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Giornalismo

Moda
CronacaIn primo pianoParliamone

Moda in nero: addio a Franca Sozzani

scritto da L'Interessante

Moda

Di Vincenzo Piccolo

Lutto per la moda italiana, si piange Franca Sozzani storica direttrice di VogueItalia e Condé Naste. É scomparsa a 66 anni, a Milano, dopo aver lottato con una lunga malattia. Un cancro, che le aveva dato battaglia da un anno, lei lo aveva indossato come un vestito che portava con estrema eleganza e discrezione, accompagnandolo con il suo solito sorriso paziente. Proprio a lei che era anche presidente della Fondazione Istituto Europeo di Oncologia. Ha lottano fino alla fine, ha lavorato instancabilmente: presenziando sfilate, curando servizi fotografici, accompagnando gli artisti che lavoravano alle loro produzioni. Senza riserbo, incarnando la figura della donna in carriera come nessun’altra finora.
Tante le case di moda, stilisti e artisti internazionali che sui Social Network le rendono omaggio per il grande contributo che ha dato al mondo della moda, italiano e mondiale. Da Donatella Versace ad Anna Wintour, da Valentino a Yves Saint Laurent: tutti piangono la scomparsa di Franca.

La Signora della moda

Mai locuzione fu più adatta per definirla. Ha lottato tutta la vita per ottenere quello che ha avuto, senza cadere nei soliti cliché, che la dipingevano come un direttore incontentabile, sempre insoddisfatta. Lei non era così.
“Dimenticate per favore Il Diavolo veste Prada. Miranda non esiste! Prepotenza, capricci? Non ce ne sarebbe neanche il tempo. E poi, non vedo chi li sopporterebbe o chi mi sopporterebbe”. Così rispondeva a chi voleva dare un immagine infernale al mondo della moda, per lei era un lavoro come tanti. Un incarico che richiedeva impegno e dedizione, la stessa che lei ha messo dal 1988, divenendo l’immagine della moda in Italia, rivoluzionando, sovvertendo e usando la sua posizione per contestare un intero sistema. Riuscendo a catalizzare la sua attenzione sulla portata mediatica che poteva avere una rivista come Vogue, una potenza che usava per trasmettere messaggi importanti. Non solo vestiti, foto, profumi e trucchi. Il Vogue di Sozzani è stato molto di più, arrivando ad adattarsi al clima economico-politico che sapeva ben interpretare e analizzare. La sua carriera nel mondo nella moda è iniziata a 25 anni, ribaltando persino la sua stessa vita, riscrivendo un destino alto-borghese che sembrava già scritto, un futuro fatto di frivolezze. Ma per lei non era così, non era fatta per “ricchi premi e cotillon”. Dopo il diploma di liceo classico si laurea alla Cattolica, in lettere e filosofia, si sposa e dopo tre mesi divorzia e da qui inizia la sua scalata tra le passerelle. Negli anni settanta comincia la sua storia all’interno di Vogue Bambino, nel 1980 passa a dirigere il femminile Lei e nel ’83 gli affidano la versione maschile Per lui. Ed ecco che vede arrivare la grande svolta nell’88 a Vogue Italia, dove viene anche minacciata di licenziamento da Jonathan Newhouse (direttore di Condé Nast International) per i sui atteggiamenti irriverenti e i messaggi destabilizzanti per il pubblico dell’alta moda. Servizi contro il nazismo, donne curvy, contro le violenze domestiche, contro l’omofobia, la guerra e le lotte di genere: tutte contornate da sete, tulle e tanti lustrini. Questo ci lascia Franca Sozzani, un sogno, un faro di speranza, ci lascia la consapevolezza di poter adattare il destino ai nostri sogni. Ci lascia la forza di poter raggiungere mete lontane, forse aliene, senza mai abbassare la testa. Ci lascia l’audacia di rischiare, anche se si arriva a ricoprire un ruolo importante. Franca è stata una visionaria, un’anticonformista alla moda, un ossimoro vivente. Beh Franca, dal basso, io ti dico GRAZIE. Grazie perché ci hai dato la concreta possibilità di poter sognare quello che, per alcuni, poteva essere impossibile.

Moda in nero: addio a Franca Sozzani was last modified: gennaio 2nd, 2017 by L'Interessante
2 gennaio 2017 0 commenti
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Froci, Le Cronache
CronacaIn primo pianoParliamone

Froci violentano diciassettenne. Il giornalismo è un’altra cosa

scritto da L'Interessante

Froci

Froci e pervertiti violentano diciassettenne

Se fosse una bufala ci sarebbe da piangere, ma è la realtà e c’è ben poco da ridere. Nessun eccesso o fraintendimento, si tratta di una notizia, anzi, di una prima pagina, quella de Le Cronache, il quotidiano salernitano diretto da Tommaso D’angelo.

