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poesia

le mie notti
CulturaIn primo pianoLibri

Le mie notti: Gianrenzo Orbassano presenta la sua silloge

scritto da L'Interessante

Notti.

Di Michela Salzillo

Housman diceva: io non so che cosa sia la poesia, ma so riconoscerla quando la sento. Un verso, questo, che appare come una dottrina, una libera legge difficile da smentire. La poesia, soprattutto quella contemporanea, è bella perché è irriverente, sta fuori dagli schemi pur conoscendoli benissimo. È fatta di sensazioni che la parola disegna come può, e quando ciò che tratteggia rispecchia i margini del reale o dell’immaginato vivo, tutto funziona da sé. Improvvisamente ogni pezzo sembra essere al posto giusto, anche se un po’ sgangherato. Quando un verso suona se ne frega di tutto il resto, perché l’unica cosa che gli conferisce dignità è il ritmo rubato all’emozione, qualunque essa sia. Le mie notti di Gianrenzo Orbassano è una silloge che probabilmente si sviluppa proprio sull’elementare principio della parola per istinto. Non a caso è lui stesso a confessare che la raccolta suddetta- pubblicata nel dicembre del 2014 da Spring editore- viene fuori da una sola apparente inerzia, che attraverso il dialogo con la poesia si tramuterà in una più chiara destabilizzazione; quel senso di disequilibrio che di solito anticipa un’ importante fase di cambiamento interiore.

Le mie notti: il 23 Febbraio a Casapulla

È fissato per giovedì 23 Febbraio l’appuntamento dal vivo con Gianrenzo Orbassano, che incontrerà il pubblico intervenendo nell’ambito della rassegna incontri d’Autore organizzata dalla pro-loco di Casapulla. La presentazione de Le mie notti si terrà alle ore 18.30 nella Sala Consiliare ‘’Vescovo Natale’’; Piazza Municipio, Casapulla (ce).

Interverranno:

Anna Di Nardo (Assessore alla Cultura del Comune di Casapulla)

Eliana Riva (Editrice Spring Editore)

Antonella D’Andrea (Direttrice Editoriale Spring Editore)

Elio Di Domenico (Docente di Lettere e Scrittore)

Letture a cura di: Santa Santillo

Relatore

Francesco Marino (Direttore Caserta Focus)

Le mie notti: sinossi e prefazione

‘’Le mie notti è un libro di poesie scritto di getto all’età di diciotto anni. È venuto fuori per destabilizzarmi, per modificare la routine quotidiana di un diciottenne qualunque fatta di prime volte e di porte chiuse in faccia.

Ho dovuto subire le conseguenze di scrivere, di essere quindi etichettato come uno scrittore, un poeta. Non che mi facciano schifo questi appellativi, ma preferisco non definirmi così: Io sono un appassionato e la parola stessa indica un interessamento profondo verso qualcosa. Di poesia ne ho masticato, forse inconsapevolmente, fin da tempi delle elementari, quando mio padre mi portava da casa a scuola con la macchina. In questa macchina c’era una radio che trasmetteva di continuo Lucio Battisti ed io imparai a memoria, giorno dopo giorno, alcune sue canzoni.

Poi in adolescenza ho avuto molti impulsi che mi hanno portato verso la musica e la scrittura in generale. Adoravo la new wave, quindi i Duran Duran e i Depeche Mode, in Italia invece ascoltavo i cantautori. Cos’è una canzone se non una poesia e viceversa?

Bowie faceva canzoni che erano poesia, De Andrè anche, con l’aggiunta che lesse Edgar Lee Masters e ci tirò fuori Non al denaro, non all’amore né al cielo.

Ritornando al libro, posso affermare che è stato concepito con molta frenesia e ingenuità che si notano nelle poesie, ci sono errori di punteggiatura e parole, a volte, ripetute.

È un libro quasi selvatico che parla dell’insonnia, dell’atmosfera che si crea una volta sceso il sole, la notte mi raccontava delle emozioni ed io le trascrivevo, senza neanche pensarci sopra. Parla di anarchia, di depressione, di solitudine, di controversie, di ossessioni, ma c’è anche una visione di speranza, quasi ad assicurarci che comunque dopo la notte, c’è il giorno. Il giorno che inizia inevitabilmente con la notte, da lei non si sfugge, è maestosa, per me una fabbrica di idee poiché è il momento delle ventiquattro ore dove si è più calmi e questo mi ha aiutato anche a pensare alla copertina del libro, raffigurante una sagoma nera sotto ad un lampione con delle stelle quasi scarabocchiate di fianco ad una luna disegnata con più accuratezza, contenente delle note musicali, giusto per ricordare l’importanza della musica.

È un libro che, una volta scritto, ho rinnegato subito come se, appunto, non l’avessi mai scritto io.

Perché la poesia non è mia, io non mi reputo un poeta, anzi mi darebbe fastidio esserlo.

Ciò che scrivo, mi piace pensare, sarà inevitabilmente sbranato da qualcun altro che lo farà tutto suo.

Ecco perché quando leggiamo qualcosa che ci colpisce esclamiamo: ‘’Hey, quello sono io!’’.

Nella scrittura ci si rispecchia, e penso non si può avere l’arroganza di crederci autori di nulla, la poesia è un volo pindarico nel blu dell’oceano, è come l’istinto, chissà poi dove cadrà.

Gianrenzo Orbassano: biografia

Gianrenzo Orbassano nasce a Torino ormai ventuno anni fa, nel mezzo degli anni novanta,

lasciò la terra natìa a causa del lavoro dei genitori e venne adottato dalla Campania (fu) Felix, da Caserta e da Casapulla, piccolo paese di provincia ma con una grande storia alle spalle spesso dimenticata.

