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Teatro

Cavalli
CinemaCulturaIn primo pianoMusicaTeatroTv

Marco Cavalli: io, un attore per passione.

scritto da L'Interessante

Cavalli

Di Christian Coduto

Giovedì 1 giugno, ore 18.30. Parco della Villa Floridiana, Vomero.

A quest’ora, il sole illumina ancora le strade.

L’estate, contrariamente a ciò che ci dice il calendario, c’è già venuta a trovare. Dopo aver fatto un po’ di giri per trovare un parcheggio, arrivo al posto scelto per l’intervista tutto trafelato e leggermente in disordine. Ritrovo Marco Cavalli seduto serenamente su una panchina, intento a fumare un sigaro.

Ha scelto un abbigliamento casual, ma con gusto: un pantalone che gli calza a pennello e una maglietta a maniche corte. Ma è la postura a fare la differenza … la prima parola che mi viene in mente è eleganza.

Appena mi intravede, sorride e si avvicina. Bella stretta di mano, vigorosa, di una persona sicura di sé. Mi chiede scusa se ha dovuto rinviare l’incontro per alcuni impegni lavorativi. Tono pacato, riflessivo, educato. Usa parole adeguate, è molto misurato, ma allo stesso tempo socievole e aperto al confronto.

L’intera intervista proseguirà allo stesso modo: in maniera totalmente rilassata e rilassante.

Mentre i bimbi giocano a pallone intorno a noi, richiamati dalle mamme affinché non facciano eccessivo rumore, iniziamo con le domande …

Marco Cavalli parla di sé a “L’interessante”

Chi è Marco Cavalli?

Allora … sono nato a Napoli il 25 aprile del 1975. Vivo con la mia compagna Ione e il nostro gatto Gabriele, detto anche Gabriellone, perché è decisamente grosso (ride). Lavoro alla CGIL e faccio l’attore, entrambe le cose per passione. Sono laureato in Scienze politiche. Ho preferito il percorso sindacale a quello politico/giornalistico che sognavo da ragazzino e posso dire di essere contento di aver fatto questo tipo di scelta. Ho svolto mille lavori: dal volantinaggio alla distribuzione degli album fuori dalle scuole, per due anni ho fatto ripetizioni ad alcuni ragazzini delle scuole medie ed elementari, per 6 anni sono stato lo stacca biglietti del San Paolo, per un anno e mezzo ho fatto il letturista dei contatori dell’acqua. Ho sempre voluto essere indipendente dalla mia famiglia, ho sempre dato il giusto peso al valore del lavoro. Nel tempo sono diventato redattore di un’agenzia di stampa; era un part-time, ma era molto impegnativo. Il mio primo contratto a tempo indeterminato. Nel frattempo, continuavo a svolgere la mia attività di volontariato presso la CGIL, che si è poi trasformato in un lavoro a tutti gli effetti.

Perché Marco Cavalli ha scelto la recitazione? Cosa rappresenta per te salire sul palco?

Il senso più profondo lo avevo già dall’infanzia. Da piccolino amavo il carnevale, i travestimenti. Ero inusuale persino nella scelta dei personaggi da interpretare: divieto assoluto al cowboy, l’indiano … erano benvenuti invece il vecchio carcerato, lo zombie trafitto e così via. Questo divertimento che provavo da bambino, credendo in maniera totalitaria nei personaggi che interpretavo nelle varie feste, me lo ritrovo pari pari nel gioco dell’attore.

Uscire da me stesso, indossare i panni di un altro e portarlo alle estreme conseguenze mi ha sempre divertito in una maniera pazzesca. Ecco perché ho scelto la recitazione.

Marco Cavalli lavora molto a teatro, spesso diretto da Nicola Guarino. Fare gavetta in sala cosa ti ha insegnato? Essere diretti da un regista che è anche attore facilita il processo di costruzione del personaggio che devi interpretare?

Nicola è un mio caro amico. Mi trascinò un po’ per caso in questo mondo magico. Venne a conoscenza della mia passione e mi spinse a provarci. Insieme abbiamo fatto diversi laboratori teatrali e tanti spettacoli, alcuni persino provocatori e naif. Con lui, ma anche con registi quali Ciro Pellegrino e Franco Zaccaro, ci siamo lanciati nel teatro off, decisamente d’avanguardia, anche se quest’ultimo termine è un po’ spocchioso e non mi piace utilizzarlo. Ritornando alla tua domanda: un regista che è anche attore talvolta può trovarsi in difficoltà nel momento in cui deve mettere in scena alcune cose, però quando si confronta con gli altri attori coinvolti il tutto è di gran lunga più costruttivo e stimolante.

Con un regista “puro”, invece, hai libertà di azione, puoi spaziare nella creazione del tuo personaggio.

Il teatro è una bella palestra: è estremamente fisico, ti insegna ad affrontare nel modo migliore possibile una fatica che, a mio giudizio, nel cinema non c’è. Non me ne voglia nessuno, ma è così! Il cinema è faticoso per chi lo organizza, per gli scenografi, i tecnici, il regista, ma non per l’attore. Il grande Marcello Mastroianni, non a caso, diceva “Beh, sempre meglio che andare a lavorare” (ride di gusto).

Hai svolto, in più occasioni, il lavoro di reading. Un compito molto impegnativo. Potresti spiegare, ai profani, quali differenze ci sono tra la recitazione pura e la lettura?

Un’esperienza bellissima! Per quanto mi riguarda, facevo dei reading in presenza di musicisti: sassofono, chitarra, tromba, contrabbasso … La selezione dei testi da leggere era invece curata da una carissima amica, che è anche una scrittrice.

È necessario in primis, che il testo rimanga fedele all’originale. Ma c’è contemporaneamente la necessità da parte di chi legge di interpretare le parole e fare qualche piccolo emendamento, tagliare qualche parola poco fluida e così via … quindi la grande differenza sta nel fatto che il lettore deve rendere ascoltabile la parola scritta. Il reader legge il testo, gli dona colore, sottolinea degli stati d’animo trasmessi dalla pagina, ma non deve snaturare ciò che gli viene affidato. In più, per trasmettere emozioni, hai solo la parola. Da un punto di vista recitativo, è qualcosa di assolutamente appagante.

Aggiungo anche che determinati testi danno un’emozione veramente forte ed è molto bello quando riesci a far arrivare all’intero uditorio le emozioni che stai provando tu.

Sei il protagonista di svariati cortometraggi. Ci racconti della genesi di “Come fossi una bambola?” E’ un progetto che ha anticipato i temi di “Lars e una ragazza tutta sua” …

Un’idea bellissima di Andrea Borgia, un altro regista al quale sono legato da una forte amicizia … lui aveva questa idea relativa alla solitudine e lo straniamento. Sì, è una storia molto semplice, però è riuscito a rendere magica la vicenda di quest’uomo che passa una serata, a cena, con una bambola gonfiabile ed è felice ed emozionato come se fosse una storia d’amore. La particolarità è che, attorno al protagonista, c’è un mondo assolutamente silenzioso, asettico, minimale. Sì, per noi è stata una sorpresa quando leggemmo di “Lars …” a tal proposito: lo sai che, sempre dopo “Come fossi una bambola”, uscì anche in Giappone una storia analoga? Coincidenze fortuite? (Ride).

Con “Peristalsi” del 2013 inizia la tua collaborazione con il regista Enrico Iannaccone. A questo, seguiranno poi “La ciofeca” e “Aniconismo”. Generi molto diversi, progetti ambiziosi. E’ importante, in termini di riuscita di un progetto, l’empatia tra il regista e gli attori coinvolti?

L’empatia è fondamentale perché, nello scambio profondo che intercorre tra il regista e l’attore, dà vita a qualcosa di proficuo. Poi, ovviamente, c’è anche chi preferisce avere rapporti solo ed esclusivamente lavorativi, preservando sempre la propria professionalità. Tra me ed Enrico, invece, c’è un legame che va oltre l’ambito artistico, visto che c’è un’amicizia profonda da diversi anni. Si condividono stati d’animo, emozioni vissute che giovano alla messa in scena.

Reciti tanto a Napoli. Quanto è artistica la tua città?

