Istituto
Di Michela Salzillo
“ O miezz da vita mia
Mi truvai inda a ‘ na selva oscura
Perché m’ero pers’ pa via.
Oimà, quant’è brutto a parlà
E chesta selva selvaggia e stupposa
Che sul a pensarci nun me sient bbuon.”
Se Dante fosse nato a Napoli, o meglio, se avesse partorito la “Divina Commedia” a Caserta, l’avrebbe cresciuta così, ad insegnarcelo sono i ragazzi dell’istituto “Terra di lavoro” che, seguiti dall’ insegnante Marilena Lucente, hanno giocato a fare una cosa seria, tradurre l’ inferno in paradiso : quello che arriva alla sola pronuncia de’ ‘A livella, quello che cantava Pino Daniele quando intonava Napul’è , quello che solo la nostra lingua sa scrivere.
Non è vero, dunque, che a Caserta non succede mai niente. È un ‘abitudine che, forse, abbiamo ingoiato troppo presto, perché andare oltre le cose richiede tempo e, diciamocelo, non ne abbiamo quasi mai. È facile e veloce , come fosse un mantra laico senza chissà quale fondamento, raccontarci la tiritera della provincia che non funziona; quella che non ingrana mai la marcia; quella che lascia i giovani a compiangersi sulle ultime file di un’ Italia che non ha tempo per essere nazione, figuriamoci città. Non è esatto neppure convincersi che, a dirle, le cose belle non succedono, perché la parola ha un potere meraviglioso, e quando la leggi a voce alta, quando diventa poesia, è la pace migliore del mondo. Un’ accordo che fa nascere passioni inaspettate come, perché no, quella per Dante; questo sconosciuto, lontano secoli, che un po’ di fantasia ha reso compagno di viaggio e, soprattutto, di incontri.
“Quante Storie”: Corrado Augias invita gli studenti dell’ istituto Terra di Lavoro
Un pullman con diverse classi, è partito lo scorso lunedì mattina per dirigersi negli studi Rai della capitale, dove ogni giorno, dal lunedì al venerdì dalle 12:45 alle 13:10, va in onda “ Quante storie”. Il programma di Corrado Augias, fortemente voluto dalla novella direttrice di Rai 3, Daria Bignardi, tratta temi di spessore che spaziano dall’attualità alla politica. Ad affiancare il giornalista, la scrittrice Michela Murgia che, di solito, viene collocata sulle ultime battute della messa in onda per consigliare, attraverso brevi commenti, i ritenuti validi testi della letteratura contemporanea. Un contesto del tutto inconsueto per degli studenti, del resto siamo abituati a vederli tra i banchi, a sbuffare fra una noia e l’altra, ma tutto può succedere. Finché sei qui, tutto può succedere. Ed è accaduto, non altrove, a Caserta, al sud, in questa geografia che ancora troppi pronunciano col ghigno in bocca. L’idea di Dante che parla napoletano è piaciuta così tanto che, se anche la diretta del 5 dicembre, imponeva commenti sull’appena concluso referendum costituzionale, una novità come questa è parsa come la vera rivoluzione. A leggere l’intro del primo canto dell’ inferno è stato l’allivo Marco Madonna che, con semplicità, senza alcun tono “ istituzionale”, come gli era stato ironicamente consigliato dal conduttore, ha lanciato un messaggio che va anche oltre la traduzione in onore della Parthenope. Una scuola che si tiene lontana dai nozionismi per aguzzare gli ingegni, è una scuola che educa alla libertà. E se questo, tra sfiduce e consensi, è ancora possibile lo si deve ad insegnanti come Marilena Lucente, che del futuro e dei suoi ragazzi non ha smesso mai di dubitare. L’abbiamo incontrata. Chi meglio di lei può spiegarvi i dettagli di questa esperienza?
Qui di seguito, il suo racconto nell’ intervista che le abbiamo fatto per voi:
Come è nata l’ idea di tradurre Dante in napoletano, perché la scelta della “Divina Commedia”?
Tutti gli studenti dovrebbero conoscere Dante, semplicemente. E’ il nostro alfabeto. Serve per poter leggere e scrivere tutto il resto della letteratura. In Dante c’è il senso di civiltà, la dignità dei cittadini, un progetto politico, la narrazione di un esiliato, la tenacia, l’ostinazione della speranza, la passione per la scienza, una visione sconfinata dell’esistenza, che parte dall’essere umano e arriva sino alla immensità del cielo. Dante mi toglie il fiato.