Frequenta e si diploma in un Istituto Tecnico Commerciale e scopre le poesie di Baudelaire e i racconti di Bukowsky, oltre alla musica cantautorale italiana ed inglese.

Nel 2014, con la Casa Editrice Spring, pubblica il suo primo volume di poesie intotalato “Le mie notti”, riscuotendo un discreto feedback da parte dei lettori, presenziando ad eventi culturali e presentazioni nelle scuole e nei locali del casertano.

Nel 2016, insieme alla regia di Alessandro Calamo, lancia un videoclip, “Amore Universale” che è una canzone sulle dissonanze e delle ossessioni derivate da un sentimento, l’amore, ormai praticato con troppa schematicità, senza considerare la spontaneità e la magia che solo l’amore può dare.

Dal 2016 collabora con la testata giornalistica on line Caserta Focus diretta da Francesco Marino.

Le mie notti: Gianrenzo Orbassano presenta la sua silloge was last modified: febbraio 9th, 2017 by L'Interessante
9 febbraio 2017 0 commenti
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ventre
CulturaIn primo pianoLibri

Il ventre di Scampia riempie il Drama Teatro: l’intervista a Emanuele Cerullo

scritto da L'Interessante

Ventre.

Di Michela Salzillo

 

Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.

Così diceva Daniel Pennac, ed è forse da verità come questa che nascono le migliori opportunità, quelle che solo la letteratura e il sentimento sono in grado di restituire. Per ogni statistica pronta a demolire la passione per i libri, che stando a certi dati dovrebbe essere già materia estinta, ci sono tantissime iniziative, coraggiose e ostinate, pronte a far evincere l’esatto contrario. Una di queste è partita proprio qualche giorno fa e non bisogna neppure allontanarsi molto per applaudirla. Era il 13 Dicembre quando al Drama Teatro Studio di Curti si dava inizio a Parole D’autore; una rassegna, nata dal sodalizio fra gli attori Dario  Pietrangioli, Rosario Copioso e il professor Gennaro Celato, che mira a promuovere incontri con giovani scrittori o poeti del territorio campano. Ad inaugurare la tranche di eventi letterari previsti per la stagione odierna è stato Emanuele Cerullo, autore della raccolta di liriche dal titolo il ventre di Scampia. Avendo avuto la fortuna di essere lì, al fianco di questo giovane poeta, che di strada ne ha fatta già tanta, ho potuto trasformare in certezza quello che nelle settimane precedenti era stato solo un presentimento: gli organizzatori della rassegna non avrebbero potuto scegliere forbici migliori per tagliare il nastro dei quattro appuntamenti.

Il ventre di Scampia è un libro pregno di storie, di vissuti, di sguardi e di sfumature

E questo perché Emanuele in quel ventre, nel 1993, è nato. È cresciuto nella vela celeste della periferia suddetta, ed è proprio tra le pieghe del degrado che ha imparato a fare le sue scelte.

Quella che è stata presentata al Drama Teatro Studio non è la sua unica produzione autorale, risale infatti al 2007 la nascita della sua prima silloge, il coraggio di essere libero, che all’epoca fu stampata grazie alla collaborazione con la Virgilio 4 di Scampia, la scuola media da Emanuele stesso frequentata. Da quell’anno in poi, il suo percorso ha ottenuto continue vittorie. È apparso più volte sulle reti Rai ed è stato intervistato da personaggi di rilievo come Pippo Baudo . Alcune delle sue poesie sono state pubblicate da testate giornalistiche importanti, quali: Il Corriere della Sera; La Repubblica; Il Mattino. Con il Ventre di Scampia ha scalato le classifiche, restando per ben cinque settimane nella top 5 stilata dall’ inserto napoletano di Repubblica. Ha ricevuto medaglie importanti, come il premio minturnae 2016; alle sue opere viene attribuita continuamente una riconoscenza, oltre che letteraria, anche civile e sociale, proprio per la realtà che vanno a testimoniare. Emanuele sta girando tantissimo, sta facendo presentazioni nelle scuole, nelle banche, nelle università e, proprio come è accaduto l’altra sera a Curti, ogni volta, ascoltarlo diventa una poesia bellissima.

 Il ventre di Scampia ed Emanuele Cerullo: l’intervista che li ha raccontati al Drama Teatro Studio

 

Benvenuto Emanuele! Partiamo con una domanda che si inserisce fra le primissime pagine del tuo libro. Tu anteponi a questa carrellata di liriche parecchio intense, una citazione tratta da le città invisibili di Italo Calvino, prendendo in prestito l’intuizione che l’inferno non sia altrove, ma appartenga invece alla nostra quotidianità. Viene fuori ogni volta che non siamo capaci di ottenere un punto di vista diverso, quello che di solito permette di andare oltre la prima visione delle cose. Credo di non sbagliarmi se dico che, secondo me, tu quell’ottica non solo l’abbia trovata, ma abbia anche imparato ad utilizzarla. Ciò premesso, mettendo per un attimo da parte la poesia, chi è stato in questi anni il tuo “occhio profondo”? 

