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Rai

Parliamone
AttualitàIn primo piano

Parliamone sabato: quando uno strafalcione diventa caso di Stato

scritto da L'Interessante

Parliamone

Michela Salzillo

 Sono tutte mamme, ma dopo aver partorito recuperano un fisico marmoreo.  Sono sempre sexy, niente tute né pigiamoni.  Perdonano il tradimento.  Sono disposte a far comandare il loro uomo.  Sono casalinghe perfette e fin da piccole imparano i lavori di casa.  Non frignano, non si appiccicano e non mettono il broncio.

 

Sarebbero queste le donne modello, almeno secondo una statistica che sta facendo discutere pure sul pianeta alieno. Siamo su Rai uno, è un pomeriggio di fine settimana. Arriva parliamone sabato, la trasmissione condotta da Paola Perego, e improvvisamente diventiamo tutti femministi. Il motivo? Le donne migliori vengono dall’ Est. Perché sono più sexy: in casa usano tacchi a spillo e lingerie da capogiro. Sanno rassettare meglio di un mastrolindo abbonato alla pulizia del parquet. Non sono capricciose, e sono capaci di  elargire sorrisi di consenso, affidando, senza battere ciglio, tutte sé stesse agli uomini impostori che hanno scelto.

Il titolo della puntata è: La minaccia arriva dall’est. Gli uomini preferiscono le straniere”. Sottotitolo: “Sono ruba mariti o mogli perfette”? In studio gli ospiti danno il meglio di sé stessi, del resto è quello che si chiede a un opinionista dei salotti televisivi: esprimersi, dire la propria, fare caciara.  È chiaro che quando il gioco lo si fa fare a chi di giocare non avrebbe bisogno, il divertimento non è assicurato. Toccare determinati stereotipi, farlo in Italia, in un momento in cui contiamo le donne vittime di omicidi per mano di uomini, senza più neppure ritenere l’accaduto una novità, può essere rischioso. Ma fino a che punto? È giusto dare il sessismo in pasto alla chiusura di un programma?  Attenzione, il colpo l’ha sbagliato di sicuro, ma quando tutto finisce nel caso di stato, pure se poteva essere semplicemente archiviato fra le cento e mille pagine tristissime scritte dalla storia della televisione, l’esagerazione arriva da sola. Non possiamo fare l’applauso agli autori di una tale genialità, come ci viene difficile augurare alle donne di domani un tale Fabio Testi, che per l’occasione tira fuori il suo personale diario di bordo per raccontare di quando, in una delle notti da leone invecchiato, ha incontrato una donna che gli ha fatto compagnia in un bordello russo, per regalargli un amplesso sessuale, stile triangolo del desiderio. Di una  così, giura lui, ci si innamora di sicuro. Non da meno è la signora Marta Flavi, che non esita ad asserire: “tutte curatissime. Anche chi vende i pomodori al mercato ha le unghie curate”.  Perle di questo tipo sono scivolate come il pane nell’ olio di oliva per l ‘intera puntata, travolgendo la stessa conduttrice in visibili momenti di imbarazzo, colpa della piega acquisita dalla situazione in generale. Forse, finita la diretta, la Perego si sarà asciugata il sudore e avrà pregato chi di dovere di non metterla più in una situazione del genere. O magari l’avrà presa con estrema leggerezza, perché tanto l’ Istat e similari non sono di certo la vita vera. Siamo sicuri, però, che non avrebbe mai pensato all’ eventualità che le mettessero le valigie fuori dalla porta. E invece è stato proprio così!  Dopo la lunga indignazione social, propagatasi come un fiume senza argini anche fra le più rinomate testate giornalistiche, la Perego ha dovuto appendere il microfono al chiodo e andare a indossare il pigiama a casa sua. Ma c’è chi non ci sta. E Forse non ha tutti i torti.

Parliamone sabato cancellato dal palinsesto. Costanzo: che cosa vuol dire chiudere in questo modo?

