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Categoria

Cinema

Irene
CinemaCulturaIn primo piano

Irene Grasso: da dignitosa a suracina, con crescente successo

scritto da L'Interessante

Irene

Di Christian Coduto

E’ arrivata la primavera … passeggiare per Napoli, di questi tempi, è davvero una piacevole follia. Sono nei pressi di Via Toledo. Intorno a me tantissima gente: ragazzetti che ridacchiano allegramente, casalinghe con le borse della spesa, turisti che si fermano ogni secondo e guardano ammirati i vari edifici, le infinite bancarelle … l’appuntamento è in corrispondenza dell’uscita della metropolitana. Cammino, a fatica, in direzione opposta alla folla. D’improvviso la vedo: riconoscerei il suo sorriso, tra mille. Irene si avvicina con il suo passo vivace, vispo. Percepisci immediatamente la sua positività. Mi saluta con affetto e inizia a parlare a raffica: mi chiede se ho visto il servizio su “Casa Surace” da Barbara D’Urso a Pomeriggio 5. Gesticola tanto e ti coinvolge nelle sue allegre divagazioni. E’ un flusso di coscienza vivente: ha così tanto da raccontarmi e passa da un argomento all’altro, senza interruzioni. E’ un potpourri di colori vivacissimi, un arcobaleno di emozioni. Non si può non volerle bene. Ogni tanto si ferma a guardare le vetrine dei negozi. Ha uno sguardo dolce, sembra una bimba in una fabbrica di caramelle. La “sua” Napoli (ne parlerà durante l’intervista) se la gode così: giorno per giorno.

Parlando parlando, arriviamo nei pressi di un ristorantino e ci sediamo all’esterno. “Mi piace osservare le persone” mi dice “La loro postura mi racconta tanto di loro … in più, posso prendere spunto per qualche personaggio da interpretare”. Dopo aver ordinato (un’insalata di porri e pomodori, lei, un piatto di pasta con le melanzane io) iniziamo la nostra chiacchierata.

 

Irene Grasso parla delle sue esperienze artistiche

D: Chi è Irene Grasso?

R: Domanda importante. Sai che, forse non lo so ancora nemmeno io? (ride). Beh … Potrei dirti che sono un’attrice, che cerca di farlo con tutto l’amore e l’impegno possibili, con lo scopo di essere sempre all’altezza della situazione. Mi rendo conto di essere immersa in questo mondo a 360 gradi e di viverlo in maniera completa, dedicandomi anima e corpo ad ogni nuovo progetto.

D: Com’è nata la passione per la recitazione?

R: Sicuramente grazie ai miei genitori. Mio padre si è sempre nutrito di teatro. Un appassionato. Pensa che lo praticava anche da amatoriale, ha scritto dei copioni. Sin da piccola andavo a vedere i suoi spettacoli, ma anche quelli dei suoi amici. Sono quella che si definisce una figlia d’arte. Mio padre ha una collezione di libri di teatro incredibile, questo mi ha permesso di crescere circondata dall’amore per questa forma d’arte: Shakespeare, De Filippo, Viviani, Cechov e chi più ne ha più ne metta. Iniziai a vedere ogni rappresentazione televisiva (quelle notturne, giusto per intenderci) e, per quanto possibile, andavo anche a teatro. Poi, a mano a mano, ho frequentato alcuni laboratori nel territorio casertano, quando ero iscritta al liceo classico. Fino ad una certa età, però, ho vissuto il tutto come un mero hobby. La convinzione che potesse essere un lavoro è arrivata in un secondo momento. Intorno ai venti anni, infatti, mi sono trovata di fronte ad un bivio: forse la facoltà di giurisprudenza non era la mia strada e sono entrata all’Accademia di Arte Drammatica del Bellini. Un impegno costante, tre anni duri e ricchi di soddisfazione. Facevo la pendolare, ogni giorno. Tornata a casa, non avevo voglia di uscire, la mia priorità era diventata un’altra! (Sorride).

D: Tu sei nata a Caserta. Quando non sei in tournée nel resto d’Italia, vivi e lavori a Napoli. E’ stata una scelta necessaria? Da un punto di vista artistico, Napoli ha molto da offrire …

R: Sì una scelta, ma non lo è stata immediatamente. Terminata l’Accademia, infatti, ho sperimentato Roma e Milano e questo mi ha permesso di conoscere tante nuove realtà, culturali ed umane. Ad un certo punto, è stata invece Napoli ad aver scelto me, regalandomi tante opportunità, accogliendomi. Per una serie di fortunate coincidenze, ho deciso di rimanere qui. Ho capito che qui potevo costruire … Napoli è una città ricca di contraddizioni, ma artisticamente è molto fertile, senza ombra di dubbio. E sarebbe un peccato non sfruttare tutto ciò, ti pare? Certo, ci sono tante difficoltà oggettive. Però le realtà in cui lavoro mi soddisfano molto … ad un certo punto si sono formate in questa città ed io, con naturalezza, non ho potuto fare a meno di renderle parte di me.

D: A teatro sei stata diretta da Carmen Pommella (“La trilogia della villeggiatura”, “Antigone”, “Una notte al buio” ). Quali differenze ci sono quando alla regia c’è una donna?

R: Carmen è una carissima amica. E’ stata una delle prime a spronarmi a provarci. Mi ha consigliato di fare i provini per l’Accademia. Mi ha visto crescere. Con lei è tutto più semplice: mi conosce talmente bene, siamo sintonizzate sulla stessa lunghezza d’onda! Ogni volta, un lavoro insieme è un incontro sia artistico sia umano. Capita di perderci per un po’ e di ritrovarci per nuovi progetti …  ed è come ritornare indietro nel tempo, quando era la mia insegnante. Quando trovi una donna così aperta, istintiva, che sa esattamente quello che vuole, che riesce ad ottenerlo dai suoi attori … beh, è sempre un’esperienza stimolante!

D: Con “Parastasi kitsch” ti sei dedicata anche tu alla regia (accanto a Fabiana Fazio). E’ difficile trovare un equilibrio tra le emozioni che vuoi trasmettere e far sì che la messa in scena sia impeccabile?

R: Decisamente sì, una sfida complicata! Per fortuna ho avuto accanto una collega e amica che mi ha dato man forte in questa follia favolosa! Fabiana ha rielaborato il testo, poi ci siamo focalizzate sulla regia. La prima domanda che ci siamo poste è stata “Cosa vogliamo comunicare?”. La cosa importante era far capire che volevamo divertire e divertirci in questo paradosso. Abbiamo cercato di esasperare il tutto, per donare poi quel retrogusto amaro. Senza prenderci troppo sul serio, ma con professionalità. Abbiamo avuto degli amici/professionisti che ci hanno dato una mano per il disegno luci, l’audio, l’organizzazione e così via. Ma tutto il resto l’abbiamo gestito noi. Di certo, l’aver debuttato al “Nuovo teatro Sanità”, ci ha permesso di giocare in casa. Il fatto di essere riuscite a restituire sia questo divertimento sia quel retrogusto di cui ti parlavo, è stata per noi una vittoria. Non mi ero mai dedicata alla regia, ecco perché ho voluto condividere questa esperienza: non mi sentivo ancora pronta ad affrontare da sola il tutto, sobbarcarmi di ogni responsabilità. Condividendola, ho potuto comprendere i miei punti di forza e i punti deboli da correggere, è stato un confronto che mi ha arricchito.

Stavolta osservo io la sua postura: non incrocia le braccia nemmeno per un secondo. Nessun segnale di chiusura. E’ rilassatissima, lo si vede dagli occhi. Sorride anche con lo sguardo. Non è da tutti. Dà l’impressione di essere appagata. In qualche frazione di secondo percepisci che è stanca, considerando i mille impegni giornalieri, ma mantiene un ritmo costante. Accelerato? Forse. Ma necessario. Non può adagiarsi sugli allori, proprio ora. Proprio ora che il suo lavoro le sta regalando piacevoli frutti. Significherebbe vanificare tanti sacrifici.

D: Ne “La vita è una cosa meravigliosa” lavori accanto a Carlo Buccirosso …

R: L’incontro con Carlo è stato davvero bello! Ovviamente, lo conoscevo già di nome, di fama. Una tournée molto lunga, tantissime tappe. Un lavoro molto intenso. Carlo è un grandissimo lavoratore: una volta che lo spettacolo ha debuttato, non si ferma. Continua a lavorarci per tirare sempre fuori il meglio. Grazie a lui ho imparato certe dinamiche di ritmo, comicità che non conoscevo. E anche umanamente ho avuto una grande soddisfazione: una intervista con Gigi Marzullo, quando siamo stati a Roma al teatro Eliseo! Ho ritrovato Carlo Buccirosso l’anno successivo, grazie ai “Compromessi sposi”. Mi sono divertita tantissimo, i personaggi sono sempre molto colorati. Questa forma di comicità ha un bell’impatto positivo, sul pubblico.

