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Scoperte

Cannabis
CulturaCuriositàIn primo piano

Cannabis come sudario in un’ antica tomba cinese

scritto da L'Interessante

Cannabis

Di Antonio Andolfi

Un bouquet consistente e quasi intatto di piante di cannabis è stato ritrovato in un sito funerario del nord-ovest della Cina, in un vasto cimitero del bacino di Turpan associato alla locale cultura Gushi, e risalente a 2800-2400 anni fa.

Queste tombe – ciò che resta di una civiltà fiorita su uno snodo importante della Via della Seta – sono note per aver restituito, negli ultimi anni, alcune tra le più antiche testimonianze dell’uso di cannabis. Ma il ritrovamento descritto su Economic Botany ha caratteristiche eccezionali. A partire dalle modalità di sepoltura: le piante, 13 in tutto, sono disposte a coprire, come un sudario, il corpo di un uomo sui 35 anni, sdraiato su un supporto di legno e con un cuscino rosso sotto il capo.

Gli steli, lunghi circa 90 cm, rivestono una porzione di corpo compresa tra il bacino e la guancia sinistra. Soprattutto, sono interi: è la prima volta che gli archeologi sono in grado di rinvenire antiche piante di cannabis complete, per di più usate per ricoprire un feretro.

Cannabis. Non è la prima volta

Resti di cannabis erano stati trovati, in passato, anche in altre sepolture di Turpan: una decina di anni fa, in una tomba nel vicino cimitero di Yanghai furono scoperti quasi 900 grammi di semi e foglie di cannabis triturate. A ovest del sito, nella Siberia meridionale, semi di cannabis sono stati rinvenuti nella tomba di una donna vissuta nel primo millennio a.C., e morta probabilmente di cancro al seno. Il sospetto è che la sostanza fosse servita ad alleviare il dolore della malattia.

Come veniva usata la cannabis ?

Ma il fatto di non aver trovato finora piante intere non consentiva di capire se la cannabis fosse importata o coltivata in loco. Il nuovo ritrovamento sembra sciogliere il mistero e dà indizi anche sul suo utilizzo: non sono stati trovati tessuti in canapa, e i semi rinvenuti nelle tombe erano troppo piccoli per ricavarne oli essenziali. Inoltre, le piante presentano ancora le ghiandole della resina o tricomi dai quali si estrae il THC, la sostanza psicoattiva dei cannabinoidi. L’ipotesi è che la resina fosse inalata come un incenso o bevuta per scopi rituali o medicinali.

Gli steli permettono anche di risalire alla stagione di sepoltura. La maggior parte dei fiori delle piante era stata tagliata prima dell’inumazione, e i pochi rimasti sono immaturi: la morte, e il rito funebre, dovettero quindi avvenire in tarda estate.

Cannabis come sudario in un’ antica tomba cinese was last modified: marzo 12th, 2017 by L'Interessante
12 marzo 2017 0 commenti
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NASA
AttualitàIn primo pianoNotizie fuori confine

NASA. 7 pianeti attorno ad unica stella

scritto da L'Interessante

NASA

Di Antonio Andolfi

Dopo giorni di attesa, speculazioni e anticipazioni a proposito della “conferenza stampa straordinaria” indetta dalla Nasa, l’annuncio è stato finalmente dato: nell’orbita di Trappist-1, una nana rossa ultrafredda a una distanza stimata di circa 40 anni luce da noi sono stati scoperti in totale 7 piccoli pianeti rocciosi, cioè con caratteristiche simili a quelle della Terra. Detto in altre parole: gli astronomi della Nasa (e non solo) hanno trovato ben 7 pianeti quasi gemelli della Terra, non uno solo!

L’annuncio della NASA: Trappist – 1 e i suoi pianeti

Le osservazioni, iniziate nel settembre del 2015, sono state effettuate utilizzando un insieme di strumenti: il telescopio TRAPPIST-South (ESO, Osservatorio Europeo Australe, La Silla, Cile), il Very Large Telescope (ESO, Cerro Paranal, Cile), il telescopio spaziale Spitzer (Nasa, in orbita a 568 km) e altri telescopi attorno al mondo.