E’ successo, in una classe, che questa grandezza, la grandezza della poesia, non venisse accettata. Anzi. Troppa distanza linguistica tra noi e lui, secoli e secoli di lontananza. I miei studenti, quell’anno, erano particolarmente ribelli alle parole del Sommo. Così ho cercato di trovare un modo per farli entrare nella Divina Commedia. L’elemento che accomunava Dante e i mie studenti – lui antico loro giovanissimi, lui del nord noi del sud – era la bellezza della lingua: lui fiorentino, loro napoletano. Due lingue, non due dialetti, pieni di musica, parole, sfumature di significato.
Una mattina in classe, invece della solita parafrasi, che comunque bisogna fare per capire, gli ho chiesto di tradurre un canto in napoletano. Niente google dove cercare, niente libri di testo da cui copiare. Dovevano fare da soli. E’ stata una emozione, una emozione data dall’intelligenza, dalla sapienza.
Ci è piaciuto così tanto. Hanno tradotto sei canti dell’Inferno – in occasione di una festa del libro, l’attore Roberto Solofria li ha letti per noi – i sei canti del Purgatorio e tra poco incominciamo con il Paradiso.
“ Quante storie”: per te è stato un ritorno, quello con i tuoi studenti, eri infatti già stata ospite di Corrado Augias in una puntata del 27 ottobre, vestendo i panni di giornalista. Ci racconti di quella esperienza, ma soprattutto in cosa hanno diversificato le due situazioni?
Questa estate la redazione di Quante Storie ha contattato me e altri scrittori in tutta l’Italia per realizzare un servizio sulla vita di provincia, una storia che meritasse di essere raccontata. Ci hanno chiesto di diventare “reporter in door”, di andare cioè a cercare quello che non si vede, non sempre si vede, nella tua casa, nella tua città. E’ incominciato per me un viaggio tra le vite, i volti di questa città – cosa che normalmente faccio anche per la mia scrittura giornalistica – e soprattutto l’incontro con tante esperienze profonde, significative – singoli artisti, gruppi, associazioni, persone eccentriche: insomma, quelle anime belle che è essenziale sapere che ci sono. E sono tante.
Ho fatto diverse proposte in redazione e tra queste è stata scelta “Stella del sud”, una storia di riscatto, di rinascita, di sport e della passione che ha dentro lo sport. Le storie dei rifugiati e di chi li accompagna nel loro percorso di crescita – atletica, linguistica, umana – andava raccontata nella sua unicità.
Ho girato il servizio qui al Palavignola di Caserta, con un operatore della Rai.
Diversa la visita in redazione con le classi, al plurale. Quarantaquattro studenti dell’ISISS Terra di Lavoro, tre insegnanti (con me Antonietta Mastrobuono e Rosalba Loreto), un pullman, una grande curiosità addosso. Un’occasione, per noi insegnanti, di portarli in un luogo dove si leggono i libri – cioè quello che noi facciamo in classe – ma in un modo diverso. E poi c’è l’opportunità di toccare la magia della televisione, dove tutto sembra così fluido, facile, spontaneo. Invece è frutto di lavoro, preparazione, impegno. E questo lo puoi capire solo se sei lì, se leggi il copione, se vedi il regista che indica i tempi al conduttore, se ti senti sovrastare dalle luci e dalle macchine da presa, se guardi gli schermi e vedere il tuo volto quasi ti fa paura. E’ una esperienza che tutti dovrebbero fare. Non per apparire in televisione, ma per entrarci dentro. Come Alice nel paese delle Meraviglie, diventi piccolo, grande, ti sembra di vederti per la prima volta, non riconosci niente di te. Metti in gioco te stesso e la tua identità.
Infine, ogni esperienza vissuta, con la scuola, fuori dalla scuola – ne sono convinta e per questo ne promuovo sempre tante e diverse i ogni anno scolastico – deve farti venire una gran voglia di mondo, di conoscerlo ancora di più, ancora meglio.
Qual è stata la prima cosa che ti hanno detto i tuoi studenti dopo la fine della diretta?
Professorè!
(è una parola che ha dentro frasi intere, come sempre. Ieri più di sempre, accompagnata com’era da sorrisi e occhi belli e lucidi.)
Grazie, Marilena