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Ricordo

danilo mainardi
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Danilo Mainardi: in memoriam

scritto da L'Interessante

Danilo Mainardi.

Di Antonio Andolfi

All’età di 83 anni si è spento a Venezia l’etologo Danilo Mainardi. Era docente all’università veneziana di Ca Foscari, presidente onorario della Lipu (Lega italiana per la protezione degli uccelli).

La sua passione per gli animali, nata già in gioventù quando iniziò a disegnarli guidato dal padre pittore, si è sviluppata fra studi, divulgazione e molte attività sul campo vestendo i panni anche del pastore e del veterinario.

Danilo Mainardi. Una vita per gli animali

Milanese, laureato in Zoologia a Parma nel 1956 e poi docente all’Università veneziana di Ca’ Foscari, Mainardi fu tra i primi ad avvalersi di documenti filmati per studiare come gli animali sociali affrontano determinati problemi.  

Grande amico di Piero Angela, Mainardi è stato spesso ospite del programma “Super Quark” che gli ha permesso di divulgare il mondo degli animali al grande pubblico. «Danilo Mainardi era una persona straordinaria, uno scienziato apprezzato in tutto il mondo, uno dei primi a occuparsi di etologia. La sua morte è una grave perdita – ricorda Angela -. Eravamo molto amici. Era una persona molto riservata, non si esponeva, teneva un profilo basso. Ci trovavamo bene perché avevamo lo stesso carattere. Arrivava in trasmissione con i suoi filmati, parlavamo cinque minuti e poi partivamo. Era sempre `buona la prima´, era un bravo comunicatore. Alla scienza lascia tutti gli studi che ha fatto, alla divulgazione scientifica lascia quel tono calmo, tranquillo, senza andare sopra le righe, che arrivava subito alla gente».  

Fra le sue varie posizioni ha sostenuto la validità della pet therapy, sottolineando l’importanza e i benefici che gli animali possono dare all’uomo. Ma ha anche spesso criticato la tendenza, sempre più diffusa nella società moderna, a dare significati antropomorfi ai comportamenti animali, di fatto snaturandone le reali caratteristiche.  

Contrario alle corride e all’impiego degli animali nei circhi, ha definito un «problema difficilissimo» la questione della vivisezione per scopi scientifici sottolineando però che l’utilizzo degli animali potrebbe essere notevolmente ridotto. 

L’ultimo ricordo di Danilo Mainardi

“Il mio primo ricordo “affettuoso” di un animale risale probabilmente a quando avevo 6 anni e i miei genitori decisero di regalarmi un cane. Fu una giornata memorabile e provai una gioia immensa. Grazie a quel cucciolo compresi per la prima volta, con assoluta certezza, che era possibile instaurare un rapporto sociale intelligente con un essere non umano. Devo dire, però, che tutti gli animali mi hanno sempre attratto e che il mio interesse per loro ebbe inizio ancor prima di quel magico incontro.”

Danilo Mainardi: in memoriam was last modified: marzo 19th, 2017 by L'Interessante
19 marzo 2017 0 commenti
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Veronesi
CulturaIn primo piano

Il ricordo di Umberto Veronesi

scritto da L'Interessante

Veronesi

di Antonio Andolfi

ll più grande oncologo italiano, uno dei migliori del mondo, è morto a 90 anni. Era stato ministro della Sanità ed è stato uno dei principali fautori delle leggi contro il fumo.

Umberto Veronesi è morto a Milano martedì 8 novembre all’età di 90 anni. Era nato a Milano il 25 novembre 1925 (avrebbe compiuto 91 anni tra meno di un mese) ed era uno dei più noti oncologi del mondo.

Dopo aver diretto l’Istituto dei Tumori di Milano nel 1991, sempre a Milano, aveva fondato l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), un modello di ospedale oncologico innovativo che si basa su 3  principi: centralità del paziente, integrazione fra la ricerca di laboratorio e ricerca clinica, prevenzione. Ministro della Salute tra il 2000 e il 2001 nel governo Amato (allora si chiamava ancora Ministero della Sanità), si era battuto per far approvare le norme che limitano il fumo nei locali pubblici.

