è necessario trovare delle nuove chiavi di lettura per interagire con le persone. Con altri, invece, tutto è più spontaneo, immediato. Quando accade, è una cosa meravigliosa.

Cosa dobbiamo attenderci da Emilio Porcaro per questo 2017?

Spero tantissime cose. Il progetto “Io penso che …” proseguirà ancora a lungo; lo affronto con grande passione, con un gruppo davvero coeso e compatto. Mi auguro di fare ancora tante mostre e di far capire alle persone che è importante essere se stessi. Questa è l’unica chiave che permette di andare avanti. Non sono un Guru e non mi reputo tale, sia chiaro, però con questo progetto posso non solo donare, ma anche ricevere dagli altri. Un interscambio necessario per crescere, ascoltando storie sempre diverse.

 

Fatti una domanda e datti una risposta …

“Perché continui a fare tutto questo?” “Perché, nonostante tutto, ne vale davvero la pena!”

Prima di salutarci, Emilio mi chiede se può scattarmi una foto da inserire nel progetto. Accetto con entusiasmo e molto piacere. “Sai già cosa scrivere?” mi chiede. Ci penso un attimo, prendo in mano un pennarello di colore blu e completo la frase “Io penso che … cadere, farsi un po’ male e rialzarti (un po’) più forti di prima … sia l’essenza della vita!”

Ph. Daniela Affinito

Emilio Porcaro: l’acchiappapensieri was last modified: maggio 6th, 2017 by L'Interessante
6 maggio 2017 0 commenti
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CuriositàDall'Italia e dal Mondo

A che relazione giochiamo?

scritto da L'Interessante

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati mi capita spesso di osservare sistemiche familiari dove il cane viene vissuto in maniera intensa, rivestendo il ruolo che più confà ai proprietari. Ed è proprio da lì che sovente nascono gli attriti tra questi due mondi: cane e umano. Dalla non presa di consapevolezza,  dall’ostinazione e dall’anteporre i bisogni dell’uomo a quelli del cane. Dimenticandosi che è tutto il sistema a dover essere appagato. 

Per affrontare l’argomento ho raggiunto Elena Vanin, collega  che vive in Lombardia, coi i suoi amici a quattro zampe, I Soci.

Cara Elena, grazie mille per aver accettato la nostra intervista.  Partiamo col dire quale forma di professionista incarna?

“La forma che preferisco è semplicemente educatrice cinofila, perché il mio obiettivo non è insegnare (imprimere un segno), né istruire (costruire qualcosa in qualcuno), né addestrare (rendere qualcuno abile nel fare qualche cosa), bensì educare (portare fuori ciò che uno ha dentro) nell’ambito dell’amore verso i cani (cino-filia).
Quello che cerco di fare è trasmettere conoscenze alle persone umane e creare esperienze per i cani, perché attraverso una relazione consapevole e costruttiva, migliori il benessere del cane, e conseguentemente dell’intero gruppo familiare.
La mia non è una ricerca di performance, bensì di armonia”.

Tipologie di relazione

Armonia, ciò a cui ogni professionista dovrebbe mirare nel lavoro di squadra cane- proprietario. Cosa ne pensa di quelle relazioni che comportano la chiusura dell’iniziativa del cane a vantaggio dell’essere “soldatino”?

“La domanda presumo sia retorica, e penso di avere già parzialmente risposto con la domanda precedente: se una persona venisse da me chiedendomi come fare per rendere il proprio cane obbediente sempre e comunque, lo manderei altrove (e dico “altrove” perché sto rispondendo a un’intervista!).
L’obbedienza, in senso stretto, non mi appartiene come concetto e non ho alcun desiderio di insegnarla a nessuno… è più vero il contrario. Penso che nel nostro mondo, sia umano che canino, sia molto più prioritario insegnare – o meglio, per restare sul pezzo con i termini – educare all’indipendenza, alla consapevolezza di sé e degli altri, all’empatia, alla libertà di pensiero.
Una cosa molto molto importante, è capire che chiedere a qualcuno (cane o umano) di fare qualche cosa per noi, NON è sinonimo di obbedienza.
Se chiedo a un amico una cortesia e gli spiego che per me è importante, è altamente probabile che questa persona, se è davvero un amico, farà ciò che gli chiedo, non certo per obbedienza, ma per generosità, gentilezza, amicizia.
Allo stesso modo, se chiedo a un cane, mio amico, mio convivente, mio compagno di vita, di fare qualche cosa per me, e questo non lo fa, ci sono due possibilità: o quello che gli ho chiesto era troppo per lui (troppo difficile, troppo assurdo, ecc.), oppure non ero nella posizione, relazionamene parlando, per potergli chiedere di fare qualche cosa per me.
In entrambi i casi, conviene che io mi faccia delle domande: posto che la richiesta sia stata compresa (e non è così scontato), c’è qualche cosa che non ho capito, per cui sono arrivata a richiedere a un amico qualcosa che non avrebbe potuto fare? O c’è qualche cosa nella nostra relazione per cui il cane non ha ritenuto che fosse una buona idea esaudire la mia richiesta?
Noi umani abbiamo la tendenza a voler “insegnare” al cane, e spesso pretendiamo che il cane si adatti a noi, ma noi, quanto ci adattiamo al cane? Quanto siamo disposti a metterci in gioco per capire un individuo che non è solo una persona diversa da noi, ma è addirittura di una specie differente dalla nostra, sebbene tanto abbia in comune con noi?”