In realtà è molto difficile mettere da parte la poesia, perché pare che tutto sia poesia. È bello scrivere poesie, ma è altrettanto bello sapere che c’è chi la vede, chi la sente. E chi sente la poesia può vederla ovunque, anche in un piccolo dettaglio, che poi tanto piccolo non è, perché ogni minuzia comunica qualcosa. Quindi, per rispondere alla tua domanda, ti direi che gli occhi profondi sono quelli delle persone che ho incontrato, quelli dei bambini di Scampia, quelli delle vele, dove sono nato e cresciuto. Se ci sono stati dei riferimenti, io ne citerei due: Eminem e San Francesco D’ Assisi. È anche grazie a loro se ho scoperto la poesia! Quando vidi Eminem a Sanremo nel 2001, cominciai a voler scrivere canzoni rap come lui, mi vestivo anche come lui. Un giorno, però, quando ancora frequentavo le elementari, la maestra di italiano mi disse: “guarda che queste non sono canzoni, sono poesie”, fu così che me ne accorsi, e ancora oggi il binomio musica e poesia cammina di pari passo con la mia formazione. San Francesco, invece, lo cito come un altro degli occhi profondi per me importanti, perché ha dimostrato che non conta la ricchezza economica ma quella interiore.  Sottolineo una cosa, io non sono cattolico! Eppure, San Francesco mi è sempre parso un emblema di questa verità. Il suo insegnamento, poi, diventa ancora più determinante in un contesto particolare qual è quello di Scampia.

Come si fa ad insegnare a un ragazzo che nasce a Scampia, o anche in una periferia altra, che un punto di vista differente è possibile?

Guarda, l’educazione è quello che conta! Io dico sempre che nell’ inclusione sociale agiscono la famiglia e la scuola. Sicuramente l’aspetto legato all’arte è un fatto soggettivo, o ce l’hai o non ce l’hai, però la guida, quello che nell’ induismo è il guru,  è fondamentale in famiglia. Io ho avuto la fortuna di avere dei genitori che non mi hanno mai abbandonato, anzi, mi hanno sempre seguito e sostenuto. Nella poesia Con la camorra io c’ ho parlato, scrivo: “quando c’hai un padrone infedele tu trovi la fede nel contagio”. Ti lasci condizionare dalla voglia del denaro facile, soprattutto a Scampia, succede ad esempio quando hai un padre in carcere. È proprio l’educazione, quindi, che ti permette di avere un occhio diverso, non migliore o peggiore, semplicemente un altro.

Perché questo titolo, il Ventre di Scampia?

L’ho intitolato così, e non più semplicemente Scampia, per una ragione di cui nessuno racconta. Esiste anche una Scampia bene! Nel ventre di Scampia c’è quello che Pasolini chiamava sottoproletariato: c’è il popolo, il riscatto vero. Altrove, sempre a Scampia però, ci sono palazzi residenziali dove entrano in ogni appartamento almeno due stipendi. È una realtà di ottantamila abitanti, molto variegata, e questo va detto. Il futuro del quartiere è nelle vele. Ora vogliono abbatterle, che va benissimo, sono d’accordo, anche perché sono stanco di vedere i turisti che vengono a Scampia e si scattano selfie con la vela sullo sfondo. Abbattiamole tutte, quindi, però se spostiamo il degrado di 200mt, lo allontaniamo soltanto, ma tale resta. Offriamo anche opportunità di lavoro, perché altrimenti la riqualificazione sarà solo urbana,  la verità è che nella riqualificazione c’è tutto, anche l’aspetto umano e sociale.

Quando si parla di determinati luoghi, quando si raccontano certe storie, è vizio comune farlo sempre attraverso le stesse modalità. Non mi riferisco al contenuto, non in questo caso, parlo invece del tipo di scrittura utilizzato per la narrazione. Si parla di Scampia in inchieste giornalistiche, la si racconta nei romanzi d’autore, ma è difficile che la si osservi utilizzando la poesia. Perché hai fatto questa scelta, e qual è stato il tuo primo approccio con la poesia stessa?

Ho scelto la poesia perché l’ho trovata più sintetica rispetto a un romanzo. Questa decisione l’ho presa dopo aver letto Ungaretti, ti dico la verità.  Mi colpirono la sua purezza e la sua musicalità. Tutta la sintesi semantica e fonetica della parola, insieme al verso isolato, mi hanno fatto credere che la poesia potesse dire tutto attraverso la sintesi. Ognuno, ovviamente, si sceglie i propri maestri… Per quanto riguarda invece il primo approccio con la poesia, lo definisco senz’altro di tipo ludico. Ascoltai la fontana malata di Palazzeschi, letta dalla mia maestra, e me ne innamorai, era lo stesso periodo in cui ascoltavo rap americano, mi colpì molto quella che io definisco droga fonica.

Le mie prime poesie sono state delle filastrocche, mi divertivo a fare le rime baciate e a prendere in giro le mie maestre… erano esercizi! Ricordo che in quinta elementare, alla fine dell’anno scolastico, mi fecero rapare una mia poesia, e lì, in quella occasione, si unirono per la prima volta le mie due passioni.  Quando vado nelle scuole, dico sempre che Dante è stato uno dei primi rapper, all’inizio mi chiamavano pazzo, ma se ci pensi è così. Il fatto che oggi i rapper si insultino a colpi di rime sembra una novità, ma tanti anni fa lo faceva già Dante con la tenzone.

Nella poesia Confessione del figlio di Scampia, secondo me, declini un senso di inquietudine profonda che però fai terminare nell’ utilizzo di due parole: sete ed essenza, hai mai avuto paura di perderla?

Credo che la paura sia l’unica assassina della passione. È il contrario della passione, la soffoca! Me ne sono accorto quando ho provato paura, però non mi sono mai abbattuto, ho sempre cercato di mettermi in gioco. Anzi, quanto più quella realtà che vivevo, che vivo, mi si presentava davanti agli occhi, tanto più sentivo l’esigenza di esternare la ricchezza interiore. Non ho paura di perdere la mia sete d’essenza, e non voglio neanche interrogarmi sull’argomento. Preferisco dire: ho sete ancora, ho ancora sete di conoscenza.

