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Amore

Parigi
CulturaEventiIn primo pianoLibri

Luigi La Rosa : Parigi, la mia salvezza e la mia rinascita

scritto da L'Interessante

Parigi

Di Christian Coduto

“Christian, sai che non sono mai stato a Caserta?”. Ha inizio così la mia chiacchierata con Luigi. Mentre passeggiamo per i giardini della Reggia, lo vedo girarsi intorno con curiosità, fame di sapere. Ha indosso una polo color vinaccia e dei pantaloni rosso pompeiano. Persino il trolley che si porta dietro è tendente al rosso. “Non è che sia il mio colore preferito” ammette ingenuamente “Il fatto è che il mio trolley l’ho distrutto e questo è di mia madre”.

Siciliano (messinese, per la precisione), vive tra l’Italia e la Francia da molto tempo. Come tutte le persone che provengono da terre ricche di sole, è socievole ed affettuoso. Lo riempiresti di abbracci, per quanto è gentile. Parla come se ci conoscessimo da una vita. si lascia andare a confidenze private con uno sguardo da eterno bambino e ascolta le mie parole quando gli racconto situazioni analoghe che ho vissuto anche io. Ama l’arte: rimane incantato dalla bellezza del palazzo edificato da Luigi Vanvitelli …

Luigi La Rosa ci parla della “sua” Parigi

Chi è Luigi La Rosa?

Luigi La Rosa è un’identità. Quella che cerca di assumere da sempre (e quello che sta cercando di diventare) è la figura di un narratore di storie e di personaggi che vengono da lontano e che portano nel rapporto con la città di Parigi, ma soprattutto nel rapporto con l’arte e con la dimensione estrema del vivere una loro autenticità personale.

Perché hai deciso di trasmettere le tue emozioni attraverso la scrittura?

Ho studiato per almeno 6 anni pianoforte e composizione. Fino a 18 anni ero convintissimo che il mio futuro sarebbe stato quello della musica. Premetto, però, che io scrivo da sempre. Mi dicono che da piccolino, quando avevo all’incirca 3 anni, stavo sul tappeto e scrivevo per interi pomeriggi … a 7 anni avevo già un quaderno di poesie … a 12 anni lessi il mio primo romanzo “Menzogne e sortilegio” di Elsa Morante. Da quel momento è stato un crescendo di letture nuove. Ad un certo punto mi resi conto che il mio rapporto con la parola stava diventando più forte del mio rapporto con la musica. Intendiamoci: ancora oggi, se ascolto un pezzo di Chopin mi viene la pelle d’oca … però era sempre più chiaro che la musica non era la strada che avrei dovuto e voluto seguire. La parola era il “luogo” in cui potevo essere completamente me stesso, per raggiungere quel massimo di intensità ed espressività verso le quali tendevo. In effetti iniziai a studiare pianoforte sul tardi, avevo già 12 anni … tra i 18 e i 20 anni la scrittura si è impossessata di me: ho messo da parte le poesie e ho iniziato a scrivere racconti, testi di narrativa e così via.

Parliamo di “La luce e il riposo” e il viaggio che fa il protagonista …

Quello del protagonista è un viaggio che, in qualche modo, si muove verso la ricerca di qualcosa: deve consegnare un libro (che ha trovato in metropolitana) ad un uomo. Quest’uomo, che è già comparso nel libro precedente, diventa automaticamente un ideale amoroso, sentimentale. Durante la ricerca, il protagonista si imbatte in alcune figure, che sono in realtà delle presenze, degli spettri, figure di uomini e donne vissuti anni addietro che, sempre a Parigi, hanno trovato una direzione nel piano dell’amore e della creatività perché sono tutti grandi artisti del passato. È un libro sull’inseguimento. Ci sono anche dei momenti di riposo, durante i quali il protagonista contempla Parigi, vive in questa dimensione onirica, ma di base è un romanzo di fughe verso questo ideale estetico, che accomuna poi tutti i personaggi descritti.

In tutti i miei libri c’è sempre questo bisogno di cercare Parigi per cercarsi e ritrovarsi. Parigi è un labirinto che sfugge a chi tenta di possederlo … a questo punto qual è la maturazione del personaggio? Rendersi conto che Parigi è stato un pretesto per una ricerca che è tutta interiore. Parigi è un luogo ideale, potrebbe essere Vienna, Berlino … come dice il poeta greco Konstantinos Kavafis “Itaca non è la meta che devi raggiungere, ma è quella spinta che ti ha portato a viaggiare”.

“Solo a Parigi e non altrove. Una guida sentimentale”. A chi è dedicata? A quale tipologia di lettore?

Non ha un lettore ideale. E’ una guida sentimentale perché ti porta attraverso la dimensione d’amore che hanno vissuto gli artisti. Però, allo stesso tempo, è un romanzo di formazione perché il personaggio perde un amore, ne incontra un altro. E, come sempre accade, subisce un’evoluzione, una crescita. Ed è anche un diario di viaggio perché è un reportage di come muoversi per la città. Quindi ci sono diverse stratificazioni per altrettante tipologie di potenziali lettori.

“Quel nome è amore. Itinerari d’artista a Parigi” …

Anche qui abbiamo degli itinerari. Il mio tentativo, in queste storie, è creare dei piccoli cammei in cui rappresento delle esistenze esemplari di artisti che sono diventati immensi nell’arte come Jean Cocteau, Raymond Radiguet, Jean-Frédéric Bazille o Carlos Casagemas, pittore amico e rivale di Pablo Picasso.

Ha una conoscenza culturale a 360 gradi. Si destreggia con facilità tra pittura, scrittura, poesia e quant’altro. Provo leggera soggezione a relazionarmi con lui. Eppure, nulla in Luigi La Rosa lascia trasparire atteggiamenti di superiorità: è un uomo semplice, che ama condividere e mettersi in discussione.