Ritiene che il controllo sul cane faciliti lo sviluppo sereno della sua personalità e il convivere con gli umani?

“Dipende. Mi piacerebbe dire di no, ma sarei poco oggettiva.
Nella nostra società iper-antropizzata e iper-tutelante -e anche un filino cino-fobica-, dove gli spazi sono a malapena a misura di umano – a volte nemmeno quello- e certamente non di cane, e dove lo stato ha formulato delle leggi nel tentativo non sempre riuscito di tutelare gli interessi della maggioranza – maggioranza umana, si intende, non certo quella canina-, a volte è indispensabile gestire determinate situazioni, che se lasciate allo sbando  causerebbero pericoli di vario genere.
Premesso questo aspetto sociale della faccenda, per cui alcune regole di civile convivenza si rendono necessarie, a livello familiare io tenderei a limitare il più possibile il controllo attraverso comandi e imposizioni varie.
E’ possibile e secondo me molto auspicabile, all’interno di un gruppo sociale – famiglia in cui c’è comprensione e dialogo,  relazionarsi in modo fluido ed evitare di inquadrare la vita altrui in binari troppo rigidi, perché così facendo si rischia non solo di tarpare le ali a un individuo, impedendogli di esprimere il suo potenziale, ma anche di creare una dannosa compressione emotiva che può facilmente sfociare in problemi comportamentali che si ripercuotono sul benessere di tutti, umani inclusi”.

Spesso troviamo agli antipodi quei proprietari che vogliono che il loro cane resti sempre il piccolino da accudire, il bamboccione libero di esprimersi anche in maniera esagerata: a suo avviso, possono essere felici quei cani?

“Prenderò anche questa domanda un po’ più alla larga. Una delle maggiori cause di problemi comportamentali nei cani, esattamente come negli umani, è lo stress: sia lo stress acuto, che si sviluppa in una certa situazione e ci carica di una pressione tale da far vacillare il nostro equilibrio psichico, portandoci a scenate, crisi isteriche, aggressività, o altro; sia lo stress cronico, quello che si accumula giorno dopo giorno a causa di una vita che non rispecchia per niente le nostre esigenze, come accade, ad esempio, se  prendiamo una persona creativa ed estroversa, e la mettiamo a fare un lavoro isolato, monotono e alienante, per cinque giorni a settimana.
Lo stress cronico è insidioso e subdolo perché logora pian piano, si accumula ma spesso chi ne soffre non se ne rende conto, perché è abituato a considerare certe condizioni di vita la normalità, e non immagina nemmeno, nel concreto, che possa esserci per lui o lei qualche cosa di meglio.
Premesso questo, una vita priva di esperienze di crescita, della possibilità di confrontarsi con dei limiti imposti da regole sociali (purché sensate), priva dell’occasione di misurare se stessi e acquisire consapevolezza delle proprie capacità così come dei propri limiti, è una vita che lascia un individuo, biologicamente adulto, in una condizione di drammatica immaturità mentale ed emotiva.
Generalizzando un individuo emotivamente e mentalmente immaturo non ha gli strumenti psicologici per affrontare le situazioni della vita, a volte nemmeno le più banali, per cui ci ritroviamo con cani anagraficamente più che adulti, che perdono completamente lucidità nelle situazioni più banali, come incontrare altri cani, o accogliere un ospite in casa, o cose di questo genere.
 Oltre alle oggettive difficoltà che a volte creano queste situazioni agli umani, pensiamo alle tensioni che possono portare in famiglia, e di cui i cani risentono moltissimo. Pensiamo anche a quante volte un certo cane dovrà essere rinchiuso in una stanza perché arrivano ospiti, o lasciato a casa perché impossibile da gestire in certe situazioni sociali.
Non solo un cane “bamboccione” risente dello stress di non riuscire a gestire quotidianamente le proprie emozioni di fronte a esperienze che dovrebbero essere assolutamente normali, ma
ogni volta che c’è un conflitto nel gruppo familiare,  e ogni volta che per non creare una tensione o un conflitto, viene escluso dalle esperienze del gruppo stesso, si crea per il cane un dispiacere, che comporta un aumento del suo livello di stress. Non mi voglio mettere su un pulpito, perché io per prima mi rendo conto che a volte mi è molto difficile conciliare tutto, e mettere i miei cani nelle condizioni di fare le esperienze di cui avrebbero bisogno, ma al contempo tutelarli, e contemporaneamente tutelare anche le persone sconosciute che possiamo incontrare, ma ci tengo a dire che sono assolutamente convinta che far fare esperienze di crescita ai nostri cani, comprese quelle che possono insegnargli dei limiti sociali, non tramite il controllo, bensì tramite appunto l’esperienza vissuta, sia di importanza capitale per il benessere dei cani e di conseguenza delle famiglie in cui vivono.
Per far ciò, se non si ha idea di dove iniziare, meglio considerare l’aiuto di un professionista, che lavori insieme ai cani basandosi prima di tutto sul rispetto della loro etologia e delle loro caratteristiche individuali. Io stessa continuo a fare corsi di formazione e a frequentare colleghi più esperti, per aumentare le mie competenze e per avere una guida esterna che mi dia indicazioni sugli aspetti che, dall’interno della relazione con i miei cani, faccio fatica a vedere”.

