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Premio Nobel

macchine
CulturaIn primo piano

Macchine molecolari. Premio Nobel per la chimica

scritto da L'Interessante

Macchine

Di Antonio Andolfi

Automobili, ascensori, razzi e muscoli artificiali, tutti mille volte più sottili di un capello. Il Premio Nobel per la Chimica 2016 è stato assegnato a Jean-Pierre Sauvage, Sir J. Fraser Stoddart e Bernard L. Feringa per la loro progettazione e produzione di macchine molecolari. 

 

I tre ricercatori, infatti, hanno sviluppato molecole con movimenti controllabili, che possono svolgere un compito quando a queste molecole si aggiunge energia.

 

 Come è nato il progetto delle macchine molecolari.

 

Il mondo naturale è pieno di macchine di dimensioni nanometriche: prendiamo i flagelli batterici: macromolecole a forma di turacciolo che, muovendosi, permettono ai microrganismi di spostarsi. Ma può l’uomo, con le sue gigantesche mani, progettare qualcosa di simile? Nel 1984 Richard Feynman aveva profetizzato che macchine come queste sarebbero divenute realtà in 25-30 anni. Il suo sembrava allora un discorso visionario, ma già da tempo qualcuno stava lavorando affinché si concretizzasse.

 

Una possibile strada, percorribile con le nostre “manone” sarebbe stata quella di costruire mani più piccole, che avrebbero costruito altre mani più piccole e così via, fino alla costruzione di nano macchine da parte di nanomani. Strada affascinante, ma impercorribile.

 

Lo stesso Feynman riponeva la sua fiducia su altre strade. Come quelle prese dai 3 vincitori del Nobel 2016 per esempio, che hanno costruito le nanomacchine a partire dalla chimica: molecole controllabili e in grado di convertire l’energia chimica in forze meccaniche e movimento. Tutto questo ha permesso ai chimici di costruire una serie di dispositivi molecolari, come interruttori e motori.

 

Le macchine molecolari e gli ioni di rame.

 

Come spesso accade nella ricerca, l’intuizione è arrivata da un campo completamente diverso, quello della fotochimica, la branca della chimica che studia come catturare l’energia contenuta nei raggi del Sole e utilizzarla per guidare nuove reazioni chimiche. Semplificando molto, Jean-Pierre Sauvage ha costruito due molecole in grado di legarsi a uno ione di rame in modo da costruire una catena molecolare. I precedenti tentativi di costruzione di catene molecolari erano stati molto deludenti: solo l’1% delle molecole utilizzate si legava. Con il metodo di Sauvage la percentuale saliva al 42%.

 

Le catene molecolari non erano più un passatempo e la strada per legare le molecole in strutture sempre più complesse era stata aperta. E così anche quella di costruzione di macchine molecolari: nel 1994 il gruppo di ricerca di Sauvage costruì una catena molecolare nella quale un anello ruotava in maniera controllata quando veniva aggiunta energia. Era il prototipo della prima macchina molecolare non di origine biologica.

 

Ascensori e computer: esempi di macchine molecolari.

 

Fraser Stoddart nel 1991 si spinse decisamente più avanti: il suo gruppo di ricerca costruì una macchina molecolare costituita da un anello molecolare aperto privo di elettroni e un asse con strutture ricche di elettroni. Se inseriti in una soluzione, le strutture povere di elettroni venivano attratte da quelle ricche di elettroni e l’anello si inseriva nell’asse; se veniva applicato del calore l’anello si muoveva avanti e indietro lungo l’asse.

 

Questo meccanismo – perfezionato in seguito – è detto tecnicamente rotaxano ed è stato utilizzato da Fraser per realizzare numerose macchine. Tra questi, minuscoli montacarichi in grado di sollevarsi per 0,7 nanometri sopra la superficie in cui erano posti e un muscolo artificiale in grado di piegare sottilissime lamine di metallo. Insieme ad altri ricercatori Stoddart ha creato un chip basato sui rotaxani con una memoria di 20 kB. Rispetto ai processori che usiamo si tratta di un chip minuscolo.