Il coraggio di essere libero, la voglia di partire per poi tornare, sono di certo ottimi presupposti per ottenere riscatto e rinascita. Ma forse, a volte, tutto questo non basta. In molti casi è necessaria la fortuna, quella degli incontri.

 In questi anni tu ne hai fatti parecchi. Ne Il ventre di Scampia, ci sono alcune liriche dedicate proprio a questa bellezza. La poesia Il pittore, ad esempio, racchiude la storia di un incontro importante. Ti va di parlarne?

 

Questa poesia l’ho dedicata a due persone: a Felice Pignataro, un grande moralista di Scampia che purtroppo non ho conosciuto, e a Sergio che come me viveva nella vela celeste. Lui era il prototipo dell’artista maledetto, di colui che è contro cultura, contro la cultura dominante, contro il consumismo, contro la moda. Incontrarlo lì, dove vedevo gente che spacciava, mentre respiravo il grigiore più assoluto, è stato veramente un raggio di sole. I miei genitori lo conoscevano e mi è capitato di andare a casa sua. Definisco la sua dimora galleggiante in un fumo galattico perché fumava tantissimo e sembrava quasi che casa sua fosse sospesa nel fumo. Era una cosa fantastica! C’erano tantissimi quadri, tra cui ne ricordo uno che mi colpì molto: ritraeva una donna in primo piano e alle sue spalle si intravedevano i cancelli delle vele, che avevano la forma delle siringhe. Dietro si scorgeva la torre verde, perché di fronte alla vela celeste c’è la torre verde, le cui finestre erano raffigurate come delle tane. Sergio ha letto le mie poesie, quando lo fece gli piacquero tantissimo, tanto che promise di ritrarmi. Mi disse: io ti farò un ritratto, ma al posto dei capelli metterò i tuoi versi. Fu una promessa che la morte ha soffocato. Lui se n’è andato così, da un giorno all’altro. Ero al bar quando mi dissero che era morto.

Vele: un’immagine, più che un nome comune di cosa al plurale, così appaiono nel tuo libro. Se io adesso ti chiedessi di associare a questa figura ricorrente un ricordo, una rima improvvisata, un silenzio, cosa sceglieresti di regalarci?

 

Sceglierei una poesia di Giovanni Pascoli. Una di quelle che non si studia nelle scuole, si chiama La piccozza. Quando penso alle vele, mi viene in mente questa perché è una poesia in cui Pascoli parla di sé stesso, parla della scalata verso il successo. Un successo che non ha nulla a che vedere con la fama o la visibilità, si tratta, invece, di soddisfazione personale. Il riscatto, ecco! Le vele, per forma, si prestano all’ idea di qualcosa da scalare, proprio come fanno gli alpinisti con la piccozza, quando passo dopo passo cercano di raggiungere la vetta.

Tu hai dichiarato: “ è l’ indifferenza che genera il male. E ciò che conduce all’ indifferenza è l’idea di dover perdere tempo.” Cosa intendi?

Parto dicendo questo: io ho respirato la precarietà, la marginalità, la povertà. Il regalo più bello che mi hanno fatto i miei genitori è stato appunto la povertà, perché è grazie a lei che sono stato costretto a rimboccarmi le maniche e a fare qualcosa. Dopo aver perso mia nonna e molti amici, ho imparato il senso della morte, quello del limite. Ho imparato cosa vuol dire sentire la fine dietro l’angolo. Tutto questo mi ha ossessionato durante l’adolescenza, così ho cominciato a scrivere, lo so, è poco… Seneca dice: Non è vero che non abbiamo tempo, ne perdiamo troppo. Ecco perché io sono molto legato al concetto del tempo inventato, e ci tengo a sottolinearlo spesso, soprattutto con la mia generazione, quella dei nativi digitali. Oggi siamo continuamente distratti dalle chat, le notifiche, facciamo pensieri a metà, non siamo più capaci di pensare completamente. Per questo è importante inventarlo il tempo. Quando siamo indifferenti nei confronti del prossimo tutto questo non è fattibile, perché non ci confrontiamo e, anzi, vediamo il confronto non come sinonimo di crescita interiore e reciproca, ma come se fosse una continua competizione. Perciò tengo molto all’idea di un mondo che alla perdita di tempo preferisca inventarlo.

Stai facendo moltissime presentazioni all’ interno delle scuole, incontrando studenti giovanissimi. Secondo te, anche facendo riferimento a quando tu stesso eri uno studente, la scuola è in grado di educare alla libertà?

Sfondi una porta aperta! Se è vero che alle medie sono stato molto sostenuto dai miei insegnanti, non posso dire lo stesso per quanto riguarda le scuole superiori, dove sono stato continuamente ostacolato dai miei docenti. Perché scrivevo poesie, perché andavo in televisione. Spesso si usava nei miei confronti un sarcasmo che, essendo parecchio frequente, diventava umiliante. Sono stato addirittura costretto a cambiare scuola perché si era venuto a creare un clima assurdo. Una volta, la professoressa di filosofia mi disse: “Cerullo, io conto di bocciarti quest’anno perché tu sei un arrampicatore sociale, hai degli interessi e svolgi delle attività che non puoi e non devi intraprendere adesso”. In pratica, mi stava dicendo: non devi fare quello che ti piace! Se questa è la buona scuola, ha di certo fallito. La scuola, quella vera, se vuole educare alla libertà,deve sostenere la creatività degli studenti e non il nozionismo, altrimenti, domani, gli studenti saranno macchine e non artisti.

