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Categoria

Dall’Italia e dal Mondo

Lupo
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Lupo: cantare ed ululare per manifestare le emozioni. Il Dog Friendly Sanremese

scritto da L'Interessante

Lupo.

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati c’è chi li canta a Sanremo- come gli  Ermal Meta in “Ricordo la notte con poche luci ma almeno là fuori non c’erano i lupi”- e chi li ascolta ululare, ritornando selvaggi e passionali.

Il lupo è un tema che ci sta a cuore e  gridare «al lupo, al lupo!», come è noto da tempo, non serve

Eppure nelle ultime settimane sembra essere un nuovo mantra. Nei giorni passati ha tenuto banco la questione della Conferenza Stato Regioni in merito alla gestione del lupo sul nostro territorio. Le parti dovevano approvare il 2 febbraio il “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia”, redatto da un pool di esperti in materia. In realtà il 2 c’è stato un semplice rinvio al 23 febbraio prossimo. Eppure in  Appennino l’animale che sembra uccidere più esseri umani del lupo è la vespa. Non un branco di lupi ibridati e fuori controllo, come si può dedurre dall’agitazione creatasi intorno all’argomento. Ma la vespa. Nessuno si è sognato di raccogliere firme contro le vespe. Contro i lupi, invece sotto l’effetto emotivo, si riparla di una deroga che consentirebbe l’abbattimento del 5% della popolazione. Per capirne di più abbiamo intervistato il  dott. Marco Galaverni, Consigliere Nazionale WWF Italia e studioso del lupo.

  • Grazie Dottore per averci dedicato il suo tempo in questi giorni molto convulsi; ultimamente si parla molto del pericolo lupo, che non è più protetto: il Piano di Conservazione prevedrà l’uccisione, al massimo, del 5% degli esemplari presenti sul nostro territorio. Ma qual era la situazione prima di questo Piano in materia di lupi?

“La Conferenza Stato-Regione ha deciso di rinviare l’approvazione del Piano lupo; il Piano ritorna adesso in sede tecnica per una nuova discussione. In realtà il riferimento al 5%, che richiamava molto i piani venatori, sembra sia stato eliminato dalle ultime versioni del Piano. In ogni caso, la possibilità di ‘prelievo’ (ovvero, uccisione) in deroga alla protezione totale era già previsto dalla direttiva Habitat, ma non era mai stata adottata in precedenza in Italia. Ora ad essere cambiata sembra che sia la volontà politica di ricorrere agli abbattimenti”.

 

  • Qual è la situazione attuale dei lupi in Italia? Fanno davvero così paura?

“La situazione è senz’altro migliore rispetto a 40 anni fa, ma ancora non assestata. Grazie ad abbondanti popolazioni di prede (quasi due milioni tra cinghiali, caprioli, cervi ed altri ungulati) il lupo ha ricolonizzato, in maniera del tutto spontanea e senza alcun intervento di reintroduzione, gran parte del suo areale Appenninico originario, mentre la situazione sulle Alpi è ancora instabile, con la presenza costante di lupi nelle sole Alpi occidentali ed un unico branco stabile tra Veneto e Trentino.

I timori per il ritorno del lupo sono del tutto ingiustificati, dato che non si sono registrati attacchi mortali all’uomo in tutta Europa negli ultimi 100 anni. E’ quindi molto più probabile essere investiti sulle strisce pedonali o per la puntura di una vespa che essere attaccati da un  lupo”.

  • Perché si sceglie per l’abbattimento? Non si possono attuare strategie green come nel caso del progetto life “Praterie”, alzando la protezione degli allevamenti grazie a cani pastori guardiani?

“Il problema principale è che l’abbattimento di qualche esemplare non contribuisce affatto né alla riduzione dei danni al bestiame domestico (anzi, i rimanenti individui del branco, rimasti soli o in numero minore, avranno più difficoltà nella caccia  alle grandi prede selvatiche e potrebbero quindi aumentare le predazioni su pecore e altri animali di allevamento, se non ben difese), né alla riduzione del conflitto sociale, come già dimostrato in altri Paesi (Francia, Spagna, Stati Uniti).

Al contrario, l’uso di cani da pastore insieme a recinzioni elettrificate, da studiare caso per caso in base alle caratteristiche dell’allevamento, riduce in larghissima parte i possibili danni causati dal lupo, come dimostrato da molti progetti pilota”.

  • Il rovescio della medaglia  può diventare quindi il lupo in pericolo: bracconaggio, estinzione, modifiche ai gruppi sociali. Quale potrebbe essere a suo avviso una scelta che tuteli sia l’uomo che la natura?

“Esatto. Purtroppo, ancora oggi il lupo è vittima di numerosi atti di bracconaggio diretto (armi da fuoco) o indiretto (bocconi avvelenati, che spesso sono all’origine dei numerosi incidenti stradali che coinvolgono il lupo).

Per tutti i motivi che abbiamo visto, riteniamo quindi fondamentale puntare con decisione sullo studio e sulla prevenzione, sfruttando i fondi europei per lo sviluppo rurale e mettendo così gli allevatori nelle condizioni di minimizzare i danni. E di conseguenza, se cala il conflitto sociale, calerà anche il bracconaggio. Quindi, aiutando gli allevatori, avremo al contempo aiutato il lupo. La coesistenza, anche se faticosa, è sempre possibile”.

Per l’uomo è proprio difficile non sentirsi cappuccetto rosso o  cacciatore.

Lupo: cantare ed ululare per manifestare le emozioni. Il Dog Friendly Sanremese was last modified: febbraio 9th, 2017 by L'Interessante
9 febbraio 2017 0 commenti
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Sanremo
AttualitàDall'Italia e dal MondoIn primo pianoIndovina dove andiamo a cenaParliamone

SANREMO: I VINI CAMPANI PROTAGONISTI DELLA KERMESSE CANORA

scritto da L'Interessante

Sanremo.

TENUTA FONTANA VINO UFFICIALE DI CASA SANREMO

I VINI CAMPANI PROTAGONISTI DELLA KERMESSE CANORA

Le etichette Civico 44 (Asprinio) e Civico 28 (Sannio Aglianico)

nell’hospitality del 67° Festival della Canzone Italiana

Started! Porte aperte a Casa Sanremo. E fino a sabato 11 febbraio i vini ufficiali saranno l’asprinio Civico 44 e l’aglianico Civico 28 di Tenuta Fontana.

Il taglio del nastro con la showgirl Elisabetta Gregoraci ha segnato l’apertura dell’hospitality del Festival della Canzone Italiana. Tenuta Fontana, l’azienda con sedi in Carinaro e Pietrelcina, eccellenza campana nel settore vitivinicolo, anche ques’anno sarà technical sponsor.