 

Quando Ben Feringa nel 1999 costruì il primo motore molecolare utilizzò diversi “trucchi” per fare in modo che le molecole girassero tutte nelle stessa direzione, invece che caoticamente come avviene di solito. In condizioni normali il movimento delle molecole è governato dal caso e in media il numero di giri di una molecola su se stessa è lo stesso verso destra e verso sinistra.

Ma Feringa è riuscito farle girare sempre dalla stessa parte. Semplificando moltissimo, Feringa è riuscito a costruire una struttura chimica in cui alcune molecole, se esposte a flash di raggi ultravioletti, si muovevano di 180 gradi lungo un perno centrale: era nato il primo motore molecolare a raggi ultravioletti. Non era particolarmente veloce, ma il gruppo di Feringa è riuscito a perfezionarlo nel 2014: il motore ruota a 12 milioni di giri al secondo. Nel 2011, i ricercatori hanno anche costruito una macchina molecolare 4×4 che funziona.

L’innovazione delle macchine molecolari

 

 Con le loro macchine molecolari Jean-Pierre Sauvage, Fraser Stoddart e Ben Feringa ci hanno regalato una “cassetta degli attrezzi molecolare” formidabile: strutture chimiche che tutti i ricercatori del mondo possono utilizzare per creare oggetti sempre più complessi e avanzati. Uno dei più suggestivi esempi è un robot molecolare che può afferrare e collegare tra loro aminoacidi. È stato costruito nel 2013 con un rotaxano come suo fondamento.

 

Coloro che spesso lamentano che il Nobel per la chimica sia raramente assegnato a “veri” chimici saranno soddisfatti. Il premio è andato a ricerche di scienza di base, ma con un gran numero di future applicazioni, dai materiali intelligenti alla somministrazione mirata di medicinali. 

 

Da un punto di vista teorico Sauvage, Stoddart e Feringa hanno trovato il modo per guidare – in modo controllato – i sistemi molecolari fuori da una condizione di equilibrio. È un risultato importante perché tutti i sistemi chimici tendono all’equilibrio. Da un punto di vista pratico i tre hanno aperto un nuovo ambito di ricerca nella chimica: hanno realizzato sistemi molecolari impensabili fino a qualche decennio fa con grandi potenzialità in molti ambiti, da quello medico a quello della ricerca di nuovi materiali.

 

Le loro scoperte  sono paragonabili – a livello nano – a quelle ottenute negli anni Trenta dell’Ottocento con i motori elettrici, quando i ricercatori di allora armeggiavano con ruote e manovelle senza avere idea che tutto quello li avrebbe portati a costruire treni elettrici, lavatrici, condizionatori etc.

 

 

Macchine molecolari. Premio Nobel per la chimica was last modified: marzo 1st, 2017 by L'Interessante
1 marzo 2017 0 commenti
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Premio Nobel
AttualitàIn primo pianoParliamone

Premio Nobel per la Fisica 2016

scritto da L'Interessante

Premio Nobel

Di Antonio Andolfi

Il premio Nobel per la Fisica 2016 è stato assegnato a David Thouless, Duncan Haldane e Michael Kosterlitz per i loro studi sulle transizioni di fase topologiche e per le fasi topologiche della materia

Si tratta di in campo di ricerca molto complesso, che ha che vedere con il modo in cui la materia assume stati strani e imprevisti. I tre scienziati inglesi hanno utilizzato dei modelli matematici molto complessi e i loro studi stanno permettendo di esplorare gli stati più esotici della materia e di applicare questi ultimi allo studio di nuovi materiali.

 

Ma andiamo con ordine.