Messina e Parigi … così distanti, così vicine. E decisamente poetiche …

Sì. Il luogo in cui sono nato e il luogo in cui sono rinato, rispettivamente. In realtà sono l’antitesi: la radice da cui mi stacco volontariamente (sebbene con un certo dolore) e la meta che scelgo con egual dolore perché lì ti assumi delle responsabilità. E’ un paese straniero, una lingua che non è la mia … adesso è diverso, ho tanti amici lì, ma all’inizio ero completamente solo. I due poli di un cammino ideale … la nascita e il punto di arrivo. Ammetto anche di essere molto combattuto tra i due poli, sento costantemente il bisogno di ritornare non solo a Messina, ma proprio in Italia. Parigi è la mia città, la amo incondizionatamente, ma non posso fare a meno dell’Italia e non sono in grado di rinunciare alla cultura che mi ha formato, che mi appartiene. Parigi è un arricchimento perché si aggiunge a ciò che era già mio, pensa al Rinascimento per esempio. Grazie al Rinascimento ho potuto quindi apprezzare e comprendere l’Impressionismo.

Che tipo di amore vivi? Sei uno di quelli che riesce ad essere distaccato o ti lanci a capofitto?

 

 

Io mi lancio completamente a capofitto! Vivo l’amore di pancia, di viscere. Il cervello e la razionalità li metto da parte. Anzi, ti dirò: quando sono innamorato, la razionalità la vedo proprio come una nemica. Il che mi porta a commettere dei casini assurdi (ridiamo amaramente), do delle capocciate terribili dalle quali devo poi riprendermi. Non mi pento del mio modo di amare perché sono situazioni che mi lasciano delle cose molto forti, sia in termini di passione sia di dolore e ferite. Ho un rapporto molto passionale e conflittuale con l’amore … è una forza per me necessaria, ma sento anche la crisi che genera in me.

Strano.

Normalmente, un personaggio famoso, un personaggio pubblico, è solito porsi di fronte all’intervistatore o ad un pubblico di potenziali acquirenti con l’aplomb di chi non ha dubbi, che sa perfettamente ciò che vuole.

Qui, invece, accade esattamente il contrario: Luigi mette in mostra i suoi punti deboli. Li espone senza timore di apparire imperfetto. Sa che sono parte di sé e, senza di essi, non sarebbe più l’uomo che ha visto crescere umanamente e culturalmente in tutti questi anni. L’amore gli dona e gli toglie qualcosa ogni volta, se ne rende conto. Eppure, non può farne a meno. Gestire le emozioni è complesso, soprattutto quando a viverle è una persona di una sensibilità così evidente come nel suo caso.

Qui da noi si dice che, quando un essere umano si fa male soprattutto in amore, poi gli altri lo devono venire a raccogliere con il cucchiaino. Tu ti fai aiutare dagli amici o ti salvi da solo?

Lo diciamo anche a Messina! Sai una cosa? Non solo mi faccio salvare quando l’amore finisce … io, già mentre sto vivendo il tormento dell’amore, giornalmente ho i miei preziosi amici, quelli più cari che mi tengono d’occhio e mi danno consigli. Il problema è che ho una testa mia e, dopo aver parlato con loro, faccio completamente l’opposto di ciò che mi hanno detto (ride fragorosamente). Ringrazio la vita per questi amici che mi vogliono un bene enorme … talvolta mi lasciano cadere perché sanno che il farmi male è necessario, ma allo stesso tempo mi dicono “Cadi pure, tanto ti rialziamo noi!”

Quanto di personale c’è nelle storie che racconti?

Tantissimo: quando scrivo io divento il personaggio. Avverto proprio il bisogno di entrare nelle storie che racconto, di farne parte. Divento contemporaneamente Raymond Radiguet, Carlos Casagemas … considera che, mentre le scrivo, io sto male … percepisco i crolli, sento le cadute, le accensioni, ma mi porto dietro anche le leggerezze, le passioni. Non è un caso che, nei miei libri, non si capisca mai perfettamente dove termini il personaggio e dove inizi Luigi La Rosa. E quando anche ti sembra di averlo capito, è un bluff perché c’è molto altro. E’ un gioco che coinvolge il lettore.

Aggiungo: c’è molto di me, ma anche di quello che mi piacerebbe essere. La forza, il coraggio che talvolta mi mancano, ma possiedo il desiderio di ottenerle, farle mie.

Spesso mi dicono “E’ strano … è una storia tragica, eppure si esce dal libro con una passionalità e una leggerezza inaspettate”. Il tutto avviene perché la passione e l’intensità dei protagonisti li riscatta in pieno.

Empatia. Ecco il suo tallone d’Achille: provare ciò che provano gli altri. Provare troppo. Impossibile chiedergli di agire diversamente: significherebbe rinnegare la sua vera natura. E’ una piccola condanna dell’essere, anche se dà l’idea di convivere bene con  i suoi “limiti”, sempre che così si possano definire …

Sei stato ospite di Rain Arcigay Caserta Onlus per presentare “Quel nome è amore”. Che impressioni hai avuto della serata e dell’associazione?

Mi sono trovato benissimo! Un gruppo di persone meravigliose. Mi è piaciuto tanto il senso di unione, amicizia, libertà e rispetto. C’è l’impegno, il confronto che non è sempre frequente, purtroppo. Ideali, sentimenti, passioni … tutto ciò è molto bello davvero. E’ stata un festa, tanto interesse nei confronti del libro. Auguro a Rain un lavoro costante di crescita, perché di queste associazioni ne abbiamo tanto bisogno. Spero rimanga invariato il senso di giocosità, perché questo spirito di amicizia è unico.