Il mondo dello spettacolo internazionale frequenterà in questi giorni Casa Sanremo e potrà assaggiare i due splendidi vini, per molti sarà una conferma, per altri sarà una scoperta. Tradizione, qualità e innovazione sono i valori che contraddistinguono Tenuta Fontana, valori che ben si addicono alla kermesse canora ligure, da sempre impegnata nel confermare la propria storia, aggiungendo sempre più protagonisti della ribalta internazionale e innovando di anno in anno la propria immagine.

“E’ un vero piacere – sottolineano Mariapina e Antonio Fontana, i giovani manager dell’azienda – essere stati confermati per il secondo anno consecutivo a Casa Sanremo. Ciò significa che hanno apprezzato la nostra professionalità e la qualità dei nostri vini per accompagnare i piatti e i prodotti che saranno serviti agli ospiti”.

Casa Sanremo è un marchio del Gruppo Eventi. Responsabile delle attività gastronomiche è il mitico Fofò Ferriere, una garanzia assoluta di qualità e di raffinatezza delle proposte a tavola.

 

SANREMO: I VINI CAMPANI PROTAGONISTI DELLA KERMESSE CANORA was last modified: febbraio 7th, 2017 by L'Interessante
7 febbraio 2017 0 commenti
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cane
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

“Ti scelgo perché mi stai bene”. Imparare a scegliere il cane consapevolmente

scritto da L'Interessante

Cane.

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati dopo il racconto-riflessione della consulenza con il piccolo di spitz ho deciso di intervistare un medico veterinario esperto in comportamento che potesse raccontarci bene cosa significhi e rappresenti scegliere consapevolmente un cane. Di quelle non condotte solo con amore.

Per farlo ho raggiunto telefonicamente il Dr. Antonio Sessa, Medico Veterinario L.P., Esperto in Comportamento degli animali d’affezione.

Si prende un momento di pausa dal lavoro per risponderci cordialmente.

  • Grazie mille Dottore per aver accettato la nostra intervista. Vorrei che ci chiarisse il concetto di adozione consapevole: cosa s’intende ?

“Per adozione consapevole s’intende il concetto secondo il quale l’adozione di un animale (cane, gatto o altra specie domestica che sia) dovrebbe essere conseguente a un’attenta e meditata riflessione che parte da basi razionali. In altre parole dovrebbe far seguito a un processo di acquisizione di conoscenze relative all’animale che si è deciso di accogliere nel proprio ambiente domestico, cercando di sapere in anticipo se le caratteristiche di quella specie si sposano bene con il nostro stile di vita, sia in termini economici che in termini di tempo da potergli dedicare, dal momento che, una volta che ci facciamo carico di un’altra vita- responsabilità enorme-, dovremmo aver ben chiaro in mente che ciò sarà per tutta la durata dell’esistenza di quella creatura di cui abbiamo deciso di occuparci, che dipenderà in tutto e per tutto da noi, nella cattiva e nella buona sorte- come recita la fatidica formula. Il principio che ci dovrebbe guidare dunque non può essere solo l’idea romantica e spesso illusoria che ci creiamo di quell’animale, perché magari sponsorizzato dall’ultimo film di moda. Oppure perché si vuole uno status-symbol (come l’auto, il cellulare et similia). Né tanto meno-parlo ai genitori- perché si cede alle richieste pressanti di un figlio o addirittura portandolo in regalo a qualcuno, sperando di fargli una sorpresa gradita. Poiché salvifico.  Perché altrimenti una scelta del genere esiterebbe, presto o tardi, in un completo insuccesso: l’abbandono di quell’animale o il suo maltrattamento. Un animale non è, non può e non deve essere considerato un oggetto, un giocattolo o un passatempo. Un animale è un altro essere vivente, differente da noi, letteralmente un altro mondo. Con le sue caratteristiche di specie. Con la sua personalità, il suo modo di vedere la realtà che lo circonda, di comunicare e di esprimere le sue emozioni. Con delle esigenze e dei bisogni concreti che spesso cozzano con i nostri, soprattutto in questo periodo storico, in cui si va tutti di corsa, si annaspa e sembra quasi si faccia fatica a sopravvivere, senza trovare neppure il tempo per fermarci a riflettere su chi siamo e cosa vogliamo realmente. Insomma, proprio per non rischiare di vivere con superficialità, e dunque non a pieno, come invece si meriterebbe, quella che potrebbe essere una splendida avventura, una scoperta dell’alterità e una riscoperta di una parte di noi, (troppo spesso dimenticata e messa da parte) che solo il confronto attivo, nella quotidianità con un animale, potrebbe farci recuperare, è necessaria un’adozione consapevole!”.

  • Abbiamo già parlato in un articolo precedente dell’importanza dei 60 giorni di condivisione madre cuccioli. Ma spesso non è possibile, si pensi ai cani trovati lungo la strada: come si può recuperare questa mancanza?

“Dobbiamo considerare che ogni individuo ha una sua propria capacità di resilienza, ovvero la possibilità intrinseca di far fronte a determinati imprevisti ed eventi più o meno traumatici per l’organismo (sia fisicamente che psichicamente) con cui spesso e volentieri la vita ci obbliga a fare i conti, così come possiede dei meccanismi di coping (strategie di adattamento), differenti per ognuno, che fanno sì che anche dei fratelli, pur appartenenti ad una stessa cucciolata, reagiscano in maniera differente allo stesso evento stressante.  Ogni cucciolo dunque ha una propria capacità di adattamento a situazioni non ottimali con cui si troverà obbligatoriamente a confrontarsi durante la sua esistenza. Per fortuna la plasticità della mente tipica di quest’età e l’organizzazione sociale di questa specie, molto simile alla nostra, che rende il cane un animale sociale (la cui organizzazione del gruppo di appartenenza ricorda molto da vicino quella della famiglia nella società umana), in qualche modo aiutano a far si che il soggetto, possa, entro certi limiti ovviamente, adattarsi anche a una tale possibilità (la separazione precoce dalla madre e/o dal branco), spostando l’attaccamento dalla figura materna ad un’altra sostitutiva che, ad esempio, potrebbe essere quella di un altro cane, o più spesso  la nostra. Sebbene appartenenti a specie differenti biologicamente e geneticamente parlando, infatti, condividiamo una vera e propria co-evoluzione, durata millenni, che porta questo meraviglioso animale a considerarci alla pari dei propri simili, nel momento in cui si vengono a determinare solidi legami di affetto e di fiducia reciproci. Certo questo ci carica di una notevole responsabilità nei riguardi di un cucciolo, a ben vedere, anche tenendo conto del fatto che non tutti gli esseri umani hanno un’ adeguata preparazione culturale per comprendere una specie diversa, sebbene a volte l’istinto e il buon senso sembrano poterci guidare nella giusta direzione. Ecco perché sarebbe essenziale ricorrere a un esperto in comportamento che fornisca le giuste informazioni prima di decidere di adottare un cucciolo, soprattutto poi se si è alla prima esperienza e  ci si è imbattuti in una adozione precoce senza gli giusti insegnamenti che solo mamma cagna sa fornire. Potrebbe essere necessario un intervento sul cucciolo tramite dei cani tutor, in una classe di socializzazione, o attraverso attività che noi umani possiamo fare per ridurre le lacune”.