In mezzo alla bufera ammazza stereotipo, c’è chi grida alla strumentalizzazione per partito preso e la ridimensiona. Come nel caso di Maurizio Costanzo, che ai microfoni di Radio Uno ha detto: “non accadeva dai tempi di Dario Fo e Franca Rame a Canzonissima, io non l’avrei sospeso…sabato ho visto quel servizio e non mi sono stupito neanche un po’. Poi quando ho visto la bufera che ne era nata, mi sono detto: ma cosa ho visto? Io non ho visto nulla che mi ha irritato, assolutamente no”. Ed in effetti anche noi facciamo fatica a dargli torto. Il motivo è semplice: non è che la nostra televisione sia qualcosa di diverso dallo strafalcione di cui stiamo disquisendo. Siamo pieni di messaggi sessisti: dalle pubblicità del prurito intimo, a quelle degli assorbenti d’ ogni tipo. Dalle veline sculetta chiappe alla destra dell’ uomo, alle vallette sorriso muto dietro l’ ombra magnificata del presentatore di turno. Perciò, se proprio vogliamo fare i puntini sulle “i”, chiudiamola tutta la televisione.

A casa la Perego? Perfetto. Ma allora tocca pure a tutti gli altri.

Parliamone sabato: quando uno strafalcione diventa caso di Stato was last modified: marzo 23rd, 2017 by L'Interessante
22 marzo 2017 0 commenti
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lucia
CulturaIn primo pianoTv

“Io ci sono”: la storia di Lucia Annibali arriva su Rai 1

scritto da L'Interessante

Lucia Annibali

Di Michela Salzillo

“Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.”

J.Folla

Ed è sempre bello raccontare storie di vite interrotte che poi ripartono, quelle che parlano duro e ti fanno sentire che davvero non è mai la fine, che non c’è nulla di sbagliato nell’ ammettere che si può toccare il fondo con la vittoria in tasca. Certo, l’umana legge non è mai così matematica, perciò capita che non sempre ci siano da celebrare conquiste, anzi, di morti senza fraintendimenti ne contiamo fin troppe. Di donne che non possono raccontare la loro rinascita ne apprendiamo di ora in ora, e come una sconvolgente abitudine a cui neanche lo sconforto si dovrebbe rassegnare, ci preoccupiamo di ricordare nomi e volti per onorarne la memoria. Trattenere i loro vissuti, seguire il destino dei loro assassini ci serve per convincerci che non scordiamo, che non siamo disposti a girarci dall’altra parte. Vero è che di parole sull’argomento ne spendiamo tante e, spesso, come accade per i casi in cui il parere di troppo sfiora il ridicolo, ci ritroviamo a dire frasi fatte che neppure riusciamo più ad ascoltare. Ma allora qual è il modo per fare la cosa giusta? Come si fa ad essere in sintonia con certi dolori? La verità è che non esiste una risposta oggettiva, e forse nessuna sensibilità, neppure la più spiccata, potrà mai nemmeno immaginare cosa si prova a vedere la morte in faccia per mano di chi, un minuto prima, chiamavi amore, e gli credevi. Scuramente, però, i racconti di chi si è salvata e i volti delle donne che ce l’hanno fatta, rivendicano il diritto a venire prima di ogni studio analitico sui fatti di cronaca, teorie che troppo spesso sono azzardate da illustri scrivanie senza giuste cause o motivazioni. Più che di supposizioni, abbiamo bisogno di reale, di sentirci dire  io ci sono,  sono qui per dirti che ce l ho fatta. Ed è così che si sente oggi Lucia Annibali, una donna consapevole di essere più bella e più forte di prima. Dopo il libro, uscito nel 2014 per la Rizzoli editore, in cui l’avvocatessa di Pesaro racconta, insieme alla giornalista Giusy Fasano, la sua storia di morte e rinascita, arriva su Rai 1 il docufilm che ne tesse i dettagli e le sfumature. Interpretata dall’attrice Cristiana Capotondi per la regia di Luciano Manuzzi , la produzione cinematografica, in onda questa sera, alle ore,21.10, intende tenere fede alla verità dei fatti accaduti la notte del 17 aprile 2013.