Qual è il film della tua vita e perché?

Ne ho diversi, ma quello che rivedo sempre con maggiore struggimento è “Il favoloso mondo di Amelie” perché c’è quella dimensione di candore, mista a diversità, che sento molto nel mio rapporto con Parigi. Il personaggio interpretato da Audrey Tautou mi assomiglia tanto: da un lato è una sognatrice, ha un’idea estetica della vita, ma è anche una diversa, per certi versi può sembrare strana, esce dagli schemi. Quel suo senso di poesia mi ha fatto innamorare di Parigi per la prima volta. Tra le altre cose … più di metà del libro è stato scritto nel bar in cui è girato “Amelie”. Un localino delizioso a Montmartre … dietro di me c’era la locandina del film, il nanetto in bagno e così via.

Se dovessero trarre un film da uno dei tuoi libri, quali attori vorresti?

Per il mio ultimo libro? Sicuramente vorrei Michael Fassbender nel cast, un attore pazzesco. E Meryl Streep! Un’attrice e una donna dal fascino infinito.

E adesso marzulliamo : fatti una domanda e datti una risposta                                                                                                                                                             

“Ma ti stancherai mai di Parigi?” La risposta, ovviamente, è NO! Spesso gli amici mi dicono che, con il passare del tempo, anche questa città diventerà come tutte le altre. Invece a me succede l’opposto: più passa il tempo, più sento la necessità di viverla e conoscerla ulteriormente.

Prima di salutarci, rivolgo a Luigi un’ulteriore domanda … “Una piccola curiosità: ma hai mai visto Midnight in Paris?” “Certo” risponde all’istante “Dodici volte! Lo amo da morire!”

Non avevo alcun dubbio …

Luigi La Rosa : Parigi, la mia salvezza e la mia rinascita was last modified: giugno 1st, 2017 by L'Interessante
1 giugno 2017 0 commenti
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Aurelio de Matteis
CinemaCulturaIn primo piano

Aurelio De Matteis: un attore alla ricerca dell’amore

scritto da L'Interessante

Aurelio.

Di Christian Coduto

Avevo già incontrato Aurelio De Matteis alcuni anni prima, in occasione di uno spettacolo teatrale: preciso, attento, rigoroso, era riuscito a dare forma ad un personaggio difficile, con una naturalezza e una spontaneità che mi avevano lasciato basito. Ho modo di rivederlo, oggi pomeriggio, per parlare del suo ultimo progetto, lo spettacolo “Acqua Santa” (da lui diretto insieme a Costantino Punzo) e delle sue tante esperienze artistiche. Al telefono mi ha chiesto di incontrarci a Piedigrotta, nel Parco Vergiliano. In attesa del suo arrivo, lancio più di un’occhiata alla tomba di Giacomo Leopardi. Ogni volta che metto piede, qui, l’effetto è sempre lo stesso: il tempo e lo spazio diventano un tutt’uno, è facile perdersi in questo vortice informe. La mente vaga liberamente. Ogni elemento stuzzica il ricordo, ogni immagine crea un’epifania. Sono talmente impegnato ad osservare i particolari dell’entrata del Colombario di Virgilio che non mi accorgo di averlo alle spalle. Mi giro e rimango sorpreso: mi ricordavo di un viso e di un corpo più tondeggianti, ma questi hanno lasciato spazio ad una silhouette longilinea. Gli dico che lo trovo in splendida forma. Mi ringrazia timidamente. Ha un abbigliamento vagamente retrò, decisamente dandy. Ha un portamento nobile, che fa pendant con il suo cognome. E’ come se mi trovassi di fronte ad un’altra persona; eppure, c’è un qualcosa che non è cambiato: quello sguardo così attento e profondo. Quegli occhi che rivelano uno stato di malinconia perenne. O, alternativamente, di ricerca continua. Nelle parole, nei gesti, nei respiri. Propri e delle persone che lo circondano.

Ci accomodiamo su una panchina del Parco. E’ una giornata caldissima. Gli odori e i colori della Natura sembrano entrare a far parte della nostra chiacchierata.

Nel corso dell’intervista mi osserva con attenzione. Mantiene sempre lo sguardo. È misurato, contenuto, pacato nei toni. Parla tantissimo. “Sono logorroico, me ne rendo conto!” si scusa, con un’ingenuità quasi adolescenziale. Eppure affronta temi importanti, assaporando le parole, dando loro la corretta intonazione e l’adeguato significato.

Aurelio De Matteis si racconta

Chi è Aurelio De Matteis?

Allora, questa domanda già mi mette seriamente in crisi, lo sai? In realtà, io ancora non lo so! Forse, non lo saprò mai! (Ride) La propria esistenza è un costante mistero, un enigma. Devi sapere che io non amo molto le definizioni. Le lascio agli altri e mi diverte ascoltare ciò che gli altri pensano di me. Ecco perché, forse, preferisco la domanda “Chi potrebbe essere Aurelio De Matteis?”. Una cosa che cerco di scoprire giorno per giorno. La mia idea è che non siamo esseri definibili. Se proprio vogliamo sforzarci a fare un ”calcolo” , io non andrei per somme o aggiunte, bensì per sottrazione: credo che la vita ci tolga qualcosa. La convinzione che i genitori ci proteggeranno in eterno, per esempio. Ci toglie la lucidità mentale. Ciò che ci caratterizza, in effetti, è che noi rimaniamo un’energia in cerca di uno scopo. E questo scopo per me rimane l’amore. Senza amore non resta nulla. Forse, ripeto, forse solo alla fine del nostro percorso riusciamo a capire ciò che siamo stati. È un discorso anomalo, piuttosto filosofico, me ne rendo conto, ma sono fatto così.

