Il tempo degli amaranti
Di Roberta Magliocca
Alberto e Silvana crescono a Napoli negli anni 50, vicini di casa e legati a doppio filo nella vita e nell’affetto, con la benedizione delle famiglie, fino all’inevitabile matrimonio e alla nascita di due bambini. Ma l’inquietudine di Alberto nasce da un pensiero segreto, che esplode nella maturità e prende vita nel momento della morte dell’amata (e castrante) madre: Alberto è attratto dagli uomini. Dopo avere vissuto per anni una doppia vita esaltante e tormentata nello stesso tempo, Alberto decide di scrivere una lettera a Silvana, confessandole la propria omosessualità ed il desiderio di fuga, per non sprecare ancora gli anni che restano. Sarà lo stesso Alberto a presentare alla moglie l’uomo che ne prenderà il posto nella casa e nel cuore. Gli anni di auto-esilio termineranno quando Alberto, a causa di un grave incidente, sarà operato e salvato proprio dal figlio, nel frattempo divenuto stimato chirurgo, e che darà il via alla riconciliazione con la famiglia intera, a dimostrare la possibilità di un’altra idea di nucleo familiare, meno tradizionale.
Una storia vintage quanto attuale quella de Il tempo degli Amaranti di Antonio Mocciola per la Milena Edizioni
Quella di una facciata da presentare ad una società che chi sa quale Dio gli ha imposto essere quella giusta, quella sana, quella nata dalla parte divina del mondo. Il sabato la spesa, la domenica in chiesa. Ed Antonio, con ironia pungente, si è mostrato detentore di un’intelligenza rara che si oppone a chi crede invece di detenere verità assolute ma assolutamente prive di contenuto. E a pennellate di colore ci ha posto davanti agli occhi la nostra società, così affidabile nella sua perfetta ignoranza. E così il gay ci sta bene se è quello di un’immagine a tinte forti e perverse, quello da orge e festini, da scopate in vite di latex e aids dietro l’angolo. Ci sta bene perché è riconoscibile con quelle sue movenze da frocio e la voce da checca. Quelli sono i gay che ci piacciono, quelli che ben vediamo e che quindi possiamo ben emarginare e deridere, metterli sul gradino più basso della scala sociale in modo da far sembrare noi, perfetti eterosessuali in alto, vicino ad un padre eterno che – se c’è – si vergognerebbe. Ma l’omosessuale in giacca e cravatta, l’uomo che ci porta la pizza, il garzone della spesa, la cassiera del supermercato, il nostro commercialista, loro no. Gli uomini e le donne che ci entrano in casa, nelle vite, nei letti. Quelli sì che sono gli omosessuali che ci fanno paura. Perché assolutamente uguali a noi, perché in loro nessuna differenza salta all’occhio, nessun comportamento che possiamo etichettare come sbagliato, nessun monaco dall’abito giusto, se non una vita privata che tale deve rimanere e che dovremmo imparare a rispettare.