L’intestazione si riferisce a tizi, indiscutibilmente stigmatizzabili, che avrebbero violentato e filmato un ragazzino di quattordici anni in un centro massaggi di Cava. La scelta di stampa, difficilmente condivisibile, è stata fortemente attaccata: prima dal direttore de La città di Salerno, Stefano Tamburini, che, in un editoriale senza equivoci, ha preso le distanze da questo singolare modo di intendere il giornalismo, e poi da Il Fatto Quotidiano, la realtà d’informazione fondata nel 2009 da Antonio Padellaro, che ha lasciato lo sgravo mediatico alla penna di Selvaggia Lucarelli. La testata incriminata fornisce all’utenza una duplice versione. È reperibile infatti, sia online che in formato cartaceo, questo, inizialmente, aveva dato spazio a seri dubbi sulla veridicità di un’impaginazione simile, e non certo per ambedue le diffusioni.

 Si sa che il web maciulla più della carta stampata, ormai, e pertanto, le prime condivisioni su internet, riconducevano il testo ad una probabile e ultima trovata da hacker senza scrupoli. Purtroppo, però, l’audacia linguistica di D’angelo non solo è stata confermata, ma si è meritata una replica forbita e attenta dallo stesso direttore, il quale ha sentenziato contro il suo primo citante.

“Devo ritenere che la parola frocio che lo ha tanto sconvolto deve averlo particolarmente colpito, forse per gusti personali, non lo so. Di certo non sono problemi suoi se davanti ad una squallida vicenda come quella di Cava, dove ci sono tanti giovani vittime dei due froci e pervertiti e dei loro complici, che mi auguro vengano arrestati al più presto, assumiamo una posizione forte e senza equivoci.” Così ha detto il redattore de Le Cronache.

È evidente, anche ad un occhio distratto, lo sfondo omofobo di questa rincarata che non ha nulla da invidiare alle sue origini. Tommaso D’angelo, infatti, insinua a chiare lettere che il ritegno mostrato dal collega abbia un qualche legame con una presunta omosessualità, confondendo ancora una volta linguistica, fatto e imparzialità, un contrasto che, con tutto il rispetto, nessun giornalista dovrebbe permettersi, figuriamoci un direttore di testata. Non c’è dubbio sul fatto che la vicenda di uno stupro sia squallida, anzi, è senz’altro qualcosa di più, ma cosa c’entra questo con appellativi a sfondo diffamatorio in direzione di certi pregiudizi già abbastanza radicati per conto proprio? Per carità, di fronte a simili vicende, è comune un po’ a tutti l’utilizzo di improprie definizioni; magari dettate dalla rabbia e il disgusto. Ma l’istinto si libera a casa propria, non al lavoro, specie se si ha il compito di preservare una comunicazione informativa che sia lineare e non fuorviante. Non sarà un problema di Stefano Tamburini la posizione assunta da Tommaso D’Angelo, ma lo potrebbe essere per molti altri.

È ovvio che il titolo e i fatti sono due cose completamente differenti. È possibile indignarsi per il titolo e per lo stupro e affrontare le due questioni separatamente, senza che l’una tolga peso all’altra. Come è chiaro che l’omofobia, come tutte le forme di intolleranza socio-culturali provengono da un concetto sbagliato e non da termini confusi, ma chi lavora con le parole, dovrebbe imparare a passare dalla superficie per arrivare sul fondo, senza trattare con sufficienza il taglio che, a volte, può avere un certo tipo di lemma.

Il punto non è essere “amici dei gay”, categoria nella quale D’angelo si inserisce senza preoccuparsi se la volontà sia reciproca, ma non riuscire a comprendere la differenza fra il confine e l’oltre.

Michela Salzillo

Froci violentano diciassettenne. Il giornalismo è un’altra cosa was last modified: luglio 23rd, 2016 by L'Interessante
23 luglio 2016 0 commenti
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Matthias Canapini
CulturaIn primo pianoNotizie fuori confine

Matthias Canapini e il volto dell’altro

scritto da L'Interessante

Matthias Canapini

Esiste un posto che non è un luogo, in cui la meta é il viaggio e partite è sempre una scoperta.

Si chiama Il volto dell’altro ed è un progetto di Matthias Canapini, un giovane reporter di origini marchigiane che con una macchina fotografica tra le mani ed un taccuino in tasca, racconta le storie dimenticate del mondo.

Nata nel 2015, fra le pieghe di uno spiccato interesse sociale, l’idea si presenta come una narrazione itinerante, realizzata marciando il mondo via terra, attraverso l’utilizzo di modici treni o autobus. I suoi resoconti, udibili anche mediante video scannerizzazioni, poi caricate su un canale youtube, sono alla portata sia di adulti che di bambini.

