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Cinema

barsotti
Cinema

Leandro Barsotti: alla scoperta della mia interiorità

scritto da L'Interessante

Di Christian Coduto

Un po’ di tempo fa, quando i social erano solo un miraggio, l’unico modo per contattare il tuo cantante preferito era navigare sul suo sito ufficiale. Un click ti indirizzava su una casella di posta elettronica e lasciavi lì la (remota) speranza di ricevere una risposta.

Con Leandro feci la stessa identica cosa, un po’ demoralizzato e disincantato. A sorpresa, invece, ricevetti una e-mail di risposta quasi immediata, con tanto di saluti a mia madre, sua grandissima fan.

Pochi giorni dopo mio padre morì, lasciandoci spiazzati. Leandro mi inviò un messaggio molto tenero, che conservo ancora gelosamente.

Intervistarlo, oggi, mi dà l’idea di chiudere un cerchio, di dare un ulteriore senso a quel momento.

Leandro Barsotti si racconta …

Immagina di essere seduto sul lettino di uno psicologo: chi è Leandro Barsotti?

Oh Signore (ride) … Leandro Barsotti è un uomo che è riuscito a vivere delle esperienze artistiche bellissime. Ho sempre avuto la passione per la scrittura, sin da quando ero ragazzino: racconti, poesie, canzoni … ho sempre cercato di ricercare me stesso attraverso la scrittura. Ho suonato con varie band fino a quando non c’è stato l’incontro con Mara Maionchi alla quale, semplicemente, avevo spedito in precedenza la classica cassetta con alcune canzoni che avevo composto. Ho avuto l’opportunità di lavorare per dieci anni con Michele Canova che, ora, è il produttore italiano numero uno. Una collaborazione divertente, che mi ha permesso di imparare tantissimo.

 

Leandro Barsotti è un cantante, ma anche un giornalista. Come riesce a far coesistere queste due anime?

In realtà è stato più difficile quando ero sotto contratto con la RCA. Quando uscì l’album “Vitamina” mi ritrovai con un numero di impegni lavorativi incredibile, tanto che fui costretto a mettermi in aspettativa dal giornalismo. Ora è tutto più gestibile: canto di meno e mi dedico maggiormente alla scrittura. Lavorare per un giornale mi piace moltissimo: negli ultimi anni mi sto dedicando alla parte web, faccio diversi video … la cosa mi gratifica tanto.

 

Un successo radiofonico forte, di grande impatto, con una canzone deliziosa: “Mi piace” …

“Mi piace” l’ho scritta in un momento della mia vita in cui ero molto, ma molto innamorato. Sai come funziona no? In quei momenti vedi tutto bello … i sorrisi … quando il cuore è assaltato da questa rivoluzione che chiamiamo sentimento, le cose le vediamo in un’ottica completamente diversa. Con quel mood scrissi quindi un brano di estrema positività che ebbe grande successo. Evidentemente, in quel momento (e non solo), le persone avevano bisogno di cose positive, felici. È necessario ricordarci sempre che ognuno di noi ha bisogno di essere caricato di frasi, suggestioni e sensazioni appaganti. Viviamo in un mondo che ci invia troppo frequentemente cose negative.

 

“Voglio che mi ami”, invece, è una ballata struggente, dolorosissima. Una scelta folle, proprio perché destabilizzante. Ti piace rischiare, stravolgere le carte in tavola? Solitamente, in Italia, se fai musica dance, sei obbligato a farla in eterno …

“Voglio che mi ami” fa parte di “Vitamina” proprio come “Mi piace”, però la scrissi prima, proprio in un momento di grande sofferenza amorosa. Il disco venne inciso durante l’estate e venne distribuito durante l’inverno. Il fatto è che l’acquirente ascoltò le canzoni in una successione radiofonica, ma quella di scrittura fu completamente differente. “Mi piace” è stata una delle ultime, insieme a “Quando sei vicino a me”.

Per ritornare a ciò che dicevi: sì è vero … non mi sono mai adattato alle regole del mercato. Non ho più scritto, giusto per dire, una nuova “Mi piace”. E’ bello fare, artisticamente, sempre cose diverse, cose nuove.

 

Ed arriva Sanremo 1996: “Lasciarsi amare”. Che ricordi hai di quella esperienza?

Un ricordo un po’ di sofferenza (lo guardo stupito). Mi spiego meglio: non era questa la canzone che avrei voluto portare al Festival. Poi, con Pippo Baudo, la mia casa discografica, i miei produttori si decise per “Lasciarsi amare” … questa cosa mi preoccupò molto, perché è un brano di difficile interpretazione, avevo paura di sbagliare.

Ora come ora, però, sono contento di averla interpretata: è cresciuta molto, nel tempo. Sicuramente ha un senso più profondo, rispetto a venti anni fa. Non a caso, è ancora molto trasmessa dalle radio.

 

L’anno successivo ritorni a Sanremo con la vivace “Fragolina”. Come in ”Vengo a dirti che ti a” o “Fammi un sorriso” offri al pubblico un tuo lato fumettoso, adolescenziale.

Hai detto una cosa bellissima! Purtroppo pochi, all’epoca, capirono: quella canzone era proprio un fumetto. Ascoltandola bene, ti accorgi che è un gioco, è sognante. Era quella l’idea: costruire un brano giocoso. Michele Canova, ancora oggi, quando ci sentiamo mi dice “Per me, quella è una delle canzoni più belle che abbiamo fatto insieme!”. “Fragolina” era una canzone strana … in quel momento fu davvero rivoluzionaria. Purtroppo, come spesso accade, le cose particolari non vengono capite e venni eliminato la prima sera. Più che per l’eliminazione, mi è dispiaciuto il fatto che le radio non abbiano capito lo scopo del brano.

 

Le sue risposte profumano di consapevolezza. Piccoli rimpianti, piccole incompletezze, ma nulla gli ha impedito di essere l’uomo che è ora. E’ molto padrone di ciò che vive.

Nell’album “Bellavita” c’è spazio anche per “Luca e Marco” …

“Luca e Marco” credo sia una delle prime canzoni italiane a narrare di una relazione tra uomini. Io l’ho scritta dopo essere stato ispirato dai racconti di un mio amico che, appunto, si chiama Marco. Volevo parlare di una storia d’amore nel modo giusto; erano gli anni ’90 … tante cose, per fortuna, sono cambiate. Volevo evitare gli stereotipi legati all’amore omosessuale. I film di quel periodo, i programmi televisivi, i libri erano pieni di luoghi comuni e la cosa non mi piaceva.

Purtroppo non c’è stata la possibilità di promuoverla radiofonicamente, però l’ho proposta regolarmente durante i concerti.

 

Mi parli un po’ di “Il silenzio dell’anima”, un brano al quale tu sei molto legato?

 

E’ una canzone che ha avuto un percorso un po’ travagliato: l’abbiamo scritta e riscritta almeno due, tre volte. E’ una brano che dà un senso all’album “Il segno di Elia”, che è molto spirituale … quando riesci ad entrare nel tuo silenzio personale, la tua parte interiore, scopri anche un mondo nuovo, totalmente differente dal mondo reale. E’ alla base della ricerca dell’inconscio. Ho composto l’album in un periodo della mia vita in cui avevo incominciato a lavorare sulla meditazione. E’ una ricerca che dovrebbero fare tutti, leggersi dentro. A te capita?

 

 

Sì, durante la notte.

 

(Sorride) La scoperta della propria interiorità ti aiuta a crescere e ti permette di avere una visione più lucida della vita. E’ uno studio molto affascinante.

 

Appunto. Un atteggiamento Zen nei confronti della vita. Meditativo. La voce trasmette quiete. Di sicuro gli eventi possono renderlo (talvolta) meno pacato, ma sa come gestire i momenti no. E’ un lavoro impegnativo, che richiede del tempo.

 

Nel 2007 esce “Il jazz nel burrone”, un strepitoso omaggio a Serge Gainsbourg. Un personaggio scomodo, spesso eccessivo. Alcuni rimasero sorpresi da questa scelta anche se, a ben pensarci, nel 1995 avevi parlato di sesso in maniera piuttosto diretta nel brano “Lo specchio”. Cosa ti affascina maggiormente di questo artista?

E’ giusto quello che dici: “Lo specchio” fu proprio un esercizio linguistico e musicale ispirato a Gainsbourg. Ma se pensi anche a “Vecchio bastardo” dell’album del 1992 “Ho la vita che mi brucia gli occhi”, il discorso è analogo.

Lui era una grande provocatore. Mi piace molto perché era un grande poeta, un innovatore. La provocazione è un bel modo per introdurre elementi nuovi.

L’ho omaggiato, utilizzando le canzoni del periodo jazz degli anni ’60. Le ho tradotte in italiane e ho scritto un libretto allegato al cd, in cui ho raccontato la sua vita. E’ stata la mia prima di esperienza di romanzo.

Tra le altre cose, anche Vasco Rossi, Elio e le storie Tese, gli Skiantos, Gino Paoli, Piero Ciampi, Luigi Tenco sono stati dei grandi provocatori. Il nostro cantautorato ne è ricco.

 

Leandro Barsotti esordisce nell’ambito letterario con “L’amore resta”, ti va di parlarcene?

La mia idea era quella di condividere l’evoluzione del sentimento.

In una canzone tu racconti un momento.

L’amore è fatto di momenti gioiosi, attimi dolorosi, momenti in cui hai bisogno di chiuderti in te stesso, tempi di riflessione e così via. Ognuno di questi momenti produce in te un cambiamento o, comunque, una conoscenza di te e dell’altra persona. Tutti questi momenti, però, sono delle finestre. Io volevo scrivere una storia in cui provare a raccogliere l’evoluzione delle emozioni: dall’amore passare al disamore fino all’incontro con un nuovo amore. Il protagonista esce da una storia d’amore ed entra in un’altra, dopo un periodo di grande riflessione. Quello che impara è che tutte le esperienze che ha avuto in amore, per quanto possano essere felici o dolorose, rimarranno sempre dentro di sé. Nulla sarà mai perduto: tutto contribuisce a renderlo la persona che è oggi.

 

Una sensibilità profonda, matura. Legata sicuramente alle mille esperienze che ha vissuto. Parlare con lui è stimolante, ti spinge a riflettere, porti delle domande e cercare avidamente delle risposte …

 

La tua vena compositrice segue strade sempre differenti: non ti sei fatto mancare nemmeno una piccola svolta dance, scrivendo “I love you” per Sabrina Salerno …

Per un lungo periodo io e Sabrina ci siamo visti spesso. Lei vive a Mogliano Veneto, io a Mestre, in più sono amico del suo compagno. Michele Canova lavorava sia con me sia con lei. Un giorno, mentre lei era in studio per preparare il suo nuovo album, la raggiunsi e lei mi chiese di darle una mano. “I love you” ebbe grande successo in Spagna. In realtà, per l’album composi anche un altro brano, ma non venne pubblicato, peccato: era molto forte.

In quel periodo scrissi anche per I ragazzi italiani, per esempio, ma anche per Marco Morandi, Riccardo Fogli e Il Migno…

 

Ultimo film visto al cinema, ultimo cd acquistato, ultimo libro letto, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.

“La battaglia di Hacksaw Ridge” di Mel Gibson, che mi ha colpito molto.

Sto ascoltando a ripetizione Gazzelle e i singoli di Frah Quintale, mi piace tanto la realtà indie, offre delle belle novità nella musica italiana.

“Sono stato più cattivo”, l’autobiografia di Enrico Ruggeri. Enrico è un mio amico, trascorreremo in questi giorni una serata insieme.

A teatro manco da tempo. Però recentemente ho visto uno spettacolo di cabaret di Marco e Pippo.

 

Cinema e musica vanno di pari passo. Qual è il film della vita di Leandro Barsotti e perché?

Il film della mia vita è “Betty Blue”. Lo vidi in Francia anni fa, avevo venti anni. Da allora l’ho rivisto più volte. Ogni tanto, rivedo delle sequenze da youtube. Conservo ancora il poster. Non saprei dirti il perché di questo amore … mi colpì Beatrice Dalle. Per non parlare della colonna sonora, fantastica!

Poi, giusto per dire, amo tantissimo anche il cinema di Woody Allen.

 

Cosa dobbiamo attenderci da Leandro Barsotti nell’immediato futuro?

Sto scrivendo il mio secondo romanzo; è una storia in cui credo molto. Non vedo l’ora di terminarlo e pubblicarlo.