 Lucia Annibali: Il dramma in un attimo, poi la rinascita

 Gli atti processuali raccontano che mentre Lucia non era in casa, un albanese assoldato dall’ ex fidanzato, Luca Varani, si introdusse nella sua abitazione: quando la giovane avvocatessa rientrò, fu un attimo. Neanche il tempo di rendersene conto, ma tutto lo spazio per restare cosciente, che il volto di Lucia viene per sempre sfigurato da un getto di acido solforico. Il veleno le mangia il viso, lo annienta, lo divora. Diciotto le operazioni a cui è verrà sottoposta, diciotto le anestesie, l’ ultima, quest’estate, neppure totale. Una storia di coraggio la sua, una storia di scelta, quello che lei stessa dice di aver dovuto fare in un istante:

“Quando ti trovi distesa di fianco alla morte devi decidere. O ti lasci andare, arrendendoti, o ti fai forza e riprendi a vivere”.  Senza dubbio, e lo racconta lei stessa, Lucia ha scelto di esserci, di nuovo. Non solo quella notte, ma anche quando, con ancora il viso privo di lineamenti, si toglierà le bende davanti allo specchio, affinché quello che lei vede non appartenga più a nessuno. Lucia c’è quando Luca Varani viene condannato a vent’anni di reclusione, perché essere presente davanti ai giudici, che il 22 maggio 2014 hanno emesso la sentenza definitiva, l’ha sempre ritenuta una forma di dignità e rispetto. Lucia c’è pure quando, sorridendo, con la bellezza negli occhi, si racconta così:

«Lui voleva che morissi, ma non c’è riuscito. Mi ha fatto tutto il male possibile, ma ho io ho vinto. Sono qui, viva, forte, sorrido, sono circondata da un affetto enorme. E ho voglia di ricominciare»

“Io ci sono”: la storia di Lucia Annibali arriva su Rai 1 was last modified: novembre 22nd, 2016 by L'Interessante
22 novembre 2016 0 commenti
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Mirella Casale
CulturaIn primo pianoTv

Mirella Casale: l’insegnante che abolì le classi differenziali

scritto da L'Interessante

Mirella

Di Michela Salzillo

 

“Nessun bambino è perduto finché c’è un’ insegnante che crede in lui”

 Spesso certe verità si dimenticano, e allora è necessario andare indietro nel tempo, per capire chi le ha svelate e qual è stato il coraggio che le ha fatte conquiste. La scuola, oggi come ieri, è uno strano micro cosmo, fatto di mille contraddizioni e centinaia di bellezze. È un posto che non si aggiusta mai del tutto, c’è sempre qualcosa che stona, che funziona  malamente, che mescola le priorità rendendole confuse. È uno di quegli specchi che mette alla prova i passi avanti e costringe a chiedersi cosa è veramente cambiato e cosa, invece, continua a sapere di irrisolto. Il passato è pieno di insegnanti che hanno fatto del mestiere una missione, senza inseguire scopi diversi dall’educare, bambini e ragazzi, al futuro che si fa sperare e non temere. Mirella Antonione Casale è certamente una di quelle donne che ha insegnato la conquista all’ impossibile . Solo pochi giorni fa, sulla prima rete Rai, è andato in onda “La classe degli asini”, un film a lei ispirato, che ha raccontato in maniera semplice la lunga battaglia di chi le cose le ha cambiate davvero. Interpretato da Vanessa Incontrada, Flavio Insinna, Fabio Troiano e Aurora Giovinardi, il grande successo cinematografico  del regista Andrea Porporati ha dimostrato quanto di” buona scuola”, quella vera, si può e si deve ancora parlare.