D: Al cinema sei stata diretta, tra gli altri, da Ivan Cotroneo (“La kryptonite nella borsa”), Diego Olivares (“Veleno”) e Davide Marengo (“Sirene”). Recitare su un palco e davanti ad una telecamera: due mondi completamente opposti …                                                                     

R: Sì, ma solo parzialmente. Una preparazione teatrale è già completa di per sé, ti aiuta tantissimo. Soprattutto nel contesto della naturalezza, della ricerca della verità. Non credo alla differenza tra recitazione teatrale e cinematografica. La recitazione è unica. Ad essere diversi sono i tempi. A teatro, per esempio, le prove sono fondamentali. Al cinema si gira e si rigira fino a quando non si trova il take perfetto. Invece credo che bisognerebbe arrivare già preparati anche sul set (faccio riferimento al personaggio, ad esempio). Una preparazione teatrale ti forma, perché ti abitui ad uno studio approfondito con il regista, durante le prove. Con il cinema, una parte di questo lavoro un po’ si perde anche se sono sincera: le mie esperienze cinematografiche sono state fortunate perché ho lavorato con registi che mi hanno dato le giuste informazioni sul personaggio che dovevo interpretare, sulla location … considera che, al giorno d’oggi, le tempistiche diventano sempre più ridotte così come i ciak. Quindi è necessario essere estremamente concentrati per raggiungere subito il target.

D: Arriva un premio importante come miglior attrice per un cortometraggio del quale sei protagonista “Strappamando” di Pierfrancesco Borruto. Ce ne vuoi parlare?

R: Devo dirti la verità? E’ una di quelle follie meravigliose nate e completate in un pomeriggio, tra amici. Pierfrancesco ha una casa di produzione, insieme al fratello Angelo, la BBROS. Abbiamo studiato insieme all’Accademia. In occasione di un mio compleanno, mi disse “Irene, ho pensato ad un cortometraggio da girare. Una cosa velocissima. Senza parole. Su Superman e la moglie!”. Lo abbiamo girato a casa di amici, in poche ore, utilizzando il green screen. Un paio di anni dopo, Pierfrancesco mi chiama e mi dice che ho vinto questo premio. Ovviamente, ne sono orgogliosa. Il corto è diretto benissimo, ha una trovata geniale a mio parere. Lo potete vedere su youtube, tra le altre cose!

D: Momento inevitabile … Dignità autonome di prostituzione e il tuo personaggio, quello della Ritrattista …

R: (Si illumina) DAdP è per me uno spettacolo importantissimo. E’ arrivato in un momento giusto per il mio percorso di attrice. Luciano (Melchionna, il regista dello spettacolo) N.d.R.) mi ha assegnato questo monologo brillante, ironico, ma a denti stretti, tipicamente nel suo stile … c’è sempre una dicotomia tra umorismo e amarezza. Provenivo da una serie di ruoli totalmente drammatici, quindi avevo paura di non riuscire a dare il giusto spessore a questo ruolo. In più, come ben sai, si crea un rapporto molto intimo con gli spettatori, soprattutto nel territorio napoletano: gente seduta sotto i tavoli, chi appesa al lampadario (scoppiamo a ridere). Però ho ottenuto grandissime soddisfazioni. Lo spettacolo ha un format geniale, è una grande festa. Prima c’è la parte divertente, con la contrattazione, poi il cambio e il pubblico ti segue con tanta attenzione. Più volte le persone mi hanno ringraziato di cuore, perché hanno iniziato a riflettere sul testo e sul significato così profondo di quelle parole. Ho avuto tanti bellissimi doni, persino un peluche meraviglioso (ridiamo perché fu un mio regalo!). E’ un’esperienza unica per un attore … quattro ore di spettacolo sono tante, ma ti lasciano tanto, è una vera e propria palestra. Hai a che fare con spettatori sempre diversi. Bisogna trovare anche un equilibrio con gli avventori: devi essere gentile e cortese, ma nel rispetto di un progetto teatrale.

Ha un Curriculum vitae impressionante. Snocciola ogni esperienza professionale con naturalezza. Ne va orgogliosa, certo, ma non ha tempo da perdere in gesti di vanità. Ogni esperienza è stata un mattoncino che le ha permesso di costruire. Durante l’intervista si sorprende di quanto conosca della sua carriera. Mi ringrazia. E’ un gesto di riconoscenza che è quasi commovente.

D: In 360° Girotondo si parla di sesso e amore in maniera diretta, con ironia, ma senza mai cadere nella volgarità gratuita …

R: Lo scopo era quello di essere eleganti. In questo Mario e Carlo (Gilardi e Caracciolo, che hanno curato regia ed adattamento N.d.R.) sono sempre molto attenti. A teatro si può affrontare qualsiasi tipo di tema, è la modalità che fa la differenza. Trovare un gioco teatrale per un argomento che è sotto l’occhio di tutti, affrontato in tutti i modi tra internet, televisione e cinema, era intrigante, rischioso, anche “folle”, ma è risultato vincente per lo spettatore. Sul palco c’erano questi tavoli con le rotelle e tutti gli attori dovevano muoversi al di sopra, in diversi momenti dello spettacolo. Una paura di cadere che non ti dico! (Ride).

D: Una collaborazione molto importante, anche dal punto di vista della collocazione, è quella con il Nuovo Teatro Sanità …

R: Assolutamente sì! Oramai è diventato una nuova casa, nonché una seconda famiglia! Il quartiere Sanità, prima di iniziare questo progetto, era per me una zona sconosciuta. A parte il fatto che è meraviglioso: colorato, florido! Lo vivi quando lo attraversi. C’è un giro di turismo non indifferente. Le Catacombe di San Gennaro, Le Catacombe di San Gaudioso, il Cimitero delle Fontanelle … avere questo teatro nel cuore della città è qualcosa di importantissimo. Come ben sai, il Teatro è costruito all’interno di una chiesa e già questo lo rende magico. Ma c’è di più: i ragazzi del posto che collaborano con noi sono tra le persone migliori che io abbia mai conosciuto. Sono generosi, attenti, hanno un entusiasmo incredibile. Tutto ciò si trasforma in linfa vitale per il lavoro che facciamo. Questo nucleo, per fortuna, cresce e si rinforza anno dopo anno. L’ultima stagione è stata un susseguirsi di grandi successi. C’è spesso il sold out. E’ una vittoria in un periodo di crisi totale, un piccolo fiore nel cemento. Noi ci occupiamo di tutto: dall’aspetto puramente artistico a quello organizzativo, passando per la manutenzione … lo viviamo a trecentosessanta gradi. Vedi che tutto torna? (Ridiamo).

D: Grandissima popolarità arriva con le web serie “Casa Surace” …

R:”Casa Surace” è stato un altro incontro fondamentale. Un altro punto di riferimento. Conoscevo già Andrea Di Maria e Simone Petrella. Entrambi provengono dal teatro, come me. La serie funziona. La cosa più importante è che tutti, dagli attori fino ai collaboratori sono uniti, affettuosi, ma soprattutto spontanei. E questa spontaneità, questa genuinità alla gente piace, perché arriva in pieno. Ci confrontiamo sulle cose da girare, non è mai un lavoro sterile, a sé stante. Anche a fine lavorazione, una volta ultimato il video, ci confrontiamo e ciò permette una crescita. C’è un’attenzione costante al gruppo, ti senti protetto. E’ una squadra solida. Questa piccola creatura è recente, ma sta ricevendo feedback positivissimi.

D: L’ultimo corto, dedicato alle fiabe Disney, sta andando davvero bene. Quanto ci avete messo per realizzarlo?

R: Guarda, per quanto riguarda le giornate di lavorazione sono state solo due. Con questo intendo allestimento, girato eccecc. anche se è chiaro che sono stati due giorni di full time. La location, stupenda, è il Castello Macchiaroli di Teggiano, in provincia di Salerno. Ovviamente, c’è stata prima la preparazione dello script, le prove costumi … siamo stati velocissimi perché c’è uno staff molto unito. La cosa più bella è il riuscire a mantenere inalterata la professionalità e la qualità di ciò che offriamo.