 

Ed ora tira fuori il Marzullo che c’è in te: fatti una domanda e datti una risposta

“Leandro, in questo momento della tua vita, ti puoi definire felice?”

“Sì, sono felice, perché ho raggiunto molti obbiettivi che stavo cercando nella vita e ne ho altri da raggiungere … la vita è soprattutto lavorare per raggiungere degli obbiettivi. Quando ottieni un risultato sei felice, ma la gioia è temporanea, dura pochi giorni. La storia di evoluzione per arrivare al traguardo è sicuramente più affascinante”.

 

E che questo viaggio sia sempre ricco di emozioni, Leandro. Da raccontare e condividere, volendo, con chi ti segue da tanti anni.

Leandro Barsotti: alla scoperta della mia interiorità was last modified: settembre 25th, 2017 by L'Interessante
25 settembre 2017 0 commenti
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Limite
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Il nostro limite al Duel il 16 settembre

scritto da L'Interessante

Limite

Di Christian Coduto

 

Il secondo cortometraggio di Adriano Morelli sarà l’evento di sabato 16 settembre al Duel Villaga Caserta. Dopo “La condanna dell’essere” (interpretato da Maurizio Casagrande e Massimiliano Rossi), il regista casertano affronta un tema delicato: la difficoltà, per una coppia omosessuale, di vivere serenamente il proprio amore. Il corto, scritto dallo stesso Morelli e dall’attrice Elena Starace, è interpretato da Gianfranco e Massimiliano Gallo, Emanuele Vicorito e Giovanni Buselli (Gomorra), Marco Mario de Notaris e Toni Tammaro.

Al termine della presentazione, un’esibizione del musicista Marco Mantovanelli.

L’appuntamento è alle ore 20.45. Ingresso gratuito.

Di seguito, il comunicato stampa.

 

COMUNICATO STAMPA

Adriano Morelli presenta al Duel Village IL NOSTRO LIMITE

con Gianfranco e Massimiliano Gallo, Elena Starace e tanti altri

 

Sabato 16 settembre ore 20.45 in via Borsellino a Caserta – Ingresso gratuito

Il giovane regista casertano Adriano Morelli presenta al Duel Village il suo secondo cortometraggio ‘Il nostro limite’, scritto a quattro mani con l’attrice Elena Starace. Sabato 16 settembre alle ore 20.45 la proiezione e a seguire il dibattito in sala con il regista e tutto il cast. Tra i protagonisti i fratelli Gianfranco e Massimiliano Gallo, i talentuosi Emanuele Vicorito e Giovanni Buselli (reduci dal successo della fiction Gomorra), Marco Mario de Notaris, Elena Starace, Toni Tammaro, Carla Carfagna, Adele Vitale. La storia è quella di due omosessuali costretti dalla società nella quale vivono a nascondere i propri sentimenti e a condannarsi all’infelicità. Il corto è stato girato interamente tra Caserta, Santa Maria Capua Vetere ed Ercolano. Tra le location il tribunale penale e il mercato di Resina. Subito dopo la presentazione anche un live del musicista Marco Mantovanelli che ha composto uno dei brani della colonna sonora del corto. La seconda opera di Adriano Morelli, che aveva già riscosso un notevole successo di pubblico e critica con ‘La Condanna dell’essere’ interpretato da Maurizio Casagrande, Massimiliano Rossi ed Elena Starace, è stata realizzata anche grazie al supporto della Sly Production di Silvestro Marino. Tra gli sponsor Villa Aloja, Birrificio Malto Reale, Feudi San Gregorio. Ingresso gratuito

TRAMA

Scegliere di vivere nella verità è forse la più bella forma d’amore. Due giovani omosessuali, innamorati, nati e cresciuti nel quartiere del mercato di Resina a Ercolano sono costretti a non scegliere, a vivere nell’ipocrisia, a testimoniare il falso, a condannarsi all’infelicità. Guardano tutta la loro vita davanti a una finestra. Il tempo passa, ma non cambia mai niente.

 

Per informazioni e contatti

3393167253

3481149417

ufficiostampaduelvillage@gmail.com

www.duelvillage.net

Il nostro limite al Duel il 16 settembre was last modified: settembre 12th, 2017 by L'Interessante
12 settembre 2017 0 commenti
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Cenerentola
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Gatta Cenerentola al Duel il 15 settembre

scritto da L'Interessante

Cenerentola

Di Christian Coduto

 

La nuova stagione cinematografica del Duel village Caserta si apre con una gustosa anteprima: “Gatta Cenerentola”, il film di animazione liberamente ispirato alla fiaba di Giambattista Basile. In sala, i registi Alessandro Rak, Ivan Cappiello e Dario Sansone. A far loro compagnia, il noto attore Massimiliano Gallo, che nel film dà la voce all’avido Salvatore Lo Giusto.

“Gatta Cenerentola” è il primo di una lunga serie di eventi che si terranno al Duel che, quest’anno, darà ampio spazio ad ospiti e proiezioni importanti, sia nella programmazione tradizionale, sia nell’ambito delle rassegne del Caserta Film Lab e dell’Independent Duel.

Di seguito, il comunicato stampa.

 

COMUNICATO STAMPA

Registi e cast di GATTA CENERENTOLA

Inaugurano la nuova stagione del Duel Village

 

Venerdì 15 settembre ore 20.45 in via Borsellino a Caserta

Sarà ‘Gatta Cenerentola’, liberamente ispirato alla fiaba senza tempo di Giambattista Basile, ad inaugurare il ciclo di incontri d’autore della nuova stagione cinematografica del Duel Village di Caserta. Venerdì 15 settembre alle ore 20.45 si confronteranno con il pubblico i registi Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone e l’attore Massimiliano Gallo. Il film di animazione, realizzato a Napoli dagli autori e dai produttori de ‘L’Arte della felicità’, è in concorso nella sezione Orizzonti della 74esima Mostra internazionale del Cinema di Venezia. Nel cast anche Alessandro Gassmann, Maria Pia Calzone, Mariano Rigillo, Renato Carpentieri, Ciro Priello e tanti altri. La storia, seppur rivisitata, è quella di una giovane Cenerentola che, rimasta orfana dopo la morte del padre, è costretta ad obbedire alle sorellastre e alla matrigna. La sua vita è avvolta nel silenzio e come una vera gatta taciturna si muove felina a bordo della nave Megaride ma la sua indole ribelle presto salterà fuori anche grazie ad un poliziotto che non si arrende facilmente e che riesce a vedere oltre le apparenze. Gatta Cenerentola non è però un cartoon per bambini bensì un’opera corale sulla Napoli di oggi. I quattro registi – Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone – hanno deciso infatti di recuperare la versione originaria della fiaba seicentesca e di introdurre tematiche e personaggi della nostra epoca. Tra questi una sorta di camorrista che vorrebbe trasformare il porto di Napoli in un gigantesco centro per lo spaccio di droga. A curare la colonna sonora Enzo Gragnaniello – nella duplice veste di autore di uno dei brani e di doppiatore – (ha dato voce allo sciamano, fidato sgherro del re), i Foja (che avevano già firmato le musiche de L’Arte della Felicità), Francesco Di Bella, Daniele Sepe, I Virtuosi di San Martino, Guappecartò, Marlboro Recording Society, Ilaria Graziano e Francesco Forni. Musiche originali di Antonio Fresa e Luigi Scialdone.

TRAMA

Gatta Cenerentola è rimasta orfana dopo che Salvatore ‘o Rre, capoclan del riciclaggio, ha ammazzato suo padre, don Vittorio Basile, uomo di grande ingegno che aveva il progetto di trasformare Napoli in una virtuosa città della scienza. Costretta a vivere in una nave da crociera dismessa nel porto con la matrigna e le sorellastre, Gatta cova in silenzio la vendetta: uccidere Salvatore ‘o Rre e liberare per sempre se stessa e la sua città.

TRAILER

https://www.youtube.com/watch?v=lwRM12OiZK8

 

Per informazioni e contatti

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Gatta Cenerentola al Duel il 15 settembre was last modified: settembre 8th, 2017 by L'Interessante
8 settembre 2017 0 commenti
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Ryan
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Ryan Paris: un cittadino del mondo italiano

scritto da L'Interessante

Ryan

Di Christian Coduto

Parliamo oggi con Ryan Paris, nome d’arte dell’italianissimo Fabio Roscioli.

Avere successo nel mondo della musica è il sogno di ogni cantante. Uscire dai confini del proprio paese sembra un’utopia. Ebbene, quest’uomo è uno dei pochissimi artisti italiani a potersi fregiare di una invidiabile serie di posizioni altissime in tutte le classifiche europee (Regno Unito compreso) grazie a “Dolce vita”, uno dei brani simbolo di quel decennio meraviglioso che sono stati gli anni ’80.

Ma Ryan non deve e non può essere ricordato per un singolo brano: in questa intervista si apre a noi, raccontandoci mille aneddoti legati alla sua carriera che, all’estero, prosegue ancora alla grande. Non a caso, l’artista è appena tornato da un concerto a Copenaghen.

E’, come allora, un ragazzo allegro e vivace. Di un’energia incredibile. Modello Duracell, per intenderci.

Ryan Paris ai microfoni de “L’interessante”.

 

Chi è Ryan Paris?

Allora (Ci pensa su un attimo) Ryan Paris è un cittadino del mondo … italiano e ben felice di esserlo perché credo che gli italiani abbiano delle grandissime doti, delle grandi qualità. Sono romano, per la precisione. Roma, aggiungo, è una città splendida. Sono un cantante …. Ho iniziato a 5 anni perché il fratello di mio nonno era un cantante di musica lirica. Oggi produco musica … ho un team meraviglioso: Matt Heaven, Andy Emme, Alessandro Varzi, Andrea Capizzi e Phil Rizzi… italianissimi. Poi c’è Eddy Mi Ami, che è olandese. Collaboro anche con alcuni produttori polacchi e spagnoli, come Jordi Cubino per esempio, con Magnus Carlsson, che è svedese e con Andreas Fehlauer che è tedesco. Sono un uomo felice.

Un passato di attore e un futuro di cantante. Eri destinato, evidentemente. Quando hai capito che saresti entrato nel modo dello spettacolo?

Se devo essere sincero, anche ai tempi di “La dolce vita” mica sapevo di essere parte del mondo dello spettacolo (ridacchia) … in realtà, ho capito di far parte dello show business alla soglia dei 50 anni (ride di nuovo).

 

Parliamo di “Dolce vita”. 5 milioni di copie vendute. Nelle top 10 di tutta Europa, al quinto posto in UK …

Allora … era il 1982 … io ero alla ricerca di un tastierista per i quarti di finale del primo Festival del Rock al Piper di Roma … ebbene sì: io provengo dal mondo del rock! Il tastierista che faceva parte della mia band ricevette la chiamata militare … panico! Uno dei due batteristi con i quali lavoravo mi parlò di Fabio Liberatori degli “Stadio”, che mi presentò Pierluigi Giombini. Andai a casa sua. Mi fece ascoltare due brani che aveva preparato: “Masterpiece” (interpretata da Gazebo) e “You are a danger” (Gary Low) che, in quel momento, erano rispettivamente al secondo e quinto posto in classifica. Quei suoni mi piacquero tantissimo.

Pierluigi mi fece un grande complimento, dicendomi che la mia voce gli ricordava quella di Steve Winwood.

La sera stessa composi una canzone e la presentai a Pierluigi. Gli piacque.

Un mese dopo uscì “Dolce vita” (sorride).

“Dolce vita” è, inevitabilmente, il tuo brano bandiera. Se dovessi chiederti qual è la tua canzone che preferisci e perché?

“Dolce vita” è una canzone meravigliosa, inimitabile. Però io ho partecipato con pochissime parole alla stesura del testo. Quindi, quelle che sento più mie, sono quelle che ho composto a partire dal 2009.

“Dolce vita” è un’arma a doppio taglio: è una canzone bellissima, ma ti può anche bloccare. Dopo quel successo, infatti, c’è stato un piccolo periodo in cui mi fermai. 

Poi ho ripreso la composizione; la prima fu “I wanna love you once again”, che piacque molto al produttore degli Enigma, che ne fece un bell’arrangiamento anche se, alla fine, non uscì e la ripresi io successivamente. Amo molto “This is your life”, dedicata agli angeli custodi, “Sensation of love”, “It’s my life”, “Buona sera Dolce Vita” … tutte le canzoni che scrivo me le porto dentro, perché sono come delle figlie.

