Parigi
Di Christian Coduto
“Christian, sai che non sono mai stato a Caserta?”. Ha inizio così la mia chiacchierata con Luigi. Mentre passeggiamo per i giardini della Reggia, lo vedo girarsi intorno con curiosità, fame di sapere. Ha indosso una polo color vinaccia e dei pantaloni rosso pompeiano. Persino il trolley che si porta dietro è tendente al rosso. “Non è che sia il mio colore preferito” ammette ingenuamente “Il fatto è che il mio trolley l’ho distrutto e questo è di mia madre”.
Siciliano (messinese, per la precisione), vive tra l’Italia e la Francia da molto tempo. Come tutte le persone che provengono da terre ricche di sole, è socievole ed affettuoso. Lo riempiresti di abbracci, per quanto è gentile. Parla come se ci conoscessimo da una vita. si lascia andare a confidenze private con uno sguardo da eterno bambino e ascolta le mie parole quando gli racconto situazioni analoghe che ho vissuto anche io. Ama l’arte: rimane incantato dalla bellezza del palazzo edificato da Luigi Vanvitelli …
Luigi La Rosa ci parla della “sua” Parigi
Chi è Luigi La Rosa?
Luigi La Rosa è un’identità. Quella che cerca di assumere da sempre (e quello che sta cercando di diventare) è la figura di un narratore di storie e di personaggi che vengono da lontano e che portano nel rapporto con la città di Parigi, ma soprattutto nel rapporto con l’arte e con la dimensione estrema del vivere una loro autenticità personale.
Perché hai deciso di trasmettere le tue emozioni attraverso la scrittura?
Ho studiato per almeno 6 anni pianoforte e composizione. Fino a 18 anni ero convintissimo che il mio futuro sarebbe stato quello della musica. Premetto, però, che io scrivo da sempre. Mi dicono che da piccolino, quando avevo all’incirca 3 anni, stavo sul tappeto e scrivevo per interi pomeriggi … a 7 anni avevo già un quaderno di poesie … a 12 anni lessi il mio primo romanzo “Menzogne e sortilegio” di Elsa Morante. Da quel momento è stato un crescendo di letture nuove. Ad un certo punto mi resi conto che il mio rapporto con la parola stava diventando più forte del mio rapporto con la musica. Intendiamoci: ancora oggi, se ascolto un pezzo di Chopin mi viene la pelle d’oca … però era sempre più chiaro che la musica non era la strada che avrei dovuto e voluto seguire. La parola era il “luogo” in cui potevo essere completamente me stesso, per raggiungere quel massimo di intensità ed espressività verso le quali tendevo. In effetti iniziai a studiare pianoforte sul tardi, avevo già 12 anni … tra i 18 e i 20 anni la scrittura si è impossessata di me: ho messo da parte le poesie e ho iniziato a scrivere racconti, testi di narrativa e così via.
Parliamo di “La luce e il riposo” e il viaggio che fa il protagonista …
Quello del protagonista è un viaggio che, in qualche modo, si muove verso la ricerca di qualcosa: deve consegnare un libro (che ha trovato in metropolitana) ad un uomo. Quest’uomo, che è già comparso nel libro precedente, diventa automaticamente un ideale amoroso, sentimentale. Durante la ricerca, il protagonista si imbatte in alcune figure, che sono in realtà delle presenze, degli spettri, figure di uomini e donne vissuti anni addietro che, sempre a Parigi, hanno trovato una direzione nel piano dell’amore e della creatività perché sono tutti grandi artisti del passato. È un libro sull’inseguimento. Ci sono anche dei momenti di riposo, durante i quali il protagonista contempla Parigi, vive in questa dimensione onirica, ma di base è un romanzo di fughe verso questo ideale estetico, che accomuna poi tutti i personaggi descritti.
In tutti i miei libri c’è sempre questo bisogno di cercare Parigi per cercarsi e ritrovarsi. Parigi è un labirinto che sfugge a chi tenta di possederlo … a questo punto qual è la maturazione del personaggio? Rendersi conto che Parigi è stato un pretesto per una ricerca che è tutta interiore. Parigi è un luogo ideale, potrebbe essere Vienna, Berlino … come dice il poeta greco Konstantinos Kavafis “Itaca non è la meta che devi raggiungere, ma è quella spinta che ti ha portato a viaggiare”.