Guarda … di sicuro mi sento libero di dire che Napoli è una città ricchissima di veri talenti, sia nell’ambito registico sia nel settore attoriale. Purtroppo poco coordinata e senza budget a disposizione. Spero, un giorno, di fare esperienze artistiche altrove, per poterti dare una risposta più precisa al riguardo. E’ un osservatorio troppo piccolo.

Parliamo di televisione e della tua esperienza ad “Amore criminale” …

Ho lavorato con Matilde D’Errico, che io reputo un’autrice e una regista di grandissimo talento. E’ riuscita a fondere, in una maniera estremamente efficace, il testo giudiziario con il testo televisivo. “Amore criminale” è un format che racconta episodi di cronaca molto duri. Nel caso specifico, la puntata affrontò la storia di Teresa Bonocore, una cittadina di Portici, madre di una ragazzina che era stata violentata da un vicino di casa. La donna lo aveva denunciato e fatto arrestare. L’uomo però, dal carcere, ordì la spedizione di morte contro di lei. Tutti i colpevoli sono stati arrestati.

Io ho interpretato il ruolo del commissario. In quell’occasione sono rimasto sorpreso dalla capacità di sintesi della D’Errico. Un’esperienza molto piacevole, veloce, molto ben organizzata. La rifarei molto volentieri.

Il tuo curriculum è molto vario e variegato. Tra le tue esperienze, anche qualche videoclip musicale. Tra questi, “How to cure hangover in april” è quello sicuramente più interessante …

E’ effettivamente un lavoro del quale conservo un piacevole ricordo! Tanta energia e un apparato tecnico non indifferente. La storia è quella di quest’uomo che decide di comprare Ben, un robot, affinché lo aiuti nella fase di hangover in cui si ritrova … l’uomo beve, si droga, partecipa a festini. Il problema è che Ben inizia a sostituirsi al protagonista in ogni cosa della sua vita, fino ad arrivare a prendere il suo posto con la fidanzata (ridacchia). Un’esperienza divertentissima.

Nel 2014, diretto da Enrico Iannaccone, ecco il film “La buona uscita” accanto a Gea Martire. Interpreti il ruolo di Marco Macaluso. Il tema trattato è di quelli forti …

Un regista esordiente ed io, per la prima volta, protagonista di un film. Che dire? Un’esperienza magnifica. Avevo già fatto tanto teatro, ero apparso in tv, vari videoclip e diversi corti … eppure, quando mi sono rivisto sullo schermo, dopo una conferenza stampa nazionale, mi sono chiesto quando avessi preso la strada giusta che mi stava portando a tutto ciò. Ed ho pensato alla “Nausea” di Sartre: il protagonista è in un bar e sta ascoltando questa cantante di colore che sta eseguendo un blues. Ad un certo punto dice “Sono stato nel deserto, mi sono battuto con diversi uomini, ho amato donne e tutto questo mi ha portato in questo momento, in questo bar, in questa bolla di luce, avvolto dalle note”. Questa è stata la sensazione che ho provato … non ho ancora trovato una risposta: forse è stata fortuna, perseveranza, l’allegria e il divertimento che metto nel lavoro o il fatto che non abbia scelto la recitazione come mestiere principale, chissà.

O forse, semplicemente, perché Marco Cavalli è davvero un bravo attore? È così difficile ammetterlo? Umile, per nulla propenso all’autocelebrazione. Non è un atteggiamento forzato o costruito, il suo … Marco è autenticamente sorpreso dalla stima che riceve da chi lo ha visto recitare o da coloro i quali lo hanno scelto per i vari lavori. Non riesce quasi a farsene una ragione. Questo è probabilmente il vero motivo del suo successo: non si prende troppo sul serio. Recitare è una passione? Ecco, la vive come tale. Quindi, la vive bene.

Parliamo di Marco Macaluso … nelle note al personaggio che inviammo prima delle presentazione stampa venne definito come “Un uomo che, se fosse stato saggio, sarebbe stato un epicureo”. Invece lui è uno che consuma la propria vita e quella degli altri, solo ed esclusivamente per il proprio ego. Dopo la visione, molti mi hanno chiesto se Marco, così spregevole, fosse tipico di un particolare ambiente napoletano. Io dico, semplicemente, che è un personaggio trasversale … è il classico uomo dei nostri tempi, con i soldi, perché proviene da una famiglia molto ricca. Quello che tutti vorremmo essere: il forte che schiaccia gli altri, che ha il potere datogli dal denaro.

Se non lo guardiamo da un punto di vista morale, quest’uomo tocca il tema che Enrico voleva trattare nel film: i limiti della libertà.

Ci parli de “Il labirinto dell’anima” di Claudio Gargano, che uscirà prossimamente nelle sale?

E’ un lavoro dalla genesi inusuale: inizialmente doveva essere un medio metraggio poi, nel tempo, ha assunto la forma di un lungometraggio vero e proprio sulla Napoli esoterica. E’ tratto dagli scritti di Laura Miriello, una storica che è esperta anche in esoterismo. Il film rappresenta una Napoli molto noir. Il protagonista si imbatte in una serie di segni per lui sconosciuti, inediti che gli permetteranno di affrontare un viaggio che lo metterà a confronto con la città in cui vive, che è ricca di elementi occulti. E’ molto interessante da vedere, è una chiave di lettura di Napoli davvero poco sfruttata in ambito cinematografico.

Lo ammetto: non è che fossi a conoscenza della materia. Il che, in effetti, è stato un bene perché mi ha fatto affrontare questo progetto come se fossi un foglio bianco sul quale Claudio e Laura hanno lavorato.

A proposito di cinema: qual è il film della vita di Marco Cavalli e perché?

“Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri, con Gian Maria Volontè del 1970. Il film più bello che abbia mai visto. L’ho pensato dopo la prima volta che lo vidi e continuo tuttora a pensare che lo sia. Volontè, a mio giudizio, è la maschera dell’attore, quello che vorrei essere. Il film fa il paio con “Arancia meccanica” di Kubrick: entrambe le pellicole affrontano il tema del potere dello Stato in una maniera sublime.

Tra le altre cose, io amo il cinema italiano, credo di avere una bella cultura al riguardo. “indagine …” è l’apice da questo punto di vista. In aggiunta, costituisce una sorta di summa filosofica, grazie ad una sceneggiatura pazzesca.

Fonti sicure mi dicono che il sig. Cavalli è un bravissimo ballerino di tango. Cosa ti affascina di più di questo tipo di danza?

(Sorride) … Chissà chi te lo ha detto, eh? (Io e Marco abbiamo un’amica in comune, che balla insieme a lui N.d.R.) Per me è una droga. Ho trovato, nel tango, quello che non ho più dal palcoscenico ovverosia: quel rapporto fisico con la presenza scenica, quel rapporto immediato tra il corpo, l’azione, la passione che ti muove dall’interno e, il tutto, indipendentemente dal fatto che ci sia del pubblico o meno! E’ un moto molto intimo tra due persone. Sono 7 anni che ballo. Ora come ora, sarebbe una delle cose più difficili a cui potrei rinunciare.

Da piccolo, mi ricordo di uno sceneggiato televisivo con Gastone Moschin, la cui sigla era “Libertango” di Astor Piazzolla. Avevo 5 anni … quel ritmo, quella melodia così struggente, mi catturarono.

Con la maturità, ho deciso di lanciarmi in questa forma di danza.

Ah, a tal proposito: amo anche la fotografia! Purtroppo sto dedicando poco tempo a questa passione negli ultimi tempi. Ho vinto anche un premio della critica al Napoli Film Festival!

L’amore per il tango spiega la postura. Questo elemento aggiuntivo, questa passione così raffinata rende Marco Cavalli un uomo d’altri tempi. Eppure, sempre al passo con i tempi. Un dualismo divertente.

Cosa dobbiamo attenderci da Marco Cavalli per questo 2017?

Speriamo tantissime cose! Come dico sempre “Io sto qui. Quando qualcuno mi propone qualcosa, io la valuto” (ride di gusto). Con Enrico Iannaccone abbiamo  appena girato un altro videoclip, molto gustoso. Attendo l’uscita del film di Gargano e c’è una web serie con Nicola Guarino, che ho ritrovato dopo un bel po’ di tempo. Stiamo per ultimarla, la durata di ogni episodio è di 6 minuti circa.