D: Luciano Melchionna torna a dirigere te e gli altri dignitosi in “Oh issa” degli Stag, un divertissement …

R: Molto divertente, abbiamo girato il video su questa spiaggia nei pressi di Latina. Avevamo conosciuto gli Stag a Cinecittà, durante le Dignità; in quella occasione erano stati gli ospiti musicali. La giornata trascorsa insieme è stata molto gradevole. Anche perché il gruppo dei dignitosi è davvero molto unito. Mi ricordo che era una giornata di settembre, ancora molto calda …

D: Sei giovanissima, eppure lavori da molti anni. Di tutte, qual è l’esperienza che ti è rimasta maggiormente nel cuore?

R: Domanda difficile! Senza mancare di rispetto a nessuno … ce ne sono tantissime. Ogni spettacolo mi ha segnato un periodo del mio percorso. Allora … “Museum” del grande Renato Carpentieri, una delle mie prime esperienze, all’interno del complesso del Museo di San Martino. “DAdP” e “Do not disturb”. Quest’ultimo progetto, ideato da Mario Gelardi e Claudio Finelli, credo sia uno spettacolo unico. Lo abbiamo presentato anche in diversi festival, come quello di Todi e di Benevento “Città spettacolo”. E’ un format ambientato nelle camere d’albergo. In primis, abbiamo un hotel che ci ospita, qui a Napoli, che è la fine del mondo :  il Grand Hotel Parker’s. Lo spettatore entra nella camera d’albergo e spia l’ultimo quarto d’ora, gli ultimi venti minuti di questa coppia (o terzetto) e tutto accade lì, in quel momento. Il famoso “qui ed ora” del teatro. Sia per l’attore sia per lo spettatore è un qualcosa di veramente suggestivo. Si crea una vera e propria intimità, un’empatia, un flusso di emozioni. Ti racconto una cosa molto delicata: una sera, durante una delle storie in una stanza, una signora rivide in me la figlia che era scomparsa, rimase molto turbata. Proprio perché non c’è una barriera, una separazione … il tutto è ancora più vero.

D: Cinema, teatro, serie web … quale pensi che sia la tua collocazione più naturale?

R: Sarò scontata, però il teatro è il mio primo e più grande amore. Però anche grazie al web sto ottenendo grandi soddisfazioni, perché ha una qualità importante: quella di essere diretto, ma soprattutto spontaneo. La web serie la vedo come una trasposizione naturale del teatro. E’ un canale di comunicazione che mi divertente, che va di pari passo con il teatro. Però non si può rinnegare la magia del cinema … non saprei scegliere, sono sincera!

D: Cosa dobbiamo aspettarci da Irene Grasso per questo 2017?

R: Sto collaborando con Mario Gelardi alla versione teatrale de “La Paranza dei bambini” (dal libro di Roberto Saviano) in scena dal 19 aprile in poi al Nuovo Teatro Sanità. Sarò aiuto regista. In qualità di attrice, invece, parteciperò a “Rituals” (scritto e diretto da Mario Gelardi) sull’emigrazione in Svizzera degli italiani alla fine degli anni ’60. Con questo spettacolo parteciperemo al Napoli Teatro Festival quest’estate. Una location particolare, all’interno di Palazzo Reale, una cosa fighissima!

D: Fatti una domanda e datti una risposta …

R: Oddio, che bello, proprio come da Marzullo! Userò la stessa: “Si piange ancora per le cose belle?”. Secondo me sì!

D: In bocca al lupo per tutto!

R: Crepi, grazie mille Christian!

Al termine dell’intervista, dopo avermi salutato, la vedo riprendere immediatamente il suo passo trotterellante. E’ già pronta per affrontare nuove avventure. In pochi secondi si è già mescolata tra la folla. Che questo cammino ti porti lontano, te lo meriti di cuore …

Irene Grasso: da dignitosa a suracina, con crescente successo was last modified: marzo 23rd, 2017 by L'Interessante
23 marzo 2017 0 commenti
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Claudio
CinemaCulturaIn primo piano

Claudio Rossi Massimi: vi racconto la mia generazione.

scritto da L'Interessante

Claudio

 

Di Christian Coduto

Oggi siamo in compagnia del regista Claudio Rossi Massimi. Nato a Roma nel 1950, ha realizzato la sua prima opera cinematografica, “La Sindrome di Antonio” dopo numerosi progetti in ambito televisivo e radiofonico. Ci incontriamo per discutere della proiezione del suo film nell’ambito della rassegna di cinema indipendente italiano “Independent Duel” (di cui sono Direttore Artistico) che avverrà in data 22 marzo, al Multicinema Duel. Gentile e disponibile, il regista descrive con entusiasmo il suo progetto …

 

Claudio Rossi Massimi ci parla di sé.

D: La prima domanda è di rito: chi è Claudio Rossi Massimi?

R: Sono un autore e un regista … lavoro da tanti anni nel settore cinematografico, radiofonico e televisivo. Ah! Sono anche uno scrittore! (sorride)

D: Quando è nata la passione per il cinema?

R: La passione per il cinema è, in primis, la passione per la cultura. Per questo motivo è nata con me. Sono stato sempre attratto dalle varie forme di comunicazione, dall’arte … non potrei dirti una data precisa.

D: Hai molta esperienza anche in campo televisivo … quali sono, sostanzialmente, le differenze che hai riscontrato nel campo cinematografico e quello della tv?

R: Le differenze sono tante. Difficili da riassumere in una singola risposta. La televisione deve rispettare degli obblighi di palinsesto. Anche al cinema devi rispettare la lunghezza, per esempio, o i limiti del budget, ma credo che sia una forma di espressione più libera. Non che la televisione non lo sia, per carità, ma segue un format più definito.

D: Perché “La Sindrome di Antonio?” Cosa ti ha portato a raccontare questa storia?

R: “La Sindrome di Antonio” è una storia generazionale, ambientata nel periodo della mia gioventù. Io, come dicevo prima, ho sempre avuto una grande passione per la scrittura. Volevo parlare di una generazione che ha fatto tantissimo da un punto di vista delle conquiste sociali (si pensi alla condizione della donna prima del ’68) ma che, da un punto di vista politico, è fallita perché non ha fatto grandi passi in avanti.

D: Nel tuo film ci sono tre camei eccezionali: Antonio Catania, Remo Girone e Giorgio Albertazzi. Come sei riuscito a coinvolgerli in questo progetto?

R: Il cameo vero è proprio è solo quello di Albertazzi, in realtà. Antonio ha un ruolo ben più definito e Remo è la voce narrante della storia (oltre a comparire in due scene). Guarda … ho semplicemente fatto leggere loro la sceneggiatura! Sembra impossibile, ma è proprio così! Bisogna provarci, lo dico sempre! Gli attori, più sono grandi, più non vivono di routine. Ciascuno di loro ha amato lo script e ha deciso di prendere parte al film.

L’impressione che ricevo è quella di un uomo sereno, pacato. Si pone educatamente, ha un atteggiamento di apertura. Ha un brutto raffreddore, ma affronta l’intervista in maniera vivace, ride spesso. Parla con cognizione di causa: le sue risposte sono brevi, ma complete.

D: Antonio intraprende un viaggio che è, in primo luogo, una ricerca di sé …

R: Assolutamente. Hai centrato in pieno il concetto. E’ un viaggio interiore che ciascun uomo o donna, deve intraprendere alla soglia della maturità per capire chi vuole essere da grande, piuttosto che cosa voglia fare …

D: I due giovani protagonisti, Biagio Iacovelli e Queralt Badalamenti sono davvero bravissimi. Cosa ti ha spinto a scegliere loro?

R: Devi sapere che non ho fatto i soliti casting, non mi sono fatto dare i classici libri con le fotografie e i curriculum. Sono andato ai saggi di varie scuole di cinema e teatro con la mia produttrice, Lucia Macale. Ho incontrato un certo numero di giovani attori e, tra loro, ho scovato Biagio. Queralt è un volto molto noto nell’ambito pubblicitario, le ho fatto fare una serie di letture della sceneggiatura: mi ha colpito la sua positività.

D: “La Sindrome di Antonio” è un progetto indipendente … quali sono i punti di forza e quelli deboli della produzione indie, a tuo parere?

R: Il punto di forza maggiore è la possibilità di raccontare ciò che desideri, in maniera completamente libera. Punti deboli: la mancanza di finanziamenti e la maggiore difficoltà di emergere. Noi abbiamo trovato una distribuzione, quindi mi ritengo assolutamente fortunato, ma questo non accade sempre, purtroppo.