A volte i proprietari ci raccontano di agire nell’interesse del cane: com’è possibile ottenere  delle dimensioni di relazione equilibrate senza proiettare molto dell’umano sulla specie cane?

“Mi viene da sorridere.  A questa domanda posso dare solo una risposta: imparando il più possibile sulla specie cane!
Tra cani e umani ci sono molte analogie, e sono le caratteristiche etologiche che hanno permesso alle nostre due specie di co-evolversi per decine di migliaia di anni, sempre insieme, collaborando per  affetto & profitto.
Siamo animali sociali, la cui unità sociale tipica è la famiglia, in senso ampio: genitori e figli, ma anche zii e zie, nipoti, nonni, ecc.
I branchi dei cani(di) sono composti nello stesso modo: quando c’è abbondanza di risorse, le famiglie possono essere numerose e raccogliere parenti di diversi gradi, che sono uniti da legami di collaborazione, ma anche affettivi, oltre che ovviamente di sangue.
Ci sono però differenze profonde nel nostro modo di comunicare, per le evidenti differenze morfologiche fra la specie umana e quella canina, e altre differenze nel modo in cui si esprimono i nostri istinti più atavici, che ci portano a volte a comportamenti che consideriamo incomprensibili, o imprevedibili.
Non c’è niente di imprevedibile, se ci prendiamo la briga di investire il nostro tempo, la nostra intelligenza e le nostre energie, per imparare a capire noi stessi come esseri Umani, e loro, nel loro essere Cani”. 
 

Armonia.  Investimento. Comprensione.

A che relazione giochiamo? was last modified: aprile 27th, 2017 by L'Interessante
27 aprile 2017 0 commenti
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Bullo Bulldog
CuriositàDall'Italia e dal Mondo

Torna il Dog Friendly. Vivere da bullo: un salto nel mondo del bulldog inglese

scritto da L'Interessante

Cari lettori interessati dopo una breve pausa siamo di nuovo qui per condividere con voi gioie e dolori del mondo cinofilo. Oggi parliamo della gioia; sì, della gioia che nasce dalla convivenza con un bulldog inglese. Quei simpaticissimi musi schiacciati, che grugniscono come se fossero dei maialini, e che a volte possono rendere la convivenza con i loro proprietari o con gli altri conspecifici tutt’altro che semplice. È per questo che abbiamo raggiunto il dott. Pasotti, medico veterinario comportamentalista ed istruttore cinofilo, affinché ci accompagni nella conoscenza più precisa della razza.

Bulldog inglese: competizione e coccole fisiche

  • Siamo qui in compagnia del dott. Pasotti e della sua simpaticissima Gilda: ci dice qualcosa su questa particolare razza?

“Gilda è arrivata un giorno d’agosto, dono di una coppia di amici che avevano avuto una cucciolata in famiglia. E’ arrivata come ogni cane della mia vita, in un momento cruciale della stessa: da poco avevo perso il mio anziano cane corso di 15 anni.

