Elena.
Di Christian Coduto
La prima volta che ho visto da vicino Elena Starace è stato al cinema: era intenta a sgranocchiare allegramente dei nachos nei pressi della sala in cui avrebbero proiettato il film
Conoscevo le sue belle qualità di attrice grazie alla sua partecipazione in diversi progetti televisivi ed ero rimasto incantato da quegli occhioni così buoni ed espressivi, circondati da una massa deliziosa di riccioli biondi. Vuoi per timore, vuoi per imbarazzo non mi avvicinai per salutarla. Si accostò, invece, una ragazza che, con fare vivace la riempì di complimenti. Vederla arrossire e chiedere scusa perché non poteva darle la mano a causa delle mani sporche di ketchup me la fece apparire immediatamente simpatica. Una diva a misura di essere umano.
A mano a mano le cose sono cambiate: ho avuto l’onore di vedere Elena sul palco in diversi spettacoli e di averla come ospite nella rassegna di cinema indipendente italiano di cui sono direttore artistico: l’Independent Duel.
E quello sguardo così pulito non l’ha perso mai.
E’ una bella mattinata di febbraio; ci incontriamo nei pressi di un bar rumorosissimo. Mi viene incontro con un bel sorriso stampato sul viso. La osservo sorpreso: ha cambiato il colore dei capelli! “Per esigenze di copione in questo periodo sono rossa. Mi piace cambiare, trasformarmi”, rivela.
Mentre prenotiamo da bere, noto la sua postura: piacevole, garbata, aggraziata. E’ vestita in maniera semplice, ma potrebbe indossare qualsiasi cosa, risultando sempre elegante.
Elena Starace si racconta in un’ intervista
D: Allora … eccoci qui (sorride). Iniziamo con una domanda facile facile: chi è Elena Starace?
R: (Spalanca gli occhi) Eh, mica è così semplice questa domanda, sai? Dunque: sono una figlia, una sorella e una zia. Amo la vita e soprattutto viaggiare. Se fosse per me, starei sempre in treno. Figurati che una mia amica rumena, in uno dei miei tanti momenti di assenza e di distrazione, da lontano mi disse unde esti, cioè dove sei? Questa frase mi è piaciuta così tanto che ho deciso poi di tatuarmela perché mi rappresenta al meglio; sento spesso di essere da un’altra parte rispetto alla situazione che sto vivendo. Nonostante questo, però, riesco sempre a vivere le cose in pieno e cerco di trarne sempre il meglio.
D: Artisticamente, sei nata come ballerina di danza classica e jazz. Come ha avuto inizio l’amore per la recitazione?
R: E’ iniziato a 12 anni per superare la mia timidezza e anche per curiosità: Giovanni Compagnone aveva organizzato un corso di recitazione a Capua, nel meraviglioso teatro Ricciardi. Per ironia della sorte, ho ritrovato poi Giovanni dopo molti anni e abbiamo deciso di collaborare. Abbiamo iniziato con il grande Eduardo e proseguiremo sicuramente con Eduardo; il nostro viaggio ci ha portato fino in Puglia, un’esperienza bellissima. Una compagnia molto affiatata, molto unita quella dei Qua..si teatro. Nei primi periodi ho proseguito questa nuova passione parallelamente a quella per la danza classica, poi ho fatto una scelta. Insieme ai ragazzi del Teatro Serra, uno spazio aperto da pochissimo a Via Diocleziano a Fuorigrotta, sto preparando invece una versione napoletana de “I miserabili”, in cui interpreto Santina e Cosetta, due personaggi molto diversi tra loro. E’ un teatro off, molto intimo. Saremo in scena il 18 e il 19 febbraio, vi aspetto!
D: La danza classica ha delle regole molto ferree, molto precise. Credi che ti abbia donato la costanza necessaria per affrontare questo tipo di lavoro?
R: La costanza, no. Io non sono una persona costante, persino emotivamente. Questo è un mio difetto. Certo, sono molto seria: se prendo un impegno, lo porto sicuramente a termine. La danza classica mi ha dato una grande formazione fisica; è come se mi avesse modellato il corpo, la maniera di muovermi, la maniera di camminare. Il portamento, insomma. Mi ha fatto capire l’importanza delle piccole cose che formano l’insieme. Intendo: lavori tutti i giorni su una cosa, che è un piccolissimo elemento facente parte di un insieme perfetto, l’importanza del dettaglio.