Nel 1971 Mirella Antonione Casale volle, all’ inizio in maniera del tutto sperimentale, abolire le classi differenziali, concependo necessario che i bambini disabili si rapportassero con  tutti i loro compagni, senza più essere “catalogati” in aule dal ruolo secondario. Fu un progetto partito dalla scuola media” Camilio Olivetti” di Torino, dove la Casale era preside dal 1968. I risultati di quell’ idea, che all’epoca fu concepita come folle, furono ottimi, tanto che il suo operato si espanse  a macchia d’ olio fino a Roma. Nella capitale lavorò al fianco del sottosegretario Franca Falcucci, promotrice della legge del 1977 che prevedeva appunto l’integrazione dei bambini con disabilità nelle scuole, attraverso la figura dell ‘ insegnante di sostegno.

“Pensavamo a fare in modo che i ragazzi sentissero questo nuovo muoversi”  così ha parlato in un ‘ intervista, l’ oggi novantunenne, Mirella Casale. Fu un  percorso impervio il suo che certamente  incontrò parecchie difficoltà, alcuni genitori opposero alla novità da lei proposta  quella resistenza che viene fuori dalla paura del cambiamento. Un timore che la stessa Casale era in grado di comprendere, ma che indubbiamente fu capace  di trasformare in forza rivoluzionaria, complice anche e soprattutto l’esperienza strettamente personale che le  concesse di stare sia da un lato che dall’altro della barricata.

Mirella Antonione Casale: il coraggio di una madre

Mirella Antonione Casale aveva trent’anni quando sua figlia, Flavia, una bambina di appena sei mesi, si ammalò gravemente. Un ‘encefalite virale le procurò un coma ritenuto irreversibile, i medici, infatti, non le davano grosse speranze e la dimisero convinti di non avere altra soluzione. Fu da lì che la Casale cominciò ad imparare la speranza. A quelle parole di sconfitta non si arrese. Consultò un ‘altro pediatra, grazie al quale la bambina riuscì a salvarsi .  Nel frattempo, però, quella condizione di stallo forzato, procurò a Flavia  gravi danni al cervello. Sillabava solo alcune parole, era difficile interagire con lei, per questi motivi fu rifiutata da un sistema scolastico restio ad assumersi la responsabilità di un disagio piuttosto grave.

 È difficile pensare che l’esperienza di madre non abbia influenzato le scelte  dell’educatrice. È presumibilmente accettabile il pensiero  che la solitudine letta negli occhi di sua figlia, tutti i giorni, la sensazione  di impotenza e un composto senso di rabbia abbiano guidato i suoi rischi, azzardi  corsi per amore di tutti quei bambini che, come sua figlia, erano esclusi dalla vita con gli altri.

A cosa serve, oggi, raccontare di Mirella Antonione  Casale?

Quando la storia sembra  aver insegnato poco, quando  si parla di scuola rendendola sinonimo di precariato,  perdendo di vista l’emblema del suo ruolo, raccontare vissuti  del genere sembra inutile, tutto pare  avvicinarsi al passato, agli anni in cui certe cose neppure si immaginavano. È come se fosse un piacere vissuto a metà, la punta di un eroismo che si è trovato per puro caso a far capolinea nell’ ordinario, e che non può appartenerci veramente, ma non è così. Non deve esserlo. Ricominciare sempre, sui continui rattoppi non è facile, e la fiducia è un qualcosa di difficile da difendere dalle delusioni. Sono tante le madri che potrebbero chiamarsi Mirella, ancora oggi, per motivi diversi, certo, ma non meno degni di essere sottolineati. Sono quelle che, pur avendo la possibilità di accompagnare i propri figli a scuola devono lottare costantemente per rivendicare il diritto agli insegnanti di sostegno che, ce lo insegna la cronaca, quando ci sono, spesso, non vengono pagati a sufficienza per coprire l’ intero orario scolastico. Questo comporta che molti ragazzi con disabilità, pur non essendo inseriti  in una classe differenziale, perché la legge è non lo prevede più, spesso vivano la stessa sensazione di disagio. Siamo sicuri che sia tutto così come dovrebbe essere?

Mirella Casale: l’insegnante che abolì le classi differenziali was last modified: novembre 17th, 2016 by L'Interessante
17 novembre 2016 0 commenti
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