Veronesi e la scienza

Se la figura di Umberto Veronesi è molto nota e stimata in Italia è anche per il ruolo che ha avuto nella vita pubblica: come divulgatore infaticabile; come protagonista del dibattito etico sui temi della medicina, dell’eutanasia, della cura dei malati; come medico e imprenditore della sanità. Ma il suo ruolo scientifico è altrettanto importante e noto soprattutto al di fuori dei confini nazionali. Perché prima di tutto Umberto Veronesi era un chirurgo. Un grandissimo chirurgo. È a lui che dobbiamo la tecnica della quadrantectomia per estirpare il tumore alla mammella. Si tratta di un intervento che ha un impatto estetico (e pertanto anche psicologico) molto meno invasivo ma altrettanto efficace della mastectomia, ovvero l’asportazione chirurgica del seno.  

Nel 1981 pubblica i dati della sua ricerca sulla quadrantectomia sul New England Journal of Medicine, uno studio condotto dai medici e chirurghi italiani dell’Istituto dei Tumori di Milano. Il  New York Times riprende la notizia in prima pagina e la notorietà di Veronesi, fino ad allora relegata al pubblico degli addetti ai lavori, decolla. E decolla anche la sua tecnica, rivoluzionaria, che cambia per sempre la chirurgia del tumore alla mammella.

È questo il periodo in cui l’Italia, Milano, l’Istituto dei Tumori fa scuola a tutti i medici del mondo, statunitensi compresi. Merito di un oncologo, Gianni Bonadonna, di un grande chirurgo, Umberto Veronesi, e della sua idea rivoluzionaria: il cancro non si combatte da soli, ma in gruppo. E si vince con la ricerca.

 Nel  1993, all’IEO, la sua creatura nel quale anche a 90 anni si recava per 3 giorni alla settimana,  sviluppa la tecnica del “linfonodo sentinella”. Come funziona questa tecnica? Veronesi e gli altri ricercatori dello IEO si resero conto dell’importanza di intercettare tempestivamente i carcinomi piccoli perché in questi casi le cellule cancerose non facevano in tempo a raggiungere i linfonodi dell’ascella, per cui non era necessario asportarli. Mentre il paziente è ancora in sala operatoria, si inietta un liquido radioattivo che individua il linfonodo sentinella, quello più vicino al tumore, lo si analizza e se è sano si evita di togliere tutti gli altri, che sono una barriera protettiva naturale del nostro sistema immunitario.

 Nel 2000 Veronesi rivoluziona la radioterapia con la cosiddetta radioterapia intraoperatoria, resa possibile quando un gruppo di ingegneri e fisici romani riesce ad assemblare un macchinario per la radioterapia così piccolo e mobile da poterlo portare in sala operatoria. Grazie a questa tecnica le pazienti non devono tornare in ospedale ogni giorno per 6 settimane circa dopo l’operazione per le consuete (e fondamentali) sedute di radioterapia. Ma l’efficacia della tecnica, naturalmente, non è limitata soltanto al confort delle pazienti: la radioterapia intraoperatoria riduce il campo dell’irradiazione del seno e limita al minimo l’irradiazione nelle zone vicine che potrebbero essere danneggiate senza ricevere benefici.

Proprio per queste innovazioni ha ricevuto tredici lauree honoris causa, nazionali e internazionali.

Veronesi. L’importanza della sua figura

Difensore dei diritti degli animali, vegetariano e molto attento al ruolo dell’alimentazione nella prevenzione dei tumori e nella tutela della salute, sostenitore del testamento biologico, dell’eutanasia e dei diritti del malato, della fecondazione eterologa,  nel 2003 ha anche creato la fondazione Veronesi per sostenere la ricerca e la divulgazione scientifica.

Il suo ruolo nel dibattito etico ha travalicato il campo della medicina e della salute: si è battuto contro la pena di morte, l’ergastolo e per la riforma del sistema carcerario. Per questo motivo ha creato e sostenuto l’iniziativa Science for Peace.

Fervente antiproibizionista, ha promosso la depenalizzazione dell’uso delle droghe leggere e più volte sostiene l’importanza di una regolamentazione dei derivati della cannabis, soprattutto per i suoi usi terapeutici in materia di terapia del dolore.