Concludiamo l’intervista con una marzullata : fatti una domanda e datti una risposta

In tutta risposta, Marco Cavalli inizia a recitare: “Mi sono svegliato stamattina con una grande voglia di restare a letto tutto il giorno, a leggere. Ho cercato di combatterla per un minuto, poi ho guardato fuori dalla finestra la pioggia e mi sono arreso, mi sono affidato totalmente alla custodia di questa mattinata piovosa. Rivivrei la mia vita un’altra volta? Rifarei gli stessi imperdonabili errori?”  “Sì, se potessi, sì. Li rifarei.” E’ un passo di Raymond Carver, contenuto nei “Racconti in forma di poesia”. Lo lessi tempo fa per un reading e credo sia adattissimo anche in questa occasione.

So che non potete ascoltare la sua voce, ma fidatevi di me: il risultato è da brividi!

Marco Cavalli: io, un attore per passione. was last modified: giugno 6th, 2017 by L'Interessante
6 giugno 2017 0 commenti
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Aurelio de Matteis
CinemaCulturaIn primo piano

Aurelio De Matteis: un attore alla ricerca dell’amore

scritto da L'Interessante

Aurelio.

Di Christian Coduto

Avevo già incontrato Aurelio De Matteis alcuni anni prima, in occasione di uno spettacolo teatrale: preciso, attento, rigoroso, era riuscito a dare forma ad un personaggio difficile, con una naturalezza e una spontaneità che mi avevano lasciato basito. Ho modo di rivederlo, oggi pomeriggio, per parlare del suo ultimo progetto, lo spettacolo “Acqua Santa” (da lui diretto insieme a Costantino Punzo) e delle sue tante esperienze artistiche. Al telefono mi ha chiesto di incontrarci a Piedigrotta, nel Parco Vergiliano. In attesa del suo arrivo, lancio più di un’occhiata alla tomba di Giacomo Leopardi. Ogni volta che metto piede, qui, l’effetto è sempre lo stesso: il tempo e lo spazio diventano un tutt’uno, è facile perdersi in questo vortice informe. La mente vaga liberamente. Ogni elemento stuzzica il ricordo, ogni immagine crea un’epifania. Sono talmente impegnato ad osservare i particolari dell’entrata del Colombario di Virgilio che non mi accorgo di averlo alle spalle. Mi giro e rimango sorpreso: mi ricordavo di un viso e di un corpo più tondeggianti, ma questi hanno lasciato spazio ad una silhouette longilinea. Gli dico che lo trovo in splendida forma. Mi ringrazia timidamente. Ha un abbigliamento vagamente retrò, decisamente dandy. Ha un portamento nobile, che fa pendant con il suo cognome. E’ come se mi trovassi di fronte ad un’altra persona; eppure, c’è un qualcosa che non è cambiato: quello sguardo così attento e profondo. Quegli occhi che rivelano uno stato di malinconia perenne. O, alternativamente, di ricerca continua. Nelle parole, nei gesti, nei respiri. Propri e delle persone che lo circondano.

Ci accomodiamo su una panchina del Parco. E’ una giornata caldissima. Gli odori e i colori della Natura sembrano entrare a far parte della nostra chiacchierata.

Nel corso dell’intervista mi osserva con attenzione. Mantiene sempre lo sguardo. È misurato, contenuto, pacato nei toni. Parla tantissimo. “Sono logorroico, me ne rendo conto!” si scusa, con un’ingenuità quasi adolescenziale. Eppure affronta temi importanti, assaporando le parole, dando loro la corretta intonazione e l’adeguato significato.

Aurelio De Matteis si racconta

Chi è Aurelio De Matteis?

Allora, questa domanda già mi mette seriamente in crisi, lo sai? In realtà, io ancora non lo so! Forse, non lo saprò mai! (Ride) La propria esistenza è un costante mistero, un enigma. Devi sapere che io non amo molto le definizioni. Le lascio agli altri e mi diverte ascoltare ciò che gli altri pensano di me. Ecco perché, forse, preferisco la domanda “Chi potrebbe essere Aurelio De Matteis?”. Una cosa che cerco di scoprire giorno per giorno. La mia idea è che non siamo esseri definibili. Se proprio vogliamo sforzarci a fare un ”calcolo” , io non andrei per somme o aggiunte, bensì per sottrazione: credo che la vita ci tolga qualcosa. La convinzione che i genitori ci proteggeranno in eterno, per esempio. Ci toglie la lucidità mentale. Ciò che ci caratterizza, in effetti, è che noi rimaniamo un’energia in cerca di uno scopo. E questo scopo per me rimane l’amore. Senza amore non resta nulla. Forse, ripeto, forse solo alla fine del nostro percorso riusciamo a capire ciò che siamo stati. È un discorso anomalo, piuttosto filosofico, me ne rendo conto, ma sono fatto così.

Aurelio e la recitazione. Una lunga storia d’amore. Quando è nata?

Il teatro è stato sempre presente nella mia vita. Io provengo da una famiglia di artisti. Sono imparentato con la famiglia Maggio e Luisa Conte; è la prima volta che lo dico. Ho iniziato tanti anni fa, credo fosse il 1994, con Pino De Maio. Sai come succede, si inizia a “giocare”. Poi, anno dopo anno, quello che era un innamoramento, un’infatuazione, si è trasformato in una vera e propria scelta. La decisione di convivere. Una scelta definitiva (e di cui non potrei mai pentirmi) che ho preso nel 2009, quando ho abbandonato il mio vecchio lavoro; guadagnavo bene, ma non ero felice, non era quella la mia strada. Quella scelta mi ha tolto tutto da un punto di vista economico, ma i sacrifici mi hanno permesso di eliminare il superfluo, tutto quello di cui non avevo effettivamente bisogno. Ho fatto entrare nella mia vita i colori delle emozioni e il favoloso inganno delle parole. Sì perché la parola è un’arma, da usare con cautela. Basta sbagliare un’intonazione e quella parola viene fraintesa. Però, allo stesso tempo, rappresenta un mondo estremamente affascinante di cui non possiamo fare a meno. Io amo parlare, si era capito, vero? (Scoppiamo a ridere) Ho avuto la fortuna di incontrare, lungo il mio cammino, dei maestri incredibili che mi hanno formato, tra le pieghe delle quinte e i drappeggi del sipario. Ho osservato tanto, ho fatto esperienza e tanta gavetta. Agostino Chiummariello, Fortunato Calvino, Vincenzo Borrelli, Tonino Taiuti, Paolo Spezzaferri, Costantino Punzo mi hanno insegnato tanto, con i loro diversi modi di vivere l’arte. Ma ho avuto la fortuna di lavorare anche con giovani talenti, come Maurizio Capuano, Vittorio Passaro, Giuseppe Fiscariello e Franco Nappi. Con quest’ultimo abbiamo realizzato recentemente “Il ritratto di Dorian Gray”, con Roberta Astuti. Volevo aggiungere questo: per me essere attore è un modo di essere e non di apparire. Io non amo molto apparire. Non vado alla ricerca smodata dell’ovazione, dell’applauso. Io trovo l’espressione di me stesso nel momento in cui vivo quella cosa. Ciò mi permette di scoprire tante cose di me. Adesso, forse, deluderò o sorprenderò qualcuno, ma io non ho la passione per il teatro, bensì per la vita. Se non avessi la passione per la vita, non potrei esprimermi attraverso il teatro, perché nella recitazione io vivo fino a consumare ogni singolo istante della mia esistenza, che poi svanisce in quel momento. L’attore è consapevole di questa sua dolce condanna: quello che vive, nasce e muore in quell’istante. In effetti mi ritengo un eroe tragico (ride di gusto).

Le tue esperienze artistiche spaziano da Pirandello fino ad arrivare a Plauto, passando per Scarpetta. Tanti mondi diversi, che richiedono una differente immedesimazione. Ti piace recitare nel tuo dialetto? Ci sono artisti che sembrano rinnegare le proprie origini, incomprensibilmente.