Ci siamo adottati a vicenda, perché ogni nuovo cane che interseca la mia vita è una nuova storia che nasce. Amo da sempre le razze molossoidi e ne conosco bene più di una, ma mai avevo vissuto la relazione con un bullo. Sono  cani dotati d’ipertipicità  dell’essere molosso in tutte le loro manifestazioni, non solo nell’aspetto fisico. Gilda è cocciuta, testarda, a volte ostinata allo sfinimento, apparentemente sembra non scalfirla nulla, salvo poi accorgerti della sua enorme sensibilità. E’ stato un bel percorso scoprirla dotata di un mondo emotivo che va oltre la mimica e le espressioni facciali che apparentemente sembrano non cambiare mai. Parlano con il corpo più di quanto non facciano con il resto. Una volta imparato a conoscerli e decifrarli capisci come una minima variazione di una ruga o un movimento d’orecchie tradiscano le loro intenzioni”.

  • Cosa consiglierebbe ad un futuro proprietario di bulldog inglese? Almeno ciò che potremmo definire l’indispensabile da sapere.

“Non è una razza canina facile che consiglierei come primo cane ad un proprietario neofita. Anche dal punto di vista sanitario richiedono uno sforzo di attenzioni e cure non banale per un adottante inesperto. Molti sono i soggetti di questa razza che spesso in età adulta vengono ceduti/ abbandonati per problematiche sanitarie e/o comportamentali intercorse dopo l’adozione; esistono diversi “rescue bulldog” e mi sono stati segnalati spesso casi estremi.

Difficili da decifrare spesso dagli altri cani figuriamoci da un proprietario umano poco attento alla comunicazione; troppe loro infelicità ed incomprensioni scaturiscono da fraintendimenti comunicativi con cani ed umani. Sono cani molto fisici che parlano con il corpo e richiedono spesso contatto nelle interazioni. Gilda di frequente sta accoccolata ai miei piedi o resta sdraiata lungo il mio fianco in momenti di riposo.

L’adottarsi a vicenda ha comportato proprio questo: aldilà del legame affettivo reciproco abbiamo trovato un nostro linguaggio comune che ci consente di capirci e comunicare mettendo d’accordo le reciproche peculiarità individuali e di carattere. La sua fisicità e ricerca di contatto sono così diventate conferme di ciò che siamo insieme”.

  • I bulldog hanno la fama di essere cani delicati: qual è la sua opinione a riguardo? A quali patologie bisogna stare attenti?

“Sono cani delicati nell’immaginario collettivo ed un po’ è vero: vanno spesso incontro a problemi dermatologici (su base allergica e non), problemi oculistici (spesso trattabili e risolvibili solo con trattamento chirurgico). Come tutti i cani brachicefali soggetti a crisi respiratorie e problematiche cardiologiche, oltre a presentare quel corollario di quadri clinici di natura osteo-articolare di cani a rapido accrescimento, non ultimo la displasia dell’anca, solo per citarne alcuni”.

Un’attenta adozione, magari facendosi accompagnare da un medico veterinario e  da un istruttore cinofilo,  aiuterebbe a compiere una scelta più oculata;  ricordarsi che la loro testardaggine a fare cose con una tempistica da “bullo” si scontra spesso con i ritmi frenetici e frettolosi della vita umana e che tutto ciò può esitare in conflitti  cane e proprietario. A volte anche seri.

Per ragionare con un bullo, ci vuole accoglienza, calma e autorevolezza.

Torna il Dog Friendly. Vivere da bullo: un salto nel mondo del bulldog inglese was last modified: aprile 14th, 2017 by L'Interessante
14 aprile 2017 0 commenti
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comunicazione
CuriositàIn primo piano

La comunicazione tra uomo e cane: alcuni indizi

scritto da L'Interessante

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati il mondo del cane è molto fascinoso, e spesso quel fascino lo si attribuisce alla capacità di potersi comprendere, capire.

Eppure uomo e cane non condividono lo stesso vocabolario: come fanno a comunicare?

E’ per questo che è necessario strutturare un dizionario comune, come ben ha scritto il dott. Marchesini nel suo utilissimo libro “Dizionario bilingue italiano-cane e cane-italiano. 150 parole per imparare a parlare cane correntemente”.

Comunicazione non verbale: partiamo dall’uso del corpo

La comunicazione non verbale è quella parte della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo che non riguardano il significato letterale delle parole che compongono il messaggio stesso, ma che riguardano il linguaggio del corpo, ossia la comunicazione non parlata. Veicolo immediato nella comunicazione col cane. Ad esempio gesticolando in modo rapido diamo un senso di agitazione, così come le traiettorie diritte sono percepite come una interazione invadente, talvolta come una minaccia; più utile e da galateo avvicinarci ad un cane con traiettorie curve, magari di fianco, per dichiarare intenti amichevoli. Molti sanno poi come risponde il cane quando lo chiamiamo abbassandoci ed allargando le braccia: un muto ma efficace RICHIAMO.

