Vincenzo Restivo.
Di Michela Salzillo
Era circa una settimana fa quando, sull’ onda degli ultimi preparativi, vi avevamo promesso che saremmo stati presenti al battesimo dell’ultima creatura di Vincenzo Restivo. L’ inaugurazione di Storia di Lou, come preannunciato pochi giorni fa, si è tenuta presso il Drama Teatro Studio di Curti. Il nuovo romanzo del talentuoso autore marcianisano è stato accolto da una platea attenta e partecipativa. L’incontro, moderato da Christian Coduto, si è rivelato infatti l’ ottimo pretesto per alimentare un diretto e proficuo confronto su temi concernenti il vasto pianeta della diversità, con ampio e doveroso riferimento alle verità, forse ancora troppo taciute, legate al transessualismo. Entusiasti anche i padroni di casa, gli attori Rosario Copioso e Dario Pietrangioli, che in merito alla serata si sono così espressi:
“Storia di Lou” ha incontrato per la prima volta il pubblico, un pubblico fitto, partecipativo, interessato alla delicata e brutale storia di questo personaggio che Vincenzo Restivo ha prima immaginato per poi offrirlo al mondo raccontandone la pelle, il sangue, il buio e forse il riscatto.
Grazie a questa storia probabilmente non riusciremo a comprendere a pieno, a immedesimarci nelle tante persone che provano disagio a vivere in un corpo in cui non vorrebbero, in un corpo estraneo alla loro mente e ai loro desideri, tuttavia, lo sforzo anche soltanto a sfiorare queste storie, è già una grande vittoria per tutti, perché queste storie, sono anche le nostre, non dimentichiamocelo.”
Ma come e perché nasce Storia di Lou ?
Vincenzo Restivo racconta Storia Di Lou e i suoi progetti futuri: l ‘intervista
Storia di Lou, si chiama così la tua ultima fatica letteraria edita dalla Watson edizioni. Si tratta di un romanzo che tu stesso hai definito essere un tripudio alla diversità. Ci spieghi in che senso?
Storia di Lou è un romanzo scomodo e nello stesso tempo, una storia aperta. Scomodo perché mette in risalto una tavolozza di problematiche che spesso vorremmo accantonare in un angolo e dimenticare: dalla depressione all’autismo, dal suicidio all’inadeguatezza di trovarsi in un corpo che non riconosciamo. Ma è anche una storia aperta, libera, perché permette a tutti di entrarvi per comprenderla. Il mio scopo era proprio quello di indottrinare alla diversità, rompere quel velo di perbenismo che rende difficile la comprensione stessa, che dà un limite all’empatia.
Il tema dominante di questo romanzo, tra gli altri, è senz’altro quello del transessualismo. Secondo te, oggi, qual è il livello d’informazione legato a una simile realtà?
C’è ancora tanto da sapere a riguardo e si dà molto per scontato. C’è di base un’ informazione sbagliata, e spesso, una conoscenza superficiale di certe realtà che invece richiederebbero un’attenzione maggiore. In certe circostanze, come quella della distrofia di genere, anche il linguaggio fa la sua differenza. Usare pro-forme al maschile, per rivolgersi a una ragazza MtF, ad esempio, è un errore in cui cadono molte testate giornalistiche. E questo deve far riflettere.
In storia di Lou, così come nei tuoi precedenti romanzi, sei molto crudo nelle descrizioni. In questo caso, ad esempio, tocchi addirittura la delicata questione dell’evirazione. Si tratta di una provocazione o, più banalmente, di una scelta stilistica a cui sei affezionato?
È provocazione, senza dubbio. Una scelta indispensabile per affrontare quelle argomentazioni un po’ scomode. Bisogna incazzarsi , rompere degli equilibri finanche nella letteratura. La lingua serve anche a questo, a comunicare il dolore, l’instabilità. La linearità stanca e certe insofferenze puoi comunicarle solo attraverso il disequilibrio linguistico, mettendo da parte inutili armonizzazioni.
L’autismo e la paraplegia sono le altre due facce di questo romanzo. Come sei arrivato a strutturare un’ampia relazione fra tre realtà così complesse?
Tre realtà complesse, diverse ma anche simili. Simili nel loro bisogno di inclusione in un universo di norme imposte da altri e dalle quali non ci si sente rappresentati. La relazione nasce proprio da questo bisogno.
Secondo te diversità e integrazione potranno mai dire vinta la stessa battaglia?
Non amo la parola integrazione. Integrare sta per “immettere qualcosa o qualcuno in un contesto già socialmente formato, con le proprie leggi, le proprie rigide imposizioni”. Il soggetto integrato rimarrà, così, sempre tale, immolando la sua cultura per accoglierne un’altra. In questo caso è quindi più giusto parlare in termini di “inclusione” o “inclusività”, perché includendomi in una realtà estranea, vi faccio parte mantenendo comunque le mie radici culturali. Le parole hanno un loro valore intrinseco e bisogna rispettare quel valore. Ecco, credo che inclusione e diversità potranno dire vinta la loro battaglia quando la società imparerà a usare le giuste parole per esprimere i giusti concetti.
Chi vorresti leggesse Storia di Lou, e che tipo di riscontro sociale ti auguri abbia?
Dovrebbe leggero chiunque si senta incuriosito dall’argomento e voglia delle risposte. Non mi aspetto nulla, vorrei solo lasciare una briciola di consapevolezza in tutta questa confusione.
Quali saranno i tuoi prossimi progetti editoriali? C’è qualche novità che ci puoi anticipare?
C’è un romanzo in uscita a Marzo con Milena Edizioni. Tratterà di prostituzione minorile, superstizione e malavita a Napoli. È una nuova avventura che sta già dando i suoi frutti a un mese prima dell’uscita ufficiale. Pochi giorni fa, infatti, è stata pubblicata una prima recensione sulla rivista PRIDE , curata da Mauro Muscio. Belle cose, insomma, se penso che comparire su PRIDE era un sogno che avevo da un bel po’ di tempo. I sogni però, ogni tanto si avverano. Basta crederci. E io ci credo.
Grazie per essere stato con noi, Vincenzo. Alla prossima!