Bob Dylan
Di Michela Salzillo
Non sempre le coincidenze arrivano per caso, alcune sembrano fatte apposta per mimetizzarsi fra gli strani destini.
Una fatalità bizzarra, ad appena un giorno di distanza dalla morte di Dario Fò, continua a creare divisioni di opinione: come nel 1997 accadde per il giullare moderno, ieri, nel giorno della dipartita del drammaturgo, Bob Dylan riceveva il premio Nobel per la letteratura, creando non solo stupore per i tempi coincisi in uno strano parallelo, ma anche un intenso girone di pareri favorevoli e contrari
A non essere d’accordo con la decisione della commissione di Stoccolma, che ha scartato candidati come Philip Roth, Don DeLillo e Murakami, è arrivato il parere di Alessandro Baricco, che ha così commentato l’assegnazione:
“Che un drammaturgo vinca il premio per la letteratura, ci sta. Ma premiare Bob Dylan è come se dessero un Grammy Awards a Javier Marìas perché c’è una bella musicalità nella sua narrativa. Paradosso per paradosso, allora anche gli architetti possono considerarsi poeti”. La pensa come lui pure lo scozzese Ivrine Welsh che, pur dichiarando stima per il cantautore statunitense, non ha tardato a definire questa scelta come “un premio nostalgia mal concepito, strappato dalla prostata di vecchi hippies balbettanti”. Ma c’è chi, senza troppe analisi di senso, preferisce abbandonarsi all’accaduto, osservandolo come un piacevole passaggio di staffetta tra il giullare e il menestrello.
La critica esiste dai tempi dell’arte, lo seppe anche Dario Fo
Nel 1997, colto di sorpresa, Dario Fo riceveva il Nobel per la letteratura con una motivazione assai condivisibile: premiato dal re Gustavo di Svezia, fu lodato per aver dileggiato il potere restituendo dignità agli oppressi. Una “dicitura” senz’altro diversa è stata quella scelta per Dylan che, a diciannove anni di distanza da quel record italiano, è stato incoronato per aver creato una nuova poetica espressiva all’ interno della grande tradizione canora americana. Si tratta di due spiegazioni che associate alla storia di ciascuno dei due diventano poco sindacabili. Come oggi, anche ieri qualcuno si schierò dal lato della protesta, esprimendo un dissenso ben inteso nei riguardi di quel nome che, paragonato a Dylan, adesso, sembra intoccabile. Fo è stato il diciottesimo italiano a vincere il Nobel, il sesto per la letteratura, prima di lui soltanto Giosuè Carducci, Grazia Deledda, Luigi Pirandello, Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale, dopo di lui, fino ad ora, nessuno , in Italia, è stato ritenuto all’altezza. Un’esclusiva, la sua, che sicuramente voleva dire qualcosa sin dall’ inizio , ma questo, come forse era giusto che fosse, non lo salvò dalle critiche. Certo, Dario non si chiamava Bob, sono artisticità diverse le loro, eppure c’è chi all’epoca considerò la premiazione di Fò, che lui stesso tradusse come un riconoscimento esteso alla “gente di teatro”, come un torto a danno del poeta fiorentino Mario Luzzi, candidato al premio da vent’anni.
La critica, del resto, è nata con l’arte, se non ci fosse l’una, non esisterebbe l’altra e viceversa. Sia l’esperto che il pubblico comune, lettore, spettatore o ascoltatore che sia, hanno il diritto ed il dovere di esprimersi. Le opinioni e le scelte, soprattutto in campo artistico, favoriscono la ciclicità dell’arte stessa. Forse è vero che un “Nobel per la musica” è qualcosa di parecchio strano, ma l’arte ha ben poco di ordinario e normale. A legittimare il premio di Bob Dylan, oltre quella motivazione, c’è l’applauso dell’accademia subito dopo l’annuncio ufficiale, ci sono le grida di approvazione le sue canzoni che, volente o nolente, qualcuno considera poemi e, perché no, c’è anche questo inaspettato legame fra due personalità che, seppur diverse, hanno ambe due rappresentato una forte icona di contrasto al potere. A tal proposito, il giornalista Antonio Gnoli ha dichiarato: “Ancora una volta, l’accademia di Stoccolma, spesso imprevedibile, ha dimostrato come, in qualche occasione, alla letteratura di grande mestiere si preferisce la vita.”