Ricordiamoci che in percentuale la comunicazione si costruisce su:

  • Movimenti del corpo (soprattutto espressioni facciali) 55%

  • Aspetto vocale (volume, tono, ritmo) 38%

  • Aspetto verbale (parole) 7%

E la voce? Che ruolo ha?

La voce è un potentissimo strumento di comunicazione dei nostri stati emotivi. Quando si desidera spiegare al cane che si è contenti di quello che ha appena fatto o di vederlo si usa un tono di voce allegro, giocoso e propositivo.

Un ulteriore strumento è rappresentato dalla mimica facciale. Il cane le conferisce una grossa importanza nel cercare di capire le nostre intenzioni. Utilizzare un sorriso che accompagna un tono gioco nel richiamo del cane è un ulteriore strumento di comunicazione funzionale. Mentre irrigidire il viso mentre si rimprovera il cane permette di veicolare il messaggio con maggiore intensità.

I segnali di calma: iniziare ad osservare attentamente l’altro

Negli ultimi anni, una studiosa del comportamento, riconosciuta a livello internazionale, Turid Rugaas, ha scoperto 27 differenti posture e movimenti che i cani utilizzano per comunicare, e li ha denominati Calming Signals o Segnali di Calma.

Questi segnali corporei hanno principalmente due funzioni: indicare le intenzioni pacifiche di chi li emette oppure manifestare un certo stato di apprensione o ansia. In realtà le due cose si fondono: quando un cane emette dei segnali di calma per pacificare l’altro, probabilmente lo fa perché non si sente a proprio agio e vuole allentare la tensione.

Possiamo dire che noi, quando vogliamo mandare un segnale di pacificazione che possa sciogliere la tensione tra due persone, utilizziamo il sorriso. Il cane utilizza tutta una serie di segnali che vedremo in seguito.

Vediamo quindi di cosa si tratta.

– Leccarsi il naso

– Guardare lontano o altrove

– Girare la testa

– Mostrare il fianco

– Annusare per terra

– Abbassare la testa guardando alternatamente a terra e l’altro soggetto

– Sbadigliare

– Sollevare una zampa

– Girarsi di schiena

– Curvare (traiettoria circolare nell’incrociare qualcuno).

Questi sono solo indizi di tutto ciò che rappresenta la comunicazione col il cane; ma almeno sappiamo da cosa partire. Iniziamo ad ascoltarli. Incuriosiamoci. Spostiamoci verso l’altro.

La comunicazione tra uomo e cane: alcuni indizi was last modified: marzo 30th, 2017 by L'Interessante
30 marzo 2017 0 commenti
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scimmia
CulturaCuriositàIn primo piano

Animali. Cosa ci passa per la testa? Una scimmia lo capisce

scritto da L'Interessante

Di Antonio Andolfi

Gli esseri umani non sono i soli capaci di intuizioni, come l’indovinare che un nostro simile andrà a cercare nel posto dove ha visto che un oggetto è stato nascosto, anche se poi siamo stati testimoni che è stato tolto di lì. A condividere con noi questa capacità, che hanno i bambini a partire dai quattro anni, e forse anche da prima, sono anche scimpanzé, bonobo, oranghi.

Animali. Vedo che ti sbagli

Potrebbe sembrare una banalità, ma essere dotati di una teoria della mente, cioè essere in grado di attribuire agli altri desideri, intenzioni, credenze, anche credenze false come quella di guardare nel nascondiglio che sappiamo sbagliato, è da molto tempo ritenuto il discrimine che ci separa dagli altri primati.

I ricercatori che studiano la cognizione animale hanno osservato alcuni tratti di intelligenza, e di comprensione della mente altrui, finora considerati tipicamente umani, anche in altri animali. In alcuni esperimenti, per esempio, gli scimpanzé si sono dimostrati capaci di ingannare i compagni, o di ricordare chi era stato un buon compagno nello svolgimento di un compito.

Ma finora non si era riusciti a trovare in altri primati prove convincenti della capacità di attribuire agli altri credenze false, uno degli elementi più sofisticati di una teoria della mente. Questo anche perché non è semplice mettere a punto gli esperimenti per dimostrarlo, dato che nei test è spesso presente il cibo, utile per coinvolgere gli animali ma anche elemento di distrazione, o perché spesso sono basati sulla comprensione del linguaggio.