  • Sovente la scelta del cucciolo viene condotta rispetto alla morfologia: quanto è importante una correlazione tra le predisposizioni razza di un cane e lo stile di vita della famiglia adottante?

“Questo purtroppo è un altro grande problema che si fonda su misunderstanding, cui spesso e volentieri hanno contribuito film o cartoni animati che ci hanno trasmesso un’immagine irreale e fantasmagorica di determinate razze. Quanti di noi non hanno inconsciamente incamerato e fatte proprie figure romanzate e quasi mitologiche, entrate ormai nell’immaginario collettivo, quali quelle impersonate da cani/attori in classici della filmografia? Basti pensare a film come Lassie o Rin tin tin, oppure, più recentemente, Io e Marley, Beethoven, Hachiko (tra l’altro realmente esistito), o Belle e Sebastien, o ancora, a sceneggiati come il commissario Rex, o ai personaggi di alcuni classici della Walt Disney, come 4 Bassotti per un Danese o Lilli e il Vagabondo o ancora la Carica dei 101, tanto per citarne  solo alcuni, tra i più noti e conosciuti al grande pubblico. Ecco purtroppo, col senno di poi, possiamo tranquillamente affermare che simili favole (perché altro non sono) hanno contribuito a diffondere delle illusioni deleterie, perché non corrispondenti al vero, circa determinate razze, alla base di tanti, troppi episodi di abbandono, conseguenti alla delusione e successiva disillusione, nel momento in cui ci si rende conto che quel cucciolo non è esattamente corrispondente, in realtà, al personaggio pubblicizzato da quel determinato film, sceneggiato o cartone. Sarebbe certamente opportuno, dunque, che non si scegliesse un cane solo perché in quel momento va di moda quella determinata razza, sulla scia della pubblicità fattagli dal film di turno. Non dimentichiamoci mai che stiamo parlando di esseri viventi con delle esigenze, caratteristiche, bisogni e prerogative comportamentali tipiche di quella determinata razza. Perché siamo stati noi, con processi di selezione artificiale, a volerla originariamente proprio così. C’è poi da dire che purtroppo, troppo spesso, nella selezione di determinate razze di cani, si è tenuto conto più dell’aspetto fisico che altro, magari per il piacere di ammirarne la pura e semplice bellezza estetica (e si sa quanto noi esseri umani siamo volubili in quanto a modelli di bellezza) o solo perché si voleva sfruttarne determinate caratteristiche fisiche, tipiche di quella razza, per un particolare lavoro (basti pensare al Bassotto, cane da tana per eccellenza, che col suo corpo lungo e le zampe corte, poteva infilarsi agevolmente nei cunicoli di prede che poi riusciva ad afferrare col suo morso potente, trascinandole a ritroso verso l’uscita; o a cani da muta, come i Beagle, che devono segnalare col loro tipico abbaio, la loro presenza ai cacciatori a cavallo che li usano per stanare e inseguire le volpi).  Difficilmente si pensa a tutto ciò, quando si sceglie un cane appartenente a una determinata razza. Invece sarebbe importantissimo conoscere prima certi aspetti, così da evitare brutte sorprese quando è poi troppo tardi per porvi rimedio, dovendo venire a patti con situazioni non proprio comode, se non addirittura pericolose, che invece si sarebbero potute evitare, grazie ad un’adozione cosciente e responsabile.

Anche là dove la mescolanza genetica, come nei meticci, non ci permette di sapere con certezza quali razze hanno contribuito realmente, in misura minore o maggiore, alla creazione di quel determinato soggetto, così come lo vediamo (di solito, infatti, è fuorviante ipotizzare le razze d’origine dal solo aspetto fisico di un cane meticcio), sarebbe comunque utile conoscere preventivamente uno dei due genitori (in genere la madre, per ovvi motivi) o almeno l’ambiente in cui è cresciuto e le esperienze che hanno caratterizzato i suoi primi mesi di vita. Perché, ad esempio, in genere, un cane nato e cresciuto in un ambiente di campagna, avrà più difficoltà ad adattarsi poi a una vita in città, giacché troppo iper-stimolante per il suo sistema sensoriale, abituato a ben altri suoni e rumori…Ma, come al solito, niente è assoluto e generalizzabile al 100% e tutto andrebbe contestualizzato, grazie alla supervisione di un addetto ai lavori”.

  • Quali le accortezze da prendere laddove si voglia adottare un cane in canile?

“Questa è una bella domanda; ma forse richiederebbe un corso apposito per poter riuscire a rispondere davvero esaurientemente! Certamente i consigli da dare sarebbero parecchi e tutto sarebbe più semplice se ci si rivolgesse ad un canile in grado di curare realmente le adozioni, attraverso un pre-affido responsabile e seguito in modo competente. Spesso, infatti, il personale di un canile (anche se non tutti i volontari, a onor del vero, hanno le competenze adeguate per fornire consigli validi), è quello in possesso del maggior numero di informazioni circa quel determinato cane. Soprattutto poi, se il soggetto in questione non è appena arrivato, per cui si è avuto modo di osservarlo nelle diverse situazioni, con cui si è confrontato e per mezzo delle quali ha dato prova del suo “carattere”:  del suo arousal e della sua reattività/emotività, del suo grado di socializzazione intra e etero-specifica, così da poter capire se quel dato cane è più facilmente integrabile in un dato contesto famigliare piuttosto che in un altro.  Sicuramente c’è da dire che il canile non è mai un luogo ottimale per un cane, e spesso anzi quell’ambiente riesce a tirare fuori il peggio da certi elementi (così come ogni ambiente in cui si è costretti a una convivenza forzata, in poco spazio, con delle risorse scarse e obbligatoriamente condivise). Pertanto sarebbe utile riuscire ad approcciare il cane che si vorrebbe adottare, a più riprese e per un periodo adeguato a conoscerlo quel minimo indispensabile, per mettere alla prova determinati comportamenti che poi nella futura convivenza saranno quelli con cui dovremo fare in conti, come compagni di vita. Certamente non tutto è immediatamente evidente, e per questo suggerisco sempre di frequentare il canile in questione per un po’, così da conoscere meglio sia i cani, ma anche il personale da cui dobbiamo, necessariamente, ricevere tutte quelle informazioni indispensabili per una scelta razionale e consapevole e non di pancia, come purtroppo spesso avviene, proprio per evitare spiacevoli soprese che in genere si traducono per il cane in un ritorno alla sua prigione di partenza (il canile appunto): esperienza ancora più nociva e traumatica per lui!”.