D: Il tuo esordio, nel 2012, è all’insegna di un grandissimo successo con “Benvenuti a tavola” (e relativo seguito l’anno successivo) in cui reciti accanto al fianco di Giorgio Tirabassi e Fabrizio Bentivoglio …
R: Un’esperienza che mi ha catapultato nel mondo della televisione, del cinema, degli attori VERI. Io, piccolissima, accanto ad attori bravissimi. E’ stato davvero bello prendere a questo progetto. Ho imparato tanto. E’ stata una produzione importante, parliamo di Taodue e Canale 5. Se tornassi indietro, lo rifarei altre mille volte. Avrei voluto che la serie continuasse per altre 10 stagioni! Amavo molto il personaggio di Giovanna Perrone che, tra le altre cose, proprio nel corso della seconda serie era stato sviluppato in maniera interessante. Conservo ancora degli ottimi rapporti con gli attori del cast.
D: A tal proposito … che rapporto hai con la cucina? Sei una buona cuoca?
R: Mm no! Però sono una buona forchetta! (ridiamo) Assaggerei di tutto, tranne le cavallette. Amo la cucina thailandese, quella giapponese e quella greca. Utilizzatemi come assaggiatrice ufficiale!
D: Un’altra serie alla quale so che sei molto legata è “Per amore del mio popolo” …
R: Uh a proposito: amo anche queste (il cameriere ha appena portato un vassoio di patatine). Allora … sono molto fiera di aver preso parte a questa operazione. Antonio Frazzi è un grande regista, che ha voglia di raccontare in maniera pulita e potente, incisiva. La distinzione netta tra il bene e il male. Il suo Don Diana è un eroe, un ribelle, un rivoluzionario. E io adoro i ribelli!
D: Ed ecco, quindi, “Gomorra – la serie” … un vero e proprio caso a livello mondiale …
R: Sì, lo è stato e lo è ancora (mentre parla, autografa il box della prima stagione che le ho porto). Non poteva essere altrimenti, è un’operazione titanica.
D: Siete rimasti sorpresi del successo?
R: Oddio no! Durante le riprese della prima stagione, si sentiva già nell’aria di far parte di una cosa enorme. Era una scommessa, però c’era così tanta potenza e perfezione intorno, non poteva che risultare bellissimo. Tra le altre cose, Stefano Sollima proveniva da enormi successi, quindi la cifra stilistica era riconoscibilissima. E’ un regista geniale. La mia Noemi forse avrebbe potuto avere più spazio, ma il focus era ovviamente un altro: al di là di Imma Savastano (interpretata da Maria Pia Calzone) le donne sono leggermente di contorno.
D: Ti va di parlarci di “Limbo” in cui sei stata diretta da Lucio Pellegrini, dopo “Benvenuti a tavola 2”?
R: “Limbo” è stato inaspettato e molto piacevole. Ho fatto il provino, ma è stato l’unico caso in cui sono stata chiamata dal regista. Mi ero trovata benissimo ad essere diretta da Lucio, che per questo ruolo aveva in mente proprio me. Un ruolo piccolo, ma molto forte. Ho lavorato accanto a Kasia Smutniak, che è meravigliosa, di una dolcezza e di una bellezza incredibili. Era tutto condensato, durante la sequenza di un battesimo. Il mio personaggio, Imma, era una vedova consapevole del fatto che il marito fosse stato innamorato di Manuela, il personaggio interpretato appunto da Kasia. Quindi un dolore misto a rabbia e rimpianto perché le ultime parole che aveva detto al marito, prima della sua morte, erano state distruttive. Imma fa un gesto bellissimo, durante la cerimonia: quello di dare il bimbo in braccio alla donna che il marito ha amato. Vedi? A volte, dei piccoli ruoli, nascondo un intero universo.
Parla di attori importanti con i quali ha lavorato, ha preso parte a progetti di successo … snocciola simpatici aneddoti come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non c’è alcun segnale di ansia da protagonismo. La immagini serena. Eppure il suo sguardo lascia intravedere qualche segnale di insofferenza. Quasi come se stesse pensando a cosa fare per potersi migliorare.
Trovare una chiave di lettura.
Una ricerca di sé.
Chissà dove la sta portando la sua mente in questo momento.
Nasconde un animo molto forte, ma anche una profonda malinconia. Quegli occhi non mentono.