Parla con immensa scioltezza. E’ stanco, ha fatto un lungo viaggio, ma discute con serenità. Parlare di musica, evidentemente, lo fa stare bene, in forma.

Gli anni ’80 hanno ricevuto milioni di critiche, ma ci sono amanti di quel decennio che lo rimpiangono ancora … con gli occhi più distaccati e razionali, che idea hai di quel periodo?

Gli anni ’80 sono un periodo irripetibile nella storia della musica. Certo, non possiamo sapere cosa succederà da qui a 150 anni, però lì avvenne una trasformazione: negli anni ’70 c’era il rock progressive, il punk … poi sono arrivati questi strumenti analogici, con suoni bellissimi. E’ comparsa la figura del produttore musicale distaccato dalla casa discografica e, in più, i grossisti che prendevano i dischi ed erano molto più veloci delle case discografiche stesse. Una creatività enorme e una libertà mai vista prima. 

Ryan

Come vedi la musica del ventunesimo secolo?

Ah, bellissima! Canzoni fighissime: Coldplay, Rihanna, David Guetta … per me la musica è pane quotidiano.

Ryan Paris è un cittadino del mondo. Quali differenze trovi, nel modo di fare musica, in Italia rispetto al resto d’Europa?

Sono sincero: l’Italia, rispetto a quello che siamo riusciti a fare negli anni ’80 e ’90, ha subito un processo di involuzione. Non vedo grandi prospettive: ci siamo fermati a Robert Miles e Gigi d’Agostino. Certo, c’è Laura Pausini, abbiamo Eros Ramazzotti, ma la situazione attuale non la vedo rosea.

E’ un’analisi critica nei confronti del suo paese, che ama da morire. Di sicuro, l’impatto della italo dance degli anni ’80, nel mondo, sembra irripetibile. Comprendo il suo disappunto.

 

E adesso un omaggio marzulliano: fatti una domanda e datti una risposta

Cosa ti aspetti da Ryan Paris nel futuro prossimo? Mi aspetto, in primis, che completi la dieta … ho già perso 12 kg, in più … fare nuovi video delle ultime canzoni. E’ un personaggio che merita, un bravo ragazzo, un ottimo padre di famiglia (scoppia a ridere).

Cosa dire: alla prossima hit!

Ryan Paris: un cittadino del mondo italiano was last modified: settembre 4th, 2017 by L'Interessante
4 settembre 2017 0 commenti
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Porfito
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Mario Porfito: Se sogni, sogna in grande!

scritto da L'Interessante

Porfito

Di Christian Coduto

Il primo incontro con Mario Porfito fu un incrocio improvviso nei pressi del Vomero, diversi anni fa: mi avvicinai a lui, gli strinsi la mano e gli feci i complimenti. Lui sorrise, mi guardò con attenzione e curiosità e, con la stessa eleganza, proseguì per il suo cammino. Ora, a distanza di molto tempo, mi ritrovo ad intervistarlo. Trovo la cosa molto buffa, insolita. Mentre ci sediamo al tavolino del bar per la nostra chiacchierata, noto che mi sta osservando con la stessa attenzione e uguale curiosità di quel giorno.

Sono in compagnia di Johnny, il mio fidato cagnolino, e della mia amica Francesca, che me lo terrà buono per tutto il tempo dell’intervista. Mario Porfito li osserva girovacchiare sotto il sole, a debita distanza da noi e sorride mentre vede Johnny tirare nella mia direzione. “Falli sedere accanto a noi” esordisce “Non ci daranno certo fastidio!”.

Informale, socievole, distinto. Sono le prime parole che mi saltano alla mente.

Mario Porfito parla di sé …

La prima domanda è obbligatoria: chi è Mario Porfito?

Beh, partiamo decisamente bene! Allora … chi sono lo rivela il fatto che non abbia voluto fare l’intervista attraverso i social: sono uno che cerca e apprezza il rapporto umano. Solo parlando, solo dialogando puoi condividere dei momenti di verità. Rispondere in maniera impersonale non fa per me. Nella vita bisognerebbe imparare ad ascoltare gli altri e mettersi nei panni degli altri. Forse è questo il motivo per il quale faccio questo lavoro … l’attore cerca di comprendere le condizioni nelle quali gli altri vivono.

Mario Porfito è un attore, svolge questo mestiere da sempre. E’ un uomo fortunato perché ha avuto l’opportunità di prendere parte al gioco più bello del mondo. Mi sento realizzato.  

Tantissimo teatro, diretto da registi del calibro di Luca De Filippo, Giuseppe Patroni Griffi e Giorgio Strehler. Spettacoli molto diversi tra di loro … cosa hanno lasciato a Mario Porfito da un punto di vista artistico e da un punto di vista umano?

Da un punto di vista umano si tocca la sfera personale e sono inevitabilmente un po’ geloso, riservato.

Nel mio curriculum, questi sono i tre più grandi registi con i quali ho lavorato. Ti dirò: con una punta di orgoglio, posso anche aggiungere di aver collaborato con loro in più di uno spettacolo, non è stato un momento fugace della mia carriera.

L’avventura con Strehler è durata ben 6 anni al Piccolo Teatro di Milano. Quando ti trovi di fronte ad una persona che si impegna al massimo, tutto ciò che puoi fare è dare il massimo con uguale intensità. Giorgio ti spiegava come voleva che venisse rappresentato il personaggio e ci metteva un’energia infinita. Se tu la facevi come faceva lui, si arrabbiava tantissimo, perché non voleva una imitazione pura e semplice, il suo scopo era quello di comunicarti l’intensità, ma voleva che la rendessi tua.

Spesso è stato criticato perché lui era a favore della grandezza della messa in scena, le scenografie erano costosissime, però poi, quando assistevi ad un suo spettacolo, non potevi non emozionarti.

Giuseppe Patroni Griffi lavorava in modo completamente diverso. Ti racconto un aneddoto: mi chiamò per fare “Napoli milionaria”. Studiai a fondo il testo, perché odio non essere preparato a dovere. Io ero convintissimo di sapere tutto di quel testo di Eduardo. Eppure, appena iniziammo le prove, mi resi conto che Giuseppe stava aprendo delle porte dove io avevo visto solo delle pareti. Il suo approccio nei confronti dello spettacolo era basato sulla consapevolezza che non avrebbe mai potuto migliorare Eduardo da un punto di vista delle battute, però era interessato alla vita che c’era tra le battute. Per esempio: il momento in cui ci si riunisce nel basso per prendere il caffè al mattino. Donna Amalia prepara quello che in realtà è un surrogato e arrivano vari personaggi per berlo, pagando pochi centesimi. Giuseppe si inventò, per ognuno dei personaggi, un modo diverso di godersi la bevanda: ognuno di loro girava il caffè nella tazzina in maniera personale. Quel modo di usare il cucchiaino rappresentava lo stato d’animo di ciascuno di loro: il ragioniere faceva un rumore più ritmato, l’operaio girava più lentamente per ritardare il suo arrivo sul posto di lavoro e via dicendo. Era un vero e proprio concertato di cucchiaini … te lo garantisco, un momento molto emozionante. Abbiamo fatto un tournée lunghissima, dalla Sicilia al Nord Italia … dopo questo momento, puntualmente partiva un applauso molto sentito da parte del pubblico.

Giuseppe amava gli attori con i quali lavorava e li osservava sempre con attenzione. Non era solo una guida creativa, in lui trovavi anche una amico che apprezzava le cose belle che avevi da proporre sul palco.

Per ciò che concerne Luca De Filippo, abbiamo lavorato insieme per diversi anni. C’era una vera e propria simbiosi. Con lui ho affrontato i testi più divertenti di Eduardo. Durante le prove, non ci ha mai chiesto di essere divertenti … poi, in scena, le cose cambiavano all’improvviso. Le prove gli erano servite per capire quanto feeling ci fosse tra lui e i vari attori. Sul palco era lui a proporre il gioco e l’improvvisazione. Riuscendo sempre a controllare il tutto, rimanendo nella giusta misura. Era la perfezione.

Questi tre registi mi hanno insegnato l’amore per questo lavoro, la passione. E’ stata una scuola di vita. Ho avuto la possibilità di riuscire a comprendere il significato delle parole cura, attenzione, particolari, concentrazione.

C’è emozione pura nelle parole di Mario Porfito. La sua eleganza affonda le proprie radici nella gavetta che ha affrontato e negli incontri importanti della sua vita. Non riscontro tracce di autocelebrazione, tutt’altro: è molto misurato. Parla molto, coinvolgendoti nei suoi racconti, condividendo le sue idee.

A giudizio di Mario Porfito, credi sia necessaria l’esperienza teatrale per chi vuole intraprendere il percorso di attore? E’ una domanda che faccio spesso, legata al fatto che, al giorno d’oggi, la gavetta sembra essere un optional. Trascorri un paio di mesi in una casa circondata da telecamere e, all’uscita, giri 10 film …

E adesso vuoi farmi arrabbiare, vero? (Risata fragorosa). Che bella provocazione, la tua! Allora (ritornando immediatamente serio) … io provengo da una generazione di attori che hanno avuto la fortuna di poter iniziare questo mestiere partecipando a spettacoli con 20, 30 attori in scena di cui almeno 5, 6 di grande caratura. Per imparare, l’unico modo era metterci dietro le quinte e spiare, rubacchiare. Quello è stato un grandissimo privilegio. Io non ho mai fatto una scuola di teatro, io il teatro l’ho rubato. Poi, ovviamente, questi insegnamenti li ho fatti miei, ho proposto il mio modo di essere, la mia verità. Ci ho messo me stesso. E’ stato un immenso apprendistato, una forma di artigianato attoriale.

Detto questo, non posso credere che si possa arrivare alla recitazione senza aver percorso una strada analoga a quella della mia generazione, senza aver coltivato questo tipo di sensibilità.

Se fai “Grande fratello” non trovi nulla di nulla. Forse, un po’ di popolarità e un po’ di soldi che si potrebbero investire aprendo un bar, per esempio (ridiamo). Ma tutto ciò non è essere attori.

La nostra professione, oggigiorno, viene confusa con l’improvvisazione. Ci sono volti che si prestano di più, televisivamente parlando. A loro non è richiesto essere anche bravi. Devono solo riempire giornali di gossip e quant’altro.

Quando ho iniziato volevo essere Marlon Brando. Un ragazzino, oggi, magari spera di diventare come qualcuna di queste meteore … ebbene: sta sognando decisamente male. Se sogni, sogna in grande … altrimenti che si sogna a fare?

Quest’ultima frase la dice lunga. Perché avere, come punti di riferimento, un gruppetto di coinquilini semi isterici anziché guardare in direzione di chi l’arte la vive e la crea? Bisogna dare un giusto peso alle cose. La nostra vita è ciò che ci viene offerto. Il nostro compito è quello di separare ciò che vale la pena conoscere da ciò che non ci lascerebbe nulla.

Lina Wertmuller ti dirige in “Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti”. Quali differenze hai riscontrato (in termini di empatia, direzione degli attori) quando, alla regia, c’è una donna?

No, non ho mai avvertito differenze di questo tipo, sono sincero. In termini di sensibilità ci sono sicuramente degli elementi interessanti, ma una grande regista quale Lina Wertmuller non ha mai subito la sua condizione di donna.

Considera che “Un complicato intrigo …” è uno dei primi film in cui si parla di droga: il vedere uno spacciatore che buca un ragazzino è un vero e proprio cazzotto nello stomaco.

Lei è molto autoritaria; abbiamo lavorato in diversi film insieme e ci siamo frequentati anche al di fuori dei set cinematografici, avendo diversi amici in comune. A casa sua ha organizzato delle bellissime serate che erano delle straordinarie lezioni di cinema e teatro, il tutto di fronte ad un piatto di spaghetti. Lina, mentre dirige un film, pretende quello che vorrebbe vedere come spettatrice al cinema. E uno spettatore il sesso non ce l’ha, non ha genere. I suoi film devono avere quell’ironia velata, che la contraddistingue anche nella vita di tutti i giorni.

 

E’ stato (e, forse, lo è ancora, da qualche punto di vista) un ottimo alunno. Si è affidato agli insegnamenti di persone che gli hanno regalato il modo più giusto di affrontare una professione che è, soprattutto, un duro momento di autoconsapevolezza interiore.

Mi racconta mille aneddoti e lo fa con un tono pacato. In questo momento, sono io ad essere l’alunno. È una sensazione gradevole, che richiede però molta concentrazione e attenzione.