Se non sbaglio, sei tornato anche alla Virgilio 4, la tua scuola media. Qual è, di solito, l’approccio che ti riservano i ragazzi?

L’accoglienza è stata molto buona, nelle scuole di Scampia e non solo. Una volta, in una scuola elementare, la Montale, mi hanno accolto con degli striscioni e disegni ispirati proprio alle mie poesie. Io ho ricevuto diversi premi, ma li ho sempre tenuti ben chiusi negli scatoloni. Nel mio studio ho invece quei disegni, perché sono cose come  queste a rappresentare il vero premio. Ci tengo molto ad incontrare i giovani e mi fa molto piacere quando i professori mi contattano e mi dicendo che i loro ragazzi stanno leggendo e studiando le mie poesie in classe. A proposito di questo, ti voglio raccontare un aneddoto fantastico. Non molto tempo fa, ho ricevuto un messaggio da parte di una madre, suo figlio frequenta il Diaz di Caserta. Mi ha scritto che dopo aver sentito dire che in classe stavano studiando le mie poesie, incuriosita, ha fatto qualche ricerca. Pensava fossi morto, e il fatto di aver scoperto che oltre ad essere ancora in vita, sono pure coetaneo di suo figlio, l’ha resa felice, e lo sono pure io, di essere ancora vivo, soprattutto!

Nella poesia Fisarmonica, tu scrivi:” il mio verso è poetare”, come se tutto partisse dalla poesia e tutto quanto andasse in essa a ritornare. In questo componimento, più che altrove, si percepisce la componente salvifica che le attribuisci riconoscendole il merito di averti permesso di conoscere l’ umanità, quella che manca a chi semina morte e sofferenza attraverso le armi. Se non avessi avuto la poesia, oggi, Emanuele chi sarebbe stato?

Sì, è vero che in un certo senso la poesia mi ha salvato, ma non so se non ci fosse stata lei, cosa avrebbe preso il suo posto, francamente. Certamente non mi sarei fatto condizionare dalla criminalità organizzata, proprio perché mi hanno insegnato determinati valori che hanno rappresentato una corazza importante, tenendomi lontano da certi ambienti . Magari avrei fatto il salumiere, il macellaio, ma sarei comunque restato onesto.

Forse non tutti sanno che il progetto di F. Di Salvo, l’architetto che si è occupato della progettazione delle Vele, prevedeva un’ ambizione diversa per Scampia. L’idea, infatti, era quella di riprodurre nel quartiere i vicoli di Napoli. Se tutto questo fosse stato realizzato, compresi i centri sociali per i ragazzi, credi che il destino di Scampia sarebbe cambiato?

 Ti ringrazio per aver sottolineato questa cosa, perché appunto le vele non dovevano essere così come le abbiamo viste noi. La cassa del Mezzogiorno finanziò due insediamenti popolari, da fare a Scampia e a Ponticelli. Pensa che Scampia deriva dal termine scampagnata perché prima non esisteva nulla, soltanto terra, infatti gli anziani del luogo la chiamavano ‘ a scampia, ‘a scampagnata, il luogo piano. Il boom edilizio è arrivano solo fra gli anni ‘ 60 e ’70 con la costruzione di diversi edifici. Come giustamente ricordi, nel progetto erano previsti diversi centri di aggregazione che se fossero stati costruiti, probabilmente, sottolineo il condizionale, non ci sarebbe stato tutto il degrado che invece c’è oggi, però il discorso è molto complesso… Scampia è un quartiere vastissimo, gli spazi sono larghissimi e quindi è la struttura stessa a non favorire il dialogo, l’ incontro.

Fra le tante cose, curi anche una collana editoriale che si occupa di poeti emergenti under 30, secondo te, è vero che la poesia è di difficile collocazione nel mercato editoriale?

Sì, credo proprio di sì.  È  anche vero che le case editrici tendono a non pubblicare poesia, ma questo perché è un investimento importante. Un editore è un imprenditore e , in quanto tale, investe sul talento di un autore. Il che vuol dire che, secondo me, un autore non deve pagare per pubblicare perché questo non è editoria, vuol dire essere squali, mercenari. Ci tengo a sottolineare che la collana di cui stiamo parlando, la curo per le edizioni neomediaitalia ,che è la mia casa editrice, e non chiede un euro  ! Detto questo, il fatto che sia di difficile collocazione ha radici antichissime. Anche nel ‘900 era così. Intendo dire che era molto più elitaria di quanto non lo sia oggi. Montale, negli anni, ’60 parlava di pubblico della poesia. È sempre stata concepita come una specie di setta, almeno dall’ illuminismo in poi, prima di allora era diverso: la poesia era attualità, descriveva attualità. Basti pensare che i canti di Dante andavano a finire nei memoriali bolognesi, erano registri curati dai notai… A volte, però, è la poesia stessa che si va a cercare quest’ isolamento. Se si estranea dal mondo, se non si confronta col vero, e per vero intendo quello che ci circonda, quello che spesso la critica definisce poesia civile, che va da Dante a Pasolini, è difficile considerarla. Se invece prova a non farlo, tutto diventa più semplice. In fondo al lettore non gliene frega niente se tu quella cosa l’abbia detta in prosa o in poesia, chi legge si sofferma sul contenuto. Io credevo che questo libro passasse inosservato, invece ho fatto quasi sessanta presentazioni, cosa che non sarebbe accaduta se avessi scritto poesie troppo lontane dalla realtà.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Innanzi tutto voglio laurearmi. Sto andando in giro a presentare il libro ma, al tempo stesso, sto rallentando molto gli esami. Continuare a scrivere, sicuramente, lo farò finché vivrò, non ho intenzione di parlare di Scampia per sempre, bisogna sperimentare, l’arte è sperimentazione continua. Il prossimo progetto vorrei incentrarlo a Napoli, prendendo spunto da una parola che mi ha colpito molto, che  non esiste in altre realtà geografiche: napolitudine, termine che indica una grande mancanza di Napoli, quel sentimento che prova il napoletano che vive altrove, ma anche il turista che viene a Napoli e poi se ne va. Vorrei parlare della Napoli giovane, senza abbandonare però il concetto di periferia, perché ce ne sono tante, e tutte sono sinonimo di una marginalità di cui è sempre bene raccontare.