Allora, quelli che rinnegano le proprie origini mi fanno piuttosto sorridere, sono sincero. Disconoscere il proprio tessuto culturale, a mio parere, ti impedisce di trasmettere qualcosa di te. Non si può non tenerne conto, ti pare? Forse sarebbe opportuno cercare di capire cosa spinga una persona a rinnegare le proprie origini, le proprie tradizioni. Forse per fare la figaiola nei salotti culturali. Io amo il mio dialetto: il napoletano ha una musicalità meravigliosa. E’ una lingua vera e propria, il cui fascino risiede nel fatto che si è arricchita nel corso del tempo, si è evoluta. La tradizione deve essere presente, senza però esserne schiavi. Bisogna rivalutarla, viverla, reinterpretarla.

Le mie esperienze variano tanto, è vero, però l’approccio è sempre lo stesso, nonostante  gli obbiettivi siano differenti. Alla base, c’è sempre tanta formazione e tanto studio.

Nel 2013 sei il protagonista assoluto di uno spettacolo molto intenso e delicato “Silvia ed i suoi colori”, ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto. Ti va di parlarcene?

Ti dico una cosa che non ho mai detto: io vengo da Scampia. Ho vissuto lì per venti anni. La morte di Silvia Ruotolo me la ricordo molto bene. Vivere a Scampia non è semplice, te lo garantisco. Lì vivevamo una doppia condanna: l’impossibilità di fare davvero qualcosa e l’abbandono delle istituzioni. Adesso le cose sono migliorate tantissimo, per fortuna. Nel mio rione non si spaccia più. I bimbi con i quali giocavo non ci sono più, lo dico con dolore. Io mi sono salvato per caso, perché ho avuto una famiglia solida alle spalle, mi ha salvato la cultura. Tanti anni fa, una sera, chiesi a mio papà di raccontarmi una fiaba. Lui, per tutta risposta, prese un’enciclopedia e mi lesse alcuni miti e leggende dell’antica Grecia. In particolar modo, mi parlò di Prometeo, un’immagine che mi ritorna spesso in mente quando vado a Scampia e, in generale, nella vita. Avere il coraggio di andare oltre e di sopportare con dignità la pena, senza risparmiarsi mai. Tornando allo spettacolo, diretto da Agostino Chiummariello e scritto da Roberto Russo, posso dire con orgoglio che ha ricevuto delle recensioni splendide. E’ stato definito uno dei testi più belli sul tema della camorra. Siamo abituati ad altri brand, ora. In questo spettacolo il termine camorra non esce mai. E’ un inno poetico alla vita e all’amore. Ci soffermiamo solo sulla bruttezza delle cose, troppo spesso. Silvia continua a vivere attraverso gli occhi dei suoi figli, che ho avuto l’onore di conoscere. Vive attraverso il ricordo dei suoi amici, di suo marito. E’ uno spettacolo molto intenso da vivere. Tanti si sono commossi. Spero che lasci un insegnamento: quello di non abbattersi mai. Lo abbiamo rappresentato a Padova, dove ho avuto modo di parlare con alcuni ragazzi di un’associazione dedicata proprio a Silvia Ruotolo.

La camorra si evolve, si trasforma, assume forme sempre diverse. Bisogna rimanere sempre in guardia.

Qual è l’esperienza teatrale alla quale sei più legato?

(Ci pensa un po’). Allora, non mi lego alle opere di cui sono protagonista. Le affronto tutte allo stesso modo, anche quelle il cui testo non mi appartiene. Pur tuttavia, ci sono due esperienze alle quali sono legato, ma per fattori extra teatrali. In primis, mi ricordo quando Costantino Punzo mi scelse per la versione teatrale de “Il Postino” nel ruolo che fu di Massimo Troisi. Lui è stato il fondatore del “Centro Teatro Spazio” proprio insieme a Troisi. Una grandissima emozione. Lo spettacolo venne rappresentato anche in occasione del ventennale della morte di questo grande artista, proprio nel “suo” teatro, a San Giorgio a Cremano. Con Costantino, da allora, è nata un’amicizia indissolubile e una grande collaborazione artistica.

Poi sicuramente “Filosofia in vestaglia“, un progetto che fra poco compirà un anno. Ma su questo sono più riservato e non ti dirò il perché (ride).

Certo, la bellezza di questo lavoro è proprio quella di poter conoscere le persone, di analizzare i particolari. Nella vita, questo, non accade sempre purtroppo. La gente non ne ha la voglia o il tempo.

Il tuo ultimo progetto è “Acqua Santa” in cui si parla di omosessualità al femminile. E di omofobia. La storia è ambientata nel 1800. A tuo parere, le cose sono davvero completamente cambiate?

Purtroppo no, non credo che le cose siano cambiate. La storia di Annina e Maddalena, nello spettacolo, viene rappresentata con la massima brutalità. Forse, una volta c’era un tipo di omofobia “leonina”. Di fronte al diverso si ruggiva, i ragazzi o le ragazze omosessuali venivano sbranati e gettati via. Adesso, invece, si è creato un qualcosa di più pericoloso: c’è un’omofobia “volpina”, che si esercita con battutine, sguardi superiori, paletti anche giuridici. Qualcuno può sorridere di fronte alle sentinelle in piedi, ma sono sintomo di un qualcosa di molto preoccupante. E’ un’omofobia nascosta, latente, che opera tra le pieghe. “Acqua Santa” è la coppa della tolleranza, che noi non abbiamo ancora bevuto. C’è ancora tanto lavoro da fare, troppo. Lavorare con Ares e Marilia Marciello è stato davvero bellissimo. Nel momento in cui non si saranno più le definizioni etero, gay, lesbica, trans, bisex, ma solo la parola amore allora avremo superato tutti gli ostacoli.

Più che un’intervista, sembra una seduta dallo psicologo. Glielo dico, si dimostra d’accordo. Ha un piglio filosofico nei confronti della vita. Ha una profondità di quelle rare: analizza ogni frase, controlla il ritmo della conversazione, rielabora le mie osservazioni. È uno scambio estremamente stimolante. Mi dice che uno dei suoi più cari amici, Armando (laureato in filosofia) ama confrontarsi con lui perché (parole sue!) “Non capisce nulla di filosofia e lui gli apre nuovi mondi!”.

Sceneggiatore, attore, regista. Qual è la tua connotazione più naturale? E’ vero che sai anche suonare l’armonica a bocca?

Ah ah ah! Ma come fai a saperlo? Per me la musica è una componente della mia quotidianità. Ascolto ogni tipo di musica, non sono legato a nessun gruppo musicale, a nessun genere, non faccio distinzione. Però preferisco la musica, rispetto alla canzone. Mi aiuta a riflettere, a rilassarmi. Ci sono delle melodie che, insieme ad alcuni odori, riportano alla mente dei momenti meravigliosi che ho vissuto. L’armonica è una vera e propria estensione di me, anche se è entrata da poco nella mia vita. In precedenza ho suonato la chitarra. Alcuni amici mi hanno consigliato questo strumento, anche perché è pratico, comodo. Anche in relazione al mio modo di vestire, che è piuttosto ricercato. Sogno di suonare il blues e il country, punto in alto! Al momento, però, le uniche melodie che ho imparato sono “Imagine” e “Nearer my God to thee”, che è stata l’ultima melodia suonata dall’orchestra sul Titanic, prima della tragedia. Siccome sono ateo, sostituisco God con man, ovverosia uomo. Così la canzone diventa “Più vicino a te, uomo”.

Per ciò che riguarda la mia connotazione più naturale, ovviamente è quella di essere attore. Leggo e scrivo tantissimo (racconti, pensieri, poesie). Mi piacerebbe scrivere delle sceneggiature, al momento ho realizzato solo qualche adattamento, ma c’è bisogno di studio. Ho una mentalità ancora troppo attoriale.

Aurelio De Matteis, da attore di teatro, qual è la tua posizione nei confronti di chi esce da un reality in cui lo scopo è quello di spalare le feci in Nicaragua e si ritrova all’improvviso ad interpretare 15 film da protagonista?