Nel campo della sanità ha sostenuto la centralità della ricerca. Per questo ha promosso la creazione degli Irrcs, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, e ha cercato di convincere la politica (prima da ministro della salute, poi da senatore) che la ricerca pubblica è una priorità: senza sono le aziende a fare il bello e il cattivo tempo.

Umberto Veronesi faceva parte di una generazione di medici che hanno fatto la storia della medicina in Italia e che sono cresciuti all’interno dell’Istituto Tumori di Milano, il primo luogo di cura che ha approcciato la malattia oncologica con l’occhio della modernità.

Tutti i malati oncologici, e AIRC in particolare, devono molto alla sua lungimiranza di medico e scienziato e alla sua instancabile tenacia nel perseguire l’obiettivo di terapie più umane, efficaci e accessibili a tutti.

A Veronesi si deve la nascita della Giornata per la Ricerca sul Cancro nel 1998, una delle attività più qualificanti di AIRC, che ancora oggi ogni anno informa la cittadinanza sui risultati raggiunti per la cura del cancro e sull’importanza di sostenere il lavoro dei ricercatori.

 

 

Il ricordo di Umberto Veronesi was last modified: novembre 17th, 2016 by L'Interessante
17 novembre 2016 0 commenti
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Anna Politkovskaja
Cultura

Anna Politkovskaja: ricordo di una donna sola

scritto da L'Interessante

Anna Politkovkaja

Di Erica Caimi

Mosca, 7 ottobre 2006. Anna Politkovkaja rientra nella sua abitazione dopo aver fatto la spesa al supermercato. Parcheggia la macchina davanti al portone d’ingresso del palazzo in cui abita  e inizia a scaricare il bagagliaio, prende le prime buste ed entra nell’ascensore, senza accorgersi di essere seguita. Sale al settimo piano, entra nel suo appartamento, lascia la spesa e scende nuovamente per ritirare le ultime borse. Non appena le porte dell’ascensore si aprono, a piano terra,  un uomo le punta addosso una pistola e le scarica addosso quattro colpi di pistola in rapida successione, poi le si avvicina e la finisce con un colpo alla nuca.  Omicidio su commissione, probabilmente. Sì, perché le circostanze che hanno portato alla sua morte, ancor oggi non sono state totalmente chiarite. Nessuna idea sull’identità del mandante.

Una prima sentenza emessa nel 2009 ha assolto per insufficienza di prove gli unici imputati del delitto, appurando, però, la matrice cecena. Nel 2014 il tribunale di Mosca ha ribaltato il verdetto condannando all’ergastolo Rustam Makhmudov, ritenuto il killer materiale, e suo zio Lom-Ali Gaitukayev, l’ideatore. Ibragim e Dzhabrail Makhmudov sono stati condannati rispettivamente a dodici e quattordici anni di carcere, mentre l’ex-dirigente della polizia di Mosca, Sergej Khadzhikurbanov, che ha partecipato alla preparazione dell’omicidio, ha ricevuto una pena pari a vent’anni.

Chi era Anna Politkovskaja?

Anna Politkovskaja è nata a New York nel 1958, figlia di due diplomatici ucraini che lavoravano alle Nazioni Unite. Nel 1980 si laurea in giornalismo a Mosca, dove conosce e sposa Aleksandr Politkovskij. Dopo qualche anno comincia a lavorare a uno dei più grandi quotidiani dell’Unione Sovietica, l’Izvestija, che lascerà per passare alla piccola stampa indipendente, approdando dapprima alla Obshaja Gazeta, poi nel 1999 al bisettimanale d’inchiesta Novaja Gazeta. Fin dalla sua fondazione, la Novaja Gazeta è un progetto editoriale di stampo indipendente ed estremamente critico nei confronti della classe politica post-sovietica pubblicando diverse inchieste che coinvolgevano esponenti del governo e dell’economia russa. Oggi ha una tiratura cartacea di 80.000 copie, esce tre volte alla settimana e ha un bollettino di 5 giornalisti uccisi per inchieste e opinioni scomode.