Grazie di cuore per essere stato qui con noi. A presto!

Il ventre di Scampia riempie il Drama Teatro: l’intervista a Emanuele Cerullo was last modified: dicembre 16th, 2016 by L'Interessante
16 dicembre 2016 0 commenti
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Napoli
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Napoli tra amore e pregiudizio

scritto da L'Interessante

Napoli

Di Miriam Gargiulo

Napoli è forse una delle città più chiacchierate del mondo. C’è chi ne parla bene e porta sempre un pò di Napoli nel cuore e chi non perde occasione di parlarne male. Mi capita spesso di ascoltare o leggere commenti negativi sulla città e sulla sua gente. Negli anni ho capito che esiste la strana e malsana abitudine di evidenziare solo gli aspetti negativi. Sono troppe le persone che ancora oggi, vittime degli stereotipi, la considerano  la patria della camorra, dei ladri e dei truffatori. Sono troppe le persone che non riescono a guardare al di là delle apparenze e preferiscono rimanere aggrappate a stupidi pregiudizi, senza riuscire e –a mio avviso- volere, vedere anche i lati positivi. Ridurre Napoli alla camorra e ai malviventi, è peculiare di chi forse a Napoli non c’è neanche mai stato. E’ l’atteggiamento tipico di chi è convinto che se vai a Napoli, devi guardarti bene le spalle e stare attento a tenere stretta la borsa se non vuoi che te la rubino.

Napoli è una realtà che pochi riescono a capire

Troppo spesso si dimentica che accanto alla parte marcia della città, vive quella sana ed onesta. Troppo spesso le sue bellezze, i suoi colori, i suoi profumi, i suoi sapori, la sua arte, le sue tradizioni, le sue strade e i suoi vicoli che risuonano della tipica e verace teatralità del popolo napoletano, sono oscurati dalle notizie di sparatorie, omicidi, truffe e terreni inquinati. Notizie che fanno sempre più rumore delle altre. Si! Perchè le sparatorie, gli omicidi, le truffe e l’inquinamento interessano anche le altre città, ma quando riguardano Napoli, suscitano sempre maggiore clamore e scandalo.

Napoli non è solo “Gomorra”

Non è solo la malavita che ci mostrano film, telegiornali e serie tv. Napoli è una città magica, ricca di storia e di poesia, da sempre protagonista di brani musicali come “Napule è” del grande Pino Daniele e di opere e aforismi di scrittori da Leopardi a Di Giacomo, colui che ha fatto di questa città il tema principale della sua produzione, tessendo elogi della città e del suo popolo. E ancora Boccaccio, Ippolito Nievo, Pasolini, Matilde Serao, Erri De Luca, Goethe e Stendhal che così scriveva: “Parto. Non dimenticherò né la via Toledo né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell’universo.”

Napoli tra amore e pregiudizio was last modified: novembre 8th, 2016 by L'Interessante
8 novembre 2016 0 commenti
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Parole Note
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PAROLE NOTE: un viaggio nella poesia

scritto da L'Interessante

Parole Note

Di Michela Salzillo

Se l’amore muove il mondo, la poesia ne indica la traiettoria. Mi piace pensarla così. Dai tempi del primo, il verso l’ho sempre letto come una linea disordinata su cui il cuore costruisce la voce e i suoi silenzi. Sinonimo di respiri e sentimenti, ho conosciuto liriche in cui battevano i cuori di chi portavo nel mio. Mi è sempre parsa musica la poesia, e spesso mi si aperta a finestra su immagini, fotografie e tempi. Come fosse un film, un cortometraggio di ricordi.  Pensavo si trattasse di una priorità della mia immaginazione. Invece, poi, ho scoperto qualcosa che ha dato concretezza a tutto questo. Si chiama PAROLE NOTE, ed è un bellissimo progetto che ha messo la poesia in valigia per farne un viaggio nel viaggio.

Nato nel 2010 da un’idea di Maurizio Rossato, “Parole Note” è un progetto discografico che unisce musica, poesia e prosa. Lo fa in maniera assolutamente nuova, dando vita ad una collisione mai vista prima, una sinergia che non ha nulla a che fare con l’unione di sottofondi e parole prestampate dal vecchio. È tutto mai sentito, ma piace così tanto che dal disco alla realizzazione di un programma radiofonico, il passo è breve. Il format è sin dagli inizi targato Radio Capital e curato dallo stesso Rossato. la musica del programma non ha il semplice compito di accompagnare le letture bensì ne è parte integrante. Le parole sono affidate alla voce di vari speaker, ma a capo della collaborazione c’è Giancarlo Cattaneo. I due, insieme a Mario De Santis ( fra le altre cose giornalista presso il gruppo Espresso La Repubblica e poeta), mettono in piedi un ‘energia  indistruttibile, che nel giro di qualche anno, non solo porterà “Parole Note” a garantirsi un posto d’eccellenza nel palinsesto della radio(in onda tutti i mercoledì a mezzanotte), ma permetterà la realizzazione di altri due CD; pubblicazioni  che vorranno la partecipazione di voci note del cinema e della  musica – da una delle prime, quella di Claudio Santamaria, a una delle ultime, quella Mario Biondi .