Osservabile nella costellazione dell’Acquario, è molto “piccola” (poco più grande di Giove) e di massa stimata nell’8% di quella del Sole.

 Tutti i suoi pianeti, chiamati rispettivamente Trappist-1 b, c, d, e, f, g, h (dal più vicino al più lontano), hanno dimensioni simili a quelle del nostro pianeta: le dimensioni, la possibile composizione e le orbite sono state desunte dalle variazioni di luminosità della stella causate dal passaggio dei suoi pianeti tra noi e la stella stessa: eventi che in astronomia sono noti come transiti.

Il coordinatore della ricerca, Michaël Gillon (istituto di astrofisica di Liegi, Belgio), afferma che «ci troviamo di fronte a un sistema planetario incredibile, non solo perché abbiamo trovato così tanti pianeti insieme, ma soprattutto perché sono sorprendentemente simili per dimensioni alla Terra».

 Da tempo gli astronomi ipotizzavano che stelle con dimensioni affini a quella di Trappist-1 (che per tipologia è la più diffusa nell’Universo, probabilmente tra il 70 e l’80%) possono avere attorno molti pianeti rocciosi di dimensioni simili alla Terra. Trappist-1 è la prima a essere stata sottoposta a osservazioni così prolungate e approfondite, tali da permettere la scoperta di “b”, “c” e “d” già nel 2015 e infine gli altri quattro.

Questi pianeti, o almeno alcuni di essi, se orbitano in modo regolare e alla distanza “giusta” potrebbero sostenere forme di vita.

 Amaury Triaud, co-autore della ricerca, sottolinea che «la quantità di energia emessa da stelle come Trappist-1 è molto inferiore rispetto a quella emessa dal nostro Sole. Per avere acqua liquida in superficie sui loro pianeti, questi devono orbitare a distanza ravvicinata, molto più vicini alla loro stella di quanto la Terra sia dal Sole. Sembra che questo tipo di configurazione compatta sia proprio quella che caratterizza Trappist-1».

 

Tutti e sette i pianeti, infatti, orbitano a una distanza inferiore di quella tra il Sole e Mercurio (circa 58 milioni di chilometri) e, proprio a causa della bassa energia della stella, tutti potrebbero ricevere una quantità di energia analoga a quella che irradia sui pianeti interni del Sistema Solare (Mercurio, Venere, Terra e – a seconda dei criteri utilizzati – Marte).

Anatomia dei pianeti scoperti dalla NASA.

In particolare, Trappist-1 c, d, f ricevono quantità di energia vicine a quelle che arrivano, rispettivamente, su Venere, Terra e Marte. Le misure sulla possibile densità dei singoli pianeti suggeriscono che almeno i primi sei sono di tipo roccioso.

 

Tutti e sette potrebbero potenzialmente avere acqua allo stato liquido in superficie, anche se per alcuni la probabilità sembra più elevata: “e”, “f” e “g”, per esempio, sembrano avere tutte le carte in regola per mantenere questa condizione – l’acqua liquida – che dal nostro punto di vista è anche condizione indispensabile per un eventuale sviluppo di forme di vita.

In base ai modelli utilizzati, i pianeti “b”, c” e “d” potrebbero avere acqua, ma forse solo in piccole regioni, mentre per “h” – il più distante – l’ipotesi è che, se c’è acqua, è allo stato solido. Sarà però purtroppo solamente con la prossima generazione di telescopi, come l’European Extremely Large Telescope (ESO) e il James Webb Space Telescope (Nasa/Esa) che potremo saperne di più.

NASA, I commenti a caldo.

Questa scoperta è importante non solo dal punto di vista scientifico, ma anche culturale: sapere con sempre maggiore sicurezza che oltre il nostro Sistema Solare ci sono luoghi potenzialmente favorevoli alla vita è semplicemente affascinante. La ricerca di pianeti extrasolari è uno degli ambiti in cui l’Istituto Nazionale di Astrofisica è profondamente coinvolto a livello internazionale, con l’eccellenza dei suoi scienziati, strumenti d’avanguardia come il Telescopio Nazionale Galileo e importanti partecipazioni in missioni spaziali di frontiera.