Anna ha saputo raccontare con intelligenza alcuni tra momenti più difficili della storia contemporanea russa: la seconda guerra cecena, le ingiustizie ai danni della popolazione civile cecena per mano dell’esercito russo e della polizia segreta locale, la corruzione tra le alte schiere politiche e militari, gli attentati al teatro Dubrovka, l’incubo alla scuola numero 1 di Beslan, in Ossezia del Nord, l’ascesa degli oligarchi collusi con la mafia e il nonnismo nell’esercito, per citarne alcuni. Sicuramente, non nutriva molta simpatia per Vladimir Putin, ma  nemmeno per Kadyrov, l’attuale presidente ceceno. Molti dei suoi libri, pubblicati tutti all’estero, come ad esempio “La Russia di Putin” , non vogliono essere saggi politici, bensì una raccolta di esperienze di vita di persone comuni che sono inciampate nella storia, testimonianze reali che macchiano indirettamente la politica attuale e che per questo sono rimaste escluse dalla stampa ufficiale, filtrata dal potere. La sua critica a Putin si fa più ampia e sottile, perché il politico, a dispetto di quanto si dica in Italia o nella stampa occidentale, gode di ampio consenso a casa propria. La sua popolarità è frutto di un’attività politica che mira a risvegliare l’orgoglio nazionale russo, rimasto latente negli anni post-Perestrojka e che si riflette nella forma mentis di Putin. Per la giornalista, criticarlo significa prima di tutto criticare la coscienza collettiva del russo di oggi, di cui Putin si fa semplicemente portavoce ufficiale.

Se si crede che Anna Politkovkaja sia famosa tanto in occidente quanto in Russia si sbaglia di grosso, perché in patria è sconosciuta ai più e le ragioni si possono facilmente intuire. Le tematiche da lei affrontate nei suoi libri o nei suoi articoli le hanno tolto il privilegio della notorietà e resa una “reietta”  nel mondo giornalistico. In Russia, l’esclusione dalla ribalta è la nuova forma di limitazione alla libertà di pensiero e di opinione, secondo cui chi osteggia l’opinione di maggioranza, difficilmente riuscirà a trovare uno spazio per esprimersi, poiché tutte le reti “ufficiali” gli saranno precluse.

Eredità

La preziosa eredità di Anna è racchiusa in questo frammento, tratto da una delle sue ultime lettere “Impedire a una persona che fa il suo lavoro con la passione di raccontare il mondo che la circonda è un’impresa impossibile. La mia vita è difficile, certo, ma è soprattutto umiliante. A 47 anni non ho più l’età per scontrarmi con l’ostilità e avere il marchio di reietta stampato sulla fronte . Non parlerò delle altre gioie del mio lavoro, l’avvelenamento, gli arresti, le minacce di morte telefoniche e on-line. Naturalmente gli articoli che mi presentano come la pazza di Mosca non mi fanno piacere. Vivere così è orribile. Vorrei un po’ più di comprensione. Ma la cosa più importante è continuare a fare il mio lavoro, raccontare quello che vedo”.  

La morte, per quanto tragica, sa trasformare la persone in simbolo e il suo fare giornalismo ci ha lasciato un messaggio prezioso, un memorandum che dovrebbe accompagnare ogni aspirante. Anna viveva la sua professione come vocazione sbocciata da un terreno di solida libertà intellettuale non prostituita da influenze politiche o condizionamenti di alcun genere e i risultati della sua attività sono riscontrabili nell’onestà imparziale con la quale elaborava e raccontava le vicende di cui si occupava. Una posizione libera e proprio perché non assoggettabile faceva paura. Se a ciò si aggiunge il coraggio di una donna che non ha mai avuto timore di schierarsi in prima linea, firmare i propri articoli di denuncia con nome e cognome, offrirsi come moderatrice durante gli attentati e testimoniare in prima persona ai processi contro militari di alto rango e criminali di guerra, si capiscono ancor meglio i tratti della sulla sua personalità. Il suo era un giornalismo non carrierista dal cuore umano, quello che sa ascoltare le storie dei cittadini comuni, talvolta esclusi dalla stampa ufficiale per trasformarle in denunce sociali, senza sensazionalismi o speculazioni personali, testimonianze scomode di un momento storico che completano il quadro inserendo tutti i protagonisti. Un giornalismo che ascolta e racconta, perché la discussione e la denuncia sono il primo passo verso il miglioramento.

Anna Politkovskaja: ricordo di una donna sola was last modified: ottobre 7th, 2016 by L'Interessante
7 ottobre 2016 0 commenti
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