Aurelio e la recitazione. Una lunga storia d’amore. Quando è nata?

Il teatro è stato sempre presente nella mia vita. Io provengo da una famiglia di artisti. Sono imparentato con la famiglia Maggio e Luisa Conte; è la prima volta che lo dico. Ho iniziato tanti anni fa, credo fosse il 1994, con Pino De Maio. Sai come succede, si inizia a “giocare”. Poi, anno dopo anno, quello che era un innamoramento, un’infatuazione, si è trasformato in una vera e propria scelta. La decisione di convivere. Una scelta definitiva (e di cui non potrei mai pentirmi) che ho preso nel 2009, quando ho abbandonato il mio vecchio lavoro; guadagnavo bene, ma non ero felice, non era quella la mia strada. Quella scelta mi ha tolto tutto da un punto di vista economico, ma i sacrifici mi hanno permesso di eliminare il superfluo, tutto quello di cui non avevo effettivamente bisogno. Ho fatto entrare nella mia vita i colori delle emozioni e il favoloso inganno delle parole. Sì perché la parola è un’arma, da usare con cautela. Basta sbagliare un’intonazione e quella parola viene fraintesa. Però, allo stesso tempo, rappresenta un mondo estremamente affascinante di cui non possiamo fare a meno. Io amo parlare, si era capito, vero? (Scoppiamo a ridere) Ho avuto la fortuna di incontrare, lungo il mio cammino, dei maestri incredibili che mi hanno formato, tra le pieghe delle quinte e i drappeggi del sipario. Ho osservato tanto, ho fatto esperienza e tanta gavetta. Agostino Chiummariello, Fortunato Calvino, Vincenzo Borrelli, Tonino Taiuti, Paolo Spezzaferri, Costantino Punzo mi hanno insegnato tanto, con i loro diversi modi di vivere l’arte. Ma ho avuto la fortuna di lavorare anche con giovani talenti, come Maurizio Capuano, Vittorio Passaro, Giuseppe Fiscariello e Franco Nappi. Con quest’ultimo abbiamo realizzato recentemente “Il ritratto di Dorian Gray”, con Roberta Astuti. Volevo aggiungere questo: per me essere attore è un modo di essere e non di apparire. Io non amo molto apparire. Non vado alla ricerca smodata dell’ovazione, dell’applauso. Io trovo l’espressione di me stesso nel momento in cui vivo quella cosa. Ciò mi permette di scoprire tante cose di me. Adesso, forse, deluderò o sorprenderò qualcuno, ma io non ho la passione per il teatro, bensì per la vita. Se non avessi la passione per la vita, non potrei esprimermi attraverso il teatro, perché nella recitazione io vivo fino a consumare ogni singolo istante della mia esistenza, che poi svanisce in quel momento. L’attore è consapevole di questa sua dolce condanna: quello che vive, nasce e muore in quell’istante. In effetti mi ritengo un eroe tragico (ride di gusto).

Le tue esperienze artistiche spaziano da Pirandello fino ad arrivare a Plauto, passando per Scarpetta. Tanti mondi diversi, che richiedono una differente immedesimazione. Ti piace recitare nel tuo dialetto? Ci sono artisti che sembrano rinnegare le proprie origini, incomprensibilmente.

Allora, quelli che rinnegano le proprie origini mi fanno piuttosto sorridere, sono sincero. Disconoscere il proprio tessuto culturale, a mio parere, ti impedisce di trasmettere qualcosa di te. Non si può non tenerne conto, ti pare? Forse sarebbe opportuno cercare di capire cosa spinga una persona a rinnegare le proprie origini, le proprie tradizioni. Forse per fare la figaiola nei salotti culturali. Io amo il mio dialetto: il napoletano ha una musicalità meravigliosa. E’ una lingua vera e propria, il cui fascino risiede nel fatto che si è arricchita nel corso del tempo, si è evoluta. La tradizione deve essere presente, senza però esserne schiavi. Bisogna rivalutarla, viverla, reinterpretarla.

Le mie esperienze variano tanto, è vero, però l’approccio è sempre lo stesso, nonostante  gli obbiettivi siano differenti. Alla base, c’è sempre tanta formazione e tanto studio.

Nel 2013 sei il protagonista assoluto di uno spettacolo molto intenso e delicato “Silvia ed i suoi colori”, ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto. Ti va di parlarcene?

Ti dico una cosa che non ho mai detto: io vengo da Scampia. Ho vissuto lì per venti anni. La morte di Silvia Ruotolo me la ricordo molto bene. Vivere a Scampia non è semplice, te lo garantisco. Lì vivevamo una doppia condanna: l’impossibilità di fare davvero qualcosa e l’abbandono delle istituzioni. Adesso le cose sono migliorate tantissimo, per fortuna. Nel mio rione non si spaccia più. I bimbi con i quali giocavo non ci sono più, lo dico con dolore. Io mi sono salvato per caso, perché ho avuto una famiglia solida alle spalle, mi ha salvato la cultura. Tanti anni fa, una sera, chiesi a mio papà di raccontarmi una fiaba. Lui, per tutta risposta, prese un’enciclopedia e mi lesse alcuni miti e leggende dell’antica Grecia. In particolar modo, mi parlò di Prometeo, un’immagine che mi ritorna spesso in mente quando vado a Scampia e, in generale, nella vita. Avere il coraggio di andare oltre e di sopportare con dignità la pena, senza risparmiarsi mai. Tornando allo spettacolo, diretto da Agostino Chiummariello e scritto da Roberto Russo, posso dire con orgoglio che ha ricevuto delle recensioni splendide. E’ stato definito uno dei testi più belli sul tema della camorra. Siamo abituati ad altri brand, ora. In questo spettacolo il termine camorra non esce mai. E’ un inno poetico alla vita e all’amore. Ci soffermiamo solo sulla bruttezza delle cose, troppo spesso. Silvia continua a vivere attraverso gli occhi dei suoi figli, che ho avuto l’onore di conoscere. Vive attraverso il ricordo dei suoi amici, di suo marito. E’ uno spettacolo molto intenso da vivere. Tanti si sono commossi. Spero che lasci un insegnamento: quello di non abbattersi mai. Lo abbiamo rappresentato a Padova, dove ho avuto modo di parlare con alcuni ragazzi di un’associazione dedicata proprio a Silvia Ruotolo.