  • Trova valido il detto che un cane adulto non possa affezionarsi alla famiglia adottante alla stregua di un cucciolo?

“Assolutamente no! Se conveniamo, infatti, con quanto detto in precedenza, ossia che il cane, come specie, è un animale sociale e pertanto il suo etogramma prevede un rapporto speciale e intimo con altri esseri viventi, rappresentati non solo dai suoi consimili, ma anche da appartenenti ad altre specie, e precisamente la nostra, ecco che appare chiaro che esso è un animale che per ragioni genetiche, biologiche, culturali e storiche è predisposto ad interagire e a creare vincoli stretti e rapporti sociali a qualsiasi età, proprio perché è una sua precipua caratteristica e non potrebbe farne a meno, se non per delle gravi patologie comportamentali. Anzi da alcuni studi recenti è emerso persino che la maggior parte delle volte il cane, quando deve scegliere tra un suo conspecifico e un essere umano, come figura di riferimento, normalmente sceglie quest’ultimo! Credo che il cane sia davvero l’unica specie al mondo che ne privilegi un’altra come riferimento, il che ci fa capire quanto sia assetato di attenzioni e di considerazione da parte nostra. Per un cane, infatti, la realizzazione massima consiste nel riuscire a condividere delle esperienze assieme, in collaborazione, col suo partner di vita. Sta a noi riuscire a capire questo concetto, così da non pretendere più assurdi atti di deferenza (o come si ostinano a chiamarli alcuni, di sottomissione), ma provando per una volta, mettendo da parte il nostro immenso ego, a metterci in ascolto di ciò che cerca di comunicarci continuamente e a qualsiasi età questo insostituibile e unico animale: <Cosa posso fare per te? Cosa possiamo fare assieme, per stare bene? Insegnami> ”.

Grazie mille al Dottore per le esaurienti risposte.

L’amore è fondamentale per una adozione. È l’elemento necessario ma non sufficiente per una buona riuscita nei rapporti. Ci vuole impegno, oculatezza, condivisione, conoscenza. Disponibilità al cambiamento e alla messa in discussione. Se si pensa di adottare un cane per farlo adattare completamente alla nostra vita è più funzionale ed etico prendere un peluche. Ci scegliamo perché ci stiamo bene.

L’amore non è tutto. Ma può tutto.

“Ti scelgo perché mi stai bene”. Imparare a scegliere il cane consapevolmente was last modified: febbraio 2nd, 2017 by L'Interessante
2 febbraio 2017 0 commenti
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faglia
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Nuova faglia in California

scritto da L'Interessante

Faglia

di Antonio Andolfi

Pochi giorni dopo lo sciame di oltre 200 piccoli terremoti che hanno scosso l’area di Salton Sea, nel sud della California, gli scienziati hanno scoperto una seconda faglia che corre parallela alla nota faglia di Sant’Andrea (San Andreas Fault), a ovest rispetto a questa, lunga oltre 50 chilometri. La scoperta obbliga i sismologi a rivedere i modelli di rischio sismico per la maggior parte dell’area che comprende Los Angeles.

Secondo i ricercatori la faglia, che prende il nome di Salton Trough, non era mai stata rilevata prima perché si trova sotto il Salton Sea, un vasto lago salato che si è formato in seguito all’attività tettonica dell’area. La frattura è stata identificata casualmente, grazie ad un gruppo di ricercatori impegnati ad approfondire la geologia della regione incrociando dati ottenuti attraverso numerosi strumenti, tra cui rilevatori sismici, sismometri per ricerche oceaniche e il LiDAR (Light Detection and Ranging), ossia una tecnica di telerilevamento che utilizza impulsi laser.

La faglia si trova nella parte orientale di Salton Sea e poiché negli ultimi anni non ci sono stati terremoti associati con essa, non è mai stata evidenziata. Nonostante la scoperta, non c’è tuttavia motivo di pensare che la zona sia più soggetta a terremoti rispetto a quanto già ipotizzato.

La faglia di San Andreas, perché non è arrivato il Big One

Questa nuova frattura potrebbe in realtà spiegare perché ci sono stati meno terremoti rispetto a quanto previsto lungo quella di San Andreas. Una ricerca da poco pubblicata evidenzia che nell’arco degli ultimi 1.000 anni, lungo l’area meridionale della più famosa faglia, si è verificato un terremoto di magnitudo 7 ogni 185 anni: una periodicità che, in tempi più recenti, sembra essere saltata.

Questo spiega perché da tempo se ne attende uno di elevata intensità, il famigerato Big One.

Quale ruolo può avere questa seconda scoperta di Salton Sea in questo lungo periodo di quiete relativa? Una ipotesi è che potrebbe aver assorbito parte dell’energia che, altrimenti, si sarebbe scaricata lungo la faglia di San Andreas provocando l’atteso evento catastrofico.

 

Nuova faglia in California was last modified: febbraio 2nd, 2017 by L'Interessante
2 febbraio 2017 0 commenti
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adozione
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Ha senso risparmiare sul benessere? Il perché di una adozione consapevole

scritto da L'Interessante

Adozione consapevole.

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati in settimana sono stato chiamato per fare una consulenza ad un cucciolo di spitz di 4 mesi: motivo della chiamata distruzioni in casa e smodato uso della bocca.

Una chiamata come tante altre, mi dico.

Dopo pochi minuti dall’inizio della consulenza si scopre un’amara verità: il cucciolo è stato acquistato in un negozio di Napoli saltato alla cronaca nei servizi di Striscia la Notizia per vendita scellerata di cuccioli.

Probabilmente alimentando lo scandaloso ed illegale mercato dell’est.

Si tratta di un cucciolo acquistato orientativamente ad un mese di vita, stipato in una vetrina insieme alla potenziale sorella. Nessun’ altra informazione.

Arrivato a casa il suo stato cagionevole si è subito evidenziato: iniziano così le corse al pronto soccorso veterinario, nei tentativi di salvarlo da vomito e diarrea disidratanti, causati da massicce infestazioni parassitarie. Spesso funeste nei cuccioli così piccoli.

Prelievi, indagini collaterali, somministrazione di farmaci, ricoveri in clinica.

Tutto questo nei soli primi sessanta giorni di vita di un cucciolo. Sessanta.

Il quadro si complica: il protocollo vaccinale viene procrastinato e a  4 mesi il cucciolo non è ancora completamente immunizzato per cui- in virtù anche della sua debolezza- non può essere condotto in passeggiata.

Ciò si traduce in un deficit di socializzazione verso i cani e le persone, in un deficit di autocontrollo, in una irritazione al contatto, in una assenza di inibizione al morso- per cui anche nel giocare ti lascia certi solchi sulle mani.