Mario Martone e l’esperienza di “Morte di un matematico napoletano” …

Stai facendo riferimento ad un film che, personalmente, ho amato moltissimo. Mario, che stimo molto anche a teatro, è un regista che potrebbe mettere in scena qualunque cosa, persino l’elenco telefonico (ridiamo). E’ capace di trasformare ogni situazione in teatro o film; credo che questo sia il suo punto di forza maggiore. Purtroppo, dopo questa pellicola, non ho avuto più la fortuna di collaborare con lui e me ne dispiaccio. C’è molta stima reciproca: ogni volta che ci vediamo, trascorriamo sempre del tempo a parlare dei nostri progetti.

 

Ed arriva la televisione: “La squadra” e il personaggio di Antonio Ramaglia ti donano un’immensa popolarità. Come vivi l’esperienza televisiva? Ci sono molti attori che si possono definire “puristi”: tendono a storcere un po’ il naso nei confronti del tubo catodico …

Io, in realtà, non è che ne abbia fatta molta di televisione. Non a caso, ho sempre pensato di essere un attore teatrale prestato per un periodo alla tv. Detto questo, “La squadra” è una cosa a parte: questa serie è stata realizzata in un periodo in cui Raitre era diretta dal giornalista Ruffini, un uomo di grandissima cultura. La sua idea, in relazione al progetto, era quella di una sorta di telegiornale amplificato. Non doveva essere solo puro entertainment, ma voleva che le storie raccontate venissero contestualizzate.

Gli attori scelti erano tutti provenienti da teatro: oltre a me, Massimo Wertmuller, Renato Carpentieri, Massimo Bonetti …

Se dovessi definirla, per me sarebbe una fiction di impegno civile.

Se vogliamo cambiare un quartiere come Scampia, non serve una macchina della polizia in più, che gira più frequentemente per quelle strade, quanto piuttosto innestare dei meccanismi di emulazione positivi.

Lo stesso Centro Polifunzionale in cui giravamo gli episodi, situato nei pressi della 167, divenne un posto in cui si poteva scoprire, entrandoci, l’esistenza di tantissime professionalità, dagli scenografi ai costumisti, passando per gli attrezzisti e i macchinisti. Spesso abbiamo utilizzato molti dei ragazzi del quartiere come figuranti. E’ questa la scuola che si può offrire ad un quartiere per cambiarlo.

A distanza di anni, io e gli altri colleghi siamo stati avvicinati da alcuni ragazzi che ci hanno rivelato che, dopo aver preso parte ad alcuni episodi della serie, si sono innamorati di questo mestiere e sono diventati macchinisti e così via.

Poi, ad un certo punto, la serie è terminata, purtroppo. Credo che avessimo ancora molto da poter raccontare.

Sono stati 8 anni meravigliosi.

Sai qual è stata la più grande soddisfazione? Spesso abbiamo ricevuto dei complimenti da parte di tanti papà, di vari genitori: “Avevamo paura, timore, di raccontare alcune cose ai nostri figli, volevamo trovare il modo più giusto. Ci avete aiutato”. Non a caso, negli episodi abbiamo parlato di temi importanti quali droga, aids e così via.

L’animo buono di Mario Porfito si rivela in toto. Ha un atteggiamento protettivo, quasi paterno. Autoritario? Chissà … di certo, molto attento all’evolversi delle situazioni.

Interpreti due film con Salvatore Piscicelli, “Blues metropolitano” e “Baby gang”. Quanto è importante, ai fini della riuscita del progetto, l’empatia tra un regista e gli attori coinvolti?

Certo, sicuramente!

Salvatore, tra le altre cose, è stato il primo a raccontare un Napoli diversa, così come è stata descritta poi da tante fiction e tanti film, almeno venti anni dopo. Ha anticipato i tempi, anche a costo di scontentare i gusti di un pubblico medio. La gente, all’epoca, inorridiva di fronte alle storie che mostrava. Pensavano che quei microcosmi non gli appartenessero … solo più tardi, si è resa invece conto che quei personaggi vivevano sul loro stesso pianerottolo. Forse, c’era solo il rifiuto di accettare tali situazioni. Questa, credo, sia stata la sfortuna di Salvatore, al quale poco è stato riconosciuto. Avrebbe meritato indiscutibilmente di più. Restano alcune pellicole bellissime, come “Le occasioni di Rosa”, cinematograficamente straordinario.

 

Mario Porfito porta la sua immensa professionalità sia nel mainstream sia in progetti indipendenti. Quali sono i punti di forza e i punti deboli del lavoro indie?

I punti di forza sono la creatività e la capacità di raccontare senza costrizioni, in maniera libera. Un regista che affronta un progetto indie per la prima volta, ha un coraggio ammirevole.

“Romeo e Giulietta” è la storia d’amore più famosa … quanti hanno parlato d’amore al cinema? Eppure c’è sempre una nuova chiave da rappresentare. Ogni volta ne rimango sorpreso. Queste novità danno sempre nuova linfa al mondo del cinema.

I registi indie sono sicuramente più aperti nei confronti delle nuove grammatiche di racconto.

Persino gli americani affidano progetti multimilionari a ragazzi giovanissimi, di 27/28 anni, perché sanno che questi cineasti daranno uno sguardo diverso, più fresco.

Poi, sia chiaro: l’indipendente deve andare di pari passo con le qualità artistiche. Se l’indie viene accompagnato dalla cialtronaggine, non è più cinema.

“Il sogno nel casello” di Bruno De Paola, nonostante il budget limitato e i mille intoppi distributivi, è diventato un vero e proprio cult. Secondo te, il pubblico è davvero così impreparato alla novità?

Bruno De Paola è stato uno dei registi de “La squadra”. E’ un ottimo regista. Il suo sogno era quello di esordire con un lungometraggio. Quando mi ha contattato, ho accettato con entusiasmo perché mi è piaciuto il progetto all’istante. E’ chiaro, i mezzi sono ridotti e talvolta i limiti si riconoscono, però mi è sembrato giusto partecipare. Mi fa piacere che tu l’abbia ricordato in questa intervista.

Ritornando alla tua domanda … no, il pubblico non esiste in quanto entità omogenea. Esiste la proposta. Alle persone devono essere offerte le cose, le alternative. Starà poi a loro la decisione di sceglierle o meno.

Purtroppo, molti produttori sono convinti di conoscere i gusti del pubblico. Questo determina un appiattimento generale dell’offerta. Non si possono intercettare le preferenze degli spettatori.

Di sicuro, quando ci sono qualità, professionalità e impegno le persone gradiscono ciò che gli proponi.

Non cambia quasi mai il tono della voce nel corso dell’intervista. Tende però a difendere le sue idee in maniera schietta, con una punta di orgoglio. Ha stima per il suo lavoro e quello dei suoi colleghi. Il rispetto prima di tutto.

Le mille anime di Mario Porfito: dal drammatico alla commedia. C’è un ruolo che vorresti interpretare e che non ti hanno ancora offerto?

Non saprei dirti sai? Sicuramente c’è qualcosa che vorrei esprimere, ma che non ho ancora espresso. Questa sensazione io l’avverto, ma non saprei spiegartela né tantomeno quale ruolo la potrebbe contenere, nel caso. C’è la voglia di raccontare altri miei stati d’animo, che forse non ho ancora trovato nei personaggi che mi hanno offerto. Ma un ruolo preciso non te lo so dire così, su due piedi.

Giusto per dire: se interpretassi un serial killer troverei delle sfumature stimolanti, ma le stesse potrei ritrovarle recitando il ruolo di un impiegato di banca.

Domanda multipla: ultimo film visto al cinema, ultimo libro letto, ultimo cd acquistato, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.

“La tenerezza” di Gianni Amelio. Mi è piaciuto davvero tanto. Nel cast, un Renato Carpentieri strepitoso. Sai cosa mi fa arrabbiare? Solo ora il cinema italiano si sta accorgendo di lui. Questo dimostra come il pubblico e la critica siano ancora distratti. Con Renato ho lavorato spesso, anche a teatro, lo conosco bene. Credo sia, in assoluto, uno dei migliori attori italiani.

Al momento sto leggendo “La strada degli americani” un libro di Giuseppe Miale di Mauro. Molto interessante, ne consiglio la lettura.  Tra le altre cose, tra un libro e l’altro, ritorno sempre a Simenon, uno dei miei autori di riferimento.

Cd non ne compro da tempo. Ho sempre amato i cantautori italiani come Ivano Fossati. Quel tipo di musica non lo trovo più in giro. Qualche volta mi lascio un po’ trasportare dalle canzoni che mi postano sui social.

A teatro ho visto “Spoglia-Toy” di Luciano Melchionna, all’Accademia delle Belle Arti. Uno spettacolo molto riuscito. Luciano è stato in grado di dare un’immagine del mondo del calcio cinica, vera e con il giusto distacco. Tra i calciatori, a me è capitato il bravo Lorenzo Balducci.

Al termine di questa domanda Mario Porfito mi chiede di riportare tutto quello che, di buono, ha detto dei suoi colleghi. Non è in competizione con nessuno, riconoscere i pregi degli altri, non lo renderà di certo inferiore o meno bravo. Questo equilibrio caratteriale è estremamente invidiabile.

Cosa dobbiamo attenderci da Mario Porfito per questo 2017?

Allora … da me dovete solo aspettarvi il mio impegno a coltivare questo lavoro nel migliore dei modi possibili. In aggiunta a ciò, durante l’inverno interpreterò “Dì che ti manda Picone”, scritto da Elvio Porta. E’ il seguito della storia del film ”Mi manda Picone”. E’ la storia del figlio di quel Picone, che viene avvicinato da un gruppo di politici (essendo lui il figlio di un eroe del lavoro) che gli propongono di candidarsi alle elezioni per poi poterlo utilizzare a loro piacimento per intrallazzi vari. Il protagonista è Biagio Izzo, in un ruolo assolutamente nuovo.

Terminiamo con una marzullata : fatti una domanda e datti una risposta

E’ finita l’intervista? Mi auguro di sì! (Scoppia a ridere).

Mario Porfito termina così, in leggerezza. Nel momento in cui ci saluta, mi dona una pacca sulla spalla, quasi per dire “Chissà, magari un giorno troverai una chiave per interpretare quello che ci siamo raccontati oggi pomeriggio”.

L’osservo allontanarsi, con quel passo elegante e delicato. “Se sogni, sogna in grande” ha detto prima … mi piacerebbe, nel tempo, conquistare parte di quell’equilibrio che lo contraddistingue. Credo che questo sogno, in quanto tale, sia grande abbastanza …

Mario Porfito: Se sogni, sogna in grande! was last modified: agosto 31st, 2017 by L'Interessante
31 agosto 2017 0 commenti
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Villammare Film Festival 2017

scritto da L'Interessante

Villammare

Di Christian Coduto

Al via la XVI edizione del Villammare Film Festival, Salerno.

Dal 27 al 30 agosto, una lunga serie di eventi dedicati al cinema e al mondo dello spettacolo, con tanti ospiti in programma.