Parole Dritte al cuore, giunta alla sua seconda edizione, è invece una raccolta di poesie–  Pedro Solinas e Pier paolo Pasolini sono solo un esempio di rappresentanza- che quest’anno ha guadagnato addirittura il bollino da Best seller. Ma fra le conseguenze straordinarie venute fuori dal successo del programma, c’è la creazione di un live che, muovendosi sulla stessa scia della conduzione radiofonica, sta portando la poesia in giro per l’Italia, con esibizioni dal vivo, creando delle storie di meraviglia, passione e scoperta. Da nord a sud; dalle metropoli al paese, “ Parole Note”, scende in strada e porta emozione, dialoghi, incontri.

Parole Note a Villa Bifulco

Lo scorso 10 settembre, per la seconda volta, il live è arrivato Terziglio. A fare da cornice all’ incanto della poesia, una location d’altri tempi. Si tratta di Villa Bifulco, una monumentale struttura vesuviana di stile neoclassico, situata lungo il Miglio d’Oro. Dimora d’epoca perfettamente inserita in un paesaggio folto di ninfee e camelie. L’evento, come per la prima volta dello scorso anno, è stato fortemente voluto da Genny Falciano. La giovane ed appassionante assessore alla cultura, che crede in una Terziglio diversa, liberata dai luoghi, ha raggiunto appieno il suo obiettivo per ben due volte.

 Attraverso lo spettacolo di musica e poesia, che anche questa volta, nonostante le incerte condizioni metereologiche è stato un successo garantito, Terzigno ha vestito un nuovo abito, si è fatta svelare ed apprezzare anche da chi non la conosceva per nulla. La serata è stata  un miracolo di emozioni che ha rafforzato la voglia di non fermarsi all’ impossibile. Da Erri De Luca a Wislawa Szymborska, la voce di Cattaneo si è mossa su tre temi guida:

 La vita, l’amore e la donna. Come sempre, ogni lettura è stata intervallata da frammenti di pellicole nazionali ed internazionali: dall’ ”attimo fuggente” di un ‘intramontabile Robin Williams, all’ immortale Massimo Troisi, nel celebre “scusate il ritardo”.

Raccontare di Parole Note, che sia in frequenza o live, è come dire una mezza verità. È un’esperienza che bisogna vivere e che mi sento di consigliare a tutti. Non è importante essere amanti del genere. La poesia è in grado di fare innamorare anche gli insospettabili, e il programma di Maurizio Rossato, fidatevi, sta diventando, sempre più spesso, l’artefice di prime volte meravigliose.

Se vi va di dare uno sguardo alle prossime date, visitate il sito: www.parolenote.com. Chissà che non vi venga voglia di trovare il vostro verso.

 

PAROLE NOTE: un viaggio nella poesia was last modified: settembre 13th, 2016 by L'Interessante
13 settembre 2016 0 commenti
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Poesia
CulturaEventiIn primo piano

Poesia al Jarmusch Club di Caserta

scritto da L'Interessante

Secondo una celeberrima citazione, la poesia non è fuori, è dentro

Si riproduce automaticamente, assieme alla disposizione dell’umanità all’ innamoramento, inteso come concetto universale ed imprescindibile. Si insinua ovunque la poesia, in ogni frattura creata e ricomposta, in qualunque forma espressiva e in qualsiasi vibrazione che produca bellezza.

Ragionando in questa direzione, il linguaggio poetico non può essere coniugato al passato, secondo riduttive leggi di stile e metrica. Certo, la genialità del verso dantesco manca di un degno paragone nella poesia moderna ma, probabilmente, l’errore più grande sta proprio nel ricercarlo.

Quella poetica è una vera e propria dimensione, parecchio complessa, che viaggia parallelamente a tutte le altre, non è fatta solo di rime, punteggiatura e figure retoriche. La poesia è uno strumento di precisione che regola il caos, è un velo che si scopre sul non detto di una fotografia, sui colori di un dipinto o nella meravigliosa leggerezza di un brano musicale.

 Un ‘evoluzione continua, insomma, una sperimentazione senza battute d’arresto.

È su questa voglia di ricerca assidua e godimento del bello che si muoveil laboratorio di sperimentazione poetica gratuito ideato e condotto dalla poetessa casertana, Maria Pia Dell’Omo

Il progetto ,che verrà inaugurato stasera, mercoledì 27 aprile, prevede una serie di appuntamenti, ospitati dallo Jarmusch Club di Caserta (Via Battisti 72).

“Lo scopo dell’incontro è quello di stimolare un approccio all’arte collettivo: durante gli appuntamenti gli artefici, cioè i “poeti” della scrittura, della musica e delle  arti visive, potranno condividere uno spazio comune, in cui scambiare le proprie idee e suggestioni.”– spiega l’organizzatrice-.