David Thouless, Duncan Haldane e Michael Kosterlitz hanno spiegato gli strani fenomeni a cui va incontro la materia quando cambia fase o stato, come avviene per i superconduttori, i superfluidi e i film magnetici. Per farlo hanno applicato alla fisica la topologia, una branca della matematica che studia le proprietà geometriche delle figure indipendentemente dal concetto di misura.

Hanno così posto le basi per capire il comportamento della materia a basse temperature o in presenza di campi magnetici.

Ma cos’è la topologia?

La topologia dei materiali, spiega come e perché cambiano le proprietà (come la conduttività elettrica) all’interno degli strati sottili della materia.

Kosterlitz e Thouless hanno studiato il comportamento elettrico delle superfici e dell’interno di materiali bidimensionali. Haldane ha studiato materia così sottile che può essere considerata monodimensionale.

I membri del Comitato di assegnazione del Nobel hanno provato a spiegare la complessa questione usando un bagel, un pretzel e un panino.

Per la topologia, non è importante la forma o il sapore di quei 3 dolcetti. Ma soltanto il numero di buchi. L’obiettivo della tipologia è descrivere forme e strutture attraverso alcune caratteristiche fondamentali, come il numero di fori. Così topologicamente parlando, una tazza è lo stesso di una ciambella, in quanto entrambi hanno un foro.

Utilizzando la topologia come uno strumento, i tre ricercatori hanno così aperto numerosi campi di ricerca e creato dei concetti nuovi ed importanti in diversi campi della fisica, prima di tutto quella dei materiali e dei superconduttori.

Andando un po’ più in profondità, tutta la materia è governata dalle leggi della fisica quantistica. Gli stati a noi più comuni della materia sono quello solido, liquido e gassoso. E’ in questi stati che gli effetti quantistici veri e propri sono mascherati dai movimenti degli atomi. Ma in condizioni estreme, a temperature prossime allo zero assoluto (-273°C), la materia assume nuovi stati particolari, comportandosi in modi diversi da quelli classici. E’ proprio in queste situazioni che i fenomeni quantistici diventano osservabili.

Quando cambia la temperatura cambiano anche gli stati della materia. L’esempio classico è quello dell’acqua: sotto lo zero è costituita da cristalli ordinati (ghiaccio); quando la temperatura aumenta cambia stato, diventa liquida e la sua materia si organizza in maniera decisamente più caotica.

Allo stesso modo, i materiali piatti studiati dai tre Nobel, cambiano il loro stato in modi inaspettati quando la loro temperatura viene portata quasi allo zero assoluto: per esempio le particelle perdono ogni attrito. Questo aspetto è particolarmente evidente nei superconduttori, in grado di far passare corrente elettrica senza creare resistenza e dispersioni di energia, e nei superfluidi.

Le ricerche in questo campo potrebbero servire a trovare nuovi materiali dalle proprietà interessanti per quanto riguarda la capacità di condurre elettricità o per lo spin degli elettroni, utilizzabili per trasportare informazioni in modo più efficiente.

Ma queste ricerche sono importanti anche per quanto riguarda la meccanic quantistica: in futuro tutte queste conoscenze potrebbero servire a mettere a punto, per esempio, computer quantistici.

 

David J. Thouless è nato nel 1934 a Bearsden (Scozia) nel Regno Unito, e ha conseguito il suo dottorato nel 1958 presso la Cornell University negli Stati Uniti.

F.Duncan M. Haldane è nato nel 1951 a Londra e ha conseguito il dottorato nel 1978 a Cambridge, sempre nel Regno Unito.

Michael Kosterlitz è nato nel 1942 ad Aberdeen (Scozia), ha conseguito il dottorato nel 1969 presso la Oxford University.

