Ode alla solidarietà italiana
Ode alla solidarietà
Di Erica Caimi
Il giorno dopo la tragedia è sempre quello in cui si tirano le somme e si fanno i bilanci di ciò che è perduto per sempre e di quello che invece si può ancora recuperare. In Italia, il “post terremoto” si attiene al consueto rituale costellato da polemiche, accuse mosse verso le autorità colpevoli di non aver preso le dovute precauzioni per limitare i danni, voracità giornalistica, denunce di soldi pubblici mal spesi e pellegrinaggi politici al ritmo di “non vi lasceremo soli, non temete, non ci dimenticheremo di voi”.
Un paese, il nostro, malato di sfiducia verso una classe politica spesso dimentica delle reali esigenze della comunità che dovrebbe rappresentare, ma che ha l’immensa e inconsapevole fortuna di essere illuminato dal sole battente dell’attivismo solidale della gente comune, dell’italiano ordinario, che per quanto istintivamente lamentoso, si rimbocca le maniche e si mette a disposizione altrui per sostenere, come può, chi sta vivendo un momento di disagio. Sono molte, infatti, le iniziative di solidarietà della gente del posto, dei soccorritori, dei volontari e quelle di svariati comuni, parrocchie, commercianti, albergatori, associazioni di tutta Italia che dimostrano quanto sia resistente e prezioso quell’istinto altruistico tutto italiano capace di azionarsi all’occorrenza sorvolando sul senso di scoraggiamento e abbandono per portare soccorso e alleviare le sofferenze dei propri connazionali.
Nel 2012, qualche mese dopo gli eventi sismici che hanno colpito l’Emilia Romagna, insieme a un gruppo di amici e organizzatori di una festa della birra nel varesotto ci siamo recati a Moglia, in provincia di Mantova, un comune terremotato in bilico tra Lombardia ed Emilia, per donare al parroco gli introiti della nostra festa da usare per sostenere le famiglie colpite dalla calamità . Una piccola goccia in una cascata di esigenze. Di quel paese ricordo un silenzio sconvolgente, il silenzio della devastazione che si trascina marciando dentro di te, calpestando ogni corda della tua sensibilità e le macerie che ostentano ricordi di vita sbriciolati. Mai potrò dimenticare l’accoglienza delle persone del paese e i ringraziamenti, una riconoscenza che si è tramutata in una semplice cena al campo sportivo, una festa organizzata dalla squadra di rugby per riportare la normalità e raccogliere fondi per la riscostruzione del paesino ormai deserto, in cui ovunque ti girassi scorgevi un bar improvvisato in un container o una tenda accampata in giardino, perché i sopravvissuti avevano paura di tornare nelle proprie abitazioni. Questa è un’esperienza che porterò per sempre nel cuore e quando gli eventi si ripetono, seppur in zone diverse, non mancherà mai l’occasione di adoperarmi per raccontare quello che ho visto e ricordare quanto la morte e la perdita si curino con vicinanza e partecipazione. Vero è che l’assenza di una persona cara è una compagna con la quale devi imparare a convivere una vita intera e che la perdita della propria casa colma di ricordi e costruita con sacrificio è una preoccupazione incombente che si somma al dramma vissuto. Ma viene anche il momento della ricostruzione, in cui, timidamente, prevale l’istinto di sopravvivenza e così, naturalmente, si smuove quell’impellente esigenza d’interiorizzazione dell’accaduto. E’ questo l’attimo in cui diventa un po’ più facile abbandonarsi al corso della vita, quella misteriosa corrente che ci trascina avanti, inesorabilmente e nonostante tutto.