(Ride a crepapelle) Christian, sono sincero: non guardo mai la televisione. Il mezzo televisivo ha una cassa di risonanza che può essere pericolosa. Può creare una notorietà effimera. Purtroppo siamo abituati ad affezionarci a persone che “vivono” in una scatola (anche se adesso sono dei quadri veri e propri!). C’è un approccio superficiale, inutile, all’arte, ma con chi dovremmo prendercela? Con chi guarda questi programmi o con chi ce li propone? A tal proposito, ti racconto questa cosa: venni invitato ad esibirmi all’interno di un premio teatrale come guest. Io, che mi esibii con due maschere (una neutra e una di Pulcinella) interpretando un monologo che avevo scritto, chiesi solo che non venisse detto il mio nome al termine della performance. Non per snobberia, ci mancherebbe. Il messaggio era un altro: non è importante chi indossa la maschera, ma la maschera in quanto tale; l’emozione, l’idea erano tutto ciò che contavano davvero.

Quali sono i tuoi attori preferiti?

(Spalanca gli occhi) Guarda, farei prima ad elencarti quelli che non amo. Ci sono sicuramente attori che studio continuamente: Leo de Berardinis e Perla Peragallo, per esempio. Tra le altre cose, erano anche una coppia nella vita. Credo che non ci sia niente di più bello che creare arte insieme alla persona che ami, è un miracolo della vita. Adoro anche Roberto Latini e Federica Fracassi. 

Ed ecco che ricompare la parola amore. Mi domando cosa spinga questo ragazzo a ricercare questa emozione in ogni gesto della sua vita. E’ una forma di salvezza, forse? La necessità di un porto sicuro per evadere dalle brutture che ci circondano? Un completamento in quanto essere umano? Chissà. Oppure nulla di tutto ciò. Tanto è inutile chiederglielo: la sua mente, nel frattempo, ha già elaborato mille altri pensieri.

Io mi occupo di cinema. Il mondo della celluloide attinge dal teatro e viceversa. Qual è il film della tua vita e perché?

Ecco un’altra domanda che mi mette in crisi! Amo tantissimi film che associo, come la musica, ad altrettanti momenti della mia vita. Adoro il cinema di Aleksandr Sokurov, di Emir Kusturica e di Stanley Kubrick. Sono poetici, viscerali, pieni di vita. A questo punto dovrei cambiare la domanda in “Qual è il film che ti appartiene di più?” e la risposta sarebbe “Barry Lyndon”. La prima volta l’ho visto ripetutamente per tre giorni di fila! Avevo anche letto il romanzo, che mi aveva catturato completamente! E’ un film che parla di ricerca dell’amore.

Cosa dobbiamo attenderci da Aurelio De Matteis per questo 2017?

Magari lo sapessi! Sono un pirata che naviga a vista. Ho buttato l’orologio, non sono miliardario e vivo costantemente nel qui e nell’ora. Non programmo, anche se ovviamente ho tante idee e proposte. A maggio affronterò una storia multo cruda “Io, Pietro Koch”, sulla vita di uno dei peggiori fascisti mai esistiti sulla faccia della terra. E’ ambientata tra il 1943 e il 1945. E’ una storia rappresentativa di alcune dinamiche che coinvolgono l’essere umano in determinati contesti. Ho in testa questo progetto da almeno tre anni. Mi incuriosisce l’animo umano, anche quando commette crimini così efferati. Vorrei che il pubblico cercasse di capire, insieme a me, il perché di alcune azioni. Andare oltre le apparenze: questo è l’obbiettivo.

Alla Marzullo : fatti una domanda e datti una risposta

“Aurelio perché racconti e sei ossessionato, nelle tue storie, da tre elementi che sono l’amore, il tempo e il mare?” Risposta: “Perché un giorno, presto o tardi, diventeremo una sola cosa.”

Il sole sta tramontando. Inizia a fare quasi freddo nel momento in cui ci salutiamo. Mentre mi avvio all’uscita, lancio un’ultima occhiata ad Aurelio: è ancora fermo lì, intento a pregustarsi i sapori di un luogo intriso di cultura. Capisco che non ha ancora voglia di andare via. Lo immagino perdersi, confondersi, mescolarsi, entrare a far parte del vortice informe che si è creato all’interno del Parco. Chissà se, nel suo viaggio, troverà l’amore di cui parla spesso e ha bisogno. Sarà un percorso interessante, ne sono davvero sicuro.

Aurelio De Matteis: un attore alla ricerca dell’amore was last modified: aprile 14th, 2017 by L'Interessante
14 aprile 2017 0 commenti
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libro (ph)enomena
CulturaEventiIn primo pianoLibri

Un libro per tè presenta (Ph)enomena

scritto da L'Interessante

Libro

Dopo il grande successo dello scorso anno, torna Domenica 12 Marzo 2017 – presso l’Accademia Musicale Fortepiano di Anna Paola Zenari in Via A. Stellato, San Prisco (CE) – la rassegna “Un libro per tè” con la presentazione dell’opera prima dell’autrice Giulia Sangiuliano, (Ph)enomena.

La Rassegna Un Libro per tè

Dalla convinzione che l’arte sia un abbraccio di uguale intensità tra musica, teatro, letteratura ed espressione libera ed emozionante, nasce la rassegna “Un libro per tè”. Lontane dalle solite presentazioni, la rassegna si snoda tra attimi di musica, teatro, analisi profonda del testo e condivisione con il pubblico. Dall’idea di Anna Paola Zenari – musicista – il gruppo di lavoro di Un libro per tè è composto da Corrado Del Gaizo (attore), Carmine Covino (attore e musicista), Valentina Masetto (psicoterapeuta e scrittrice), Roberta Magliocca (giornalista). E dagli autori, ovviamente. Ad aprire questo secondo ciclo è (Ph)enomena, opera prima di Giulia Sangiuliano, con la quale passeremo una Domenica pomeriggio, riscaldati da una tazza di tè.

(Ph)enomena – Sinossi

Il dottor Clerk, primario di Neurologia in un ospedale nella periferia di Firenze, viene convocato d’urgenza per salvare la vita della ventenne Vittoria Coe, studentessa di chimica rinvenuta in stato comatoso in un tentativo di suicidio. Vani risultano essere gli sforzi del primario e della sua equipe medica per farle riprendere conoscenza. A infittire il mistero sono le analisi e i parametri vitali nella norma, che escludono una dopo l’altra le ipotesi che la scienza aveva posto in essere sino a quel momento. L’unica anomalia riscontrata è un’intensa attività cerebrale, elemento che lascia intendere al professore che la ragazza si trovi in uno stato di coma vigile e percepisca il mondo e le persone attorno a sé. Da quel giorno la vita di quell’uomo si stringe in una spirale ineluttabile di traviamento senza apparente via d’uscita.

Giulia Sangiuliano è nata a Napoli il 20 gennaio 1992. È laureata in Scienze e Tecniche Psicologiche all’Università degli Studi di Napoli Federico II. È giornalista pubblicista e collabora per la testata online CinqueColonne Magazine. Studia Neuroscienze cognitive e riabilitazione psicologica presso l’Università La Sapienza – Roma. (Ph)enomena è il suo primo romanzo stampato per Eretica.

Un libro per tè presenta (Ph)enomena was last modified: marzo 7th, 2017 by L'Interessante
6 marzo 2017 0 commenti
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Principe
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IL PRINCIPE ABUSIVO RITORNA IN TEATRO

scritto da L'Interessante

Il Principe abusivo.

IL PRINCIPE ABUSIVO RITORNA IN TEATRO: ALESSANDRO SIANI E CHRISTIAN DE SICA  SUL PALCO DEI MAGGIORI TEATRI D’ITALIA CON LA VERSIONE TEATRALE  DEL FILM CAMPIONE DI INCASSI

 

OGGI 2 FEBBRAIO IL DEBUTTO AL TEATRO VERDI DI SALERNO

SOLD OUT GIÀ DA DIVERSI GIORNI

 

IL TOUR PROSEGUIRÀ FINO AD APRILE

 

Milano 1 Febbraio 2017 – Dopo il successo della mise en  scène della stagione 2015, che ha registrato il sold out in tutte le tappe, ritorna con un nuovo tour, che toccherà i più importanti teatri d’ Italia, Il Principe abusivo a teatro. Il debutto è fissato per oggi giovedì 2 febbraio al Teatro Verdi di Salerno, già sold out da diversi giorni. Lo spettacolo, è “figlio” del film Il Principe Abusivo, che ha segnato il debutto da regista dell’attore Alessandro Siani, e che è stato un grande successo al box office. Con lui sulla scena, come nel lungometraggio, Christian De Sica, nell’amatissimo ruolo del ciambellano di corte.