D: Il film l’hai ideato, diretto e sceneggiato tu; in aggiunta a ciò, il punto di partenza è un tuo romanzo. E’ un tuo figlio a tutti gli effetti … rivedendolo, che impressioni hai avuto? C’è qualcosa che, ora come ora, cambieresti del risultato finale?

R: Direi che sono sostanzialmente soddisfatto del risultato finale. E’ chiaro, non tutto è perfetto, soprattutto considerando che ci troviamo di fronte ad un progetto indie come dicevamo prima. Però mi ritengo felice, orgoglioso.

D: Premettendo che un budget NON fa un film … quanto è costato “La Sindrome di Antonio”?

R: Questo lo dovresti chiedere alla produzione (ride). Il budget è nella media di un progetto indie però, considerando che è un film on the road, la cifra è sicuramente un po’ più alta.

D: Il problema maggiore per i progetti indipendenti è senza ombra di dubbio quello della distribuzione. Nonostante ciò, il tuo esordio è uscito in tutta Italia, in oltre trenta sale … un ottimo risultato!

R: Sì è vero! Il territorio è stato completamente coperto. Mi ritengo soddisfatto anche da questo punto di vista!

D: Cosa dobbiamo attenderci, ora, da Claudio Rossi Massimi?

R: Abbiamo in cantiere un progetto molto importante, un docufilm che stiamo girando. E’ relativo ad un libro di Papa Francesco. Nel tempo potrò dare indicazioni più precise!

D: Grazie mille per la tua disponibilità!

R: Grazie a voi!

 

Claudio Rossi Massimi: vi racconto la mia generazione. was last modified: marzo 13th, 2017 by L'Interessante
13 marzo 2017 0 commenti
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giffoni
CinemaEventiIn primo piano

Giffoni: Movie Days 2017

scritto da L'Interessante

Giffoni

Una finestra sulla storia per mettere in luce contraddizioni, matrici culturali e ideologiche del Novecento: lunedì 13,martedì 14 e mercoledì 15 marzo i Movie Days 2017, le giornate di cinema dedicate alla scuola organizzate da Giffoni Experience, seguiranno il filo di conduttore della memoria individuale di chi ha portato le stigmate della Shoah e si è salvato.

 Giffoni: l’evento

Ad inaugurare la tre giorni dedicata alla “Grande Storia” sarà Tullio Foà, esponente della comunità ebraica di Napoli. Lunedì 13 marzo nella Sala Truffaut della Cittadella del Cinema di Giffoni Valle Piana Foà incontrerà gli studenti dell’Istituto Comprensivo di Montecorvino Pugliano, del “Don Bosco” di Francavilla in Sinni, del “IV De Lauzieres” di Portici, dell’Istituto paritario “Sacro Cuore” di Casal Nuovo e della Scuola Media “Solimena”di Avellino per portare la propria testimonianza di un momento storico fatto di brutalità e piccoli gesti di umanità vissuti in prima persona.


Ricordare come imperativo morale, nel tentativo di ricercare le radici di tale ingiustificata disumanità: questo, invece, il cuore del lavoro del direttore del Museo Itinerario della memoria e della pace “Giovanni Palatucci”,Marcello Naimoli, e del direttore del MOA – Museum of Operation Avalanche di Eboli, Giuseppe Fresoloneche, martedì 14, incontreranno i più piccoli. In sala saranno presenti gli studenti degli Istituti comprensivi “Perna Alighieri” di Avellino e “Della Corte” di Pompei.

 

Mercoledì 15 marzo i Movie Days ospiteranno una preziosa testimonianza su come la risposta alla sfida dellaShoah si è tramutata in azione: i coraggiosi atti di  Giorgio Perlasca rivivranno nel racconto del figlio Franco. Un’occasione per spiegare ai più giovani come quell’uomo, nato a Como nel 1910, si finse un diplomatico spagnolo e rilasciò salvacondotti falsi salvando la vita a 5.200 ebrei. Alla giornata parteciperanno gli alunni della Scuole medie “Balzico” di Cava de’ Tirreni, “Solimena” di Avellino e del Circolo Didattico “Don Milani” di Giffoni Valle Piana.

 

Durante la tre giorni saranno proposti l’acclamato vincitore nel 2016 della sezione Generator +13, “Il Viaggio di Fanny” della regista e sceneggiatrice francese Lola Doillon, e “Abel – Il figlio del vento” di Gerardo Olivares e Otmar Penker (in concorso alla 46 edizione nella sezione Elements +10).

Giffoni: Movie Days 2017 was last modified: marzo 12th, 2017 by L'Interessante
12 marzo 2017 0 commenti
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Ferzan
CinemaCulturaIn primo piano

“Rosso Istanbul” di Ferzan Ozpetek. La recensione.

scritto da L'Interessante

Ferzan

Di Christian Coduto

Rosso Istanbul (Turchia, Italia 2017)  **

Regia: Ferzan Ozpetek (7)

Con: Halit Ergenç (6), Nejat Isler (6), Mehmet Günsür (6), Tuba Büyüküstün (6/7), Serra Yilmaz (5/6)

Orhan Sahin ha avuto, in passato, un grande successo come scrittore. In seguito ad un evento traumatico che ha coinvolto lui e la sua ex moglie, ha deciso di abbandonare la sua amata Istanbul per trasferirsi in Inghilterra.

Dopo diversi anni, ritorna in madrepatria per incontrare Deniz Soysal, un affermato regista che si appresta a realizzare il suo romanzo d’esordio, in cui affronta la sua vita, i suoi amori e i legami familiari.

Nel libro, grande importanza assumono le figure di Yusuf, un ragazzo (cocainomane) con il quale Soysal ha vissuto un’importante relazione sentimentale e della splendida Neval, la migliore amica del regista.

Quando Soysal scompare all’improvviso, senza lasciare alcuna traccia, Orhan si mette alla ricerca dell’uomo. Il confine tra la finzione e la realtà non sembra essere più così netto …

Con “Rosso Istanbul” Ferzan Ozpetek, dopo il precedente “Allacciate le cinture” (meritevole di una degna rivalutazione), ritorna nel suo paese d’origine, sfruttando un cast di attori locali e raccontando una storia che profuma di nostalgia e di mistero.

Il film è ricco di simbolismi, la sceneggiatura si fonda su dialoghi spesso appena accennati, talvolta poco comprensibili.

Silenzi. Sguardi. Nuovi silenzi. Paesaggi. Lacrime sparse.

Dopo un quarto d’ora di proiezione, la noia è alle stelle. Al termine del film, il numero degli sbadigli è incalcolabile.

Sì, perché la pellicola è un gioco stilistico impeccabile, ma la storia è assente. Volutamente, certo, ma assente.

C’è un sottile filo che separa la poesia dalla presa in giro dello spettatore. Ozpetek ci circumnaviga intorno pericolosamente, con risultati che hanno il gusto della delusione.

Se, di impatto, può sembrare coraggioso il tentativo da parte del regista di provare ad allontanarsi dalle precedenti storie (variando del tutto location, situazioni e attori coinvolti), a ben vedere ci si accorge che nulla, in sostanza, è davvero cambiato:

le due zie di Yusuf, ad esempio, sono la copia perfetta di Carla Signoris e Elena Sofia Ricci in “Allacciate le cinture”; l’entrata in scena di Neval riporta subito alla mente Nicole Grimaudo in “Mine vaganti”. La stessa Yilmaz, attrice feticcio del regista, funge da trait d’union con il passato.

C’è, come sempre, il tema della morte.

E poi abbiamo il cibo: lunghe, immense, infinite tavolate, come nella migliore tradizione di Ozpetek.

I protagonisti mangiano sempre. Troppo.

Il dico e non dico, il non rendere chiaro gli eventi, ha un qualcosa di irritante.

Spiace perché Ozpetek è sicuramente un buon regista: sfrutta gli ambienti con intelligenza (un plauso anche al Direttore della fotografia, Gian Filippo Corticelli) e sceglie con attenzione i brani della colonna sonora.

Pecca, stavolta, nella direzione degli attori (suo noto punto di forza): svogliati e poco coinvolti in una storia che fa acqua da tutte le parti, con la sola Tuba Büyüküstün in grado di donare un certo fascino al personaggio di Neval.

Del tutto fuori luogo la scelta di fare doppiare Serra Yilmaz dalla stessa: la sua voce appare poco armonica e tendenzialmente sgradevole.

Un’occasione mancata. Auguriamo al regista di ritrovare al più presto l’ispirazione e l’originalità delle sue opere precedenti.