Ce ne parla, oggi, Andrea Axel Nobile, consulente artistico del Festival. Sempre indaffarato e ricco di trascinante simpatia, Andrea ci parla un po’ della rassegna …

Gli eventi del Villammare Film Festival 2017

“Il Festival nasce da un’idea di Alessandro Cocorullo, direttore di 105 Tv e direttore artistico del Villammare Festival. Lo scopo è quello di valorizzare il territorio, attraverso il cinema. È un’attrattiva turistica e culturale allo stesso tempo. E’ nato 16 anni fa; io lavoro lì come consulente da 3 anni. Daria Scarpitta, giornalista cilentana di “Costume e società” da sempre attenta alle tematiche sociali e culturali, condurrà le serate in programma, oltre a supervisionare il progetto. Abbiamo cercato di invitare artisti che, tra cinema e fiction, si sono distinti durante la precedente stagione. L’attore Giulio Scarpati, amatissimo dal pubblico, aprirà le danze. Ogni serata ospiti importanti: il 28 l’attrice Daniela Poggi, insieme al regista Ciro Formisano, presenteranno in anteprima nazionale il film “L’esodo”; insieme a loro, Kiara Tommaselli, Emanuela Tittocchia e Cinzia Mirabella. Il 29 il grande evento con il concerto di Nicola Piovani e la serata di gala conclusiva il 30. Dal 27 al 29, ci saranno 4 cortometraggi a serata, per un totale di 12 cortometraggi. Nella serata conclusiva sapremo poi chi ha vinto e i vari premi speciali. Ospiti dell’ultima serata, l’attore Francesco Paolantoni, Cristina Donadio, Yuliya Mayarchuk, Fabio Massa e i vari registi dei corti. Il nostro intento è quello di dare spazio al cosiddetto cinema sommerso, indipendente, che non sempre riesce ad avere la giusta voce che meriterebbe. La grande forza del Villammare è sicuramente la coesione della squadra organizzatrice”

 

Questo il comunicato stampa:

  

GIULIO SCARPATI DARA’ IL VIA AL VILLAMMARE FILM FESTIVAL 2017

Un cast ricco di stelle quello della XVI edizione del Villammare Film Festival che tornerà a portare il cinema sul territorio e tra la gente in piazza Portosalvo dal 27 al 30 Agosto. L’apertura della manifestazione, organizzata dall’Associazione Villammare Film Festival-Golfo di Policastro in collaborazione con 105 Tv e con il contributo del Comune di Vibonati, sarà davvero di grande rilievo perché sarà assegnata all’apprezzato attore di teatro, cinema e tv Giulio Scarpati. Sarà lui, l’indimenticato interprete di Lele in “Un medico in famiglia” e di Livatino ne “Il giudice ragazzino” e il premiato performer di intensi pezzi teatrali, a tagliare il nastro del Villammare Film Festival. Salirà sul palco il 27 Agosto dando il via alla kermesse che, nella prima serata, offrirà anche la visione di un film girato in parte anche alla Certosa di Padula dal titolo “My Italy”, un viaggio tra arte e cinema che verrà presentato direttamente agli spettatori dal regista Bruno Colella. Il 28 Agosto il Villammare Film Festival si animerà di sofferte riflessioni. Protagonista assoluta sarà l’attrice e conduttrice Daniela Poggi amata anche per l’impegno nel sociale. Al Festival porterà un’anteprima importante. Ad un passo dall’uscita nelle sale verrà proiettato, infatti, il film “L’Esodo” che trasferirà per la prima volta sul grande schermo il drammatico tema degli esodati. La Poggi interpreta Francesca, ispirandosi ad una storia vera di una donna costretta a dare una dignità alla sua vita e un futuro ai suoi affetti in estreme condizioni economiche. A presentare il film con la Poggi il 28 Agosto ci saranno anche il regista Ciro Formisano e le bellissime attrici Kiara Tomaselli e Emanuela Tittocchia. Il 29 agosto, come è abitudine, il Festival tornerà a rivolgere l’attenzione alle colonne sonore d’autore. Ospite sarà il premio Oscar Nicola Piovani con un programma da non perdere. Metterà in scena lo spettacolo “La musica è pericolosa”, un viaggio biografico-musicale nel percorso compiuto dal compositore e che lo ha portato a collaborare con De Andrè ma anche con grandi registi italiani e stranieri. Un’altra occasione unica sul territorio campano targata Villammare Film Festival per scoprire e ascoltare con nuovi arrangiamenti l’eterna opera di Piovani. Il 30 agosto sarà poi il momento del gran finale per conoscere il vincitore della XVI edizione della gara tra corti. Tanti gli ospiti che animeranno la serata, il regista del film “AEffetto Domino” Fabio Massa, la bellissima Yuliya Mayarchuk, amata interprete di fiction tv, da R.I.S. – Delitti imperfetti a Distretto di Polizia, da Don Matteo a Il commissario Montalbano, e reduce dal successo de “La Porta Rossa”; l’attrice Cristina Donadio, spesso interprete per Pappi Corsicato  e personaggio femminile di ferro in Gomorra – La serie dove è Annalisa Magliocca, detta Scianèl, tenebrosa boss in gonnella; infine, il mattatore Francesco Paolantoni , ideatore di mitici personaggi di Mai dire Goal, interprete di teatro, tv e cinema. La sua simpatia illuminerà la notte del 30 agosto. A completare la carrellata di vip e personalità del mondo del cinema e della cultura saranno i volti che siederanno in giuria: il critico cinematografico Vittorio Giacci che è stato tra l’altro  Direttore generale di Cinecittà International; Direttore della Istituzione Roberto Rossellini e Collaboratore della Biennale Cinema, il regista Nino Russo, storico Amico del Festival, l’attrice Egidia Bruno, celebre per la sua collaborazione con Jannacci e la sua vena ironica che emerge in molti dei suoi scritti e nelle interpretazionicome ad esempio al Pippo Chennedy Show, l’artista e scenografa Mimma Russo, l’attrice Cinzia Mirabella, il casting director e consulente artistico del Festival Andrea Axel Nobile, il giornalista Gaetano Bellotta. Numerosi i momenti di spettacolo offerti nel corso delle serate: tra di essi l’ouverture alla serata finale dove un quartetto composto da alunni del Liceo Musicale “C. Pisacane” di Sapri, assieme agli abiti da sposa di “Fevian Department Store” di Polla, ricreeranno l’atmosfera magica del cinema, e il sottofondo musicale di Dj Teus che accompagnerà l’ultimo dopocinema gastronomico. Ancora quattro gli appuntamenti con il gusto al termine delle serate. Le Delizie del Cilento, gli chef di U’ Parlatorio di Massa di Vallo della Lucania e di SapoRè a Villammare, l’ice-cream della Gelateria Da Mimì di Villammare e l’Olio Conti garantiranno il ristoro degli spettatori tra tradizione e innovazione. Tutte queste stelle brilleranno sulla piazza di Villammare dal 27 al 30 agosto 2017.

Infoline 331-329 4261

Villammare, 19 agosto 2017

 

Programma

Villammare Film Festival 2017 was last modified: agosto 25th, 2017 by L'Interessante
25 agosto 2017 0 commenti
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Gallo
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Gianfranco Gallo: un artista 365 giorni l’anno

scritto da L'Interessante

Gallo

Di Christian Coduto

Questo incontro mi incuriosisce.

Mi ha sempre affascinato il confine tra la realtà e la finzione.

Se facessi riferimento solo ai ruoli che ha interpretato, sarei tentato (superficialmente) di classificarlo come “cattivo e antipatico” … ma, d’altro canto, è in casi come questi che ci si rende conto se il lavoro di attore è fatto bene, in maniera magistrale: quando provi rabbia nei confronti di un personaggio sul grande schermo, significa che l’artista è riuscito a dargli la giusta connotazione.

Lo scoprirò presto…

Gianfranco Gallo mi accoglie con un bel sorriso e mi stringe la mano in maniera cordiale. Ha uno sguardo molto profondo, attento. Eppure trapela una leggera riservatezza.

Gianfranco Gallo risponde alle domande de “L’interessante”.

Chi è Gianfranco Gallo?

Un artista 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno, un padre di due figlie bellissime, Bianca e Greta, un amico di Fox il mio Spitz … una persona leale, onesta, a volte dura come dura è la realtà, di certo troppo dura con se stessa. Una persona che ha sbagliato come tutte, che come tutte le persone ha sofferto e che per la legge della vita avrà fatto soffrire qualcuno, ma che è capace di slanci di affetto che nessuno sospetta se non chi la conosce davvero. Amo per sempre ma so anche cancellare per sempre.

La sua prima risposta mi lascia di stucco: il suo pensiero è lì, offerto senza fronzoli, immediato. Non vuole apparire perfetto, perché la perfezione non esiste. E’ un personaggio del mondo dello spettacolo, lo sappiamo, ma è soprattutto un essere umano. Il suo amore per il suo cagnolino è la dimostrazione di un animo buono.

Quando hai capito che la recitazione avrebbe fatto parte della tua vita?

Da sempre, con mio padre cantante ed attore e mia madre attrice, lo spettacolo in qualche modo è stato parte della mia vita. Poi verso i 15,16 anni capii che sarei stato dalla parte illuminata dai riflettori. In realtà avevo avvertito da subito la necessità di dovermi esprimere, ero timido e introverso, per questo a 10 anni scrivevo poesie. Ho sempre scritto, poi ho cantato, recitato, scritto commedie, testi drammatici, ho fatto quello che ero e oggi sono quello che faccio.

“Timido, introverso” … appunto. L’arte come autoanalisi, come via di uscita da una piccola chiusura caratteriale.

Attore, regista, autore … ti cimenti anche nel canto durante i tuoi spettacoli. Gianfranco Gallo è un artista completo. Hai fatto tanta gavetta, un termine ormai sconosciuto ai più. Al giorno d’oggi, partecipi ad un reality in cui raccogli pietre in Nicaragua e diventi protagonista di 15 serie tv e altrettanti lungometraggi. Non credi che questo sia un processo di involuzione culturale?

 

Io ho cominciato come cantante di Roberto De Simone, uno dei personaggi di maggior spicco della cultura musicale internazionale degli anni ’80, ma poi mi sono espresso in tante altre forme. Dipingo anche, con le mani, senza pennelli, forse roba strana ma se ne sento il bisogno lo faccio. L’involuzione culturale è stata dettata dal mercato: dalle TV commerciali in poi c’è stata una gara verso il basso, l’artista oggi spesso non si differenzia dal pubblico che lo guarda. In certi show, ad artista e pubblico puoi scambiare i ruoli e nessuno se ne accorge … l’artista, a mio giudizio, dovrebbe indicare qualcosa a chi lo segue da una poltrona con la testa in su.

Hai spesso interpretato magnificamente dei ruoli da cattivo. Quali sono i pregi ed i difetti del dare vita a personaggi “antipatici”?

Cerco sempre di variare quella cattiveria di cui parli. Come attore sono pignolo e i personaggi non sono mai gli stessi se li affronti facendogli e facendoti mille domande. La psicologia dei personaggi è tutto. I “cattivi” comunque difficilmente li dimentichi … il difetto, se di difetto si può parlare, sta nel fatto che se fai il cattivo per la maggior parte dei casi sarai sempre l’antieroe.

Lavori spesso con tuo fratello Massimiliano. Quanto è importante, per la riuscita di un progetto, di uno spettacolo, l’empatia che si viene a creare?

Fuori dal palco sarebbe indispensabile ma si sa che a volte c’è e a volte no. Per quel che vede il pubblico invece, l’empatia ormai siamo in grado di crearla per l’occasione e di metterla a disposizione di chi la vuole trovare, quando vogliamo noi. E’ un bene, alla fine il nostro è un mestiere.

In “A Sud di New York” sei stato diretto da Elena Bonelli. Pensi che ci siano differenze, in termini di sensibilità, quando alla regia c’è una donna?

Con lei è stato un breve incontro, mentre con Francesca Comencini quest’anno ho girato tanto e devo dire che la differenza la noti: Francesca è eccezionale, lei non scinde mai la donna dalla regista e dunque il set acquista una sensibilità, una dolcezza, un mood unici. Anche se è una tosta … ma le donne sono così. Io la adoro.

 

Hai lavorato in “Un posto al sole”. Come vivi le esperienze del tubo catodico? Ci sono i puristi che storcono un po’ le labbra quando si parla di televisione …

Sì sono stato Rocco Giordano per più di un anno e mezzo, poi ho recitato ne “La Nuova Squadra”, ne “Il Clan dei Camorristi” e poi in “Don Matteo”, “Sotto Copertura”, “Squadra Mobile” e da due anni sono nel cast della serie che i giornali americani hanno reputato la terza a livello mondiale: “Gomorra”. Recito il ruolo di Giuseppe Avitabile, suocero di Genny che nella terza stagione da novembre su Sky, avrà un ruolo fondamentale. Questo per dire che non c’è una sola TV, io le ho frequentate un po’ tutte. C’è quella fatta bene, meno bene o benissimo. “Gomorra” ad esempio per tempi, professionalità, organizzazione, regie, sceneggiature, direttori della fotografia e quant’altro non ha nulla di diverso dal Cinema. Fatto sta che la TV ti da la popolarità che il grande schermo non offre soprattutto in quest’epoca. I grandi investimenti sono per le serie, per questo molti grandi attori e molti grandi registi sono passati a fare TV, secondo me è un bene perché sale il livello della produzione televisiva ed un male perché il Cinema finirà sempre di più per essere un’esclusiva di chi fa botteghino senza necessariamente fare Arte, anzi.

C’è un ruolo che vorresti interpretare e che non ti hanno ancora offerto?

In Teatro Cyrano e Shylock de “Il Mercante di Venezia”, al Cinema mi piacerebbe interpretare invece un personaggio complesso tipo Hannibal Lecter o all’opposto, una figura come quella di Padre Pio, caratteri diversissimi ma intriganti, contorti, da studiare per mesi e restituire poi agli spettatori secondo la mia sensibilità.