Insomma, il disagio del cucciolo è tangibile, e con esso quello della neo famiglia. Partiti per il loro primo viaggio con un cucciolo di una specie diversa, e catapultati rapidamente in una spirale di sofferenza. Si aspettavano coccole ed ossitocina e invece stanno facendo i conti con le spese mediche e la paura della perdita. L’inadeguatezza. La rabbia. Lo sconforto.

Erano preparati per pipì e popò disseminate per la casa, per ciabatte distrutte e qualche notte insonne. Non  potevano immaginare a cosa sarebbero andati incontro acquistando un cucciolo in quel negozio.

Pagato anche profumatamente. Fidandosi.

Cari lettori interessati non possiamo pensare che a noi andrà diversamente, che faremo l’affare, che quello che si sente in giro non ci accadrà poiché distante da noi: la scelta di un cucciolo va condotta responsabilmente. Prendendo informazioni accurate e dettagliate sull’allevamento o sul canile, sul modo in cui gli altri cani vengono tenuti in struttura, sulla presenza di eventuali anziani. Non solo vedere i genitori, ma interagire con loro per valutarne le risposte. Osservare l’intera cucciolata. E prendere tempo. Per decidere, ponderare, senza lasciarsi travolgere dalle emozioni del momento.

Chiedere garanzie, parlare con un medico veterinario ed un educatore per farsi accompagnare nella fase preadottiva. Perché quei soldi investiti rappresenterebbero una polizza sulla scelta. Un casco. E se si cade, si fa meno male.

Infine denunciare.

Tutta la famiglia si è stretta intorno al cucciolo, a cui è stata negata la possibilità di viversi una infanzia serena.  Ha già una grossa ipoteca sulla testa: molti deficit da riabilitare, molte lacune da colmare.

Costruiremo una solida impalcatura intorno alle fondamenta- già debolissime- di questa vita, affinché possa ergersi più compatta e stabile.

Ha senso risparmiare sul benessere? Adozione consapevole. Responsabile.

Ha senso risparmiare sul benessere? Il perché di una adozione consapevole was last modified: gennaio 26th, 2017 by L'Interessante
26 gennaio 2017 0 commenti
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Matuta
Dall'Italia e dal MondoIn primo pianoIndovina dove andiamo a cena

Matuta: questa sera grande inaugurazione!

scritto da L'Interessante

Matuta.

Di Roberta Magliocca

“Indovina dove andiamo a cena”, la rubrica più gustosa de L’Interessante, oggi si occupa di un nuova realtà gastronomica campana, a due passi dall’anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere.

Matuta: Giovedì 26 Gennaio, grande inaugurazione

Il conto alla rovescia è terminato, mancano soltanto poche ore all’apertura di “Matuta – cibo, musica e cultura” e la curiosità stuzzica il palato e la fantasia per questo nuovo format della ristorazione nostrana. 

Ingredienti: tra qualità ed innovazione. Obiettivo primo di Matuta è quello di garantire l’altissima qualità delle materie prime della nostra tradizione culinaria, pur non mortificandole con la noia. Ogni piatto, infatti, presenta l’originalità giusta per rendere ogni pietanza accattivante.

Non solo cibo. Condivisione e momenti unici faranno da sfondo a quelle che non saranno solo delle cene per voi, ma dei veri e propri istanti da passare al centro di eventi culturali e musicali di altissimo livello. 

Parola d’ordine: atmosfera. Un caldo ed accogliente ambiente vi farà sentire a casa, ma con qualcuno che si prenda cura di voi, del vostro cibo e delle vostre serate.

“Siamo emozionati – affermano i gestori – e non vediamo l’ora di rendervi partecipi del progetto che stiamo portando avanti da mesi, frutto di lavoro, corse, prove, gioie… Perché, come ci piace spesso ricordare, la felicità si moltiplica quando è condivisa.”

Serata giusta per provare cose nuove. E festa sia!

Matuta
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Matuta: questa sera grande inaugurazione! was last modified: gennaio 26th, 2017 by L'Interessante
26 gennaio 2017 0 commenti
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Violenza
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

La violenza umana (e non solo) ha radici antiche

scritto da L'Interessante

Violenza.

di Antonio Andolfi

Uno dei dibattiti più accesi degli ultimi secoli riguarda l’origine della violenza e delle uccisioni all’interno di una specie. L’uomo è naturalmente cattivo o sono le condizioni che scatenano la violenza? La nostra natura o la nostra cultura sono alla base delle guerre, delle lotte e degli omicidi?

L’analisi della nostra storia ha portato a posizioni le più varie, da quella di homo homini lupus (l’aggressione è connaturata all’uomo) a quella del “buon selvaggio” (la cultura occidentale rende tutti più violenti), non riuscendo a chiarire la questione. Un gruppo di studiosi spagnoli di varie università ha preso il toro per le corna e ha esaminato non solo la storia della violenza umana, ma quella di tutto il gruppo animale di cui facciamo parte, i Mammiferi.

L’albero della violenza

In un articolo pubblicato sulla rivista Nature , gli scienziati hanno usato i metodi della biologia evolutiva per ricostruire uno schema filogenetico della violenza letale nei mammiferi. Hanno così elaborato la causa di 4 milioni di uccisioni avvenute nella storia dei mammiferi, basandosi su comportamenti e analisi storiche che riguardano 1.024 specie, la nostra compresa, appartenenti a 137 famiglie. Secondo gli autori, nei primissimi mammiferi solo una morte su circa 300 (0,30%) era causata da membri della stessa specie. Con l’andare del tempo, la differenziazione e la vera esplosione evolutiva tra vari ordini ha portato a stili di vita del tutto differenti, e quindi anche diversi comportamenti per quanto riguarda il rapporto con gli altri.

 Primati di uccisioni

Man mano che passava il tempo e ci si avvicinava ai nostri antenati, seppure lontani, la violenza letale aumentava. E raggiungeva il 2,3% circa negli antenati di primati e tupaie (insettivori del sud-est asiatico, simili a grossi toporagni ma lontani parenti dei primati) e all’1,8% nei veri primati. All’origine della nostra specie questa percentuale era di circa il 2%. Altri animali, come pipistrelli e balene, sembrano molto più pacifici, e hanno una percentuale di uccisioni molto più bassa.

Scritto nei geni? Non solo.