Animali. Soap opera per scimmie

Un gruppo di primatologi ha escogitato un sistema per superare questi ostacoli, mettendo in piedi un esperimento che fa uso di un video creato apposta per gli animali, e della tecnologia di eye-tracking, che consente di seguire in modo preciso il movimento dello sguardo, e dunque i punti in cui si concentra l’attenzione dell’animale.

Per il video, un gruppo internazionale di ricercatori ha messo in piedi una sorta di soap opera che potesse attirare l’interesse dei “volontari” dello studio, e creato due diversi “episodi”. Nel primo, un attore travestito da scimmia (soprannominato King Kong) ingaggia una sorta di lotta con un essere umano, e poi va a nascondersi sotto uno di due covoni di paglia, mentre l’uomo non guarda. Nell’altro, lo stesso King Kong, in una gabbia, ruba una pietra a un visitatore, la nasconde sotto una scatola, la sposta sotto un’altra e infine la porta via mentre l’uomo si è allontanato.

In entrambi i casi, la figura umana che si è allontanata rientra e va in cerca di King Kong sotto il covone, oppure della pietra nella scatola.

I filmati sono stati mostrati a 19 scimpanzé, 14 bonobo e 7 orangutan, e la maggioranza degli animali alla conclusione del video – il rientro in scena dell’uomo – ha fissato lo sguardo nel punto in cui “sapeva” che l’attore sarebbe andato a guardare. In percentuale analoga a quanto succede con bambini dell’età di due anni o più con cui sono stati fatti esperimenti simili, questi primati sono stati in grado di capire che l’informazione in loro possesso non coincideva con quella della persona del video, e hanno aspettato correttamente la conclusione della storia.

Questa capacità si è evoluta probabilmente nelle società complesse degli ominidi (esseri umani e primati) per offrire agli individui il beneficio di anticipare meglio il comportamento degli altri. Ed è importante studiarne le origini biologiche e l’evoluzione anche per comprendere meglio i disturbi in cui proprio la teoria della mente non sembra essersi formata in modo corretto, per esempio l’autismo.

Animali. Cosa ci passa per la testa? Una scimmia lo capisce was last modified: marzo 26th, 2017 by L'Interessante
26 marzo 2017 0 commenti
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Adolescenza
CuriositàIn primo piano

Il cane adolescente: che fine ha fatto il mio cucciolo dolcissimo?

scritto da L'Interessante

Adolescenza

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati, vi è mai capitato di ascoltare il disagio dei proprietari di cani adolescenti? Nel mio lavoro capita spesso di imbattermi in proprietari stanchi e preoccupati per l’evoluzione del loro cane, che da morbido e coccoloso cucciolo diventa un teppista adolescente, tutto ostinazione e ribellione.

Sì, anche per i cani questa fase evolutiva è molto delicata, e si manifesta spesso con comportamenti agonisti da parte del cane, in cui aumentano le sfide, il bisogno di misurarsi, il bisogno di imporsi. Il bisogno di essere capito ed accolto.

Vivere con un adolescente: parola all’esperto

Abbiamo pensato di affrontare l’argomento insieme alla dottoressa Chiara Boncompagni , Medico Veterinario Esperto in Comportamento FNOVI e Coadiutore del Cane I.A.A.

  • Gentile Dottoressa grazie per aver accettato la nostra intervista. Si fa presto a dire adolescenza: ma quand’è che inizia realmente questo periodo?

“Quando parliamo di adolescenza nel cane, ci riferiamo ad un periodo relativo alle fasi di transizione: giovanile ed adolescenziale… fino al raggiungimento dell’età adulta.

Questi periodi sensibili, un tempo chiamati di “gerarchizzazione” e di “branco”, si collocano intorno ai 6 mesi di età e durano anche fino ai due anni compiuti, con una variabilità per razza, sesso e taglia.

Razze più piccole, ad esempio, maturano prima, mentre i molossoidi tendono ad essere cuccioloni più a lungo.

Generalmente il proprietario evidenzia cambiamenti, anche repentini , nel comportamento.

I più eclatanti, quelli di marcatura: il maschio inizia ad urinare con la zampa alzata, oppure la femmina presenta il primo calore.

Per una “stadiazione” più accurata, potremmo iniziare a parlare di adolescenza già verso la fine del cambio di dentizione”.

  • Quali sono i meccanismi alla base di quei comportamenti adolescenziali che tanto mettono in crisi i proprietari?

“Solitamente il proprietario si trova spaesato nel vedere sconvolta l’immagine del cucciolo adorabile che aveva prima in casa.

