Furbetti del cartellino
Quando il gatto non c’è i topi ballano. Se poi alla musica ci pensa chi dovrebbe assicurare il legittimo controllo sulla corretta gestione del dovere, la via della cattiva condotta diventa una discesa a (s)regola d’arte.
Come in un gioco in cui si diverte solo chi lo fa, gli episodi di assenteismo pubblico replicati nel casertano, ancora una volta, colano a picco sulle amarezze di quanti considerano il proprio lavoro un sinonimo di onestà e trasparenza.
Li chiamano i furbetti del cartellino, e sono gli esperti in disertazione della sedia d’ufficio, quelli che timbrano il badge e poi vanno al bar per un caffè scorretto
Se fosse una mansione prevista dalla legge, non coprirebbe a sufficienza gli entusiasmi di quanti vorrebbero rivestire il ruolo del funzionario fantasma, ma purtroppo, lasciare la propria postazione nell’orario di lavoro, resta un reato.
A nulla sono valse le pressioni mediatiche firmate dai programmi ad inchiesta che avevano fatto capitolare, due anni fa, gli equilibri distorti del palazzo di via Verdi. Il via vai sospetto del comune di Napoli, infatti, aveva fatto scendere in campo le telecamere di Le Iene per sventrare il gruppo di assenteisti e nulla facenti nella sede del consiglio comunale. Come all’epoca, anche i recenti nove arresti, ad opera dei carabinieri di Maddaloni, hanno preceduto appostamenti e servizi di video sorveglianza che attestassero la trasgressione.
L’ indagine, condotta dal mese di ottobre a quello di dicembre, ha coinvolto tutti i dipendenti dell’A.S.L. di Caserta, tra cui cinque dirigenti, in servizio presso il Distretto 13 di via Caudina. Gli arrestati dovranno rispondere alle accuse di truffa e false attestazioni o certificazioni, con le aggravanti di aver commesso il fatto a danno di un ente pubblico.
L’attività investigativa ha permesso di cogliere in flagranza di reato gli indagati che, senza ritegno, lasciavano il posto di lavoro, dopo aver avuto la malsana accortezza di attestare la propria presenza attraverso il badge in dotazione. Un comportamento ,per alcuni , ripetitivo e meccanico che, come un esercizio d’abitudine, permetteva di ottenere un’ingiusta corresponsione e un enorme arreco di danni a carico dell’ amministrazione. Le cifre rese note attestano un ammanco che va dai 450 ai 3.400 euro.
Inoltre, sono stati certificati casi in cui la buona creanza di alcuni funzionari copriva il collega assente, marcando il cartellino di chi al lavoro preferiva lo shopping infrasettimanale. Uno spirito di collaborazione ingiustificabile che si coalizza, anche e soprattutto, a danno del comune cittadino che non solo contribuisce al pagamento illegittimo dei furbi in questione, ma si trova inevitabilmente scoperto in caso di esigenza non esaudita da chi dovrebbe farlo per dovere.
Che sia l’ultima scia di un percorso costruito male? C’è chi è pronto a giurare di no.
Certe cronache sembrano non smettere mai, e chi ne parla per dovere di professione prova quasi un senso di vergogna, perché quando un fatto si ripete, e soprattutto in termini come questi, neanche scriverne sembra avere senso. Tutto appare superfluo e il resto sembra dare ragione a chi dice che niente cambierà mai, perché quello che nasce disforme, e si abitua alla sua inopportuna condizione, non potrà diventare qualcosa di diverso da ciò che rappresenta, ma se è vero che il sano coesiste con il marcio, per natura, non è di certo congenito mischiare i due emisferi di concetto.
Allora, sperando in un ravvedimento di coscienza che smentisca i detti popolari, evitare il silenzio omertoso è qualcosa che bisogna continuare a fare, se non altro per garantire il discernimento fra giusto e sbagliato.
Michela Salzillo