D: Sei un volto molto noto al pubblico di Raitre, grazie alla tua partecipazione alla serie “Un posto al sole”, che ha un successo che prosegue, costante, da tanti anni …
R: 20 anni! Entri lì ed è tutto stranissimo, perché è come attraversare la soglia di un altro universo. E’ stata una sorpresa: io sono arrivata lì e ho pensato che, entrando in una struttura così collaudata, non sarei riuscita ad integrarmi. Invece tutti sono stati carinissimi, mi hanno messo a mio agio, aiutandomi persino ad orientarmi negli studi. Devi sapere che io ho un senso dell’orientamento pessimo! Figurati che, una volta, sono andata in giro per la Rai con l’accappatoio di scena e le ciabatte perché avevo sbagliato strada! Dovevo scendere solo una rampa di scale e invece ho attraversato tutta la Rai! La gente mi guardava e rideva … anche perché, diciamocelo, quell’accappatoio era orribile (scoppiamo a ridere). Passai davanti agli uffici, gli impiegati in giacca e cravatta … una figuraccia! Però, con una faccia tosta, che normalmente non ho, proseguii fiera, come se avessi indossato il vestito di uno stilista famoso nel mondo. “Un posto al sole” lo rifarei mille volte anche perché ha una struttura ed un ritmo molto veloci.
D: E poi c’è tanta professionalità: continuare, con una certa prolificità, a scrivere una sceneggiatura che si evolve in base a ciò che avviene fuori, nella vita di tutti i giorni, non è facile …
R: Ecco, proprio per questo prima facevo riferimento ad un sistema dinamico, che tende al miglioramento. C’è stata sicuramente un’evoluzione nel corso degli anni, in base agli sviluppi tecnologici e ai nuovi mezzi a disposizione. C’è una continua ricerca, si aggiornano. Sono protesi alla perfezione.
D: Nel 2016 partecipi al film “Vita cuore battito”, che sbanca i botteghini italiani … (nel frattempo metto sul tavolino il dvd del film)
R: (Mi guarda divertita). Ok, adesso ti firmo anche questo! Allora … Un cameo divertente! Tutto molto colorato e colorito. Ho avuto la fortuna di conoscere Miriam Rigione, che è una ragazza simpaticissima. Un prodotto carino, intessuto di tanta napoletanità. So che è piaciuto tantissimo ai più piccoli, che ovviamente seguono gli Arteteca in tv nel programma “Made in Sud”.
D: Sei la protagonista di “Road to Calessi” di Marco Sommella, un film completamente indipendente. Il progetto non è ancora uscito nelle sale, puoi darci qualche anticipazione?
R: E’ un thriller. Scritto molto bene, a mio avviso, ed interpretato altrettanto bene. Ho apprezzato la location: nei boschi al confine tra il beneventano e il Molise, una zona meravigliosa. Abbiamo girato in estate, si stava molto freschi. A livello umano, un’esperienza positiva: si era creata una sorta di comunità agreste … era uno spasso mangiare, ad esempio, il caciocavallo sull’erba come se stessimo facendo un picnic! Le riprese interessanti. Vorrei tanto vederlo in sala! Affronta un tema molto delicato: quello delle sette, dei sacrifici umani e del plagio di giovani ragazzi da parte di qualche malato di mente che, con una personalità sicuramente forte, riesce a muovere i fili delle vite altrui, fino a spezzarli.
D: Visto che hai così tanto tempo libero, sei riuscita a dedicarti anche alla scrittura!
R: Ma in realtà è la scrittura che trova me, mi trova sempre. Mi sento in debito con lei e anche un po’ in colpa, perché c’è tanto che vorrebbe uscire e io per paura non la faccio uscire. Però non può rimanere lì per sempre, prima o poi esploderà, indipendentemente dalla tua volontà.
D: E quindi è uscito “Anime pezzentelle” …
R: Sì, il mio primo romanzo. E non sarà l’ultimo, perché voglio scrivere e scrivere ancora …. Ma come? Anche questo? (Prende la copia del suo libro che conservavo nello zainetto e mi scrive una dedica molto carina). E’ nato come uno spettacolo di teatro di narrazione, poi mi sono accorta, mentre lo portavo in scena, che avevo bisogno di uno spazio più ampio, di un respiro più ampio rispetto al palcoscenico per i vari personaggi che potevo interpretare. Avevo bisogno della carta, che mi desse il senso dell’infinito a disposizione, per quanto in realtà non è che sia lunghissimo (169 pag. Edizioni L’erudita). E’ un libro che condensa una lunga storia, un lungo percorso di formazione, di crescita personale del personaggio. Ho tentato di raccontare per immagini, come in un film. Mi sono concentrata su quante volte la vita ci costringa a cambiare e come fare per sopravvivere.