La camorra si evolve, si trasforma, assume forme sempre diverse. Bisogna rimanere sempre in guardia.

Qual è l’esperienza teatrale alla quale sei più legato?

(Ci pensa un po’). Allora, non mi lego alle opere di cui sono protagonista. Le affronto tutte allo stesso modo, anche quelle il cui testo non mi appartiene. Pur tuttavia, ci sono due esperienze alle quali sono legato, ma per fattori extra teatrali. In primis, mi ricordo quando Costantino Punzo mi scelse per la versione teatrale de “Il Postino” nel ruolo che fu di Massimo Troisi. Lui è stato il fondatore del “Centro Teatro Spazio” proprio insieme a Troisi. Una grandissima emozione. Lo spettacolo venne rappresentato anche in occasione del ventennale della morte di questo grande artista, proprio nel “suo” teatro, a San Giorgio a Cremano. Con Costantino, da allora, è nata un’amicizia indissolubile e una grande collaborazione artistica.

Poi sicuramente “Filosofia in vestaglia“, un progetto che fra poco compirà un anno. Ma su questo sono più riservato e non ti dirò il perché (ride).

Certo, la bellezza di questo lavoro è proprio quella di poter conoscere le persone, di analizzare i particolari. Nella vita, questo, non accade sempre purtroppo. La gente non ne ha la voglia o il tempo.

Il tuo ultimo progetto è “Acqua Santa” in cui si parla di omosessualità al femminile. E di omofobia. La storia è ambientata nel 1800. A tuo parere, le cose sono davvero completamente cambiate?

Purtroppo no, non credo che le cose siano cambiate. La storia di Annina e Maddalena, nello spettacolo, viene rappresentata con la massima brutalità. Forse, una volta c’era un tipo di omofobia “leonina”. Di fronte al diverso si ruggiva, i ragazzi o le ragazze omosessuali venivano sbranati e gettati via. Adesso, invece, si è creato un qualcosa di più pericoloso: c’è un’omofobia “volpina”, che si esercita con battutine, sguardi superiori, paletti anche giuridici. Qualcuno può sorridere di fronte alle sentinelle in piedi, ma sono sintomo di un qualcosa di molto preoccupante. E’ un’omofobia nascosta, latente, che opera tra le pieghe. “Acqua Santa” è la coppa della tolleranza, che noi non abbiamo ancora bevuto. C’è ancora tanto lavoro da fare, troppo. Lavorare con Ares e Marilia Marciello è stato davvero bellissimo. Nel momento in cui non si saranno più le definizioni etero, gay, lesbica, trans, bisex, ma solo la parola amore allora avremo superato tutti gli ostacoli.

Più che un’intervista, sembra una seduta dallo psicologo. Glielo dico, si dimostra d’accordo. Ha un piglio filosofico nei confronti della vita. Ha una profondità di quelle rare: analizza ogni frase, controlla il ritmo della conversazione, rielabora le mie osservazioni. È uno scambio estremamente stimolante. Mi dice che uno dei suoi più cari amici, Armando (laureato in filosofia) ama confrontarsi con lui perché (parole sue!) “Non capisce nulla di filosofia e lui gli apre nuovi mondi!”.

Sceneggiatore, attore, regista. Qual è la tua connotazione più naturale? E’ vero che sai anche suonare l’armonica a bocca?

Ah ah ah! Ma come fai a saperlo? Per me la musica è una componente della mia quotidianità. Ascolto ogni tipo di musica, non sono legato a nessun gruppo musicale, a nessun genere, non faccio distinzione. Però preferisco la musica, rispetto alla canzone. Mi aiuta a riflettere, a rilassarmi. Ci sono delle melodie che, insieme ad alcuni odori, riportano alla mente dei momenti meravigliosi che ho vissuto. L’armonica è una vera e propria estensione di me, anche se è entrata da poco nella mia vita. In precedenza ho suonato la chitarra. Alcuni amici mi hanno consigliato questo strumento, anche perché è pratico, comodo. Anche in relazione al mio modo di vestire, che è piuttosto ricercato. Sogno di suonare il blues e il country, punto in alto! Al momento, però, le uniche melodie che ho imparato sono “Imagine” e “Nearer my God to thee”, che è stata l’ultima melodia suonata dall’orchestra sul Titanic, prima della tragedia. Siccome sono ateo, sostituisco God con man, ovverosia uomo. Così la canzone diventa “Più vicino a te, uomo”.

Per ciò che riguarda la mia connotazione più naturale, ovviamente è quella di essere attore. Leggo e scrivo tantissimo (racconti, pensieri, poesie). Mi piacerebbe scrivere delle sceneggiature, al momento ho realizzato solo qualche adattamento, ma c’è bisogno di studio. Ho una mentalità ancora troppo attoriale.

Aurelio De Matteis, da attore di teatro, qual è la tua posizione nei confronti di chi esce da un reality in cui lo scopo è quello di spalare le feci in Nicaragua e si ritrova all’improvviso ad interpretare 15 film da protagonista?