 

 

 

Premio Nobel per la Fisica 2016 was last modified: ottobre 21st, 2016 by L'Interessante
21 ottobre 2016 0 commenti
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Medicina
CulturaIn primo piano

Medicina: Premio Nobel 2016 allo scienziato giapponese Yoshinori Ohsumi

scritto da L'Interessante

Medicina

Di Antonio Andolfi

Il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia 2016 è stato assegnato allo scienziato giapponese Yoshinori Ohsumi, per le sue scoperte sui meccanismi di autofagia, il meccanismo con cui le cellule riciclano parte del loro stesso contenuto

In medicina si iniziò a parlare di autofagia, termine che significa “mangiare se stessi”, nei primi anni Sessanta, quando si notò che una cellula è in grado di distruggere i propri contenuti racchiudendoli in una membrana, inviata poi ai lisosomi, gli organelli cellulari che si occupano dello smaltimento dei materiali.

Il termine autofagia fu inventato nel 1963 da Christian de Duve, ma per molti anni i ricercatori non hanno capito bene come funzionasse questo meccanismo, fondamentale per la vita.  Questo fino agli esperimenti di Ohsumi, negli anni ’90, che grazie ad alcuni brillanti intuizioni, riuscì a svelare i dettagli di questo sofisticato meccanismo.

L’autofagia controlla importanti funzioni fisiologiche nei componenti più basilari del corpo: fornisce molto velocemente combustibile alla cellula e permette il rinnovo dei suoi componenti. E’ pertanto fondamentale nella risposta alla mancanza di alimenti e altri tipi di stress.

Ha anche altre funzioni: dopo un’infezione, elimina i batteri e i virus; negli embrioni contribuisce alla differenziazione cellulare; serve per eliminare le proteine e gli organelli danneggiati, e in questo modo riesce a contrastare gli effetti negativi dell’invecchiamennto cellulare. Si è anche notato che il malfunzionamento dell’autofagia è collegato al Parkinson, al diabete di tipo 2 e ad altre patologie degli anziani.

Nel suo laboratorio di Tokyo Ohsumi condusse una serie di esperimenti con lieviti, identificando i geni che determinano i meccanismi dell’autofagia. Le cellule dei lieviti sono relativamente semplici da studiare e spesso usate come modello per i geni cruciali per i processi di organismi cellulari. Ma sono anche molto piccoli, e le loro strutture non sempre risultano facilmente distinguibili al microscopio.

Ohsumi  pensò che se fosse riuscito a disturbare il processo di degradazione nei vacuoli, gli organuli cellulari in cui avviene l’autofagia nei lieviti, gli autofagosomi, paragonabili ai “camion della nettezza urbana” delle cellule, si sarebbero accumulati nei vacuoli, fino a risultare visibili. Funzionò e Ohsumi riuscì a provare che l’autofagia avveniva anche nel lievito. Soprattutto, aveva a questo punto ideato un metodo per identificare i geni chiave coinvolti nel processo: analizzando migliaia di ceppi di lievito, identificò i 15 geni essenziali nel processo. E, a questo punto, passò a studiare l’autofagia nell’uomo.

Nel 2004 Ohsumi riassunse il suo studio su Nature. L’autofagia è fondamentale nel sistema immunitario dell’organismo: quando batteri come streptococco e salmonella infettano le cellule, vengono smaltiti anche con questo processo. Mentre altri patogeni come Listeria e Shigella riescono a sfuggire alla distruzione.

Yoshinori Ohsumi è nato nel 1945 a Fukuoka, in Giappone. Ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Tokyo nel 1974. Dopo aver trascorso tre anni alla Rockefeller University, New York, Stati Uniti, è tornato all’Università di Tokyo, dove ha stabilito il suo gruppo di ricerca nel 1988. Dal 2009 è professore presso il Tokyo Institute of Technology.

Medicina: Premio Nobel 2016 allo scienziato giapponese Yoshinori Ohsumi was last modified: ottobre 18th, 2016 by L'Interessante
18 ottobre 2016 0 commenti
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Bob Dylan
CulturaIn primo pianoLibriMusica

Bob Dylan Premio Nobel della Letteratura

scritto da L'Interessante

Bob Dylan

Di Michela Salzillo

Non sempre le coincidenze arrivano per caso, alcune sembrano fatte apposta per mimetizzarsi fra gli strani destini.