Da piccolo batuffolo obbediente a teppista distruttore.

Proprio come accade nella nostra specie il cane adolescente è sotto la spinta di un enorme cambiamento dell’asse ormonale: la pubertà e di intense variazioni e rimodulazioni neurofisiologiche del Sistema Nervoso Centrale (aumento di recettori, selezione e modifiche delle sinapsi) , è sconvolto anche a livello comportamentale.

Il corpo matura, il cane è pronto all’accoppiamento, si trova ad affrontare per la prima volta le fluttuazioni di estrogeni e testosterone…i recettori dopaminergici nel cervello sono sommersi da nuovi potentissimi stimoli. La dopamina è infatti un neurotrasmettitore che ha un ruolo fondamentale nel creare la spinta a cercare gratificazione.

Ogni cosa è vissuta in modo totalmente diverso: ha colori più accesi, odori più intensi, da emozioni più forti.

La realtà che lo circonda, la socializzazione, l’esplorazione sono vissute in prima persona e non più come cucciolo tutelato dalla sua base sicura.

Iniziano quindi i comportamenti oppositori, il cane sembra volerci fare i “dispetti”, non risponde più con solerzia al richiamo, ha improvvisi picchi di arousal\iperattività, ci mette “in discussione” a volte anche con comportamenti di aggressione, inizia a montare, fugge, sembra non essere più carino&coccoloso con i suoi simili… insomma, ci ritroviamo con un ribelle scalmanato in casa”.

  • E’ questo un periodo in cui nascono, sovente, conflitti con i proprietari: a suo avviso come si possono prevenire e come si può preparare tutta la famiglia a superare questo periodo di tormenta?

“La fase di transizione, di sviluppo psicosociale adolescenziale è per il cane, come per noi, un momento incentrato sul conflitto “identità\ruolo”. Sull’affermazione della propria persona\caninità.

Questo implica, per la buona riuscita di un corretto passaggio dall’età giovanile all’età adulta, che il cane sia riuscito a realizzare la concezione di sé, non solo relativamente al riconoscimento del proprio corpo (diverso, maturo, pronto per la riproduzione, autocontrollato ), ma anche e soprattutto all’individuazione del sé all’interno del suo sistema famiglia (o branco umano) .

L’assunzione di un ruolo definito, l’acquisizione di un’identità stabile, l’accettazione e condivisione dei propri interessi da parte del proprietario, sono alla base di un rapporto solido e duraturo.

Questo permette al nostro cane di vedere in noi, proprietari leali e autorevoli, modelli validi e capaci a cui affidarsi per gestire e modulare questo nuovo approccio al mondo, con una prospettiva positiva.

Base solida, imprescindibile, per prevenire conflitti e malintesi con il nostro amico, ormai in crescita, è quindi un valido e ben strutturato lavoro pedagogico in età evolutiva, affidandoci a Medici veterinari esperti in comportamento che sapranno supportare il proprietario nelle criticità della crescita del cucciolo e ad Educatori cinofili qualificati, che sappiano progettare un adeguato percorso per ciascun soggetto.

Un buona educazione fornisce al cane strumenti e competenze per affrontare la realtà nel modo più giusto e permette al proprietario di capire, riconoscere, interpretare e comunicare con il proprio amico a quattro zampe”.

– Intorno a questa fase dell’esistenza aleggiano molti luoghi comuni come castrare il cane per calmarlo: qual è il suo parare a riguardo?

“Sì, purtroppo per molti anni si è pensato che la “cura” per quello che è in realtà un periodo fisiologico dello sviluppo, fosse la castrazione. Falsi miti, a volte ancora in voga, narrano di una possibile funzione calmante della castrazione. Come se un 15enne potesse “calmarsi” se privato dell’asse ormonale.

Essere pacati è uno stato della mente, proprio del soggetto, mantenere la calma è una capacità acquisita, maturata con l’esperienza.

Essere inibiti a livello riproduttivo, a seguito di una chirurgia di sterilizzazione, non ha nulla a che vedere con le capacità di autocontrollo.

L’adolescenza è un periodo di enormi e complessi cambiamenti e rimodellamenti neuronali di cui SOLO UNA PARTE sono relativi all’ ormonalità.

Il fatto che questo periodo combaci con la pubertà, non vuol dire che privare un animale della stessa, interrompa il suo sviluppo psicologico con tutte le difficoltà di cui è protagonista…anzi, una castrazione effettuata senza criterio può persino peggiorare stati di conflitto o insicurezza.

Essere adolescenti, anche canini, vuol dire vivere una profonda crisi: non si è più cuccioli e non si è nemmeno adulti; bisogna “sgomitare”, creare una rottura , per ritrovare il proprio posto nel mondo come adulto.