 

“Il Principe Abusivo – dice Alessandro Siani – è stato il mio film d’esordio, accolto con grande affetto dal pubblico, un affetto nei confronti di questa pellicola, che mi ha trascinato a progettarne una versione teatrale. Un adattamento con grandi sorprese nel cast, con tante novità musicali. Una favola moderna che parla di ricchezza e povertà. Si dice…che il ricco trova parenti tra gli sconosciuti, il povero trova sconosciuti tra i parenti!”.

Lo spettacolo scritto e diretto da Alessandro Siani, che interpreterà il ruolo del “povero” Antonio De Biase, vedrà sulla scena oltre a Christian de Sica, anche la bellissima Elena Cucci nel ruolo della principessa, Luis Molteni che sarà il Re, Stefania De Francesco che interpreta la verace cugina di Antonio, Jessica Quagliarulo  e ancora Ciro Salatino che sarà il principino Gherez, e Antonio Fiorillo e Raffaele Musella, nei ruoli rispettivamente di Sasone  e Lelluccio, gli inseparabili amici di Antonio.

Le musiche sono affidate al maestro Umberto Scipione, scenografia Roberto Crea, coreografie Marcello Sacchetta, costumi Eleonora Rella. Collaborazione ai testi musicali di Vincenzo Incenzo. Lo spettacolo è prodotto dalla BEST LIVE.

DATE TOUR 2017

2-5 FEBBRAIO SALERNO – TEATRO VERDI

8-12 FEBBARIO TORINO – TEATRO ALFIERI

14-15 FEBBRAIO PARMA – TEATRO REGIO

18 FEBBRAIO – PADOVA – TEATRO GEOX

24-26 FEBBRAIO – FIRENZE – TEATRO VERDI

28 FEBBRAIO – BERGAMO – TEATRO CREBERG

3-5 MARZO – BOLOGNA – SALA EUROPA

11 MARZO – ROMA – PALALOTTOMATICA

16-17 MARZO – MILANO – TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI

24-26 MARZO – ANCONA – TEATRO DELLE MUSE

31 MARZO – PESCARA – PALASANGIOVANNI

6-9 APRILE – CATANIA – TEATRO METROPOLITAN

12 APRILE – BENEVENTO – PALATEDESCHI

22-23 APRILE – LECCE – TEATRO POLITEAMA

28 APRILE – CASERTA – PALAMAGGIO’

 

Tagliandi disponibili su Ticketone.it

IL PRINCIPE ABUSIVO RITORNA IN TEATRO was last modified: febbraio 2nd, 2017 by L'Interessante
2 febbraio 2017 0 commenti
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Iqbal
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Iqbal: i scena al piccolo teatro di Caserta

scritto da L'Interessante

Iqbal

AL PICCOLO TEATRO DI CASERTA

IN SCENA IQBAL DI LUIGI MARINO

Dopo tre appuntamenti esclusivamente musicali questo fine settimana, sabato 7 gennaio alle ore 21 e domenica 8 alle 19, è di scena il teatro/canzone al Piccolo Teatro Cts di via Louis Pasteur 6 a Caserta, in zona Centurano. Iqbal di Luigi Marino lo spettacolo presentato dalla compagnia teatrale RossoSimona e diretta dallo stesso autore. Sul palco del Cts ci saranno, oltre allo stesso Marino, Noemi Caruso e Arianna Luci.

            Questa la storia riadattata in pièce teatrale e dalla quale è stato tratto anche un film prodotto nel 1998 dalla Rai con la regia di Cinzia TH Torrini. Iqbal Masih (1983-1995) è stato un bambino operaio, sindacalista e attivista pakistano, diventato un simbolo della lotta contro il lavoro infantile. Per ripagare un debito familiare equivalente a 12 dollari, Iqbal fu ceduto a un fabbricante di tappeti. Fu quindi costretto a lavorare 10-12 ore al giorno, incatenato al telaio e sottonutrito, tanto da riportare un danno alla crescita. Nel 1992 riuscì a uscire di nascosto dalla fabbrica e partecipò insieme ad altri bambini a una manifestazione. Ritornato nella manifattura, si rifiutò di continuare a lavorare malgrado le percosse. Il padrone sostenne che il debito anziché diminuire era aumentato a diverse migliaia di rupie, pretendendo di inserirvi lo scarso cibo dato a Iqbal e supposti errori di lavorazione. La famiglia fu costretta dalle minacce ad abbandonare il villaggio. Iqbal, ospitato in un ostello, cominciò a studiare, a viaggiare e a partecipare a conferenze internazionali, sensibilizzando l’opinione pubblica sui diritti negati dei bambini lavoratori pakistani contribuendo al dibattito sulla schiavitù mondiale e sui diritti internazionali dell’infanzia. Alla fine del 1994 si recò a Stoccolma, partecipando a una campagna di boicottaggio dei tappeti pakistani volta a mettere pressione sulle autorità di Islamabad. Nel dicembre del 1994 presso la Northeastern University di Boston ricevette il premio Reebok Human Rights Award. Vista la giovanissima età venne creata una categoria apposita: Youth in Action. Nel frattempo, sia per la pressione internazionale che per l’attivismo locale, le autorità pakistane avevano preso una serie di provvedimenti, tra cui la chiusura di decine di fabbriche di tappeti. Le testimonianze circa gli avvenimenti dell’ultima giornata della sua vita, il 16 aprile 1995, giorno di Pasqua, sono in buona parte imprecise e contraddittorie. Due cugini che l’accompagnavano riferiscono che a un certo punto nel tardo pomeriggio non prese l’autobus che doveva portarlo nella capitale e si allontanò con loro in bicicletta. Secondo il rapporto della polizia e la testimonianza iniziale dei cugini, uno dei quali fu ferito nella sparatoria in cui Iqbal Masih venne ucciso, l’omicida fu un lavoratore agricolo a seguito di una breve lite. Si accusò subito la “mafia dei tappeti”. A distanza di tempo permangono diversi dubbi sull’accaduto. Pure i due cugini poche settimane dopo ritrattarono la loro testimonianza iniziale. A seguito della sua morte, il tema del lavoro minorile, in special modo nell’industria pakistana dei tappeti, ha ricevuto ancora maggior attenzione, rendendo Iqbal un vero e proprio simbolo di tale causa.

Iqbal: i scena al piccolo teatro di Caserta was last modified: gennaio 3rd, 2017 by L'Interessante
3 gennaio 2017 0 commenti
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Teatro
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Il teatro di John Ford e la fortuna di una tragedia crudele

scritto da L'Interessante

Teatro.

Convegno Internazionale

 

‘Tis Pity She’s a Whore.

Il teatro di John Ford e la fortuna di una tragedia crudele

 

Con il patrocinio del Comune di Napoli e dell’Università di Napoli “L’Orientale”

 

Napoli, 15 dicembre 2016, ore 9.30

Sala del Capitolo del Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore – Napoli

 

Comitato Scientifico: Roberto D’Avascio (Università di Salerno), Bianca Del Villano (Università di Napoli “L’Orientale”), Angela Di Benedetto (Università di Foggia), Paolo Pepe (Università degli Studi eCampus) e Savina Stevanato (Università degli Studi eCampus)  

Un gruppo di giovani docenti di diverse università italiana ha organizzato a Napoli un importante convegno sulla figura di John Ford, ultimo drammaturgo elisabettiano del Seicento inglese, che si terrà nella giornata del 15 dicembre 2016.

Tale manifestazione intende mettere a confronto i contributi di diversi ricercatori e specialisti di studi letterari e teatrali che saranno in città arrivando da diverse parti d’Italia, durante una intensa giornata di studi che vuole proporre un approccio sistematico alla drammaturgia teatrale di John Ford, a partire da uno dei suoi capolavori riconosciuti – Peccato che fosse una puttana – aprendo l’indagine a riflessioni di taglio comparatistico e interdisciplinare.