Una fatalità bizzarra, ad appena un giorno di distanza dalla morte di Dario Fò, continua a creare divisioni di opinione: come nel 1997 accadde per il giullare moderno, ieri, nel giorno della dipartita del drammaturgo, Bob Dylan riceveva il premio Nobel per la letteratura, creando non solo stupore per i tempi coincisi in uno strano parallelo, ma anche un intenso girone di pareri favorevoli e contrari

A non essere d’accordo con la decisione della commissione di Stoccolma, che ha scartato candidati come Philip Roth, Don DeLillo e Murakami, è arrivato il parere di Alessandro Baricco, che ha così commentato l’assegnazione:

“Che un drammaturgo vinca il premio per la letteratura, ci sta. Ma premiare Bob Dylan è come se dessero un Grammy Awards a Javier Marìas perché c’è una bella musicalità nella sua narrativa. Paradosso per paradosso, allora anche gli architetti possono considerarsi poeti”. La pensa come lui pure lo scozzese Ivrine Welsh che, pur dichiarando stima per il cantautore statunitense, non ha tardato a definire questa scelta come “un premio nostalgia mal concepito, strappato dalla prostata di vecchi hippies balbettanti”. Ma c’è chi, senza troppe analisi di senso, preferisce abbandonarsi all’accaduto, osservandolo come un piacevole passaggio di staffetta tra il giullare e il menestrello.

La critica esiste dai tempi dell’arte, lo seppe anche Dario Fo

Nel 1997, colto di sorpresa, Dario Fo riceveva il Nobel per la letteratura con una motivazione assai condivisibile: premiato dal re Gustavo di Svezia, fu lodato per aver dileggiato il potere restituendo dignità agli oppressi. Una “dicitura” senz’altro diversa è stata quella scelta per Dylan che, a diciannove anni di distanza da quel record italiano, è stato incoronato per aver creato una nuova poetica espressiva all’ interno della grande tradizione canora americana. Si tratta di due spiegazioni che associate alla storia di ciascuno dei due diventano poco sindacabili. Come oggi, anche ieri qualcuno si schierò dal lato della protesta, esprimendo un dissenso ben inteso nei riguardi di quel nome che, paragonato a Dylan, adesso, sembra intoccabile. Fo è stato il diciottesimo italiano a vincere il Nobel, il sesto per la letteratura, prima di lui soltanto Giosuè Carducci, Grazia Deledda, Luigi Pirandello, Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale, dopo di lui, fino ad ora, nessuno , in Italia, è stato ritenuto all’altezza. Un’esclusiva, la sua, che sicuramente voleva dire qualcosa sin dall’ inizio , ma questo, come forse era giusto che fosse, non lo salvò dalle critiche. Certo, Dario non si chiamava Bob, sono  artisticità diverse le loro, eppure c’è chi all’epoca considerò la premiazione di Fò, che lui stesso tradusse come un riconoscimento esteso alla “gente di teatro”, come un torto a danno del poeta fiorentino Mario Luzzi, candidato al premio da vent’anni.

 La critica, del resto, è nata con l’arte, se non ci fosse l’una, non esisterebbe l’altra e viceversa. Sia l’esperto che il pubblico comune, lettore, spettatore o ascoltatore che sia, hanno il diritto ed il dovere di esprimersi. Le opinioni e le scelte, soprattutto in campo artistico, favoriscono la ciclicità dell’arte stessa. Forse è vero che un “Nobel per la musica” è qualcosa di parecchio strano, ma l’arte ha ben poco di ordinario e normale. A legittimare il premio di Bob Dylan, oltre quella motivazione, c’è l’applauso dell’accademia subito dopo l’annuncio ufficiale, ci sono le grida di approvazione le sue canzoni che, volente o nolente, qualcuno considera poemi e, perché no, c’è anche questo inaspettato legame fra due personalità che, seppur diverse, hanno ambe due rappresentato una forte icona di contrasto al potere. A tal proposito, il giornalista Antonio Gnoli ha dichiarato: “Ancora una volta, l’accademia di Stoccolma, spesso imprevedibile, ha dimostrato come, in qualche occasione, alla letteratura di grande mestiere si preferisce la vita.”