Una buona adolescenza è quella che fiorisce a seguito di una buona infanzia, con un sistema famiglia in grado di accoglierci, guidarci e sostenerci, consapevole che, per ogni cambiamento, è necessaria una “rottura” dei vecchi schemi.

Ma non preoccupiamoci, se abbiamo seminato bene, se siamo stati coerenti, se abbiamo dato al nostro amico: competenze e capacità, se abbiamo lavorato rafforzando la sua autostima, se per lui siamo figure AUTOREVOLI (non autoritarie)… il nostro nuovo cane adulto ce ne sarà riconoscente e noi orgogliosi di lui e del nostro lavoro.

Basta solo avere un po’ pazienza”.

Certo, essere proprietari di un cane adolescente non è semplice: bisogna capire quando è meglio intervenire, porre limiti o essere permissivi e quando sostenere nei momenti di incertezza. E ancora quando fare affidamento al nostro aspetto zen e contenere la rabbia e la voglia di duellare con loro. E’ una altalena di emozioni anche per noi proprietari.

Se avremo ancorato bene le corde e utilizzato del legno solido per la costruzione del sedile, godremmo di slanci divertenti e con il vento che un po’ scompiglia e un po’ accarezza i capelli.

Bisogna proprio aver pazienza.

Il cane adolescente: che fine ha fatto il mio cucciolo dolcissimo? was last modified: marzo 22nd, 2017 by L'Interessante
22 marzo 2017 0 commenti
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danilo mainardi
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Danilo Mainardi: in memoriam

scritto da L'Interessante

Danilo Mainardi.

Di Antonio Andolfi

All’età di 83 anni si è spento a Venezia l’etologo Danilo Mainardi. Era docente all’università veneziana di Ca Foscari, presidente onorario della Lipu (Lega italiana per la protezione degli uccelli).

La sua passione per gli animali, nata già in gioventù quando iniziò a disegnarli guidato dal padre pittore, si è sviluppata fra studi, divulgazione e molte attività sul campo vestendo i panni anche del pastore e del veterinario.

Danilo Mainardi. Una vita per gli animali

Milanese, laureato in Zoologia a Parma nel 1956 e poi docente all’Università veneziana di Ca’ Foscari, Mainardi fu tra i primi ad avvalersi di documenti filmati per studiare come gli animali sociali affrontano determinati problemi.  

Grande amico di Piero Angela, Mainardi è stato spesso ospite del programma “Super Quark” che gli ha permesso di divulgare il mondo degli animali al grande pubblico. «Danilo Mainardi era una persona straordinaria, uno scienziato apprezzato in tutto il mondo, uno dei primi a occuparsi di etologia. La sua morte è una grave perdita – ricorda Angela -. Eravamo molto amici. Era una persona molto riservata, non si esponeva, teneva un profilo basso. Ci trovavamo bene perché avevamo lo stesso carattere. Arrivava in trasmissione con i suoi filmati, parlavamo cinque minuti e poi partivamo. Era sempre `buona la prima´, era un bravo comunicatore. Alla scienza lascia tutti gli studi che ha fatto, alla divulgazione scientifica lascia quel tono calmo, tranquillo, senza andare sopra le righe, che arrivava subito alla gente».  

Fra le sue varie posizioni ha sostenuto la validità della pet therapy, sottolineando l’importanza e i benefici che gli animali possono dare all’uomo. Ma ha anche spesso criticato la tendenza, sempre più diffusa nella società moderna, a dare significati antropomorfi ai comportamenti animali, di fatto snaturandone le reali caratteristiche.  

Contrario alle corride e all’impiego degli animali nei circhi, ha definito un «problema difficilissimo» la questione della vivisezione per scopi scientifici sottolineando però che l’utilizzo degli animali potrebbe essere notevolmente ridotto. 

L’ultimo ricordo di Danilo Mainardi

“Il mio primo ricordo “affettuoso” di un animale risale probabilmente a quando avevo 6 anni e i miei genitori decisero di regalarmi un cane. Fu una giornata memorabile e provai una gioia immensa. Grazie a quel cucciolo compresi per la prima volta, con assoluta certezza, che era possibile instaurare un rapporto sociale intelligente con un essere non umano. Devo dire, però, che tutti gli animali mi hanno sempre attratto e che il mio interesse per loro ebbe inizio ancor prima di quel magico incontro.”

Danilo Mainardi: in memoriam was last modified: marzo 19th, 2017 by L'Interessante
19 marzo 2017 0 commenti
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