 

“Rosso Istanbul” di Ferzan Ozpetek. La recensione. was last modified: marzo 6th, 2017 by L'Interessante
6 marzo 2017 0 commenti
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Modern Family
CinemaIn primo pianoTv

Modern Family: una famiglia poco convenzionale

scritto da L'Interessante

Modern Family

Di M.Rosaria Corsino

 

Ormai è risaputo, Grey’s Anatomy è il fiore all’occhiello della redazione.

Ma dopo tredici stagioni, la morte di quasi tutti e una tragedia continua che Euripide, fatti da parte, c’è il bisogno di cambiare aria.

E respirare un po’ di vita. In tutti i sensi.

Grazie al cielo la ABC, nota rete americana, nel 2009 ha dato vita a Modern Family.

Una sit-com davvero poco convenzionale

 

La Modern Family  oggi

 

Non c’è niente di classico e scontato in questa serie realizzata con la tecnica del falso documentario.

La famiglia si compone di tre nuclei: la famiglia Pritchett che vede il capostipite Jay sposato con la bella Colombiana Gloria, che ha un figlio dal precedente matrimonio, Manny.

La famiglia Pritchett-Dunphy composta dalla figlia di Jay, Claire, il marito Phil e i tre figli.

L’ultimo nucleo, quello Pritchett-Tucker vede il figlio di Jay, Mitchell, col suo compagno Cameron e la loro bambina vietnamita, Lily.

Bizzarra, fuori dal comune e assolutamente straordinaria, questa famiglia ci ha regalato fino ad ora, otto stagioni davvero fantastiche.

Ciò che lo rende ancora più piacevole, è la completa mancanza del classico moralismo americano.

Non aspettatevi insegnamenti su come bisogna essere sinceri l’uno con l’altro o sempre pronto a tendere una mano.

Divertente, ironica e a volte cinica, Modern Family vi farà ridere tanto.

E forse vi farà riprendere dalla morte di Derek.

Modern Family: una famiglia poco convenzionale was last modified: marzo 2nd, 2017 by L'Interessante
2 marzo 2017 0 commenti
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Sebastiano
CinemaCulturaIn primo pianoTeatro

Sebastiano Gavasso: mangia, nuota, recita.

scritto da L'Interessante

Sebastiano

 

Di Christian Coduto

Nel momento in cui scende dal treno, armato solo di un trolley piccolino e molto pratico, impegnato in un’animata telefonata al cellulare, ti rendi conto di trovarti di fronte ad un ragazzo che non ama perdere tempo. Un giovane manager, che sfrutta le ore in maniera proficua. Non è uno di quelli che si adagia sugli allori, non se lo può permettere. Nessuno, in realtà, dovrebbe. Trasuda sicurezza da tutti i pori, ma senza apparire mai distaccato o antipatico. E’ solo concentrato su ciò che deve fare. Nel corso dell’intervista, armeggia in continuazione con un organizer: segna orari, appuntamenti, memo di varia natura. E’ uno che ama la perfezione, nella vita e nel lavoro. Spesso, si è soliti dire che la precisione sfoci nella freddezza, ma non è questo il caso. Sebastiano Gavasso è un attore forte, vibrante. Ho avuto la fortuna di vederlo sul palco in diverse occasioni. Ha una capacità di immedesimazione nel personaggio che interpreta che lascia sgomenti. La prima volta che lo vidi interpretare il “Tra le pietre” in Dignità autonome di prostituzione, gli scoppiai a piangere in faccia. Appena mi vede, sorride con la sua solita affabilità. L’attore è attualmente in Campania per le prove dello spettacolo “Il giocatore”, uno spettacolo importante, che avrà di certo grande risonanza. “Dove andiamo a mangiare?” mi chiede; in effetti l’ora di pranzo è vicina. Gli dico che la zona non la conosco … sfodera il suo amato cellulare: dopo un paio di minuti tira fuori il nome di un ristorante. “Ha detto un mio amico che lì si mangia benissimo”, mi informa.

La sua praticità è ammirevole. Appare in forma, rilassato, pronto ad affrontare una nuova avventura con molto entusiasmo. Parla a ruota libera. Ogni tanto utilizza, a sorpresa, qualche parolina in dialetto romano: proprio perché inaspettata, la cosa te lo fa apparire ancora più simpatico.

Mentre lanciamo un’occhiata al menù, inizio a riempirlo di domande.

 

Sebastiano Gavasso risponde alle domande de “L’interessante”.

D: Domanda introspettiva: chi è Sebastiano Gavasso?

R: Potrei risponderti in molti modi. Per esempio: “Credo che trovare la risposta a questa domanda sia la ragione principale per cui faccio questo mestiere.” Ma preferisco rispondere più seriamente:  un trentacinquenne, nato a Roma da un veneto ed una greco-romana, che ama recitare, nuotare e mangiare frutti di mare.

D: Una tua definizione della parola recitare. Cosa significa per te?

R: Giocare con la consapevolezza di sé, per conoscersi meglio e per condividere col pubblico questo piccolo tentativo di conoscenza.

D: Sei così serio e rispettoso sul palco, ma anche molto ironico nella vita di tutti i giorni. Il tuo JesVlog – Il Vlog di Gesù di Nazareth è un concentrato di battute esilaranti. Com’è nata l’idea di questo progetto?

R: L’idea è nata 2017 anni fa. Ha subito un piccolo stop di tre giorni nel 33 d.C. ma poi è ripartita alla grande (ridiamo di gusto). Noi tre (nel senso di autrice, regista e interprete) abbiamo voluto raccontare un Gesù diverso dal solito, ma non così lontano dai vangeli apocrifi. Una buona novella … non troppo buona … nell’alto dei clouds e su YouTube.

D: Lavori tanto sia in Italia sia all’estero, avendo vissuto e studiato per un lungo periodo di tempo a Perth. Quali differenze hai trovato nell’approccio alla recitazione?

R: A Perth ho avuto la fortuna di studiare con la talent scout di Heath Ledger, posso dire che in generale c’è una maggiore ricerca di verità  (grossa parte degli spettacoli teatrali che ho visto lì sono recitati come se si stesse su un set cinematografico). La verità scenica però è una cosa diversa, e non credo dipenda solo da quel tipo di ricerca di verità. Ad ogni modo credo che esistano solo tue tipi di recitazione: quella che comunica ed emoziona, e quella che non lo fa. La prima fa bene all’attore, al teatro e al pubblico. La seconda no.

D: Gli amanti del buon teatro ti conoscono per “Dignità autonome di prostituzione” di Luciano Melchionna, uno spettacolo decisamente fuori dal normale …

R: Ecco parlando di verità e verità scenica DAdP è l’esempio perfetto, e Luciano un maestro. La sua indicazione prima di ogni replica è “Il pubblico non deve uscire dalle stanze pensando a quanto sia bravo questo attore ma con la sensazione di aver assistito a qualcosa di extra-ordinario”. Per farlo l’unione di verità e arte è fondamentale. A tal proposito, Caravaggio diceva: “Tutte le cose non sono altro che bagatelle, fanciullaggini o baggianate – chiunque le abbia dipinte – se esse non sono fatte dal vero, e nulla vi può essere di più buono o di meglio che seguire la natura”. Noi dipingiamo anime vive, ma vale lo stesso concetto.

Ha pronunciato la citazione con un fare più serio, in netto contrasto con l’atmosfera leggera che si è creata nel frattempo e l’effetto è decisamente suggestivo. E’ così: è responsabile, ma ama prendersi in giro. E’ un continuo alternarsi di dinamiche, destabilizza e ti coinvolge nel suo essere.

D: Parliamo di “D5, Pantani”, al quale so che sei molto legato …

R: Uno spettacolo che mi è entrato nel cuore e che porta con sé una grande battaglia: restituire a Marco Pantani, alla sua famiglia, ai tifosi dell’uomo e dello sportivo la dignità e il rispetto che hanno provato a togliergli. Abbiamo debuttato a Dozza (BO) lo scorso dicembre dopo oltre un anno di prove e abbiamo avuto l’onere e l’onore di utilizzare in scena una delle biciclette di Marco. L’emozione a fine spettacolo era tangibile: commozione e consapevolezza di fare qualcosa di grande e di giusto. A maggio con lo spettacolo seguiremo le principali tappe del Giro d’Italia del Centenario. Debutteremo a Reggio Calabria il 5 maggio e chiuderemo a Milano al Teatro della Cooperativa il 28 maggio. Una grande vittoria fatta di salite, fatica e cuore. Con Marco, per Marco, sempre.

Dopo l’ultima frase, resta in silenzio per un attimo. L’osservo con attenzione: è visibilmente emozionato. Orgoglioso di quello che ha messo in atto. Avevamo parlato da tempo di questo progetto e so quanto per lui sia stato importante essere riuscito a realizzarlo.

