Bruxelles, 22 marzo 2016. L’Europa (ancora più) ferita.
Bruxelles
E’ mattino, sono circa le 9, quando la prima bomba esplode. Gli uomini e le donne in fila al gate dell’American Airlines fuggono terrorizzati in tutte le direzioni. E’ lì il centro dell’esplosione, è lì che l’attentatore si è fatto saltare in aria. O gli attentatori, pare fossero in tre, e che uno sia addirittura fuggito: ma in casi come questo, la verità viene sempre a galla a giorni di distanza.
Passano 30-40 minuti, e ad esplodere è un vagone della metropolitana. Fermata della metropolitana di Maelbeek, che chi scrive conosce molto bene. Un uomo si fa saltare in aria. Insieme ad altre vite che ignare stavano andando a lavorare, a fare compere, a vivere la loro vita.
In totale, 34 morti e oltre 200 feriti. Ma il bilancio è provvisorio, e sicuramente destinato a salire. Questo è accaduto oggi. Questo è successo un martedì come tanti, quando il primo sole di primavera invoglia la gente ad uscire, a vivere con il sorriso sulle labbra le giornate che piano piano si fanno più lunghe. Questo è accaduto oggi, a poche ore di distanza dalla cattura di Salah Abdeslam, la “primula rossa” degli attentati di Parigi. E non è un caso: la rivendicazione dell’Isis, giunta puntuale a pochi minuti dalle detonazioni, parla chiaro: “avete catturato Abdeslam, noi vi colpiamo subito”.
Bruxelles non doveva essere l’obiettivo. Non il Belgio. Ma dopo la cattura di uno dei loro uomini-chiave, l’Isis ha colpito proprio lì, proprio in casa, proprio a pochi passi dai quartieri-ghetto dove i terroristi sono nati, dove sono cresciuti, dove hanno imparato ad odiare.
Odiare, sì. C’è chi rifiuta la definizione di “terrorista”, c’è chi non vuole sentire parlare di “combattenti islamici”: c’è chi li chiama semplicemente traditori. Già, traditori. Perché voltano le spalle al Paese in cui sono nati e cresciuti, perché tradiscono chi li ha accolti, chi li ha inseriti in una società che ha fatto dell’apertura verso le altre culture un punto di forza. Traditori, appunto. Nessuna altra definizione rende meglio l’idea.
Dopo Parigi, dopo la rappresaglia contro Charlie Hebdo, dopo le bombe allo stadio e nei ristoranti, l’Isis torna a colpire. E questa volta lo fa nel cuore pulsante d’Europa, a 500 metri dal Parlamento Europeo, dove gli eurodeputati si riuniscono giornalmente per decidere -anche- sulle questioni internazionali, dei migranti, di immigrazione controllata. Un atto dimostrativo, oltre che atto devastante: suona un po’ come “se riusciamo ad organizzarlo in 36 ore e farlo proprio qui, possiamo farlo ovunque”.
Ovunque. Perché la militarizzazione della città -come si è visto- non serve. non contro questo nemico. Contro i traditori non serve usare la forza bruta, pattugliare le strade, occupare militarmente le città: contro i traditori serve l’astuzia. Vanno potenziate le operazioni di intelligence, gli spionaggi, gli infiltrati: solo così si può davvero cercare di vincere questa lotta.
Ma ora, a poche ore di distanza dalle bombe, è difficile fare analisi imparziali: ora è difficile non farsi prendere dal nervosismo, dalla foga, dal “bombardiamoli tutti”. E’ difficile. Molto difficile. Ma questo è proprio quello che l’Isis vuole. La sua guerra, se agiamo così, l’ha già vinta. Se chiudiamo le frontiere, se ci isoliamo dal resto del mondo, se istituiamo una sorta di surrogato del “patriot act” americano a livello europeo, come chiedono a gran voce le destre di tutti i Paesi, in quel caso la guerra l’abbiamo già persa.
Perché Isis, come tutti i gruppi terroristici, sa benissimo quello che fa. E, come tutti i gruppi terroristici, obiettivo è terrorizzare. Fare paura, insinuare nella gente il timore di uscire per strada, di vivere serenamente; e, parallelamente, quello che cerca di fare è iniettare odio e intolleranza in tutti noi. E, purtroppo, ci riesce.
E’ questo il difficile. Resistere a questa spirale di odio, non farsi risucchiare dal mulinello della violenza, mantenersi lucidi anche se si viene colpiti: non cadere nel tranello, che significherebbe soltanto far vincere il Terrore.
Chi scrive, sa che sarà molto difficile riuscirci. Già dopo Parigi, le cose erano cambiate. E ora, dopo Bruxelles, sarà quasi impossibile affrontare le questioni estere con la necessaria imparzialità: soprattutto, da oggi sarà ancor più difficile non cedere ai richiami di chi non aspetta altro che eventi come questi per catturare l’attenzione mediatica e cercare consensi. Molto difficile. Eppure, è necessario. Perché violenza chiama violenza, sempre. Ci sono altri modi, esiste sempre un’altra soluzione: anche questa volta.
Sta alla politica -agli uomini di politica, non agli sciacalli mediatici- trovarla.
Fabrizio Gentile