 

Il sistema multiplo di pianeti terrestri transitanti individuato attorno a Trappist-1 è straordinario sotto diversi aspetti. Innanzi tutto è il primo sistema con pianeti di tipo terrestre nella fascia di abitabilità (quell’intervallo di distanze da una stella entro il quale un pianeta di tipo roccioso con un’atmosfera può potenzialmente avere acqua allo stato liquido sulla superficie) per i quali sia stato possibile determinare, sia pure in modo preliminare, la densità, e quindi la composizione interna, scoprendo che sono probabilmente rocciosi come la nostra Terra.

 

In secondo luogo, tre dei sette pianeti del sistema sono soggetti a livelli di irraggiamento simili a quelli che Venere, la Terra e Marte ricevono dal nostro Sole, e se posseggono un’atmosfera di tipo terrestre potrebbero avere oceani sulla superficie. Inoltre, la bassissima luminosità e le dimensioni della stella, paragonabili al nostro Giove, rendono gli eventi di transito dei pianeti in fascia abitabile frequenti e facili da rivelare, aprendo la possibilità della caratterizzazione dettagliata delle loro proprietà atmosferiche con strumentazione di punta già esistente (come l’Hubble Space Telescope) o pronta nel futuro prossimo (come il James Webb Space Telescope).

 

I pianeti rocciosi potenzialmente abitabili attorno a stelle molto più piccole e fredde del Sole, quali Trappist-1, costituiscono dei laboratori eccezionali dove studiare l’impatto sulle proprietà atmosferiche (e sul concetto stesso di abitabilità) di questi oggetti con storie evolutive molto diverse da quelle da cui ha avuto origine la nostra Terra.

 

In ultima analisi, l’esistenza del sistema planetario di Trappist-1 e, in generale, il successo della strategia della ricerca di pianeti terrestri attorno a stelle di piccola massa, rende se possibile ancora più urgente moltiplicare gli sforzi per la scoperta e la caratterizzazione delle proprietà fisiche e delle atmosfere di veri gemelli della nostra Terra, cioè pianeti di tipo terrestre nella regione di abitabilità di stelle più simili al nostro Sole.

NASA. 7 pianeti attorno ad unica stella was last modified: febbraio 23rd, 2017 by L'Interessante
23 febbraio 2017 0 commenti
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blue jeans
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

I blue jeans nati in Perù, 6000 anni fa

scritto da L'Interessante

Blue Jeans

di Antonio Andolfi

I blue jeans che conosciamo sono un’invenzione del diciannovesimo secolo, ma il loro colore ha origini decisamente più antiche. E non stiamo parlando dei primi tessuti blu da cui ha origine il termine blue jeans.

Tracce di blu indaco, il pigmento di origine vegetale usato per tingere il denim, sono state individuate su cinque di otto campioni di tessuto di cotone ritrovati nel 2009 nel sito di Huaca Prieta, nel nord del Perù. Lo studio della George Washington University (USA) è stato pubblicato su Science Advances. 

Blue jeans. Il colore originario

 

Le stoffe, forse quel che resta di antiche sacche, sono state preservate dal clima secco e risalgono a un periodo compreso tra i 6.200 e i 1.500 anni fa.

Analizzandole con una tecnica chiamata cromatografia liquida ad alta prestazione, è stato possibile individuare, sotto secolari strati di sporco, tracce di indigotina e indirubina, le componenti chiavi dell’indaco, che si ricava dalla fermentazione di foglie di diverse piante (tra cui la Indigofera tinctoria).

Finora il più antico utilizzo noto di questo pigmento risaliva all’Egitto di 4.400 anni fa. 

 L’indaco era uno dei pigmenti più pregiati dell’antichità e la sua presenza è attestata in Cina, Nord Africa e Sud America: qui, a quanto pare, fu utilizzato per le prime volte. La costa settentrionale del Perù è anche nota per essere stata una delle più antiche “culle” di domesticazione del cotone. Per molti versi questa regione è dunque la patria storica dei jeans.

I blue jeans nati in Perù, 6000 anni fa was last modified: dicembre 20th, 2016 by L'Interessante
20 dicembre 2016 0 commenti
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Scienza
CuriositàIn primo piano

Scienza: passi da gigante contro l’HIV

scritto da L'Interessante

Scienza

Di Maria Rosaria Corsino

Sembrerebbe che ci siamo quasi, che anche l’HIV stia per essere sconfitto.