D: Cinema e teatro , un legame interessante. Sei uno dei drughi di “Arancia meccanica” diretto da Gabriele Russo …

R: Un sogno che si è realizzato e mi ha cambiato la vita. Il Teatro Bellini è una famiglia che mi ha accolto, stimato, spronato. Uno spettacolo per “atleti del cuore”, che necessitava di una grande preparazione emotiva e fisica. Uno spettacolo meraviglioso. Un onore poter essere un drugo, oltre a un obiettivo da quando avevo 11 anni. Ora la nostra famiglia di drughi e malcicke di Arancia Meccanica sta lavorando ad un altro spettacolo che promette meraviglie: Il Giocatore di Dostoevski. La regia è sempre di Gabriele, e oltre agli aranciameccanici Daniele Russo, Alfredo Angelici, Paola Sambo, Martina Galletta e Alessio Piazza può contare su due nuovi diamanti: Marcello Romolo e Camilla Semino Favro. Con una squadra così è un piacere essere un Giocatore!  Debuttiamo il 14 Marzo al Teatro Bellini!

Nel frattempo, arrivano due primi strepitosi. In effetti il suo amico aveva ragione … Sebastiano mangia di gusto, si sta rilassando e sorride di più.

D: Nel 2012 sei stato il protagonista di “L’ultimo sogno di Howard Costello” di Michele Diomà, un’opera molto coraggiosa e riuscita, in cui reciti solo con lo sguardo e i gesti. E’ stato difficile completare un progetto così ambizioso?

R: E’ stato un progetto magico, che si è nutrito di sogni e che ha fatto sognare. Nei sogni tutto accade con naturalezza, le difficoltà nascono solo quando si smette di sognare.

D: La bravissima Laura Morante ti dirige in “Assolo”, in un cast di attori notissimi. Cosa ti affascina della visione registica femminile?

R: Non noto differenze di visioni registiche. Anche quei vale quel che vale per gli attori: chi comunica ed emoziona, e chi no. Maschile, femminile, nell’arte e nella vita, sono termini decadenti. Laura è attuale. Comunicativa. Capace di emozionare. Delicata, decisa e capacissima di dirigere. Anima e donna splendida.

D: Nel 2016 “Zeta” di Cosimo Alemà è record di incassi nelle sale italiane. Che ricordi hai di questa esperienza? Che rapporti hai con la musica rap?

R: Un’esperienza molto formativa, un film fatto di cuore e musica, di parole capaci di tagliare. Non è un film comodo, questa è la sua forza. Vola come una farfalla, punge come un’ape … come il rap … ed è deciso, umano, schietto e diretto, come Cosimo.

D: A proposito di musica … ci parli un po’ dei videoclip musicali di cui sei protagonista?

R: Il primo videoclip l’ho girato in Australia, è una forma artistica che mi piace molto: pensieri, parole, immagini, storie che si fondono con la musica. In Italia sono particolarmente legato a Rocker carbonaro di Mezzala (diretto da Antonella Sabatino) e Parlo all’infinito di Jacopo Ratini (diretto da Federico Malafronte) con cui abbiamo vinto il Roma Videoclip 2015 e in cui recito con la mia compagna Martina Galletta: una coppia nel video, in scena e nella vita! Il mio vero Oscar!

D: Prima di salutarci, un’ultima domanda : Cosa si augura Sebastiano Gavasso da questo 2017?

R: Mi auguro di fare sempre meglio e raggiungere gli obiettivi umani, professionali ed artistici che inseguo. Passo dopo passo. Tappa dopo tappa. In salita verso la vetta. Soprattutto mi auguro di essere un buon compagno, un buon fratello, un buon figlio, un buon amico … ma soprattutto un buono zio! Auguri piccolo Dario sei la mia rivoluzione!

D: Ciao e grazie di tutto!

R: Grazie a te amico mio è sempre un piacere! Ci vediamo a teatro!

Sebastiano Gavasso: mangia, nuota, recita. was last modified: marzo 2nd, 2017 by L'Interessante
2 marzo 2017 0 commenti
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Gomorroide
CinemaCulturaIn primo piano

Gomorroide: i Ditelo Voi al Cinema

scritto da L'Interessante

Gomorroide.

DIRETTAMENTE DAL SUCCESSO DI MADE IN SUD, LA PUNGENTE COMICITÀ DE I DITELO VOI ARRIVA SUL GRANDE SCHERMO CON GOMORROIDE

Dallo straordinario successo di Gomorroidi, la parodia della celebre serie TV che ha conquistato il pubblico di Made in Sud, L’IRRIVERENTE TRIO COMICO I DITELO VOI ARRIVA DAL 9 MARZO ANCHE SUL GRANDE SCHERMO CON GOMORROIDE, grazie a Tunnel Produzioni.

La comicità firmata Made in Sud che ha esordito al cinema con Vita, cuore, battito del duo Arteteca – vero e proprio caso cinematografico dello scorso anno con quasi 2 milioni di box office – torna al cinema con la verve e l’ironia di Francesco De Fraia, Raffaele Ferrante, Domenico Manfredi, affermati da anni sulla scena del cabaret italiano e conosciuti al grande pubblico come i Ditelo Voi.

Nel film i nostri Francesco, Lello e Mimmo sono gli attori protagonisti di ‘Gomorroide’, un telefilm che prende in giro la spietata organizzazione criminale. I tre sono coinvolti in una divertente sequenza di equivoci che saranno occasione per portare sul grande schermo, con sorprendenti novità, la loro comicità apprezzata dai tanti fan che li seguono sia in televisione, che in teatro, facendo registrare il tutto esaurito ai loro spettacoli in numerose città italiane.

“La nostra è una commedia caustica, un film che diverte” affermano i Ditelo Voi “non vogliamo svelare nulla, ma sarà una storia rocambolesca, in cui interpretiamo più personaggi contemporaneamente, condita con quell’ironia che da sempre caratterizza la nostra comicità”.

SINOSSI

La camorra è in ginocchio.

Il merito di questo inaspettato declino è del più grande fenomeno mediatico degli ultimi anni: GOMORROIDE, un telefilm comico che prende in giro la spietata organizzazione criminale. Grazie alla frizzante irriverenza della serie, la gente ha meno paura della malavita e si ribella ai piccoli soprusi che prima subiva.

Il successo travolgente del telefilm, trasforma i tre attori, interpreti dei feroci e strampalati camorristi, in vere e proprie star. Quando all’emittente televisiva viene recapitata una busta con tre proiettili indirizzata agli attori, nessuno prende veramente sul serio quell’intimidazione.

Almeno finché un divertente susseguirsi di eventi ed equivoci, costringerà il trio, loro malgrado, ad entrare in un programma di protezione che li sballotterà su e giù per l’Italia. Ma la camorra, accusata ingiustamente, non resterà con le mani in mano.

Gomorroide: i Ditelo Voi al Cinema was last modified: febbraio 25th, 2017 by L'Interessante
25 febbraio 2017 0 commenti
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Film
CinemaCulturaIn primo piano

“Il Cliente” e “Jackie”: mattina da Oscar al Duel con Caserta Film Lab

scritto da L'Interessante

Film.

Caserta Film Lab si prepara alla Notte degli Oscar con una maratona domenica in programma il 26 febbraio. Sul grande schermo due dei film più apprezzati della stagione, “Il Cliente” di Asghar Farhadi e “Jackie” di Pablo Larraín.

Film Il Cliente

Emad e Rana sono due coniugi costretti ad abbandonare il proprio appartamento a causa di un cedimento strutturale dell’edificio. Si trovano così a dover cercare una nuova abitazione e vengono aiutati nella ricerca da un collega della compagnia teatrale in cui i due recitano da protagonisti di “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller. La
nuova casa era abitata da una donna di non buona reputazione e un giorno Rana, essendo sola, apre la porta (convinta che si tratti del marito) a uno dei clienti della donna il quale la aggredisce. Da quel momento per Emad inizia una ricerca dell’uomo in cui non vuole coinvolgere la polizia.

Film Jackie

Sono passati cinque giorni dalla morte di John Kennedy e la stampa bussa alla porta di Jackie per chiedere il (reso)conto. Una relazione particolareggiata dei fatti di Dallas. Sigaretta dopo sigaretta, Jackie ristabilirà la verità e stabilirà la sua storia attraverso le domande di Theodore H. White, giornalista politico di “Life”. Una favola che il suo interlocutore redige e Jackie rilegge, rettifica, manipola, perfeziona per dire al mondo di Camelot, dell’arme, la dama e il cavaliere che fecero
l’impresa e la Storia fino al declino della loro buona stella.