(Ride a crepapelle) Christian, sono sincero: non guardo mai la televisione. Il mezzo televisivo ha una cassa di risonanza che può essere pericolosa. Può creare una notorietà effimera. Purtroppo siamo abituati ad affezionarci a persone che “vivono” in una scatola (anche se adesso sono dei quadri veri e propri!). C’è un approccio superficiale, inutile, all’arte, ma con chi dovremmo prendercela? Con chi guarda questi programmi o con chi ce li propone? A tal proposito, ti racconto questa cosa: venni invitato ad esibirmi all’interno di un premio teatrale come guest. Io, che mi esibii con due maschere (una neutra e una di Pulcinella) interpretando un monologo che avevo scritto, chiesi solo che non venisse detto il mio nome al termine della performance. Non per snobberia, ci mancherebbe. Il messaggio era un altro: non è importante chi indossa la maschera, ma la maschera in quanto tale; l’emozione, l’idea erano tutto ciò che contavano davvero.

Quali sono i tuoi attori preferiti?

(Spalanca gli occhi) Guarda, farei prima ad elencarti quelli che non amo. Ci sono sicuramente attori che studio continuamente: Leo de Berardinis e Perla Peragallo, per esempio. Tra le altre cose, erano anche una coppia nella vita. Credo che non ci sia niente di più bello che creare arte insieme alla persona che ami, è un miracolo della vita. Adoro anche Roberto Latini e Federica Fracassi. 

Ed ecco che ricompare la parola amore. Mi domando cosa spinga questo ragazzo a ricercare questa emozione in ogni gesto della sua vita. E’ una forma di salvezza, forse? La necessità di un porto sicuro per evadere dalle brutture che ci circondano? Un completamento in quanto essere umano? Chissà. Oppure nulla di tutto ciò. Tanto è inutile chiederglielo: la sua mente, nel frattempo, ha già elaborato mille altri pensieri.

Io mi occupo di cinema. Il mondo della celluloide attinge dal teatro e viceversa. Qual è il film della tua vita e perché?

Ecco un’altra domanda che mi mette in crisi! Amo tantissimi film che associo, come la musica, ad altrettanti momenti della mia vita. Adoro il cinema di Aleksandr Sokurov, di Emir Kusturica e di Stanley Kubrick. Sono poetici, viscerali, pieni di vita. A questo punto dovrei cambiare la domanda in “Qual è il film che ti appartiene di più?” e la risposta sarebbe “Barry Lyndon”. La prima volta l’ho visto ripetutamente per tre giorni di fila! Avevo anche letto il romanzo, che mi aveva catturato completamente! E’ un film che parla di ricerca dell’amore.

Cosa dobbiamo attenderci da Aurelio De Matteis per questo 2017?

Magari lo sapessi! Sono un pirata che naviga a vista. Ho buttato l’orologio, non sono miliardario e vivo costantemente nel qui e nell’ora. Non programmo, anche se ovviamente ho tante idee e proposte. A maggio affronterò una storia multo cruda “Io, Pietro Koch”, sulla vita di uno dei peggiori fascisti mai esistiti sulla faccia della terra. E’ ambientata tra il 1943 e il 1945. E’ una storia rappresentativa di alcune dinamiche che coinvolgono l’essere umano in determinati contesti. Ho in testa questo progetto da almeno tre anni. Mi incuriosisce l’animo umano, anche quando commette crimini così efferati. Vorrei che il pubblico cercasse di capire, insieme a me, il perché di alcune azioni. Andare oltre le apparenze: questo è l’obbiettivo.

Alla Marzullo : fatti una domanda e datti una risposta

“Aurelio perché racconti e sei ossessionato, nelle tue storie, da tre elementi che sono l’amore, il tempo e il mare?” Risposta: “Perché un giorno, presto o tardi, diventeremo una sola cosa.”

Il sole sta tramontando. Inizia a fare quasi freddo nel momento in cui ci salutiamo. Mentre mi avvio all’uscita, lancio un’ultima occhiata ad Aurelio: è ancora fermo lì, intento a pregustarsi i sapori di un luogo intriso di cultura. Capisco che non ha ancora voglia di andare via. Lo immagino perdersi, confondersi, mescolarsi, entrare a far parte del vortice informe che si è creato all’interno del Parco. Chissà se, nel suo viaggio, troverà l’amore di cui parla spesso e ha bisogno. Sarà un percorso interessante, ne sono davvero sicuro.

Aurelio De Matteis: un attore alla ricerca dell’amore was last modified: aprile 14th, 2017 by L'Interessante
14 aprile 2017 0 commenti
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Dieci
CulturaIn primo pianoLibri

Dieci domande per l’Intervista Interessante a Mariateresa Belardo

scritto da L'Interessante

Dieci.

Di Maura Messina

Amici dell’Interessante, bentrovati! Ci apprestiamo a compiere il secondo passo della giovane rubrica 10?II (dieci domande per l’Intervista Interessante)

Questa settimana, Maura Messina intervista l’ autrice di Nottetempo, Mariateresa Belardo. Alcuni la conoscono sui social come Lapennallarrabbiata. La scrittrice di Succivo risponde alle dieci domande di rito. Leggete e lasciatevi stupire dalle sue dieci risposte condite di ironia e di profonda sensibilità.

Un mix perfetto che vi lascerà con una sola certezza: questo libro non può mancare nella vostra libreria. Pronti per questo nuovo viaggio?

Auguriamo a tutti voi una buona lettura!

Scopriamo chi è lapennallarrabiata in dieci step

1) Un rigo per presentarti

Mariateresa Belardo, per gli amici Lapennallarrabbiata

2) Due righi per scoprire il titolo e un accenno alla trama tuo libro

Nottetempo. Una notte metaforica vissuta fra mente e cuore, ragione e sentimento. Un dialogo interiore necessario per elaborare un abbandono e scoprire che, quando la notte è più buia, l’alba è più vicina.