Il parlare della scrittura sembra averle dato linfa vitale: la vedo illuminarsi di una nuova luce; la ricerca dell’infinito attraverso la parola è un’impresa ardua, che farebbe paura alla stragrande maggioranza degli esseri umani. Ma lei non ne è spaventata, ha solo l’impressione di non essere all’altezza. Molto pragmatica, autocritica, ma sognatrice e pindarica allo stesso momento. Una contraddizione affascinante, che è piacevole seguire, ma in cui è facile perdersi.
D: Nel frattempo, sei stata coinvolta nel cortometraggio “La condanna dell’essere”, che verrà proiettato sabato 18 febbraio al Duel Village Caserta …
R: Adriano Morelli, il regista, ha una maniera di raccontare in maniera onesta. Non vuole prendere in giro lo spettatore, non usa filtri, tattiche. E’ molto chiaro nella narrazione degli eventi e nel descrivere i sentimenti. E’ come se guardassi una cosa pulita anche se ti sta mostrando la cosa più sporca, come una perversione ad esempio. Una narrazione che ritorna all’origine. In questo corto ho un piccolissimo ruolo, ma è stato molto carino girare con lui, anche perché da qui è nata una collaborazione per il suo secondo cortometraggio; ancora non ha un titolo preciso, però in questo caso la collaborazione è a livello di scrittura. Non posso spoilerare molto, ma il tema principale sarà quello della ipocrisia.
D: Cinema, teatro, televisione, letteratura e la musica … la tua collaborazione con il pianista Marco Mantovanelli!
R: (Si illumina) Io e Marco, insieme a Luca De Simone, un grande percussionista, stiamo realizzando un progetto di narrazione e musica su “Anime pezzentelle”. Abbiamo preso una linea che possa scivolare e scorrere nel modo migliore possibile e che arrivi all’universale, più che nel dettaglio del fatto in sé, che tocchi l’esperienza che ognuno di noi può aver vissuto in un percorso. Ci rivolgiamo ad un pubblico il più vasto possibile, è un progetto fruibile da tutti. E’ interessantissimo vedere questi due mostri sacri creare in un attimo delle atmosfere, delle musiche. E’ bello perché, grazie al loro costante tappeto sonoro, sembra di vedere un film. Sono entrambi degli sperimentatori, non si limitano alla superficie. La storia parte a Napoli e loro hanno ricreato delle sonorità che rimandano alla classicissima musica napoletana, ma con un’interpretazione molto fresca. Ci siamo anche dati un nome: La logique du phantasme. E’ una definizione di psicologia che ha proposto Luca, che è uno psicanalista. E’ tutto quello che fa parte della tua vita a cui non riesci più a pensare razionalmente, dei traumi per esempio e che, sotto, lavora secondo una logica e ti spinge a fare delle cose. Andando ad analizzare, ci si rende conto che, alla base, sono sempre gli stessi meccanismi che tornano e ritornano. Un fantasma che opera e ti condiziona.
D: Prima di salutarci, una domanda alla Marzullo … anzi, più precisamente: Fatti una domanda e datti una risposta!
R: A quale luogo pensi di appartenere? Sicuramente la campagna. Non abbandonerei mai il mio lavoro, che amo da morire, ma liberarmi da tutti i fronzoli aggiuntivi e dal sistema mi renderebbe felice. Però non lo faccio perché siamo tutti legati ad un sistema che non ci permette di sganciarci. A questo punto mi chiedo: questo blocco che vedo è una scusa perché ho paura oppure è la verità? E secondo me è la prima (sorride).
Be … forse è davvero questa la tua strada: ritrovare le tue radici. Seguire il tuo istinto e dare un (nuovo) stravolgimento alla tua vita. Come già in passato, quando hai appeso le scarpette al chiodo per calcare il palcoscenico, ma per dare stavolta libero sfogo alle tue emozioni più celate, che non riuscivano ad essere espresse. Ti auguro che questo viaggio ti porti lì dove desideri, affinché tu possa trovare una serenità d’animo che ti meriti e che ti renda felice. In bocca al lupo!