La maratona sarà preceduta dalla Cinecolazione del CFL e nell’intervallo tra le due proiezioni sarà il momento del Brunch del cineforum: lasagne dello chef CFL, mozzarelline e quiche.

Il programma prevede quindi:

10:00 Cinecolazione del CFL
10:30 proiezione “Il Cliente” di Asghar Farhadi

13:00 Brunch del cineforum: lasagne dello chef CFL, mozzarelline e quiche
14:00 proiezione “Jackie” di Pablo Larraín

Prezzo soci Caserta Film Lab 6,00€.

Prezzo non soci 10,00€

Prezzi comprensivi della doppia proiezione, colazione e pranzo.

L’evento sarà anche l’ultima occasione per partecipare al TotoOscar di Caserta Film Lab, giunto alla sua 4° edizione, e scommettere sui vincitori degli Oscar 2017. In palio 3 premi targati CFL. Maggiori informazioni su
www.casertafilmlab.com

“Il Cliente” e “Jackie”: mattina da Oscar al Duel con Caserta Film Lab was last modified: febbraio 25th, 2017 by L'Interessante
25 febbraio 2017 0 commenti
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Tiziana
CinemaIn primo piano

Tiziana Ciccarelli: Il Caserta Film Lab, un gruppo di amici

scritto da L'Interessante

Tiziana

Di Christian Coduto

“Ciao Christian!!!”

Riconoscerei quella voce tra mille: è inconfondibile.

Vivace, simpatica, socievole, sicura di sé. Un ruolo, quello del Presidente del Caserta Film Lab, che le si addice a pennello. Tiziana Ciccarelli è così: un fiume in piena. La risata contagiosa e persino frastornante, ti mette subito a tuo agio. Ci dirigiamo in pizzeria per mangiucchiare qualcosa prima di ritornare al nostro lavoro. Gesticola allegramente, come se volesse rafforzare, con la postura, la fondatezza delle sue affermazioni. Ha uno sguardo molto profondo. Guarda dritto negli occhi, non ha paura di farlo. E’ una donna tosta, non c’è che dire. Il suo ruolo lo impone. Tiene a bada una sensibilità che, talvolta, trapela furtivamente e che immediatamente ritorna nei cassetti più intimi, perché conoscere la vera Tiziana è un dono per pochi …

Tiziana Ciccarelli ci parla dell’associazione di cui fa parte.

D: Tiziana che cos’è il Caserta Film Lab ?

R: Il Caserta Film Lab è un’associazione nata nel 2013, grazie alla passione per il cinema di un gruppo di amici, che ha lo scopo di portare pellicole d’autore in città. La sua sede è il Duel, ma organizziamo eventi anche allo Spazio X (ex Teatro Civico 14). In quest’ultimo caso si parla di una rassegna di documentari. Se già il cinema d’essai ha tante difficoltà a passare nelle sale, per i documentari il problema è persino maggiore. Riteniamo sia una cosa doverosa proiettare, anche per pochi spettatori, dei progetti spesso poco conosciuti e il fatto di avere a disposizione dei luoghi in cui poterli far visionare credo sia qualcosa di importante per la città di Caserta.

D: Caserta, rispetto a Napoli, Milano o Roma è sicuramente un territorio più piccolo, decentralizzato. Portare il cinema di qualità in sala è un rischio … ma quanto è divertente farlo?

R: E’ vero che è un rischio, ma d’altro canto la risposta c’è sempre, il pubblico ci segue con entusiasmo. Io lo dico sempre: ci fossero in sala anche dieci spettatori, sarebbe pur sempre una vittoria, perché quei dieci spettatori avrebbero visto un qualcosa che non avrebbero potuto vedere altrimenti.

D: Spesso, in sala, c’è spazio per le interviste. Tanti personaggi del mondo dello spettacolo, registi esordienti … la cosa più bella, che ho sempre rilevato nella vostra Rassegna, è il fatto che tutti si sentano a casa …

R: Assolutamente sì. Sono contenta che tu l’abbia notato. Queste persone rimangono sempre in contatto con noi; con alcuni di loro si è creata una bella amicizia, come con l’attore Valerio Aprea, il regista Toni D’Angelo e lo sceneggiatore Francesco Piccolo. Anche Alessandro Borghi risponde sempre ai nostri messaggi di saluto con tanto affetto e dolcezza.

La sua scioltezza ti lascia frastornato. Trasuda energia da tutti i pori. Soppesa le parole, riflette, ha un che di estremamente affascinante.

D: Si avvicina la notte degli Oscar. In quanto Presidentessa dell’associazione avrai sicuramente i tuoi preferiti. Chi vincerà secondo te?

R: (ride) Allora … tenendo conto che ciò che piace ad una persona, solitamente, non corrisponde quasi mai a ciò che vince … credo che “La la land” farà incetta di premi. A me, sia chiaro, è piaciuto. Lo vidi in anteprima a Venezia e lo trovai un ottimo film di apertura, molto colorato, divertente. Però non credevo che avesse tutta questa eco. “Manchester by the sea”, per esempio, che ho visto a Roma, è un film che mi ha colpito molto e meriterebbe qualche premio. Lo stesso dicasi per “Jackie” che, purtroppo, viene ricordato solo per la prova di Natalie Portman. Non mi esprimo sugli altri, anche perché non ho ancora avuto modo di vederli tutti. A tal proposito: il 26 mattina, al Duel, ci sarà la mattinata da Oscar per il quarto anno consecutivo! Verranno proiettati due film: il primo sarà “Jackie”, il secondo “Il cliente” di Ashgar Farhadi, vi aspettiamo!

D: C’è un’usanza molto carina per tutti gli spettatori del Caserta Film Lab (soci e non) … al termine della visione, viene consegnata loro una scheda per votare il film che hanno appena visto. Il pubblico viene coinvolto direttamente e sente la responsabilità, in quanto “Recensore” per una notte …

R: Questa cosa è venuta fuori l’anno scorso, c’era piaciuta ai Festival e abbiamo pensato di portarla qui. Ovviamente per capire i gusti del nostro pubblico. Una cosa divertente è che, le volte in cui non abbiamo portato le schede, il pubblico si è lamentato del fatto che non ci fossero e siamo stati costretti a segnarci i voti su un foglio di carta o sul cellulare! Tra le altre cose, ci sono sempre voti opposti: tanto gli uno quanto i cinque per uno stesso film. Mai, o molto raramente, i due e i tre. Questo significa che le nostre pellicole dividono e creano turbamento, in positivo e in negativo. Non sono mai mediocri. Poi, ovviamente, nella nostra presunzione, crediamo che i film della rassegna partano tutti da dieci poi, dopo il dieci, si dia il voto da uno a cinque (scoppia a ridere).

D: Ti va di ricordarci i nomi delle persone che collaborano con te in associazione?

R: Certo, con piacere! Mai fare personalismi all’interno di un’associazione! Io sono il Presidente del Caserta Film Lab da tre anni e sono subentrata a Mauro Alifano. Accanto a me, dal primo giorno, Veronica Iovine, Salvatore Piccolo, Ilaria De Lucia, Sergio d’Andria e Antonio Pierro. A loro si sono aggiunti Davide Belfiore, Vincenzo Bottone, Alessia Guardascione, Gianmarco Di Domenico e Diana Idone che hanno donato nuova linfa e tante idee. Senza di loro tutto questo non sarebbe possibile. Lo stesso Mauro Alifano, pur non facendo più parte del direttivo, continua a seguirci e a sostenerci in maniera fattiva.

D: Grazie mille Tiziana e … in bocca al lupo per tutto!

R: Grazie a te!

Tiziana Ciccarelli: Il Caserta Film Lab, un gruppo di amici was last modified: febbraio 23rd, 2017 by L'Interessante
23 febbraio 2017 0 commenti
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Adriano
CinemaIn primo piano

Adriano Morelli: Sono giovane, ma condannato dal mio essere.

scritto da L'Interessante

Adriano

Di Christian Coduto

Pubblico delle grandi occasioni al Duel Village di Caserta per la prima di “La condanna dell’essere”, esordio nel mondo del cortometraggio di Adriano Morelli. Giovanissimo (ha da poco compiuto 22 anni) e ricco di idee, il cineasta ha portato sul grande schermo della sala 2 (completamente sold out) la storia di un traditore seriale (interpretato da Maurizio Casagrande) che, dopo la morte della moglie, prova ad avvicinarsi alla religione per sentirsi meno in colpa per i peccati che ha commesso.