Forse, in un’ipotesi molto remota. Mai cantar vittoria col male dormiente, col flagello degli ultimi secoli.

Alcuni risultati positivi però si sono avuti su un uomo di 44 anni curato con farmaci sperimentali, che riattivano il virus combinati con le normali terapie antiretrovirali.

Queste, nonostante riescano a tenere molto basso il livello del virus nel sangue, non riescono però a distruggere le cellule dormienti che sono responsabili del ritorno della malattia.

Ancora non si grida al miracolo, ma i medici affermano che questo è un enorme passo avanti, anche se i risultati definitivi non si avranno prima di cinque anni.

 

AIDS – Scienza: passi da gigante contro l’HIV

 

La sindrome da immunodeficienza acquisita è una malattia che rende difficile al corpo difendersi da infezioni esterne.

Trasmissibile attraverso fluidi corporei, sangue o aghi infetti è dal 1991 la sesta causa di morte negli Stati Uniti.

Ma anche in Italia i numeri sono molto alti: nel 2015 sono stati contati circa 140 mila sieropositivi.

L’Hiv non ha mai risparmiato nessuno ed è stato causa della morte di moltissimi personaggi celebri: da Freddie Mercury a Rudolf Nureyev a Michel Foucault.

Non esistono vaccini o cure definitive per sconfiggere il virus, l’arma più potente che si possa usare è la prevenzione.

E gli esperti si esprimono all’unanime: abbiate rapporti protetti.

La vostra vita ve ne sarà grata.

Scienza: passi da gigante contro l’HIV was last modified: ottobre 4th, 2016 by L'Interessante
4 ottobre 2016 0 commenti
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Psittacosaurus
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Psittacosaurus ricostruito in 3D

scritto da L'Interessante

 Psittacosaurus

Di Antonio Andolfi

Quando pensiamo ai dinosauri ci vengono in mente i grandi rettili feroci come il Tiranussaurus Rex, oppure i grandi erbivori come il Brachilosaurus.

Ma i resti fossili ci mostrano che accanto a questi grandi rettili, c’erano alcuni davvero particolari, come il Psittacosaurus

Un fossile ha “riportato in vita” un dinosauro del Cretaceo inferiore, il periodo che va dagli 80 ai 145 milioni di anni fa, grande poco più di un tacchino.  E’ un dinosauro abbastanza strano, con il becco che ricorda quello di un pappagallo, la forma  quella di un lucertolone e dal volto spuntavano due grosse corna. Era un dinosauro erbivoro che si nutriva di noci e semi e visse circa 120 milioni di anni fa, nel territorio dove oggi si estende la Cina nord-orientale.

Grazie ad alcuni pigmenti conservatisi nel tempo si è riusciti a ricostruire i colori delle scaglie che lo ricoprivano. Aveva il ventre chiaro e il dorso scuro, una livrea che probabilmente lo aiutava a mimetizzarsi, per nascondersi dai feroci e voraci rettili di quell’area.  Sulla coda aveva una serie di filamenti simili alle setole di uno spazzolino.

Lo Psittacosaurus, è stato ricostruito in 3D grazie al lavoro di un gruppo di paleontologi guidato da Jakob Vinther dell’Università di Bristol, che hanno pubblicato la loro ricerca su Current Biology. L’artista Robert Nicholas, partito dallo scheletro fossilizzato che una volta ricostruito è stato ricoperto da argilla, polistirolo e una rete che ha fatto da struttura portante, ha ridato un corpo e un volto all’animale.

I ricercatori, basandosi sui colori dell’animale, hanno ricostruito l’ambiente in cui viveva. Si tratta di una fitta foresta, un’Amazzonia del Cretaceo.

Una curiosità: nella ricostruzione, sembra che l’animale stia defecando. I paleontologi sostengono che non morì in quel momento, ma che le feci vennero espulse in un secondo momento per via dei gas formatisi nel corpo dopo la morte.

Un piccolo tassello in più sulle nostre conoscende della storia antica.

 

 

Psittacosaurus ricostruito in 3D was last modified: settembre 20th, 2016 by L'Interessante
20 settembre 2016 0 commenti
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