I viaggi di Matthias

Dall’ Italia al Vietnam, il fotografo e scrittore ventitreenne, scivola fra le strade di tantissime realtà difficili: racconta delle mine antiuomo in Bosnia e dei campi sfollati in Siria; delle proteste di Gezi Park in Turchia e  i meccanismi delle adozioni in Kosovo.

La realizzazione dell’iniziativa è stata possibile grazie ad una raccolta fondi, effettuata con il metodo del crowdfunding, un microfinanziamento dal basso che ha mobilitato il sogno di Matthias sulle sponde più alte del disagio mondiale. Il viaggio, cominciato il 10 gennaio dello scorso anno, oltre che a raccontare, mira a creare contatti con le associazioni che lavorano sui vari territori, al fine di spalleggiarsi reciprocamente.

Matthias è cresciuto viaggiando in Europa insieme alla sua famiglia, già all’età di cinque  anni cominciarono le prime scorribande in macchina, fino alla punta estrema della Scozia e lungo le campagne della Normandia. Lo spirito di quelle escursioni era all’insegna dell’essenziale: si partiva con prime necessità, qualche coperta e un po’ di cibo. “Spesso dormivo nel baule, assieme alle scatolette di tonno e il sacco a pelo”, racconta.

All’età di quindici anni ha cominciato a leggere Terzani e tutti i libri sui generis che gli capitava di incontrare, questo tipo di narrazione – per sua stessa ammissione- lo influenzò parecchio, ma riconduce l’inizio della vera svolta al dicembre di tre anni fa.

 Durante un pranzo di Natale, in un discorso sorto dal nulla, si cominciò a discutere della Bosnia ed Erzegovina. “Mio zio mi disse: quella guerra mi fece talmente schifo che spegnevo la tv pur di non guardare. È stato un attimo…ho sentito qualcosa dentro”, dice.

Quello stesso inverno, abbandonò l’università e con uno zaino in spalla cominciò il suo vagabondaggio, per scoprire di più su quella guerra di cui non conosceva niente e che era avvenuta alle porte di casa. Quest’esperienza gli ha insegnato che gli piace viaggiare ma, al tempo stesso, adora sensibilizzare la dimensione culturale del suo Paese. Secondo Matthias, il compito di un reporter non è solo quello di scattare foto, immortalando sguardi o sensazioni. Preferisce organizzare eventi con le persone che incontra, essere la matrice stessa dello scambio, imballare scatoloni, sporcarsi le mani. La scelta, anche se non sempre si rivela facile, di creare dei ponti materiali con le associazioni, la fece durante il viaggio in Siria: in questa occasione, infatti, sentì l’esigenza di sollecitare una raccolta di cibo, vestiti e giochi a sostegno dei profughi Siriani, e da lì non si è più fermato.

Nel libro verso est, in cui racconta tutti i dettagli e le dinamiche da cosmopolita curioso, Matthias scrive che preferisce viaggiare usando l’istinto, senza sfogliare alcuna guida che gli dica dove trovare l’ostello più economico o la tipologia dei mezzi da usare per spendere di meno.

“Preferisco non avere   iphone con me, mi piace comunicare con la gente del posto, anche a gesti, farmi consigliare, camminare e sudare per raggiungere un angolo dove poter riposare. Per questo motivo ho un vecchio cellulare Nokia, utile per stappare le birre ma non di certo per trovare scorciatoie.”

Secondo la sua filosofia di conoscenza e integrazione culturale, relazionarsi con le persone del posto è la base per conoscere davvero un luogo. Verso est non è solo un libro di viaggio, ma anche da viaggio: in poco tempo si assaporano gusti esotici, passando dalla Turchia all’Armenia. Intraprendendo questa esplorazione totale, Matthias ha imparato a sentirsi parte integrante del mondo, cosa di certo non facile per la naturale tendenza dell’ uomo ad elaborare giudizi e creare differenze. Per un ragazzo giovane come lui è complicato non perdere fiducia nell’umanità, eppure difende con tutto sé stesso l’idea che se anche un pugno di persone riesce a tenere testa allo schifo della nostra società, vuol dire che c’è ancora qualcosa di recuperabile. Il coraggio, secondo lui, non è andare in Siria a fare fotografie, ma avere la forza di seguire la propria strada, qualunque essa sia. Oltre le definizioni, Canapini vive il presente senza ruoli né aspettative, con la sola certezza di voler continuare a crescere negli occhi degli altri, un ragazzo che con semplice curiosità sta tentando di raccontare il mondo, provando a ritornare alle origini, passando per la natura e il rapporto con gli altri

Michela Salzillo

Matthias Canapini e il volto dell’altro was last modified: aprile 8th, 2016 by L'Interessante
8 aprile 2016 0 commenti
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