“Solo a Parigi e non altrove. Una guida sentimentale”. A chi è dedicata? A quale tipologia di lettore?
Non ha un lettore ideale. E’ una guida sentimentale perché ti porta attraverso la dimensione d’amore che hanno vissuto gli artisti. Però, allo stesso tempo, è un romanzo di formazione perché il personaggio perde un amore, ne incontra un altro. E, come sempre accade, subisce un’evoluzione, una crescita. Ed è anche un diario di viaggio perché è un reportage di come muoversi per la città. Quindi ci sono diverse stratificazioni per altrettante tipologie di potenziali lettori.
“Quel nome è amore. Itinerari d’artista a Parigi” …
Anche qui abbiamo degli itinerari. Il mio tentativo, in queste storie, è creare dei piccoli cammei in cui rappresento delle esistenze esemplari di artisti che sono diventati immensi nell’arte come Jean Cocteau, Raymond Radiguet, Jean-Frédéric Bazille o Carlos Casagemas, pittore amico e rivale di Pablo Picasso.
Ha una conoscenza culturale a 360 gradi. Si destreggia con facilità tra pittura, scrittura, poesia e quant’altro. Provo leggera soggezione a relazionarmi con lui. Eppure, nulla in Luigi La Rosa lascia trasparire atteggiamenti di superiorità: è un uomo semplice, che ama condividere e mettersi in discussione.
Messina e Parigi … così distanti, così vicine. E decisamente poetiche …
Sì. Il luogo in cui sono nato e il luogo in cui sono rinato, rispettivamente. In realtà sono l’antitesi: la radice da cui mi stacco volontariamente (sebbene con un certo dolore) e la meta che scelgo con egual dolore perché lì ti assumi delle responsabilità. E’ un paese straniero, una lingua che non è la mia … adesso è diverso, ho tanti amici lì, ma all’inizio ero completamente solo. I due poli di un cammino ideale … la nascita e il punto di arrivo. Ammetto anche di essere molto combattuto tra i due poli, sento costantemente il bisogno di ritornare non solo a Messina, ma proprio in Italia. Parigi è la mia città, la amo incondizionatamente, ma non posso fare a meno dell’Italia e non sono in grado di rinunciare alla cultura che mi ha formato, che mi appartiene. Parigi è un arricchimento perché si aggiunge a ciò che era già mio, pensa al Rinascimento per esempio. Grazie al Rinascimento ho potuto quindi apprezzare e comprendere l’Impressionismo.
Che tipo di amore vivi? Sei uno di quelli che riesce ad essere distaccato o ti lanci a capofitto?
Io mi lancio completamente a capofitto! Vivo l’amore di pancia, di viscere. Il cervello e la razionalità li metto da parte. Anzi, ti dirò: quando sono innamorato, la razionalità la vedo proprio come una nemica. Il che mi porta a commettere dei casini assurdi (ridiamo amaramente), do delle capocciate terribili dalle quali devo poi riprendermi. Non mi pento del mio modo di amare perché sono situazioni che mi lasciano delle cose molto forti, sia in termini di passione sia di dolore e ferite. Ho un rapporto molto passionale e conflittuale con l’amore … è una forza per me necessaria, ma sento anche la crisi che genera in me.
Strano.
Normalmente, un personaggio famoso, un personaggio pubblico, è solito porsi di fronte all’intervistatore o ad un pubblico di potenziali acquirenti con l’aplomb di chi non ha dubbi, che sa perfettamente ciò che vuole.
Qui, invece, accade esattamente il contrario: Luigi mette in mostra i suoi punti deboli. Li espone senza timore di apparire imperfetto. Sa che sono parte di sé e, senza di essi, non sarebbe più l’uomo che ha visto crescere umanamente e culturalmente in tutti questi anni. L’amore gli dona e gli toglie qualcosa ogni volta, se ne rende conto. Eppure, non può farne a meno. Gestire le emozioni è complesso, soprattutto quando a viverle è una persona di una sensibilità così evidente come nel suo caso.
Qui da noi si dice che, quando un essere umano si fa male soprattutto in amore, poi gli altri lo devono venire a raccogliere con il cucchiaino. Tu ti fai aiutare dagli amici o ti salvi da solo?