3) Tre righi dedicate al protagonista

Io, tu, quasi in maniera presuntuosa potrei dire… ogni donna. Perché, purtroppo, ho scoperto che tutte le donne che hanno letto Nottetempo si sono riconosciute nella protagonista. Evidentemente, o sono stata banale, o tutte le donne vivono, amano e soffrono nello stesso modo. O tutti gli uomini sono stronzi uguale.

4) Quattro righi per il personaggio al quale ti senti più legato/a

Ringrazio sempre il “Fuggitivo” di Nottetempo, incazzatissimo per il fatto di essere stato, suo malgrado, protagonista di un libro. Profondo sdegno verso tutti quegli uomini che fuggono dalle responsabilità, che pensano di poter invadere le vite degli altri, far danni, e poi uscirne con indifferenza, eterni Peter Pan. Un capolavoro di vendetta. Modestamente, ho dimostrato di avere una cazzimma esagerata. Vi ho vendicate tutte!

5) Cinque righi per commentare il tuo libro preferito

Se scelgo di leggere un libro, in quel momento è quello. Sono una lettrice affamata, nel senso che un libro lo divoro, letteralmente. Forse il primo libro che ho letto, è quello che ho amato di più. Si intitolava “Scarpette rosa”, me lo regalò la maestra delle elementari. Un regalo grande, perché da lì, non ho più smesso. Raccontava di una ragazzina povera, e della sua passione per la danza. Poi sono stata, di volta in volta, la protagonista di ogni libro che ho aperto, per cui li ho amati tutti, A parte quelle di de Giovanni, che finiscono ammazzate.

6) Sei righi per raccontarci come nasce la tua passione per la scrittura

Nasce durante il primo dei tanti cortei a cui ho partecipato per la nostra terra martoriata. Un corteo con tutti i partecipanti che sfilavano in silenzio. Camminavo e pensavo che non sarei stata più zitta. Non potevo, in quanto madre. Scrissi un post, e poi me lo sono ritrovato pubblicato. Iniziò così la mia “carriera”. Ho scritto decine di articoli sulla Terra dei fuochi, ho raccontato le storie della gente. La cosa più bella che scrivere mi ha regalato sono i legami con le persone che ho incontrato lungo il cammino. Anime belle, combattenti, gente che ci crede sul serio in quello che fa, e lo fa non solo per se stesso, ma per tutti. Tu sei una di queste.

7) Sette righi per rivelarci altre tue passioni

Sebbene qualcuno abbia messo in giro la voce che non so cucinare, lo faccio benissimo. Tipo a Natale, che preparo decine di chili di struffoli per tutti quelli nella lista del cuore. Gioco a burraco (come le vecchierelle, dicono), anche se non vinco quasi mai. Strano, visto che sono pure sfigata in amore. Cazzeggio su Facebook, e pare sia abbastanza spiritosa. Ultimamente parecchie delle mie battute, firmate #lapennallarrabbiata, vengono pubblicate da Prugna, il portale di satira. Il mare è decisamente una delle passioni più grandi. La quarta di copertina di Nottetempo recita “Nessun’onda passa invano”. Starei ore ed ore a guardare il mare, ad ascoltare il rumore della risacca, perdendomi nei miei pensieri.

8) Otto righi per ritornare al tuo libro: chi vorresti lo leggesse?

Vorrei che leggesse il mio libro ogni donna che soffre per amore. Perché, probabilmente, potrebbe aiutarla. Un caro amico che non c’è più, Gianfranco, diceva che Nottetempo è un piccolo manuale di PNL fatto in casa. Che avevo fatto uno splendido lavoro dando voce al mio io. A volte si pensa che si soffra per una causa esterna. Scrivendo Nottetempo ho capito che ci può essere un agente esterno, ma la causa è sempre dentro di noi. Nessuno può farci soffrire se non glielo permettiamo. Sembra difficile a farsi, ma ti assicuro che è più semplice di quanto possa sembrare. E tutto questo non significa restare indifferenti a quello che ci accade, ma viverlo da una prospettiva diversa. Quella del “nulla è per sempre”. E vale sia per le gioie che per i dolori.

9) Nove righi per salutare i lettori e convincerli a leggere tutto fino alla fine… perché il più bello, si sa, arriva alla fine

Allora, innanzitutto se dovete leggerlo, ve lo vendo io perché ho un sacco di copie invendute e in questo periodo sto senza un euro (mi hanno pure rubato la macchina, per cui fareste un’opera buona). Assodato questo, Nottetempo va letto perché è bellissimo, scritto bene, scorrevole. Secondo me, e ti dico che dopo due anni, ogni tanto, ancora mi rileggo, e non mi pare vero di averlo scritto io, è bella parte in cui mente e cuore smettono di litigare fra di loro. È quasi l’alba, e iniziano a venirsi incontro perché hanno compreso che solo accettandosi reciprocamente, e accettando i relativi limiti, si può pensare di colmare dei vuoti che – invece – rischiano di fagocitare tutto quello che c’è intorno. Due ore, massimo tre, se vi ci mettete d’impegno. A tratti si ride pure: da questo punto di vista, si può dire che Nottetempo è la cosa più seria che io abbia scritto. Voi aiutatemi a vendere tutte le copie, poi vi prometto di iniziarne uno molto più leggero, stile #lapennallarrabbiata.

10) Dieci righi per citare uno stralcio della tua opera

Io tifo per Capitan Uncino.

Perché diciamoci la verità, noi donne dei principi azzurri e dei Peter Pan non sappiamo cosa farcene.