 Secondo il programma, ogni appuntamento verrà scandito da quattro fasi:  la prima consisterà in una breve presentazione di due autori del panorama locale, selezionati dall’organizzatrice;  la seconda in un  momento di libera condivisione, in cui sarà possibile per i presenti leggere una propria opera di scrittura breve (prosa e poesia); la terza confluirà, invece, in  un momento laboratoriale in cui chi vorrà potrà partecipare ad  una esercitazione di gruppo. Sul finale, è  previsto un momento di improvvisazione che coinvolgerà musica, scrittura e arti visive.

Nella prima serata, saranno ospiti i poeti Dario Zumkeller con la sua opera “La calce di Ulkrum” e la poetessa Maria Grazia Nappa con una selezione delle sue liriche.

Per il momento dedicato alla musica , Federica Pezzullo porterà una selezione poetica in_canto incentrata su Yeats, Antonia Pozzi e altri grandi del passato, con accompagnamento musicale a cura di Francesca Saladino.  Il cantante e musicista Fabio Ianniello produrrà, invece, un momento di improvvisazione strumentale.

La Performance di pittura e disegno dal vero sarà  a cura dell’artista Giuseppe Gi.

Per le modalità di partecipazione alla sfilata di scritture brevi e ulteriori informazioni, consultate   l’evento Facebook:

https://www.facebook.com/events/1601156736871388/

oppure scrivere a  maria.dellomo@yahoo.com“.

 Non vi resta che prendere appunti, procurarvi penna e taccuino, e  farvi travolgere dall’incanto senza fine della poesia.

Michela Salzillo

Poesia al Jarmusch Club di Caserta was last modified: aprile 26th, 2016 by L'Interessante
26 aprile 2016 0 commenti
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Gianmaria Testa
CronacaIn primo pianoParliamone

Gianmaria Testa: muore un poeta

scritto da L'Interessante

Gianmaria Testa

Nato fra l’umiltà e il sudore dignitoso di una famiglia contadina, si è spento il cantautore che suonava la meraviglia dell’essenziale: Gianmaria Testa

Non ce l’ha fatta il poeta di Cavallermaggiore, ha imparato a cantare il suo ultimo saluto oggi.

 È morto a 57 anni, raccogliendo lo stremo di un anno impiegato a lottare per un cancro non operabile, di cui aveva appreso la comparsa aggressiva nel gennaio scorso. Da allora preferì evitare le luci della ribalta per dedicarsi alla lotta impari con la sua malattia.

Nato in provincia di Cuneo nel 1958, cominciò a suonare la chitarra da autodidatta, il suo primo lavoro non ebbe a che fare con la musica, per alcuni anni   esercitò infatti l’attività di ferroviere, prima, e capostazione poi, guadagnandosi da vivere fra i binari della sua città d’origine.

Nei primi anni, con in tasca un cumulo di sogni acerbi, alternò la sua statale occupazione con quella della musica. Oltre ad essere molto conosciuto in Italia, Testa era un’artista parecchio amato in Francia, patria di adozione che gli aveva regalato stima e successo ancor prima della nostra penisola.

Definito da Il Corriere della Sera, il cantautore letterario, aveva dichiarato in un’intervista:

“amo sacrificare il mio linguaggio in quest’epoca di ridondanze”.

Gianmaria Testa, la Carriera:

Il debutto di Testa avvenne come strumentista di gruppo rock, ma non tardò a capire che la sua vera identità apparteneva ad un impavido, ma poi ben riuscito, esperimento da solista.

Dopo aver vinto il Festival musicale di Recanati dedicato ai nuovi talenti della canzone d’autore, nelle consecutive edizioni del 1993 e 1994, incontra Nicole Courtois, produttrice francese, che ne comprenderà la forza interpretativa ed autorale: è grazie a questa esplosione di caso intrecciato su  un destino artistico facilmente prevedibile, che nel 1995 esce in Francia, per l’etichetta Label Bleu (Amiens), il suo primo disco, intitolato Montgolfières. Condivise la direzione artistica di questa prima creatura con l’amico Piero Ponzo.

 Nell’ottobre del 1996 esce il secondo lavoro, Extra-Muros che inaugura la nuova etichetta dedicata alla canzone dalla Warner Music francese, la Tôt ou Tard.

Sempre in questi anni si esibì per la prima volta all’Olympia, fu l’ occasione, secondo le strane leggi del paradosso, che catturò l’attenzione accanita della stampa italiana sul suo, fino ad allora, sottovalutato talento.

Nel febbraio del 1999 esce il suo terzo album ,Lampo, realizzato con la collaborazione di numerosi musicisti: da Glenn Ferris a Vincent Segal, da Riccardo Tesi a Rita Marcotulli.

Risale al 2000 l’uscita de: “il valzer di un giorno” è stato questo il suo primo disco ad essere interamente realizzato e prodotto in Italia. Nel 2006 Testa dedicò un intero album- Da questa parte del mare– ai migranti di ieri e di oggi.

 Negli ultimi anni aveva fatto anche teatro (18 mila giorni — il pitone) e nel 2012 aveva pubblicato Ninna Nanna dei sogni, il suo primo libro edito da Gallucci editore.

Nella sua lungimirante carriera il poeta della canzone semplice aveva suonato in più di tremila concerti non solo in Europa, ma anche in Canada e Stati Uniti.

Il suo ultimo lavoro discografico dal titolo Men at work, uscito nell’ottobre del 2013,  è stato registrato dal vivo durante alcuni suoi concerti. Col senno di poi, sembra essere un testamento cantato, che ha lasciato e chi gli ha voluto bene, come  a ringraziare il suo pubblico con gratitudine piena ed emozionante.

Michela Salzillo

Gianmaria Testa: muore un poeta was last modified: marzo 30th, 2016 by L'Interessante
30 marzo 2016 0 commenti
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