Napoli, città di importanti studi shakespeariani negli ultimi anni, è stata scelta come sede del convegno: è nella nostra città, infatti, che Luca Ronconi volle essere presente nel mettere in scena la sua versione nel 2006; ancora nella nostra città è stata pubblicata nel 2013 dall’editore Liguori l’unica monografia italiana dedicata all’illustre drammaturgo inglese; sempre nella nostra città l’opera è stata ripresa da Laura Angiulli nel 2016 per il Napoli Teatro Festival Italia. 

‘Tis Pity She’s a Whore (c. 1633), opera eccessiva e sanguinosa, il cui nucleo è rappresentato dall’amore incestuoso tra fratello e sorella, ha attirato – almeno dalla fine dell’Ottocento – l’attenzione di importanti registi e drammaturghi: da Maeterlinck, con la sua lettura simbolista, al teatro della crudeltà di Artaud, alle messe in scena di Visconti e Ronconi, fino allo In-Yer-Face Theatre di Sarah Kane. Tuttavia, nel panorama critico italiano, ad oggi non si registrano che pochi, e comunque isolati, contributi di analisi.

Con questa miscellanea di contributi si intende avviare e proporre un approccio sistematico alla drammaturgia di Ford, a partire da uno dei suoi capolavori riconosciuti, aprendo l’indagine a riflessioni di taglio comparatistico e interdisciplinare. Dopo un preliminare inquadramento degli indirizzi della scena inglese di periodo giacomiano e carolino, i contributi previsti si concentreranno sull’analisi delle fonti e delle strutture testuali di ‘Tis Pity She’s a Whore e sulla sua fortuna in ambito soprattutto inglese e francese, con specifici approfondimenti dedicati ad alcune importanti messe in scena, riscritture e traduzioni. Gli ambiti coperti dagli interventi selezionati andranno dalla critica letteraria alla linguistica applicata, alla semiotica teatrale.

Interventi e relazioni dei professori Simonetta de Filippis, Bianca Del Villano, Paolo Pepe, Tommaso Continisio, Valentina Rossi, Savina Stevanato, Maria Grazia Porcelli, Angela Di Benedetto, Roberto D’Avascio, Mirko Brizi, Marco Giola, Roberta Ziosi, Fausto Malcovati.

Letture a cura degli attori Fabrizio Nevola e Vila Graziosi.

Proiezione del documentario “Ford nel laboratorio di Ronconi”.

Il teatro di John Ford e la fortuna di una tragedia crudele was last modified: dicembre 14th, 2016 by L'Interessante
14 dicembre 2016 0 commenti
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CTS
CulturaIn primo pianoTeatro

ANCORA UN DOPPIO APPUNTAMENTO NEL WEEKEND TEATRALE AL CTS

scritto da L'Interessante

CTS

ANCORA UN DOPPIO APPUNTAMENTO NEL WEEKEND TEATRALE AL CTS

LE DONNE PROTAGONISTE DEI DUE SPETTACOLI AL PICCOLO CASERTANO

Il Piccolo Teatro Cts di via Louis Pasteur 6 a Caserta (zona Centurano) anche per questa settimana ripropone tre giorni di spettacoli. Precisamente per venerdì 18 novembre alle ore 21 è previsto lo spettacolo presentato dalla compagnia Sin Hombre in ”SUDiamo l’anima”, ideazione, scrittura e regia di Maria Iannotta con Viviana Venga, Simona Cipollaro, Mario Bellafonte, Luigi De Simone, Carmine Iannotta e Rino Principe Abate, musiche e parole originali di Mario Bellafonte in arte Bema, luci, audio e grafica di Cesare Napolitano, scene di Archeos. Mentre per sabato 19 alle ore 21 e domenica 20 novembre alle 19 verrà presentato “Aspettando che spiova”. In scena Gianluca d’Agostino nelle vesti di interprete, regista e autore dello spettacolo, con lui Luigi Credendino.

Queste le note di regia per ”SUDiamo l’anima”. La scena si apre con un confessionale al centro, una luce bianca, fioca, lo illumina, intorno è tutto buio. Il confessore (B) è già dietro la tendina del confessionale, non appare mai. Ai lati del confessionale delle panche di legno, si intravedono delle sagome sedute. Tutte le sagome sono caratterizzate da una corda legata alla caviglia, e sono tutti vestiti di nero, con al polso una maschera bianca, inespressiva. Suona la campanella che dà inizio alla funzione. Si illumina la prima panca, leggermente di rosso, caldo, c’è seduto un ragazzo, molto giovane apparentemente, ha una chitarra in mano, l’accorda. È un viaggio nell’entroterra campano, è tutto lasciato all’immaginazione, molte le cose taciute, lasciate all’interpretazione propria. Si tratta di quel pezzo di Campania che tutti nominano ma nessuno conosce veramente. Quando si pensa al Sud, viene in mente solo il sole, anche se la pioggia è la protagonista indiscussa. Il tentativo è quello di raccontare come si vive veramente quaggiù, che nonostante le brutture, si sopravvive, che spesso ci si affida alla fede bugiarda, che a volte non si vede più la luce e ci si lascia andare, o che a volte l’ignoranza prevale e che si chiede perdono per dei peccati che forse non si ha nemmeno commessi. Che si suda davvero l’anima, ma che non si sa bene a chi chiediamo perdono. Che forse è meglio che questi peccati li teniamo per noi.

Ecco alcune considerazioni a margine dello spettacolo “Aspettando che spiova”. Il testo di questa pièce è inedito. Il progetto nasce innanzitutto da un desiderio di fare teatro insieme e dall’esigenza di creare qualcosa di proprio a 360°. C’è un attore con una propensione alla drammaturgia, il quale scrive per sé e per altri attori che ha incontrato nei diversi contesti e coi quali vorrebbe lavorare ancora. La scrittura nasce per l’attore e non è l’attore che deve adattarsi al testo. Nel caso specifico di questo spettacolo, gli attori hanno seguito il lavoro preliminare alla messa in scena ancora più da vicino, eseguendo un ciclo di letture di alcune bozze, durante la fase di costruzione del testo, per aiutare l’autore a trovare nuove idee e suggestioni. Infatti, il risultato finale è figlio dei dibattiti nati durante queste letture. Lo spettacolo vuole essere una critica disillusa al teatro, in una maniera, ci si prefigge, nuova, inedita, innovativa; ma è anche un gioco. La scrittura ha come presupposto l’intento di creare, piuttosto che dei personaggi plausibili, un insieme di occasioni per gli attori che si muovono dentro quelle parole e quei rapporti.

Queste le note di regia. Un temporale è lo sfondo della performance. Serve a creare il clima, l’atmosfera di tensione e di malumore di fondo, ancor prima che avvenga tutto. Il diluvio è metafora di un mondo che si avvia verso il capolinea. Il presagio di una catastrofe, di qualcosa che è più grande e che non si potrà mai gestire. La regia sarà essenziale, si ricreerà l’effetto climatico con il supporto tecnico di audio e luci. Per quanto riguarda la scena, si immagina un teatro che perde. Qua e là recipienti di varie dimensioni a raccogliere le gocce che il soffitto non riesce a trattenere. Si immagina che ci sia una specie di tetto o qualcosa del genere sulle teste degli attori, dal quale ogni tanto cada a terra un po’ d’acqua piovana accumulatasi.

ANCORA UN DOPPIO APPUNTAMENTO NEL WEEKEND TEATRALE AL CTS was last modified: novembre 18th, 2016 by L'Interessante
18 novembre 2016 0 commenti
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Romolo Bianco
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Io di Più: ecco la Napoli di Romolo Bianco

scritto da Roberta Magliocca

Romolo Bianco

Di Roberta Magliocca

“Io di più” dello scrittore, cantante, attore e chissà quante altre cose Romolo Bianco per la Tullio Pironti Editore. Mille Napoli. Tutte in una. Tutte e nessuna di esse

Napoli, estate. Il sudore della miseria e le notti invisibili di una Napoli che tutti sanno esistere sul serio, ma nessuno vuol conoscere davvero. Napoli, moglie. I sogni di un futuro da signora, ma ci si ritrova giovanissima ed incinta e il matrimonio che diventa l’unica soluzione. E addio aristocrazia napoletana, addio lusso . Napoli, figlie. Una brillante quasi dottoressa. Una senza diploma con un amore forte senza fondamenta economiche e lavorative. Napoli, lavoro. Quello che c’è, quello che fai da anni, in automatico senza pensarci, senza sognarlo. Senza. Napoli, breve. La scrittura di Romolo Bianco arriva dritto al punto. All’essenziale. Punto. A capo. E poi di nuovo punto. Di storia in storia, di emozione in emozione, di crudeltà in crudeltà, di fine in salvezza.