Bob Dylan Premio Nobel della Letteratura was last modified: ottobre 14th, 2016 by L'Interessante
14 ottobre 2016 0 commenti
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Dario Fo
CronacaCulturaIn primo pianoParliamone

Dario Fo, ultimo giullare

scritto da L'Interessante

Dario Fo

Di Vincenzo Piccolo

Si è spento oggi all’etá di 90 anni nell’ospedale di Sacco di Milano, dove era ricoverato da diversi giorni per complicazioni polmonari, il Premio Nobel per la Letteratura del ‘97, Dario Fo

A comunicarlo sono fonti ospedaliere.

Cantava, pochi momenti prima del ricovero, quando si erano viste aggravare le sue condizioni. Cosa che ha dell’incredibile, secondo il parere dei medici.

Difatti è sempre stato un anticonformista, un anticlericale, critico verso le istituzioni e la comune morale. “Chi ha detto che non si può cantare prima di morire?” Avrà pensato, lui che all’idea della morte non ha mai voluto cedere. Forse perché gli aveva tolto la cosa più cara che aveva, in arte come nella vita, sua moglie: Franca Rame. Con lei aveva saputo affrontare e mettere in scena temi importanti attraverso la satira e il grottesco, i suoi spettacoli erano disseminati da quei smitizzanti ribaltamenti sempre più frequenti nelle sue opere. Tipici i suoi rimandi alla Commedia dell’Arte, alle gag, al cinema muto con scene modellate sulle farse e le commedie brillanti. Una vita in scena, vissuta insieme a tante altre, cercando di comunicare qualcosa che forse non abbiamo mai capito.

L’arte di Dario andava oltre quella risata, troppo spesso malinconica, costellata di speranza. Una speranza che chiedeva cambiamento e, soprattutto, rovesciamento di quegli ideali alto-borghesi che avevano invaso la società dopo la seconda guerra mondiale. Sono molte le farse con cui Fo si prende gioco degli idealtipi appartenenti al mondo ecclesiastico o della morale borghese, intrise di valori sociali e politici. Quasi tutte interpretate e scritte, come già detto, con Franca Rame. La sua complice perfetta, in vita come in scena, fu subito colpo di fulmine, suggellato da un matrimonio e un figlio, Jacopo. Una figura fondamentale per la produzione artistica di Dario, tanto che decise di condividere con lei anche la medaglia del Nobel. Ma poi Franca se ne andó, morì il 29 maggio del 2013, lasciando Dario solo sulla scena. Quel duetto divenne un soliloquio che Dario continuava a recitare senza sosta, sotto quell’occhio di bue, quel fascio di luce che lo metteva a nudo con il suo dolore. Un dolore sempre nascosto sotto quel sorriso, stanco e consapevole che , spesso, la vita fa male.

Continua a scrivere, inarrestabile e sempre attento alla vita pubblica e all’arte. Dipinge e va in scena, organizza mostre, dibattiti e interventi, la speranza non si spegne. Non si dimentica di quel “Mistero Buffo”, di quella medaglia condivisa.

Non vuole lasciarsi abbattere dal tempo, che forse ha cambiato tutto ma non quello che voleva. Quel sorriso adesso sembra una ferita, ma ogni ferita può diventare feritoia, per questo ha continuato a ridere fino a poche ore fa. Dario da buon giullare lo sa, il riso è sacro.

 

 

Dario Fo, ultimo giullare was last modified: ottobre 13th, 2016 by L'Interessante
13 ottobre 2016 0 commenti
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