In sala, a tifare per Morelli, il fratello Edoardo De Angelis (il regista di “Mozzarella stories”), le gemelle Angela e Marianna Fontana (le protagoniste di “Indivisibili” dello stesso De Angelis) nonché i protagonisti del corto: Maurizio Casagrande, appunto, Tiziana De Giacomo e Silvestro Marino.

Dopo un piacevole dibattito curato dalla Presidentessa del Caserta Film Lab Tiziana Ciccarelli, inizia una lunga festa nell’ En Gedi Duel Club.

Circondato da decine e decine di persone che gli chiedono un autografo, un selfie e qualche curiosità in più sul filmato, il regista dedica un sorriso a tutti, con la consueta cortesia.

Riesco a sottrarlo alla folla in un momento in cui i “Nantiscia” (che hanno curato la soundtrack del progetto) iniziano a suonare.

Ci sediamo un attimo in sala proiezione. Adriano appare ancora visibilmente confuso, ma è di certo contento e soddisfatto. Sorride …

Adriano Morelli risponde alle domande de “L’interessante”.

D: Adriano, perché “La condanna dell’essere”?

R: Un titolo esistenzialista vero? Il corto però ha un risvolto ironico. Maurizio Casagrande mi ha regalato l’onore di lavorare con lui. Tra le altre cose, per la prima volta nelle vesti di un uomo triste; condannato ad esserlo, in quanto traditore seriale e peccatore. Egli prova a placare il suo immane senso di colpa attraverso la chiesa. Dopo l’ennesimo Padre nostro, si rompe le scatole (ma Adriano utilizza termini più coloriti N.d.R.) e decide di ritornare al proprio essere, alla sua ossessione, ovverosia la vagina (vedi sopra). Che rappresenta, in effetti, la sua libertà. “La condanna dell’essere” si basa appunto sul binomio tra la vagina e libertà.

D: Fai riferimento a Maurizio Casagrande … perché hai proposto a lui questo progetto?

R: Cercavo un attore nel territorio napoletano che non fosse tra quelli già utilizzati da mio fratello Edoardo. Che fosse, in primis, bravo. Ho conosciuto Maurizio al Galà del cinema e della fiction nel Castello Medioevale di Castellammare di Stabia. Gli ho proposto il soggetto e gli è piaciuto. Siamo stati entrambi spinti dalla curiosità. La curiosità ti porta sempre ad un fine … positivo o negativo, certo, però stavolta c’è andata davvero bene (ridiamo).

D: Nel ruolo del prete, un altro grande attore: Massimiliano Rossi …

R: Mi piaceva l’idea di raccontare di un prete che rispettasse l’ideologia cristiana, ma non fino in fondo. Ciò che prevale nel personaggio interpretato da Massimiliano è il suo buon senso, lui è un amico del protagonista. Cerca di fargli capire che ciò che sta commettendo non è un peccato e quindi è inutile andare da lui per chiedere assoluzione; meglio proseguire piuttosto per la propria strada, provando a non sbagliare di nuovo. Come mi disse Don Primo, quando gli andai a chiedere se potessi girare nella sua chiesa “Se Dio è contento, siamo contenti anche noi”

L’intervista prosegue e Adriano si scioglie. E’ più sereno.

Mi ha colpito, durante la presentazione in sala, la necessità, il bisogno di ringraziare ripetutamente i suoi genitori e suo fratello. Ha un ruolo di responsabilità questa sera e sente il peso del giudizio. Ha pur sempre 22 anni, non dimentichiamocelo. Questa combinazione suscita tanta tanta tenerezza. Gli applausi che ha ricevuto (e sono stati tantissimi) non gli hanno dato quella sfrontatezza che, nella maggior parte dei casi, sfocia nell’antipatia vera e propria. Risponde sempre in maniera misurata, quasi come se volesse chiedere il permesso di parlare.

D: Dov’è ambientato il cortometraggio? Perché hai scelto quelle location?

R: A Caserta sono nato. La scelta del territorio casertano è legata ad un fatto logistico; è un corto girato in economia, nonostante la presenza di ben 43 persone nella troupe, tutti professionisti che, forse, non lavoreranno mai più per le cifre per le quali hanno lavorato per questo progetto. Questo ti fa capire quanto il cinema possa andare al di là di un mero fattore economico, quando le persone coinvolte apprezzano ciò che stanno vivendo! Il Santuario di Santa Lucia l’ho scelto perché mi piace molto, soprattutto l’esterno: scavato nella cava. Una struttura assai semplice, con un paio di statue e qualche crocifisso illuminato. Io, poi, credo che una chiesa sia dentro ognuno di noi. L’importante è avere fede in Dio. Tra le altre cose, il simbolo della croce ci ha accompagnato sui set dei film di Edoardo, mi piacerebbe continuare così nei miei racconti.

D: Quanti giorni di riprese sono stati necessari per completare il progetto?

R: Quattro giorni, ma a questi devi aggiungere all’incirca due mesi per la preparazione. E’ uno step fondamentale, che ti permette di arrivare sul set pronto e garantisce alla squadra un punto di riferimento che, nella fattispecie, è il regista. Solo in questo modo si riesce a lavorare in perfetta libertà e spigliatezza.

D: Oggi ti godi il successo, ma … domani?

R: Continuo a seguire me stesso. In maniera razionale seguo il mio background che, al momento, non è così ampio a tal punto da darmi la possibilità di raccontare ciò che io non ho ancora visto. Ma io amo raccontare anche ciò che ho dentro e, nella fattispecie, parliamo di sentimenti. Anche quelli più sporchi dell’animo umano, ma in una forma più pulita possibile. Sto collaborando con Elena Starace. Lei è la parte che mi completa, glielo dico sempre. Io sono il perverso della situazione (scoppia a ridere), mentre lei è pura, infatti la chiamo Amelie. Uscirà qualcosa di bello!

D: In bocca al lupo Adriano!

R: Grazie mille Christian

Mentre ci salutiamo ci raggiunge Silvestro Marino, il proprietario del Duel Village. Per “La condanna dell’essere” ha un doppio ruolo: produttore e interprete di un piccolo cameo.

D: Silvestro, cosa ti ha colpito di questo progetto tanto da spingerti a produrlo?

R: Innanzitutto io cerco sempre di aiutare i giovani. Amo il cinema sin da quando ero piccolo e mi sono dovuto fare spazio da solo, senza l’aiuto di nessuno. Quindi, quando incontro un giovane che ha voglia di fare e che ha tante belle idee come Adriano, mi lancio senza paracadute. E’ nata questa collaborazione. Sono rimasto colpito dal fatto che Adriano volesse fare emozionare un potenziale pubblico. Gli auguro tanto successo e una carriera lunghissima. Il tempo gli permetterà di crescere artisticamente.

D: Non è la prima volta che hai il ruolo di produttore … questo è un anno per te molto importante, perché “Con tutto l’amore che ho” di Angelo Antonucci è in concorso ai David di Donatello …

R: Una grandissima soddisfazione. Come dico sempre io “Ci ho messo quaranta anni, ho ottenuto una candidatura per un progetto che ho prodotto e distribuito io, tra le altre cose sono anche candidato come attore non protagonista … significa che nulla è davvero impossibile!” (sorride di gusto). Uno dei miei sogni è quello di creare una vera e propria catena di distribuzione indipendente italiana. I dati sono chiari: finalmente i film italiani tornano all’estero! “Perfetti sconosciuti” è un esempio, ma anche “Indivisibili” e “Quo vado?”.

D: A tal proposito … parliamo un po’ di una nostra sfida che ha avuto tanto successo, quella di Independent Duel. “Mauro c’ha da fare”, del maestro Alessandro Di Robilant, il primo film che abbiamo proiettato nella Rassegna, ha trovato una distribuzione americana!

R: Una notizia che può farmi solo un immenso piacere! Come ti dissi all’inizio, le cose si costruiscono man mano. Con il passare del tempo, il mercoledì è diventato un appuntamento fisso per gli amanti del cinema indipendente e la sala è ben affollata.

Abbiamo dovuto lavorare il doppio? Il triplo? Non importa: quello che deve vincere sempre è il cinema italiano che, per anni, è stato messo da parte. E’ nostro, non dimentichiamocelo.

D: Grazie mille Silvestro!

R: Grazie a te!

Adriano Morelli: Sono giovane, ma condannato dal mio essere. was last modified: febbraio 22nd, 2017 by L'Interessante
22 febbraio 2017 0 commenti
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