Che viaggio meravigliosamente infame, questo libro qui. Tra le pagine si sente la voce di una formazione unica e frammentaria allo stesso tempo: Lanzetta, il teatro e un po’ di strada vissuta, perchè altrimenti certi luoghi e profumi non sai descriverli. E per qualche parola ridi grottescamente, qualche rigo più in là ti incazzi veracemente per una Napoli bellissima e maledetta. Poi ti commuovi. Perchè se sai leggere, leggere sul serio, in ogni storia rivivi un po’ di te, un po’ del tuo passato, un po’ del tuo futuro da salvare. 

Romolo Bianco è nato a Napoli nel 1983. Attore e cantante, ha esordito giovanissimo con Mario Scarpetta, legandosi quindi alla tradizione del teatro popolare, e in particolar modo al lavoro di recupero delle canzoni classiche napoletane.
Nel 2005 inizia a collaborare con Peppe Lanzetta, portando in scena diversi spettacoli; ricordiamo in questa sede: Ricordo di Domenico Rea (2005), Unicum per Pomigliano (2006), Medea Napoli (2006), L’opera di periferia (2007); al 2010 si data la sua partecipazione allo spettacolo Blackout, di Andrea Manzi, con Mariano Rigillo.
Scrive e reinterpreta in chiave postmoderna la maschera di Pulcinella attraverso varie farse come Buona sera per tutte le sere(2008), Prendetelo, questo pazzo è vostro (2011) e L’Italia è tutta una farsa (2012).
Ha curato una nota rubrica per il quotidiano «Roma» sulla canzone classica napoletana e ha già al suo attivo un album, Always by Napoli, distribuito in Italia, Germania e Stati Uniti. www.romolobianco.com

 

Io di Più: ecco la Napoli di Romolo Bianco was last modified: novembre 14th, 2016 by Roberta Magliocca
8 novembre 2016 0 commenti
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teatro
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Non tutti i ladri vengono per cuocere al Nuovo teatro San Carluccio

scritto da L'Interessante

Teatro

di Michele Brasilio

Giovedì 27 Ottobre presso il Nuovo Teatro San Carluccio ha debuttato lo spettacolo “Non tutti i ladri vengono per cuocere” tratto da “Non tutti i ladri vengono per nuocere” del compianto Dario Fo, la regia è affidata a Danilo Rovani. Con il Rovani in scena ci sono: Cosimo Alberti,Stefano Ariota,Massimiliano Cataliotti, Daniela Cenciotti,Laura Pagliara, produzione Titania Teatro.Lo spettacolo, nei primissimi minuti, ci porta negli studi televisivi di “MilluLuci” e “StudioUno” facendo respirare, allo spettatore, l’aria del Varietà degli anni ’60 e ’70. Questa cifra stilistica ritorna all’interno della pièce mantenendo, allo stesso tempo, il testo di Fo.  Dopo il simpatico “Carosello” si apre la storia vera e propria: l’assessore Frazosi (Cosimo Alberi) incontra in casa sua, all’insaputa della moglie(Daniela Cenciotti), l’amante (Laura Pagliara).Un ladro (Danilo Rovani) che poco prima era entrato in casa per rubare e subito dopo nascosto per non farsi trovare, esce allo scoperto dando il là a una serie di equivoci e menzogne.

Non tutti i ladri vengono per cuocere, Teatro San Carluccio: LA RECENSIONE

 L’idea del varietà risulta vincente per i primi 15\20 minuti dopo risulta ridondante e poco efficace del punto di vista narrativo, riscuotendo, allo stesso tempo,sempre simpatia da parte del pubblico in sala. La regia è dinamica nei tempi, consueta qualitativamente. L’adattamento non porta rilevanti modifiche alla trama se non per la lingua utilizzata, il napoletano, e l’aggiunta di lazzi e scherzi teatrali. La scenografia risulta inverosimile e uno dei pochi oggetti scenici, la pendola, si smonta sotto gli occhi stupiti degli spettatori e degli attori stessi. Il disegno luci è sporco: la luce dei fari batte sulle quinte nere creando ombre e sporcature alla scena.Gli attori acquistano con il passare del tempo la simpatia e la fiducia del pubblico. Cosimo Alberti mantiene tenacemente la scena e il ritmo dello spettacolo, Stefano Ariota porta in scena un personaggio al limite con l’assurdo risultando efficace e divertente.Daniela Cenciotti, esperta e valida porta il suo contributo allo spettacolo. Massimiliano Cataliotti, dotato di una simpatia travolgente, ricopre con carisma i ruoli affidatigli. Laura Paglia mostra tutto il suo talento sia nel canto sia nella recitazione sin dal primo momento. Danilo Rovani possiede una bella imponenza scenica, un forte carisma, una buona preparazione tecnica, soprattutto vocale, ma porta un personaggio caricaturale, esagerato, sforzandosi di trovare una risposta da parte dello spettatore spesso anche con battute facili. Uno spettacolo che complessivamente risulta scorrevole e allo stesso tempo lungo, divertente ma con una comicità non sempre perspicace. Vivete di teatro e fatevi vivere da esso.

Non tutti i ladri vengono per cuocere al Nuovo teatro San Carluccio was last modified: novembre 1st, 2016 by L'Interessante
1 novembre 2016 0 commenti
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teatro
CulturaIn primo pianoTeatro

Teatro d’appartamento, del tuo appartamento

scritto da L'Interessante

Teatro

Di Roberta Magliocca

Bussano alla porta. Chi è? Il Teatro

Niente poltroncine scomode, file al botteghino, posti e orari da rispettare. Metti il divano di casa tua, la tua cena, i tuoi vestiti di sempre…e si va in scena. O meglio. Loro vanno in scena per te. Un vero e proprio spettacolo, in tutti i sensi. Attori veri, luci da palcoscenico direttamente nel tuo salotto. Sei tu a metterci scenografia ed interesse. Loro professionalità e buone intenzioni. Perché l’intento è quello di azzerare le distanze, di rendere l’arte meno astratta e più alla portata di tutti. E sto qui, davanti a questo articolo ancora da scrivere, per cercare di trasmettere quello che una chitarra, una voce e un cuore mi hanno passato quella sera. Mi hanno mostrato la serietà di un teatro che non ha nulla da invidiare ai grandi palcoscenici. Mi hanno donato il calore di una casa a me nota. Mi hanno permesso l’intimità di un momento che fosse mio, di amici e parenti e nessun estraneo con cui dover condividere atti di commozione o momenti di divertimento.

Mi hanno coinvolto nei loro canti senza che io mi preoccupassi di non dover alzare la voce, perché potevo cantare con loro, anzi…con gli occhi quasi me lo chiedevano. Potete poi ben capire la gioia di una letterata come me quando, prima di cominciare, l’attore ci ha spiegato ciò che avrebbero di lì a poco messo in scena. “La vecchia scorticata” tratta dal Pentamerone di Basile. Va da sé intuire la responsabilità di u testo di tale portata e importanza, soprattutto per la difficoltà di un dialetto come quello che può essere il dialetto napoletano del ‘600. Ma è stata tale la bravura e la maestria degli attori, che dove non arrivava la nostra comprensione della lingua, arrivava la loro capacità di spiegarci la scena e il significato delle parole attraverso gesti, mimica, corporeità…insomma, tutto ciò che fa di un attore un VERO attore. Ma non finisce qui.

Quando si spengono le luci, si versa del buon vino e si comincia a dialogare con tutte quelle persone che, a teatro, dopo lo spettacolo si chiudono in camerino. C’è uno scambio di opinioni, d’impressioni, di quello che loro hanno dato e di quello che tu hai ricevuto. Così la serata passa e qualcosa resta.

Teatro d’appartamento, del tuo appartamento was last modified: ottobre 25th, 2016 by L'Interessante
25 ottobre 2016 0 commenti
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