 

Un dualismo interessante: gli estremi che affascinano. Sono sicuro: darebbe vita a due personaggi altrettanto indimenticabili.

Domanda multipla: ultimo film visto al cinema, ultimo cd acquistato, ultimo libro letto, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.

Al Cinema “Indivisibili” dove sono Don Salvatore … dopo la vittoria al Festival di Venezia, del settembre 2016, avrò assistito come ospite ad una decina di proiezioni ed in estate non c’è stata arena che non lo abbia proiettato; la più bella è stata quella dell’isola di Tavolara in Sardegna per il Festival del Cinema organizzato dal Piera Detassis, direttore di Ciak: uno scenario unico, da sogno, da film appunto. Per i CD sono un pirata on line ma non lo dire in giro (ridacchia), faccio le mie selezioni. Sto leggendo un libro su Charlie Chaplin. Per quanto riguarda l’ultimo spettacolo teatrale non ricordo: il Teatro non mi attira molto in questo periodo. Certamente sarà stato uno spettacolo in uno dei quei piccoli teatrini anche in provincia dove vado spesso, che non fanno pubblicità perché non hanno i soldi ma dove si fanno messe in scena con un senso ed una motivazione.

Cosa dobbiamo attenderci da Gianfranco Gallo?

Se ve lo dice avvisatemi.

Ride di gusto. Ha un’ironia educata, mai sopra le righe. Un giusto equilibro tra la sua riservatezza e il suo lavoro, che comporta inevitabilmente un continuo contatto, continue interazioni con le persone.

Ed ora marzulliamo un po’: fatti una domanda e datti una risposta

Perché hai rilasciato un’altra intervista? Perché non erano le solite domande.

Gianfranco Gallo mi saluta così: con una risposta del tutto inaspettata (e gradita).

Che dite, è davvero così malvagio come appare al cinema e in televisione?

Ph: Spectra

Gianfranco Gallo: un artista 365 giorni l’anno was last modified: agosto 21st, 2017 by L'Interessante
21 agosto 2017 0 commenti
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Martire
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Gea Martire: tento di essere me stessa

scritto da L'Interessante

Martire

Di Christian Coduto

“Buongiorno Christian” e allunga la mano per stringere la mia.

La butto lì: già la adoro. Saranno quei capelli mossi, così curati. Quel vestito rosso che le calza a pennello. Quel fare amabilmente sopra le righe, leggermente burlesco, spontaneamente teatrale … Gea Martire appare immediatamente così: iconica.

Osserva, scruta, con attenzione, ma senza mai mettere in imbarazzo. E’ in cerca di un contatto umano, non di una serie di domandine preparate.

Spigliata, ironica con gusto, intelligente. Parla e difende le sue idee, con un tatto raro.

Gea Martire si racconta ai microfoni de “L’interessante”

Chi è Gea Martire?

(Ci pensa su un attimo) … Un continuo tentativo di essere Gea Martire

Quando hai capito che la recitazione avrebbe avuto un ruolo così importante nella tua vita?

Da quando avevo 14 anni il teatro è stato presente nella mia vita, per divertimento, per passione … condividevo con amici un gruppo amatoriale. Poi, dopo la laurea e un concorso, ho cominciato a lavorare come impiegata. Presto ho cercato una via di salvezza e il teatro me l’ha offerta.

Cosa significa, per te, calcare le tavole del palcoscenico e interpretare un ruolo davanti ad un pubblico?

La possibilità di entrare in altri mondi, viaggiare in altre vite …

Il teatro è sudore, fatica, ma anche tanta gratificazione. Hai lavorato in tantissimi spettacoli, qual è quello che ti è rimasto maggiormente dentro e perché?

Alcuni anni fa lessi un breve racconto di Francesca Prisco. Da lì nacque MULIGNANE, scritto sotto forma di monologo da me e Antonio Capuano. Racconta la storia di una donna che non ha nome perché incarna la storia di tante, troppe donne incapaci di comprendere e amare se stesse, capaci di lasciarsi maltrattare, di amare e comprendere un qualunque idiota. Ma questa donna, e non poteva essere diversamente in un monologo da me interpretato e diretto da Antonio Capuano, ha una radicale trasformazione e da “pietra grezza” diventerà diamante. Il bello è che tutto avviene ridendo, perché secondo me l’intelligenza ha sempre un sorriso.

C’ero anche io, tra i tanti spettatori di quello spettacolo. Ci sono progetti che nascono sotto una buona stella: lo percepisci all’istante. “Mulignane” è uno di questi, senza ombra di dubbio.

“Tempo scaduto” lo hai scritto e diretto tu. Com’è stato passare dall’altro lato della barricata? Credi ti sia servita la tua esperienza di attrice per affrontare la prova registica?

Tutte le esperienze servono, se le sai usare. Quella, per esempio, è servita a farmi capire che non andava ripetuta (la guardo sorpreso). Mi spiego meglio: si confondono troppo i piani, a me piace il mestiere di attrice. Già concentrarsi su quello è complicato. Per essere contemporaneamente un buon attore, un buon regista e magari anche un buon autore bisogna essere geniali e io non lo sono.

Per il Napoli Teatro Festival ti abbiamo appena visto ne “Le serve” di Jean Genet, diretta da Antonio Capuano. Ti va di parlarci di questo spettacolo?

 

E’ una riscrittura di Antonio Capuano in lingua napoletana. Il noir di Jenet si stempera, acquista tinte brillanti, anche se il fondo scuro del pozzo nel quale le due attrici precipitano è ben visibile fin dall’inizio, pronto ad accoglierle.

 

Parliamo di “Non farmi ridere, sono una donna tragica” di Massimo Andrei …

E’ stato il risultato di una collaborazione, di una buona intesa, di una lenta esplorazione nella vastità dell’universo femminile alle prese con quello maschile. Il confronto con un regista, la possibilità di esprimersi liberamente, mescolare le idee e metterle in prova mi fanno lavorare con gioia. E con Massimo è stato possibile.

Luca De Filippo, Enzo Moscato e Vincenzo Salemme sono solo alcuni dei grandi nomi che ti hanno diretta a teatro. Cosa ti hanno lasciato umanamente e artisticamente queste avventure lavorative?

Si tratta di piantare semi e raccogliere frutti. Ma il terreno fertile sei tu, è te stesso che devi coltivare onde evitare che gli accadimenti della vita inaridiscano tra i sassi. Con Salemme è stato un breve incontro, molti anni fa, finito lì, ma sufficiente per guardare gli ingranaggi di una macchina comica perfetta. Era il tempo in cui faceva compagnia con Buccirosso, Casagrande, Nando Paone. Luca De Filippo un pilastro, la solidità di grandi tradizioni, l’intelligenza della consapevolezza. Moscato rappresenta la drammaturgia che più amo: contemporanea, di grande valore, l’alta poetica della cultura e della lingua napoletana. E’ davvero un faro tra gli autori contemporanei.

Rimango della mia idea: è una donna di grande fascino. Ha un dono non comune: è in grado di rimanere con i piedi per terra. Sul palco va veloce come un treno, ti incanta. Eppure, riesce a non prendersi troppo sul serio. Una dicotomia che ti conquista, è disarmante.

Gea Martire e il cinema: “Dagobert” di Dino Risi è il tuo esordio. Com’è stata la tua prima volta su un set cinematografico?

Mi sono sentita Alice nel paese delle meraviglie. E’ stata all’altezza di quelle prime volte che si stampano nei ricordi, nelle emozioni, nel cuore. Incancellabile, indimenticabile, irripetibile.

Dopo Risi arrivano Nanni Loy, Carlo Verdone, Ettore Scola, Mario Monicelli … tanti registi di successo che rimangono folgorati dalla tua bravura. Quali differenze ci sono, a tuo giudizio, tra il cinema e il teatro in termini di empatia, dinamiche, tempistiche, interazione con il proprio personaggio?

Folgorati dalla mia bravura??!!! Mah! Diciamo che hanno apprezzato il mio lavoro e già questo mi fece e mi fa felice. Il mio primo amore è stato il Teatro e ha continuato ad esserlo anche dopo aver conosciuto il Cinema. La consapevolezza che, in fase di montaggio, possano fare di te quello che vogliono, dal tagliarti al cancellarti, mi mette molto a disagio. Nel cinema sei totalmente in balìa, dipendi da una macchina. Il teatro dipende da te.

“La buona uscita” di Enrico Iannaccone ti regala un ruolo da protagonista assoluta …

Grande talento, quello di Enrico. Giovane ma deciso, sembra già carico di grandi esperienze. Ha realizzato un film duro, difficile, ha disegnato perfettamente un  personaggio femminile che, alle soglie di un’età matura, comincia ad avere paura di se stessa, del suo totale, inalienabile senso di libertà. Bello. Mi è piaciuto molto interpretare questo ruolo.

Cinzia Th Torrini ti dirige nel film tv “Caramelle”… ti piace il format televisivo o preferisci la realtà teatrale?

Mi ripeterei dicendo quello che ho già detto del cinema.

 

In “C’è posto per tutti”, diretto da Giancarlo Planta, si affronta il problema della disoccupazione. Un film piccolino, che ha avuto grandi problemi di distribuzione, ma sicuramente molto avanti nei temi trattati …

Ho veramente poco da dirti in proposito perché non mi ricordo quasi niente né del film né di quello che facevo … ma credo molto poco se non conservo ricordi (sorride).

 

Diretta, onesta, chiara.

Gea Martire e il rapporto con il regista: ti piace intervenire nella costruzione del personaggio che ti viene affidato o preferisci fidarti completamente di chi ti sta dirigendo?

Credo sia doveroso da parte di un attore esprimere quello che ha da dire sul personaggio. Il suo rapporto col personaggio è molto più diretto, intimo, confidenziale, autentico di quello che possa instaurare un regista, impegnato a pensare alla totalità della messinscena. Doveroso sarebbe da parte del regista ascoltare. Ma pochi lo fanno, i migliori.

Domanda multipla: ultimo film visto al cinema, ultimo libro letto, ultimo cd acquistato, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.

Ultimo film: Elle. Libro: “Il regno” di Emmanuel Carrère. Ultimo cd boh? E’ passato un po’ di tempo. Forse Cesaria Evora. Ultimo spettacolo: Ian Fabre al NTF

Cosa dobbiamo attenderci da Gea Martire per questo 2017?

Allora … riprenderò la tournèe teatrale di “Ferdinando” di Annibale Ruccello con la regia di Nadia Baldi. In più reciterò nello sceneggiato televisivo, termine che preferisco alla parola fiction (sorride), “E’ arrivata la felicità”.

Terminiamo in perfetto stile Marzullo : fatti una domanda e datti una risposta

Domanda: Riusciranno i nostri eroi? Risposta: E se no che eroi sono! (Scoppia a ridere).

Al termine dell’intervista, Gea Martire mi saluta con sincero affetto. La vedo allontanarsi con eleganza, eterea, leggera e scomparire all’improvviso, come quando il sipario si chiude all’improvviso, al termine di uno spettacolo.

Chissà, forse questo incontro è solo frutto della mia immaginazione …

Gea Martire: tento di essere me stessa was last modified: agosto 2nd, 2017 by L'Interessante
2 agosto 2017 0 commenti
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Trasselli
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Giorgia Trasselli: garbo e professionalità

scritto da L'Interessante

Trasselli

Di Christian Coduto

Il sorriso è quello di sempre. Quello che vediamo da anni in televisione, al cinema o per chi (come me) ha avuto la fortuna di incontrarla, in tanti spettacoli teatrali: sincero, caloroso, accogliente. Ma, soprattutto, spontaneo.

Lavorare con artisti importanti, l’aver fatto una gavetta lunga ed impegnativa non le ha tolto l’umanità, è rimasta una donna concreta. Assume con me un atteggiamento quasi protettivo, da sorella maggiore. Se le faccio qualche complimento per le sue mille performance, si intimidisce e mi ringrazia ripetutamente. Parlerei con lei all’infinito: percepisci intorno a lei un’aura buona, di estrema positività.

Giorgia Trasselli ci racconta di sé

Quando nasce l’amore per la recitazione per Giorgia Trasselli?

Stando  ai ricordi dei  miei  genitori e dei miei parenti, l’amore  per la “recitazione”  pare sia nato  con me, ma è impossibile darti una data precisa: di sicuro  sin  da quando ero piccola, ai tempi delle elementari. Con l’adolescenza, l’amore  si è  trasformato in bisogno, una vera e propria necessità.

