Dove sei Dio
“Dove sei Dio?”
E’ il grido soffocato in un canto di Chinyere, in abito bianco su una sedia durante una fiaccolata in memoria di Emmanuel, il suo amato ucciso a Fermo nel tentativo di difenderla dagli insulti di un nazifascista. Eppure, fino a ieri, Emmanuel e Chinyere credevano di aver trovato la felicità in Italia. Una felicità che meritavano, o meglio, che avrebbero meritato, dopo aver assistito al massacro delle loro famiglie e alla morte della figlia di due anni. E dopo essere stati schiavizzati in Libia, lei massacrata di botte fino a perdere il bimbo che portava in grembo durante la traversata. Erano giunti in Italia, che per loro era una sorta di “terra promessa”, come Peter Pan e Wendy nell’isola che non c’è, e si erano ripromessi di provare a ricominciare daccapo. Erano stati accolti a Fermo, piccola cittadina delle Marche, da una Chiesa militante che non mercanteggia e svende la carità con il ricatto del proselitismo di fede. Una Chiesa che si sporca le mani. 6 mesi fa a Fermo era stato celebrato il loro matrimonio. Chinyere avrebbe voluto studiare medicina. Oggi si ritrova al funerale del suo amato. Amedeo Mancini è il nome di colui che ha stroncato la loro felicità, oggi in stato di fermo accusato di omicidio preterintenzionale che dichiara di voler donare i suoi beni alla vedova. Doni che però non le ridaranno indietro suo marito. Il nome di Amedeo Mancini racchiude in sé tutti i nomi di coloro che continuano, nel 2016, a fare propaganda razzista e a vedere gli immigrati come “gente che viene a rubarci il lavoro”, e che osano marciare sopra questa tragedia considerandola un’invenzione della Chiesa, dei mass-media e della sinistra, cercando di giustificare il tutto sostenendo che si trattava di una semplice rissa. Eppure, Chinyere ha dato noi un’altra lezione di vita, acconsentendo all’espianto degli organi del marito. Organi che potrebbero salvare la vita di qualche altro uomo, anche un “Amedeo Mancini” di turno. Adesso c’è una petizione per conferire alla donna la cittadinanza italiana. Il giorno del funerale, durante l’omelia, l’arcivescovo Luigi Conti ha espresso il suo disappunto verso coloro che definiscono “disperati” i migranti. I veri disperati siamo noi, non loro. E questo terribile episodio che verrà presto dimenticato ne è la prova inconfutabile.
Mariagrazia Dell’Angelo