Gli autori concludono quindi che la violenza non è caratteristica di una specie o di un’altra, ma ha basi genetiche (anzi, filogenetiche) che devono essere prese in considerazione, anche quando ci sono stati profondi cambiamenti nello “stile di vita” delle specie. In generale, per esempio, i carnivori sono più violenti degli erbivori. Ma soprattutto contano gli stili di vita. Le cause di questo aumento di percentuale di morti per violenze interne alla specie sono state, infatti, la nascita in mammiferi più vicini a noi di comportamenti complessi, come la territorialità e la vita di gruppo. Vivere assieme e dover difendere le risorse, alimentari o meno, oppure cercare di invadere territori altrui, come fanno oggi gli scimpanzé, ha portato a un aumento del numero di scontri tra animali simili, e quindi a morti causate da questi scontri. Le cose si sono complicate quando nella nostra specie è subentrata la cultura, che ha fatto diventare più complessi ed estremamente diversificati i rapporti tra gli uomini. Per chiarire il quadro, il gruppo di ricerca ha cercato di capire come fossero andate le cose anche nel Paleolitico (da 2,5 milioni a 10.000 anni fa), nel Mesolitico (dal 10000 all’8000 a.C.) e in altri periodi anche recenti. Il risultato è che la percentuale di violenza varia moltissimo nel tempo, e può arrivare al 15-30% tra i 3.000 e i 500 anni fa. Per diminuire poi quando il compito di usare la violenza, se necessaria, è stato assunto dagli Stati e dalla polizia. Anche se l’idea è interessante, ci sono molte obiezioni a questo studio. Una prima è del tutto intuitiva: non è facile stabilire quale fosse la percentuale di morti ammazzati qualche migliaio di anni fa, e in specie lontane da noi nel tempo e nello spazio. Una seconda obiezione riguarda la pesante influenza nella specie umana della cultura, che può variare di molto la percentuale di omicidi da una società a un’altra, anche se vicine, e da un’epoca alla successiva. Nonostante i dubbi, però, uno studio che faccia notare come la violenza all’interno della linea filetica cui appartiene una specie sia un fattore da tenere in considerazione quando si studiano le società animali, e umane, è estremamente interessante e innovativo.

 

La violenza umana (e non solo) ha radici antiche was last modified: gennaio 23rd, 2017 by L'Interessante
23 gennaio 2017 0 commenti
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cane
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Tu mi ignori, io soffro Ansia da separazione nel cane e stili di attaccamento dei proprietari

scritto da L'Interessante

Cane.

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati questa settimana continuiamo a parlare dell’influenza che il comportamento del proprietario può avere sullo sviluppo di alcuni stati di disagio nel cane

Dopo aver riportato lo studio sul proprietario aggressivo, ci spostiamo su quello evitante.

Lo studio a cui faccio riferimento è stato pubblicato nel febbraio 2015 su Plus One, ad opera del dipartimento di etologia, Università di Budapest, con la firma di Veronika Konok, András Kosztolányi, Wohlfarth Rainer, Bettina Mutschler, Ulrike Halsband,  Ádám Miklósi.

Come abbiamo potuto notare precedenti ricerche avevano suggerito che l’atteggiamento dei proprietari verso i loro cani  poteva  contribuire ad una varietà di problemi di comportamento del cane;  gli autori di suddetto studio presuppongono che cani con disordini correlati alla separazione chiedano sostegno in maniera differente al proprietario rispetto a ciò che avviene in cani definiti “normali”.

La ricerca ha suggerito che questi cani possano avere uno stile di attaccamento insicuro. Nel presente studio veniva investigato se lo stile di attaccamento e i tratti di personalità del proprietario nonché la personalità del cane potessero influenzare il verificarsi di un evento d’ansia in seguito alla separazione. Veniva sottoposto a circa 1500 proprietari un questionario  con una serie di domande per investigare il rapporto col proprio cane e si è così scoperto che  i proprietari con il punteggio più alto mostravano un  attaccamento evitante, che era in relazione con un aumento degli eventi di ansia da separazione.

I risultati hanno suggerito che i proprietari con un attaccamento evitante possano facilitare lo sviluppo dell’ansia da separazione nei cani. Si è presunto che i proprietari evitanti siano meno sensibili alle esigenze del cane e non riescano ad essere una base sicura per il proprio cane quando necessario. Come risultato i cani formano un attaccamento insicuro e possono sviluppare più facilmente tale alterazione. Gli autori hanno aggiunto che ci possano essere spiegazioni alternative dei risultati e che le discussioni e studi a riguardo siano in evoluzione.

Insomma, è tutto in divenire. Ma qualcosa torna. Partiamo prima dagli umani: cosa s’intende per  attaccamento evitante?

Ce lo sintetizza egregiamente Grazia Attili, nel suo libro Attaccamento e Amore.  A  partire dagli studi dell’etologia, l’autrice spiega le radici biologiche che stanno alla base delle  relazioni affettive e sessuali e ripercorre tappe e snodi dei legami di coppia.

“Per attaccamento verso una persona- spiega l’Autrice- s’intende quel sentimento che si prova quando ci sentiamo legati a qualcuno per sicurezza ed abitudini e può essere declinato in vari stili”. Quello a cui fa riferimento lo studio cane- proprietario è di tipo evitante/distanziante e in un rapporto madre- figlio umano comporterebbe:

  • una madre che non forma una base sicura e forma nel figlio l’idea che non è degno di essere amato;
  • una madre che lo vuol far diventare presto “ometto “;
  • una messa in atto di falsa autonomia (negazione dei bisogni);
  • il bambino viene spinto ad essere il più bravo e cresce il senso di competizione in lui, è solo abituato ad obbedire agli ordini del genitore;
  • nei rapporti da adulto non chiederà nulla a nessuno perché crederà che gli altri non sono disposti ad aiutarlo;
  • sopprime le sue emozioni per non essere “rifiutato“, rifiuta i sentimenti e li ritiene ridicoli;
  • è pronto ad usare gli altri, attribuzione di interesse e disvalore degli altri.

 E’ vero che gli studi sull’attaccamento tra uomo e cane hanno bisogno di ulteriori investigazioni ma volendolo trasporre questi punti nel rapporto cane proprietario cosa descriveremmo?

Il  proprietario che esce senza salutare il suo amico a quattro zampe.

Rincasa senza salutarlo.

Il  cucciolo che non può sbagliare perché deve crescere in fretta; non sono concesse  esplorazioni, deiezioni fisiologiche, utilizzo della bocca.

Il  cane guarda ripetutamente il proprietario- o gli va vicino- quando è in difficoltà e il proprietario resta immobile.

Se il suo cane fa rissa al parco l’umano non sostiene né lo accoglie, ma rimprovera direttamente senza cercare di capire cosa può essere successo.

Il cane richiede attenzioni e il proprietario lo ignora, nonostante il disagio del cane cresca.

Il cane raggiunge il proprietario, che guarda la tv mentre è steso comodamente sul divano, per il momento coccola ma quest’ultimo lo ignora o si alza e se ne va.

Il proprietario imposta la relazione soltanto sulla sfera comandi.