Lo diciamo anche a Messina! Sai una cosa? Non solo mi faccio salvare quando l’amore finisce … io, già mentre sto vivendo il tormento dell’amore, giornalmente ho i miei preziosi amici, quelli più cari che mi tengono d’occhio e mi danno consigli. Il problema è che ho una testa mia e, dopo aver parlato con loro, faccio completamente l’opposto di ciò che mi hanno detto (ride fragorosamente). Ringrazio la vita per questi amici che mi vogliono un bene enorme … talvolta mi lasciano cadere perché sanno che il farmi male è necessario, ma allo stesso tempo mi dicono “Cadi pure, tanto ti rialziamo noi!”
Quanto di personale c’è nelle storie che racconti?
Tantissimo: quando scrivo io divento il personaggio. Avverto proprio il bisogno di entrare nelle storie che racconto, di farne parte. Divento contemporaneamente Raymond Radiguet, Carlos Casagemas … considera che, mentre le scrivo, io sto male … percepisco i crolli, sento le cadute, le accensioni, ma mi porto dietro anche le leggerezze, le passioni. Non è un caso che, nei miei libri, non si capisca mai perfettamente dove termini il personaggio e dove inizi Luigi La Rosa. E quando anche ti sembra di averlo capito, è un bluff perché c’è molto altro. E’ un gioco che coinvolge il lettore.
Aggiungo: c’è molto di me, ma anche di quello che mi piacerebbe essere. La forza, il coraggio che talvolta mi mancano, ma possiedo il desiderio di ottenerle, farle mie.
Spesso mi dicono “E’ strano … è una storia tragica, eppure si esce dal libro con una passionalità e una leggerezza inaspettate”. Il tutto avviene perché la passione e l’intensità dei protagonisti li riscatta in pieno.
Empatia. Ecco il suo tallone d’Achille: provare ciò che provano gli altri. Provare troppo. Impossibile chiedergli di agire diversamente: significherebbe rinnegare la sua vera natura. E’ una piccola condanna dell’essere, anche se dà l’idea di convivere bene con i suoi “limiti”, sempre che così si possano definire …
Sei stato ospite di Rain Arcigay Caserta Onlus per presentare “Quel nome è amore”. Che impressioni hai avuto della serata e dell’associazione?
Mi sono trovato benissimo! Un gruppo di persone meravigliose. Mi è piaciuto tanto il senso di unione, amicizia, libertà e rispetto. C’è l’impegno, il confronto che non è sempre frequente, purtroppo. Ideali, sentimenti, passioni … tutto ciò è molto bello davvero. E’ stata un festa, tanto interesse nei confronti del libro. Auguro a Rain un lavoro costante di crescita, perché di queste associazioni ne abbiamo tanto bisogno. Spero rimanga invariato il senso di giocosità, perché questo spirito di amicizia è unico.
Qual è il film della tua vita e perché?
Ne ho diversi, ma quello che rivedo sempre con maggiore struggimento è “Il favoloso mondo di Amelie” perché c’è quella dimensione di candore, mista a diversità, che sento molto nel mio rapporto con Parigi. Il personaggio interpretato da Audrey Tautou mi assomiglia tanto: da un lato è una sognatrice, ha un’idea estetica della vita, ma è anche una diversa, per certi versi può sembrare strana, esce dagli schemi. Quel suo senso di poesia mi ha fatto innamorare di Parigi per la prima volta. Tra le altre cose … più di metà del libro è stato scritto nel bar in cui è girato “Amelie”. Un localino delizioso a Montmartre … dietro di me c’era la locandina del film, il nanetto in bagno e così via.
Se dovessero trarre un film da uno dei tuoi libri, quali attori vorresti?
Per il mio ultimo libro? Sicuramente vorrei Michael Fassbender nel cast, un attore pazzesco. E Meryl Streep! Un’attrice e una donna dal fascino infinito.
E adesso marzulliamo : fatti una domanda e datti una risposta
“Ma ti stancherai mai di Parigi?” La risposta, ovviamente, è NO! Spesso gli amici mi dicono che, con il passare del tempo, anche questa città diventerà come tutte le altre. Invece a me succede l’opposto: più passa il tempo, più sento la necessità di viverla e conoscerla ulteriormente.
Prima di salutarci, rivolgo a Luigi un’ulteriore domanda … “Una piccola curiosità: ma hai mai visto Midnight in Paris?” “Certo” risponde all’istante “Dodici volte! Lo amo da morire!”
Non avevo alcun dubbio …