Al cinema sei stata diretta da registi del calibro di Paolo Genovese, Duccio Tessari, Luigi Magni e Marco Ferreri. Che differenze ci sono nella recitazione teatrale e in quella di fronte ad una macchina da presa?

Di sicuro cambiano i mezzi … la macchina da presa impone un lavoro profondo, capillare, forse più “piccolo” per usare un termine di  comodo. In teatro c’è la stessa profondità, la stessa ricerca, ma è indispensabile ampliare, non faccio riferimento solo alla  voce, sia chiaro. Tutto deve essere visto, fino all’ultima  fila. In più, la vita che si racconta si ripete, si  rinnova  sera  per  sera. La vita del personaggio, della musica, della scena, delle luci e così via …  

Cristina Comencini ti dirige ne “I divertimenti della vita privata”. In Italia, purtroppo, abbiamo pochissime registe. Qual è l’approccio di una donna che supervisiona un lungometraggio? Ti piacerebbe dirigere un film?

Beh … sappiamo  che  per  una  donna  è sempre tutto un po’ più complesso, ma non vorrei cadere  nei classici luoghi comuni. Credo che le opportunità ci siano sempre per le persone in gamba, tenaci e valide professionalmente. Per quanto riguarda  me, direi proprio di no. Non mi piacerebbe dirigere un  film, non ci ho  mai  pensato, anche perché non ne sarei  capace.  

Primo elemento che salta subito all’occhio: la modestia. Punta a far bene quello che ama fare, non si lancia in cose che non le appartengono. Non vuole strafare.

Rimarrai per sempre nel cuore degli spettatori italiani grazie al personaggio della “Tata” in “Casa Vianello”. Che ricordi hai di quella esperienza?

Ho dei ricordi meravigliosi legati al periodo di “Casa Vianello”. A distanza di anni, godo ancora dell’eredità in termini di notorietà e affetto da parte del pubblico che quella serie mi  ha regalato. 

Negli anni ’90 sei stata una delle più amate dai bambini grazie al gioco televisivo “Che fine ha fatto Carmen Sandiego?”. Com’è il pubblico dei più piccoli?

Uh! “Carmen San Diego” è stato un’altra  bellissima esperienza! Più difficile ed impegnativa di  quanto si possa immaginare. Ogni giorno dovevo  imparare a memoria un bel numero di copioni, ma si lavorava sodo e con immensa soddisfazione.

Tanto, tanto teatro a partire dagli anni ’70. Qual è lo spettacolo al quale sei maggiormente legata?

Sono affezionatissima agli  spettacoli  brechtiani  del  mio  primo  periodo  al Politecnico Teatro. Ne ricordo con piacere diversi allo Stabile  di  Roma  e uno  che  feci al Teatro Manzoni di Roma  “Morte  in esilio  per  debiti,  di  don  Antonio  Lucio  Vivaldi  Veneziano” diretto da Luigi  Tani. Sono molto legata anche a  “La vita  è gioco”  di Alberto  Moravia con  la regia  di  Luciano  Melchionna.

Nella lunghissima carriera di Giorgia Trasselli, c’è anche spazio per alcuni famosi spot televisivi …

Sì! La  birra Dreher con  la  regia  di  Leone  Pompucci, la  maionese  Calvè  con la regia di Massimo D’Alatri  e  di recente  uno  spot  accanto  a Gigi  Proietti (ero elettrizzata!) Senza dimenticarmi dei riuscitissimi  spot delle  gocciole Pavesi, in cui interpreto il ruolo  della suocera  di  Tarzan! …. sai ho capito, nel  tempo, quanto  sia difficile e importante allo stesso  tempo, lavorare  in buone  pubblicità; sono esperienze che ti arricchiscono artisticamente.

La osservo con molta attenzione, non posso farne a meno: è davvero bella. Ha dei lineamenti molto delicati, espressivi, degli occhi profondi. Eppure, ha costruito la sua intera carriera solo ed esclusivamente grazie alla sua personalità artistica. Prendendosi spesso in giro, con gustosa autoironia. Non ha mai avuto bisogno di finti scandali o gossip patetici: quando c’è sostanza, alla base, il pubblico ti ama e lo fa in maniera incondizionata.

Parliamo di un altro incontro di grande successo: quello con Luciano Melchionna e il suo “Dignità autonome di prostituzione”.

(Si illumina) … Dignità autonome è davvero un grande  amore: un format di per sé scoppiettante, sempre sorprendente nonostante sia in cartellone da tantissimi anni, complesso, faticoso … è un circo teatrante che richiede una precisione millimetrica, considerando la sua struttura. Mi sento legata al mio monologo, che  ripeto mille volte ad un  pubblico sempre  diverso e che, molto  spesso, già conosco perché torna a rivedermi più volte. Provo amore per PAPI Luciano Melchionna, grande direttore d’orchestra e maestro  d ‘anima. 

Melchionna ti dirige anche in “Parenti serpenti”, tratto dall’omonimo film di Mario Monicelli. A te è affidato il ruolo di Nonna Trieste. Uno spettacolo complesso, molto articolato. Due ore e mezza sul palco non sono affatto uno scherzo, vero?

“Parenti  serpenti” è uno spettacolo davvero molto bello; è stato prodotto da Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro lo scorso anno. Sono molto affezionata al mio ruolo, quello di Trieste, ma in realtà in questa storia tutti i personaggi sono interessanti. Sono stati curati tutti da Luciano con eguale amore e attenzione. E’ uno spettacolo forte, coinvolgente, che ha  avuto e che, ne sono certa, avrà una grande eco nel tempo.

La televisione ti corteggia tra “Ris”, “Un medico in famiglia”, “Distretto di polizia” e “Don Matteo”. E’ difficile per un attore, all’inizio, adattarsi a tempi e dinamiche così differenti rispetto a quelle teatrali?

E’ vero: il passaggio dal teatro alla televisione, a volte, un po’ difficile lo è. Tempi e ritmi differenti, diversa impostazione per creare le scene, i dialoghi, i personaggi, ma se dietro a tutto questo ci sono un buon autore e un buon regista, adattarsi diventa una cosa naturale.  

Teatro, cinema, televisione. Qual è l’ambito più naturale per Giorgia Trasselli?

Così, di impatto, mi verrebbe da dire il teatro. Però non posso  nascondere di trovarmi benissimo anche in televisione. Certo, dipende  anche dal tipo di televisione … il  cinema mi  piace moltissimo … sono molto indecisa, sono sincera!  

La tv è piena di Reality che vedono personaggi famosi coinvolti in situazioni strampalate e folli. Accetteresti di partecipare come concorrente ad un Reality? In caso affermativo, quale?

Onestamente? Non ho mai visto un Reality, giusto qualche  spezzone qui e lì facendo zapping. Non credo che sarei la tipa giusta  per partecipare ad uno spettacolo del genere: mi  butterebbero fuori già nel corso della prima puntata (scoppia a ridere).  

Capisco subito quello che vuole dire: lei è un’attrice. E’ quello che vuole fare ed è quello che effettivamente fa. In un Reality anche io la vedrei fuori luogo. Come potrebbe trovarsi a suo agio una donna che vive di arte in un habitat posticcio e programmato?

Io mi occupo di cinema. Qual è il film della vita di Giorgia Trasselli e perché?

Christian sai che questa è davvero una bella domanda? (E’ un po’ incerta) Non  riesco  a …  non credo che ci sia  film che … (ci ripensa) forse “Via col vento”, ma non tanto per il film in sé, quanto piuttosto per Rossella O’Hara. Ho sempre ammirato l’attrice Vivien Leigh, sin da piccola. Quel personaggio  poi … mi  sarebbe piaciuto molto somigliare a Rossella … un po’ di più, intendo (ride)

Cosa dobbiamo attenderci da Giorgia Trasselli per questo 2017?

Per l’intero mese di luglio  parteciperò a questa nuova avventura di acting itinerary, che mi vedrà in giro per  alcune  strade del centro di Roma in  costume  cinquecentesco. A novembre sarò a Firenze con lo spettacolo “Un per cento, punizione ad effetto”. A dicembre sarò al Teatro La Cometa di Roma  con ” La spallata” di Gianni Clementi, per la regia di Vanessa Gasbarri; subito  dopo riprenderemo “Parenti serpenti” all’Alfieri di Torino, all’Augusteo di  Napoli, all’Eliseo di Roma e in tante altre piazze … una lunga tournèe, insomma!  

Termino con una domanda alla Gigi Marzullo : fatti una domanda e datti una risposta

Oh Santo cielo! “Sarò ancora in grado di suscitare interesse e stima nel pubblico?” Risposta “Spero proprio di sì!”. 

Giorgia Trasselli: garbo e professionalità was last modified: luglio 18th, 2017 by L'Interessante
18 luglio 2017 0 commenti
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Cosimo
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Cosimo Sinforini: vivere d’arte? Si può!

scritto da L'Interessante

Cosimo

Di Christian Coduto

Due sono gli elementi distintivi di Cosimo Sinforini: i capelli (neri, lunghi e molto curati) che gli regalano l’apparenza del ragazzo selvaggio, ribelle, rivoluzionario, vagamente alla James Dean o alla Johnny Depp. E la voce: roca, assolutamente riconoscibile. “Se non dovessi avere successo come attore” scherza “Mal che vada posso sempre sfondare lavorando per una linea telefonica sexy”.

Socievole e espansivo come tutte le persone che sono cresciute a stretto contatto con il mare, parla senza freni. E’ amichevole il suo atteggiamento, di grande apertura. Mi racconta di cose che non riguardano esattamente la sua vita artistica (e che, ovviamente, non rivelerò in questa sede!).

Mi ha chiesto di incontrarci in un bar nel Borgo Marinari “Il contatto con l’acqua mi fa stare bene, mi rilassa. Il Borgo, di primo pomeriggio, è piuttosto tranquillo. Qui possiamo parlare in maniera più rilassata”. Ho l’impressione che abbia leggermente paura delle domande che sto per porgli. O forse è solo un po’ di ansia … prima mi ha detto che è un perfezionista, ci tiene a fare le cose per bene. Sia che si parli di una performance teatrale (o cinematografica) sia che si tratti di un’intervista. Ama essere ricordato per aver fatto bene le cose.

Cosimo Sinforini risponde alle domande de “L’interessante”

Chi è Cosimo Sinforini?

Cosimo Sinforini è un ragazzo che proviene da Torre del Greco che, nel tempo, si è rivelata una fucina di giovani talenti. Sono molto legato alla mia città che, tra le altre cose, è la città del corallo. Geograficamente è posizionata tra il Vesuvio e il mare, un binomio vincente. Il ritrovarmi al centro tra gli elementi acqua e fuoco, mi ha fatto crescere folle, ma nel modo giusto. Voglio vivere di arte. Essendo tenace e testardo di natura, farò in modo di realizzare il mio sogno!

 

Reciti da oltre 15 anni. Quando hai capito che diventare un attore sarebbe stato lo scopo della tua vita?

L’ho sempre saputo sai? Ero piccolo, avrò avuto otto, nove anni e mi divertivo ad imitare i personaggi che vedevo in televisione o in strada. Cercavo di trovare degli aspetti che gli altri non erano in grado di vedere. Ho la “capacità” di vedere in profondità, una sorta di studio dell’anima. Amo molto il campo della psicologia.

Quando mi dicono che recitare è un gioco, io rispondo sempre di fare attenzione, perché è un lavoro “pericolosissimo”: ti immerge in realtà nuove, altro che lsd, è una vera e propria droga (scoppiamo a ridere). Entrare nella mente di un’altra persona, di un personaggio da interpretare non è affatto facile! È un mestiere che va vissuto con la giusta serietà e una buona dose di ansia.

Nel tempo, questa mia voglia di carpire gli aspetti privati delle persone, si è trasformata nel bisogno di interpretare realmente un’altra persona.

Ti racconto una cosa: ero da mia nonna, avevano da poco trasmesso “Rocky III” in tv … quel film mi piacque così tanto che davo cazzotti ovunque e a tutti, volevo essere Rocky!

 

Mi immagino un ragazzetto piccolino, ma con la stessa amabile sfrontatezza del Cosimo di oggi, che sbuffa, si impegna, si agita, suda per assomigliare il più possibile a Sylvester Stallone. Forza di volontà ne ha, eccome. È lodevole la sua caparbietà.

Ti sei formato all’Accademia delle belle arti di Napoli per poi approfondire i tuoi studi in Inghilterra. Tanta gavetta alle spalle. Cosa che sembra mancare, negli ultimi tempi: partecipi ad un reality e diventi subito noto. Non credi che tutto ciò sia un processo di involuzione culturale?