Il cane che vive in giardino in isolamento sociale, la cui unica compagnia è rappresentata dai sette nani.

Insomma, la lista è lunga.

Un attaccamento evitante potrebbe quindi aumentare lo stato d’ansia del nostro cane.

Il quale non ha scelto di vivere con noi. Non è venuto da solo a casa nostra. Non è fuggito

dal canile per raggiungerci. Non ci ha acquistati in allevamento.

E’ stata una nostra scelta di responsabilità.

Tocca a noi trovare il tempo e le risorse per il suo benessere. E per farlo ci vuole la capacità di imparare a leggere la mente dell’altro.

Per farlo, bisogna essere una base sicura e di sostegno allo sviluppo.

È facile demolire; il difficile è far crescere.

Tu mi ignori, io soffro Ansia da separazione nel cane e stili di attaccamento dei proprietari was last modified: gennaio 20th, 2017 by L'Interessante
20 gennaio 2017 0 commenti
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amore
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Amore: un caso del destino. La leggenda del filo rosso

scritto da L'Interessante

Amore.

Di Michela Salzillo

Il cuore è una lingua, comincia a parlare prima che subentri in noi la parola, il concetto definito, quello che spesso complica le cose. Non c’è grammatica che sia più difficile di quella parlata dai sentimenti, e lo impariamo quasi subito: ce lo insegnano gli imprevisti non calcolabili, quelli che di solito arrivano per scomporci le abitudini e le convinzioni. È negli improvvisi giusti che cominciamo a capire quanto sia fondamentale l’amore, non importa se non sappiamo bene come chiamarlo, quale vestito fargli indossare o quale camera mettergli a disposizione, perché il cuore di queste cose non sa nulla, conosce solo l’urgenza di dare o restituire vita, e lo fa a prescindere da ogni ragionevole limite. Non è una cosa semplice l’amore, confina spesso con l’innamoramento, la passione, e a volte ci confonde: è un movimento universale, una legge senza deontologie precise; è una energia ciclica e rigenerante che, come qualcuno scriveva, move il sole e l’altre stelle. È un legame che lascia liberi; è un bisogno senza dipendenza; è un divertimento, anche un impegno, in grado di appagare l’anima, e quando da cosmico si trasforma nella viva presenza di qualcuno, in grado di essere il nostro fianco irrinunciabile, diventa subito il desiderio perfetto verso cui conciliamo tutti i nostri migliori intenti. A volte è anche doloroso, e forse non c’è nulla di sbagliato in questo: gli amori non corrisposti, ad esempio, non sono di certo il migliore augurio da fare, agli altri come a sé stessi, ma è proprio attraversando questo tipo di dimensione che si impara ad assaggiare il frutto maturo del sentimento; in questo modo si giunge a capire che di certo l’amore è la regola delle nostre più profonde volontà, ma lo stare insieme è una eccezione che spesso sbaglia i tempi. La difficoltà, infatti, non è trovare l’amore, ma scorgere qualcuno che si innamori di noi nell’ istante in cui ci accade la stessa cosa, e che poi resti a viaggiare sul nostro stesso binario, al medesimo ritmo delle nostre esigenze. Detta così, sembra la cosa più complicata del mondo, soprattutto per chi ha collezionato più amori sbagliati che gioie da cofanetto, ma state tranquilli!  Anche in questo caso la speranza è pronta a morire per ultima, a dirlo è una bellissima leggenda cinese a cui, sognatori o no, vale la pena dar credito.

Siamo destini che si uniscono: per trovare l’ amore basta seguire un filo rosso

Secondo un’antica leggenda, che le maggiori testimonianze fanno confinare con la tradizione cinese – poi adottata anche dal Giappone – ci sarebbe un filo rosso in grado di legare le persone destinate a incontrarsi: a prescindere dal tempo, luoghi o circostanza. Il filo può allungarsi, aggrovigliarsi, ma non potrà mai spezzarsi. Anche se le due anime non dovessero mai arrivare a incontrarsi, il filo resterà sempre attaccato alle loro dita, invisibile, nascosto ai loro occhi.

 

C’era una volta… un bellissimo racconto d’ amore

  C’era una volta, un uomo di nome  Wei, che – rimasto orfano di entrambi i genitori quand’era ancora un bambino – aveva maturato negli anni un unico  desiderio: quello di sposarsi e costruire una grande famiglia; nonostante gli sforzi e le buone intenzioni, però, era giunto all’età adulta senza essere riuscito a trovare una donna da prendere in moglie.

 Un giorno, durante uno dei sui viaggi, il giovane Wei incontrò, sui gradini di un tempio, un anziano scrupolosamente impegnato a consultare un libro. Wei, incuriosito, chiese all’uomo cosa stesse leggendo; l’anziano, che si identificò come il Dio dei matrimoni, dopo aver adocchiato una pagina del volume, confessò a Wei di conoscere l’identità della donna che gli sarebbe rimasto a fianco per tutta la vita.

Durante la visione, però, tenne a specificare che al momento era una bimba di soli tre anni, quindi avrebbe dovuto attenderne altri quattordici prima di riuscire a conoscerla. Wei, nonostante fosse rimasto deluso dalla risposta, chiese cosa contenesse il sacco che aveva notato già da prima alle spalle del saggio; l’uomo rispose che lì dentro era custodito del filo rosso, destinato a legare i piedi di mariti e mogli. Un filo invisibile e impossibile da tagliare, in modo da permettere alle due persone legate tra loro di sposarsi.

Quelle parole, indubbie portatrici di un ottimo messaggio, non furono per nulla di aiuto a  Wei che, per sentirsi libero di scegliere da solo, senza il vincolo del destino, la donna da sposare, ordinò al suo servo l’ uccisione della  bambina destinata a diventare sua sposa,almeno secondo quanto raccontato dal vecchio saggio. Il servo, come richiesto, pugnalò la bambina, ma non la uccise: riuscì soltanto a ferirla alla testa.

 Wei, dopo l’accaduto, si rassegnò a vivere la sua solita vita, confrontandosi spesso con quel  vuoto incolmabile. Quattordici anni dopo da quelle vicende, ancora celibe, conobbe una bellissima ragazza: aveva diciassette e proveniva da una famiglia agiata, fu con lei che si sposò. In tutti quegli anni sua moglie aveva sempre indossato una pezzuola sulla fronte e Wei, che ne aveva sempre rispettato il mistero, un giorno le chiese per quale motivo non  la togliesse mai, nemmeno per lavarsi. Fu così che la donna, in lacrime, raccontò che quando aveva tre anni fu accoltellata da un uomo. Il folle gesto le aveva procurato una profonda cicatrice sulla fronte, quella che per vergogna   nascondeva accuratamente sotto a delle bende.  Udire quelle parole per Wei fu come ricevere una pugnalata, in un istante si ricordò dell’incontro con il Dio dei matrimoni, di ciò che gli aveva predetto, e del successivo ordine che dette al suo servo. Confidare a sua moglie di essere stato il diretto artefice del tentato omicidio a suo danno, le parve la cosa migliore da fare. Conoscere la verità, però, non danneggiò di certo il loro amore, anzi , si rivelò un sigillo ulteriore sulla loro unione, oltre che una valida conferma del fatto che al destino nulla è impossibile.

Amore amore.

 

 

 

 

Amore: un caso del destino. La leggenda del filo rosso was last modified: gennaio 20th, 2017 by L'Interessante
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cani
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Aiuto, il mio cane non è intelligente

scritto da L'Interessante

Cani

Di Luigi Sacchettino

Cari lettori interessati è notizia di qualche giorno fa di una classifica che stila l’elenco dei cani più intelligenti: border collie, barboni, pastori tedeschi e i soliti blasonati

Quando leggo di questi notizie mi parte l’embolo, mi si gonfia la vena sulla fronte, divento verde e perdo l’aspetto zen.

Questo perché trovo la continua ricerca del maius intellettivo nei cani sterile e poco utile: un tentativo di standardizzare, incorniciare, confinare rigidamente le loro soggettive capacità cognitive.

Provo a dirvi la mia, andando con ordine. Come possiamo definire genericamente l’intelligenza?

Una delle definizione afferma che l’intelligenza è la capacità di comprendere il mondo in cui si vive e di risolvere i problemi ambientali, sociali e culturali che vengono posti in ogni momento della  esistenza.

E su questo i cani ci riescono magistralmente. Vivono in un mondo a misura d’uomo ma sono in grado di utilizzare un ascensore, salire su un autobus e scale mobili, tollerare le continue violazioni dello spazio personale da parte di estranei incrociati per strada, e soprattutto capirci molto più di come noi riusciamo a fare con loro. In questo quindi mostrano una adattabilità e flessibilità cognitiva straordinariamente lontana da quella umana. Che se solo cambia il bagno di casa, non riesce più ad esprimersi.

I test più noti su cui è stata testata l’intelligenza dei cani appartengono al neuropsicologo Stanley Coren, professore di neuropsicologia a Vancouver, e consistono nella valutazione della capacità dei cani di risolvere problemi (problem solving) e di comprendere le parole. Anche attraverso l’aderenza alle attività di addestramento. Il ricercatore sostiene che le loro capacità intellettive potrebbero essere paragonate a quelle di un bambino dai tre ai cinque anni.

Bene. Se non fosse che sono dei test ipotizzati dalla mente umana. Quindi test antropocentrici.

Mi aiutano le parole del prof. Marchesini che nel suo libro Intelligenze plurime esprime un concetto che condivido appieno: “Il problema clou, quando si parla di menti animali, resta quello dell’attribuzione delle diverse componenti cognitive evitando la deriva del confronto serrato e della messa in discussione dell’unicità dell’uomo. La difficoltà nell’analizzare gli ambiti delle funzioni menali sta nel grado di coinvolgimento avvertito dall’uomo rispetto al significato degli aspetti mentali nella definizione dell’identità umana”.

Sarebbe quindi più corretto testare le capacità del cane prendendo in considerazione un  altro modello canino. E come si fa, in una specie che conta  per l’ Ente Nazionale della Cinofilia Italiana 16 razze italiane (oltre a tutte le altre) e per la Fédération cynologique internationale più di 400 razze? Per esempio un pastore maremmano ha struttura fisica- comportamentale completamente diversa da quella di un border collie; il primo forte fisicamente, calmo, solido, autonomo nel lavoro, mentre il secondo snello, veloce, nevrile, molto più collaborativo e richiedente con l’uomo. Eppure entrambe si occupano di greggi: il primo per la custodia, il secondo per la conduzione.

Chi potremmo definire più intelligente?

Hanno motivazioni diverse nel loro assetto comportamentale. Ricercano diversamente il piacere nel mondo. Si muovono diversamente nel mondo.

Forse il border collie ci appare più intelligente perché la sua intelligenza collaborativa lo fa essere più attento a noi, ai nostro comandi e a ciò che gli proponiamo. E quindi anche ai problem solving che gli somministriamo. Non a caso il podio dei cani più intelligenti appartiene a tre razze- border collie, barbone, pastore tedesco- che mostrano una maggiore predisposizione al lavoro con l’uomo. Ma un segugio che segue ostinatamente una traccia olfattiva per km lasciandosi alle spalle l’imbranato e lento umano non lo definirei meno intelligente. E che dire di un levriero che raggiunge  circa  70 km/h? Molti umani intelligenti inciampano su un gradino figurarsi a correre a quella velocità.

“La mente opera in modo plurale perché plurali sono le prestazioni che le diverse specie, i diversi soggetti e anche lo stesso soggetto nelle diverse età, sono chiamati a compiere.  Come non è paragonabile la prestazione che compie l’arto anteriore di un chirottero da quella realizzata dall’arto di un delfino, o quella di una talpa rispetto all’elefante, o ancora, quella di un gatto rispetto a quella di un uomo, allo stesso modo nel mondo animale le diversi menti presentano complessi di performatività cognitiva assai diversi tra loro” Marchesini.

E dell’altronde questo concetto vale anche in umana. Secondo lo psicologo americano H. Gardner non esiste un solo tipo di intelligenza, ma una molteplicità di forme, ovvero potenzialità biologiche presenti sin dalla nascita che in ogni essere umano assumono una particolare combinazione di livelli di sviluppo, rendendo unico il suo profilo intellettivo.

L’evolversi di ciascuna intelligenza e il raggiungimento di gradi più o meno elevati, risulta in parte condizionato da fattori genetici, ma dipende anche dalle opportunità di apprendimento offerte da una particolare contesto culturale. Non basta, dunque, individuare le inclinazioni personali, occorre esercitarle, in caso contrario rimarranno nello stato embrionale.

Con la sua opera Gardner non ha messo in discussione soltanto la vecchia teoria di intelligenza, bensì anche i test standardizzati che sulla stessa si fondavano.

I nostri cani hanno una intelligenza e cultura soggettiva; certo qualcuno può avere dei talenti già più sviluppati di altri, qualcun altro può avere delle risorse che noi non abbiamo ancora scoperto. Qualcun altro ancora può avere delle inclinazioni da sostenere.

Quello che so è che quando giravo per boschi con la mia Shana, perdendo l’orientamento, lei sapeva riportarmi a casa. Eppure non ho mai avuto necessità di testare la sua intelligenza con dei problem solving.

“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido” Albert Einstein

 

 

 

Aiuto, il mio cane non è intelligente was last modified: gennaio 12th, 2017 by L'Interessante
12 gennaio 2017 0 commenti
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