Sono laureato in arti visive e disciplina dello spettacolo presso “L’accademia delle belle arti di Napoli”. Parallelamente, ho studiato presso il teatro “Elicantropo” di Napoli, diretto da Carlo Cerciello, una vera e propria palestra che mi ha permesso di crescere artisticamente. Un’altra formazione fondamentale è stata quella del “Teatro Spazio Libero” di Napoli di Vittorio Lucariello. In quest’ultima struttura si sono formati i migliori artisti dell’avanguardia storica napoletana, da Toni Servillo a Mario Martone. Ricordiamoci che lì passò anche Andy Warhol.

Al termine degli studi sono andato a vivere in Inghilterra per due anni … ho imparato molte cose, soprattutto il diverso modo di vivere il teatro e varie tecniche di recitazione.

Ritornando alla domanda: per fare questo mestiere devi buttare il sangue, devi metterci anima e corpo. Un reality ti regala popolarità, certo, ma senza mezzi e senza testa non vai da nessuna parte. Se adesso, avendo un bel faccino, riesci a fare dei film senza conoscere la tecnica, significa che abbiamo sbagliato tutto …

 

Quali sono i tuoi punti di riferimento artistici?

Molti sono legati al passato. Avrei dato non so che per lavorare in un film diretto da Federico Fellini, per esempio. Però anche lavorare con Paolo Sorrentino non sarebbe male! (ride) Con “The Young Pope” ha raggiunto piena consapevolezza dei propri mezzi. Per ciò che concerne gli attori, invece: Toni Servillo, ma anche Stefano Accorsi, Claudio Santamaria. Però il mio attore preferito in assoluto è Al Pacino. Conosco tutti i suoi film … considerando la mia vocalità, mi ritengo un po’ un suo figlioccio artistico. Con questo voglio solo dire che per me lui è un attore immenso, dal quale tutti dovrebbero trarre ispirazione continuamente.

 

Punta in alto, è vero … ma questo è sicuramente un pregio. All’improvviso si sbilancia “Christian, le cose o le fai come si deve o lasci proprio perdere”. L’istinto mi dice che, un giorno, lavorerà davvero con qualcuno dei suoi miti, scommettiamo?

Un incontro importante è quello con il bravissimo Lello Arena, del quale hai seguito un laboratorio e che ti ha diretto, a teatro, in “Sugar spell”…

Lello è stato un maestro del secondo capitolo della mia carriera teatrale! Feci un seminario con lui, meraviglioso. Quando l’ho incontrato ero davvero emozionato. Credo che lui sia la figura più rappresentativa dell’ultimo grande periodo del cinema e del teatro napoletano. E’ un uomo che sembra schivo, una sorta di orso burbero … in realtà è una persona di una sincerità disarmante, spontaneo, generoso. Non ha remore, non si risparmia mai: ti dona tutto ciò che sa. Al termine del seminario, ci incontrò singolarmente. Fece dei colloqui con ciascuno di noi. Mi disse “Cosimo, tu hai molto potenziale. Puoi diventare un grande attore, ma non devi sentirti un attore. Devi essere un uomo al servizio di un personaggio e di un regista. Non assumere mai l’atteggiamento da supereroe”. E’ riuscito a farmi rimanere con i piedi ben radicati al suolo.

Ovviamente, ci sono stati molti momenti dedicati al ricordo di Massimo Troisi, di una tenerezza incredibile.

Devi sapere che Lello Arena è un patito del biliardino. Io facevo sempre coppia con lui.

L’ultima serata di “Sugar spell” avevamo fatto una scommessa: la coppia sconfitta sarebbe stata attaccata con una serie di secchi pieni di acqua. L’idea del pegno era stata proprio la sua. Oh … non siamo riusciti a perdere? Mi fece un cazziatone incredibile (ride di gusto).

Nel tempo, siamo rimasti molto amici, gli sono molto affezionato.

 

Tra i registi dei tuoi spettacoli teatrali, troviamo anche Beatrice Messa e Serena Di Marco. Credi che ci siano differenze, in termini di empatia e di rappresentazione delle immagini, quando a dirigere c’è una donna?

Lavorare con le donne è molto interessante perché hanno indubbiamente una sensibilità maggiore della nostra. L’unico “problema” è la gestione del cast, soprattutto quando la regista è molto dolce.

Per il resto differenze non ne ho riscontrate … l’unica cosa importante è che il regista (uomo o donna che sia!) sappia cosa fare e che riesca a trasmettere il tutto agli attori.

 

Nel 2015 compari nel videoclip di Emma Marrone “Arriverà l’amore”. Un ruolo piuttosto sgradevole (è un ragazzo che sbeffeggia una coppia omosessuale N.d.R.) … come avrebbe reagito Cosimo l’essere umano?

Ebbene sì, un ruolo piuttosto sgradevole. Il Cosimo della vita reale avrebbe reagito incazzandosi ed andando contro quei teppistelli. Siamo nel 2017 e, purtroppo, ci sono ancora situazioni così spiacevoli.

Nel mondo dello spettacolo ci sono moltissimi ragazzi e ragazze omosessuali …

Chi inveisce contro una persona omosessuale per me non è felice della propria vita.

Così come quando, allo stadio, partono quegli stupidi cori contro le persone di colore. Sono forme di razzismo che hanno, di base, una frustrazione personale.

Ognuno deve vivere la propria vita a testa alta. E’ inammissibile che un ragazzo omosessuale si nasconda, perché ne va della sua felicità umana.

Per quanto riguarda invece Emma, è una persona fantastica. Si è sempre un po’ prevenuti, perché viene da un format televisivo e così via. Con lei si è instaurato un buon rapporto umano e lavorativo.

Si infervora un po’ mentre risponde alla mia domanda, mantenendo però inalterata l’educazione. E’ abituato a credere che, nella vita, le cose debbano andare necessariamente nel verso giusto o, almeno, come vuole lui. È un bravo ragazzo, non c’è che dire.

Sempre nel 2015, ecco una bella esperienza televisiva: “Alta infedeltà”. Che ricordi hai di questa avventura?

Un’occasione nata quasi per gioco: mi contattarono dalla produzione, dicendo che ero perfetto per quel ruolo. Guarda, ti dirò: ci sono sempre tanti pregiudizi … non so se mi spiego … Un attore serio certe cose non le fa … ma “Alta fedeltà” non è mica, boh, un reality! Sono stato chiamato per interpretare una parte, per recitare. Ecco perché ho accettato di buon grado: c’è grande professionalità. Ero l’amante della moglie del mio migliore amico. Mi ha dato tanta popolarità; ancora oggi, quando vedono il video, mi contattano e mi dicono “Ma che hai fatto? Sei stato un bastardo!” (scoppia a ridere). Vedi? Questo è il rovescio della medaglia del mio mestiere: quando fai il buono, l’eroe di una storia, tutti ti esaltano. In questo caso ero l’amante e mi odiavano tutti (ridiamo).

 

Sia parlando di Emma sia del format televisivo, ci tiene a sottolineare che lui va al di là dei pregiudizi. L’arte può esistere in mille forme e in mille colori. Fare il finto snob non è da lui. Quello che conta è la professionalità. Chi ha le capacità merita ogni tipo di rispetto.

Punto a suo favore: non si finge chic per apparire migliore. È pane al pane e vino al vino. Mi domando se il suo essere così schietto e diretto gli abbia mai creato problemi, con gli amici per esempio o in campo lavorativo, con qualche regista un po’ rompiscatole.

Nel 2009 Antonio Capuano dirige Cosimo Sinforini nel film “L’amore buio”. Che ricordi hai della tua prima volta cinematografica?

Una vera e propria esperienza extrasensoriale … è un regista caratterizzato da una lucida e sana follia. Sa perfettamente quello che vuole: riesce a far sì che tutti gli attori, tutte le persone sul set seguano la strada che ha già deciso in precedenza. In apparenza, sembra distratto, in realtà è concentratissimo e ti segue attimo per attimo.

La mia prima esperienza sul set era piccola, ma mi sono trovato davanti Fabrizio Gifuni che, a mio parere, è uno dei migliori attori italiani del momento.

Una bella emozione, che ripeterei di sicuro.

 

A proposito di cinema, parliamo un po’ di “Dead country” …

Un’esperienza molto carina, una produzione totalmente indipendente e low budget. Giovanni Roviaro, il regista, è davvero giovanissimo ed è riuscito a trarre il meglio da un cast di attori che, nel tempo, sono diventati grandi amici. Nonostante il budget ridotto, il set era pieno di professionisti.

 

Hai recitato in oltre 10 cortometraggi. “Tela Bianca – La morsa del Daimon” è quello più recente. Possiamo avere delle anticipazioni?

Il cortometraggio è una scuola di vita, soprattutto per un attore che abbia intenzione di percorrere la strada della recitazione. E’ importante non solo per il momento attoriale, ma anche per imparare a relazionarsi con gli altri … i macchinisti, i tecnici, gli operatori. Ci sono dei meccanismi e dei ruoli che devi imparare a rispettare. “Tela Bianca” è diretto da Giuseppe Rasi, con il quale è nata una bella amicizia. Abbiamo in cantiere anche un lungometraggio, incrociamo le dita! In questo cortometraggio io interpreto il ruolo di un pittore che è stato allontanato dalla famiglia, che non approva la sua scelta di vita.

Premettendo che la mia famiglia mi è sempre stata accanto nelle mie scelte, riconosco qualcosa di Cosimo anche in questo personaggio: spesso, quando dico alle persone che faccio l’attore, tanti mi guardano straniti, mi chiedono “Ma allora riesci a vivere di questo?” embè … (sorride). Presto verrà presentato nei migliori Festival, auguro a questo progetto di vincere tanti premi!

 

Nel tuo curriculum, anche due spot televisivi. I tempi ristretti, una sceneggiatura (solitamente) ridotta … riesci (o provi) a dare un’impronta attoriale anche in situazioni come queste?

Beh … una cosa è recitare un monologo di Shakespeare sul palco e un’altra è ripetere alcune battute velocissime per uno spot. Ma, nonostante tutto, anche in quest’ultimo caso c’è spazio per l’interpretazione. Giusto per dire: l’ultimo spot che ho girato con i The Jackal, quello per la Muller, è costituito da una serie di mini pillole che usciranno a breve … ebbene, lì c’è talento puro, mi è stata data la possibilità di recitare al 100%!

 

Domanda multipla: ultimo film che hai visto al cinema, ultimo libro letto, ultimo cd acquistato, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.

“Song to song” di Terrence Malick … attori fantastici e una regia esemplare, da vedere! “Conversazioni su di me e tutto il resto” di Woody Allen … consigliatissimo. “Bird is free” di Charlie Parker; ti immerge in realtà che ormai, musicalmente, ce le possiamo solo sognare! “Ragazzi di vita” al Teatro Vascello, interpretato da Fabrizio Gifuni.

 

Cosa dobbiamo aspettarci da Cosimo Sinforini per questo 2017?

Allora … sono piuttosto scaramantico, quindi preferisco far parlare direttamente il lavoro. Ne vedrete delle belle, ma non anticipo nulla (sghignazza).

Terminiamo con un simpatico omaggio a Marzullo: fatti una domanda e datti una risposta

“Cosimo, che rapporto hai con Napoli?” “Un rapporto di odio e amore. Ce l’ho da sempre. Napoli è una città bellissima, senza ombra di dubbio. Dona ampio spazio agli artisti, ma allo stesso tempo soffre di vittimismo. Noi napoletani dovremmo iniziare ad andare avanti a testa alta. Da un punto di vista artistico abbiamo avuto il boom di Gomorra, ma tutto ciò non basta sicuramente. E’ giusto che tutti i giovani della nostra città riescano a realizzare i propri sogni, in qualunque settore della loro vita!”

L’intervista si chiude con questo augurio alla sua città. C’è una bella dose di critica, perché nella vita non bisogna mai smettere di analizzarsi. Quegli stessi rimproveri che Cosimo si è fatto, nel tempo, per levigare le sue doti di attore. Quella dose di severità che gli ha permesso di rimanere lucido, pragmatico, nonostante i mille sogni da realizzare. E che, sono convinto, realizzerà negli anni a venire …

Ph. Laura Di Legge

Cosimo Sinforini: vivere d’arte? Si può! was last modified: giugno 12th, 2017 by L'Interessante
12 giugno 2017 0 commenti
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