Meglio aver a che fare con lo stronzo di turno. Il confronto è più equo.Tanto noi donne ci mettiamo in gioco comunque, ma avere a che fare con uno che ti fa dannare l’anima ti dà la possibilità di elaborare tutte quelle strategie in cui noi donne siamo bravissime. Quelle macchinazioni da KGB, gli intrighi che la CIA ti fa un baffo, che ti consentono di passare un pomeriggio con le amiche a discutere e sviscerare virgole, pause e sfumature di una conversazione con il bruto di turno, della quale lui invece non si ricorderà nient’altro tranne il “ci vediamo alle 19,00 da me”. Perché invece i Peter Pan, quando le storie finiscono, ti lasciano l’amaro in bocca di non averci capito un cazzo. E non li puoi manco odiare, quelli. Perché ti hanno rispettato (ma chi te l’aveva chiesto, meglio un giorno da leone che cento da pecora… ehm, ho scritto da!)…”CONTINUA…”

Dieci domande per l’Intervista Interessante a Mariateresa Belardo was last modified: marzo 19th, 2017 by L'Interessante
19 marzo 2017 0 commenti
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femminilità
In primo piano

La femminilità e gli amori malati in “Io che amo solo me”!

scritto da L'Interessante

femminilità


Il rispetto è soprattutto una questione di cultura: “io che amo solo me” è un libro che lo insegna.

Io che amo solo me è il mantra delle donne che ce l’hanno fatta a sfuggire dalle distorsioni che l’amore malato riserva. Ma è anche l’invocazione silente di quelle donne che da questa trappola emotiva ancora si devono liberare, quelle donne che subiscono, quelle donne che si mortificano, quelle donne che non si sentono abbastanza, che restano anche quando l’unica scelta accettabile sarebbe andar via. Elemento di congiunzione di tutte le storie che animano questa antologia “terapeutica” che intervalla parole e immagini, utile guida comportamentale per le donne ma anche per qualche maschio intemperante, è la molteplicità scandita dall’intercultura, e il senso del viaggio che non sempre rappresenta un ritorno, anzi talvolta diventa salvifico proprio perché è in se stesso un congedo. Le donne che si amano spesso tacciono eppure sanno parlare; sanno parlare d’amore, di vita condivisa, di tempo intimo, di forza e fragilità insieme, di colori e raffigurazioni, di luci e di ombre. Le donne che si amano sono quelle che all’improvviso, un giorno come tanti che però fa la differenza, interrompono il silenzio della solitudine e si ripetono a gran voce che la rinascita è finalmente reale.

La femminilità e gli amori malati in “Io che amo solo me”! was last modified: marzo 6th, 2017 by L'Interessante
5 marzo 2017 0 commenti
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amore
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Amore: un caso del destino. La leggenda del filo rosso

scritto da L'Interessante

Amore.

Di Michela Salzillo

Il cuore è una lingua, comincia a parlare prima che subentri in noi la parola, il concetto definito, quello che spesso complica le cose. Non c’è grammatica che sia più difficile di quella parlata dai sentimenti, e lo impariamo quasi subito: ce lo insegnano gli imprevisti non calcolabili, quelli che di solito arrivano per scomporci le abitudini e le convinzioni. È negli improvvisi giusti che cominciamo a capire quanto sia fondamentale l’amore, non importa se non sappiamo bene come chiamarlo, quale vestito fargli indossare o quale camera mettergli a disposizione, perché il cuore di queste cose non sa nulla, conosce solo l’urgenza di dare o restituire vita, e lo fa a prescindere da ogni ragionevole limite. Non è una cosa semplice l’amore, confina spesso con l’innamoramento, la passione, e a volte ci confonde: è un movimento universale, una legge senza deontologie precise; è una energia ciclica e rigenerante che, come qualcuno scriveva, move il sole e l’altre stelle. È un legame che lascia liberi; è un bisogno senza dipendenza; è un divertimento, anche un impegno, in grado di appagare l’anima, e quando da cosmico si trasforma nella viva presenza di qualcuno, in grado di essere il nostro fianco irrinunciabile, diventa subito il desiderio perfetto verso cui conciliamo tutti i nostri migliori intenti. A volte è anche doloroso, e forse non c’è nulla di sbagliato in questo: gli amori non corrisposti, ad esempio, non sono di certo il migliore augurio da fare, agli altri come a sé stessi, ma è proprio attraversando questo tipo di dimensione che si impara ad assaggiare il frutto maturo del sentimento; in questo modo si giunge a capire che di certo l’amore è la regola delle nostre più profonde volontà, ma lo stare insieme è una eccezione che spesso sbaglia i tempi. La difficoltà, infatti, non è trovare l’amore, ma scorgere qualcuno che si innamori di noi nell’ istante in cui ci accade la stessa cosa, e che poi resti a viaggiare sul nostro stesso binario, al medesimo ritmo delle nostre esigenze. Detta così, sembra la cosa più complicata del mondo, soprattutto per chi ha collezionato più amori sbagliati che gioie da cofanetto, ma state tranquilli!  Anche in questo caso la speranza è pronta a morire per ultima, a dirlo è una bellissima leggenda cinese a cui, sognatori o no, vale la pena dar credito.

Siamo destini che si uniscono: per trovare l’ amore basta seguire un filo rosso

Secondo un’antica leggenda, che le maggiori testimonianze fanno confinare con la tradizione cinese – poi adottata anche dal Giappone – ci sarebbe un filo rosso in grado di legare le persone destinate a incontrarsi: a prescindere dal tempo, luoghi o circostanza. Il filo può allungarsi, aggrovigliarsi, ma non potrà mai spezzarsi. Anche se le due anime non dovessero mai arrivare a incontrarsi, il filo resterà sempre attaccato alle loro dita, invisibile, nascosto ai loro occhi.

 

C’era una volta… un bellissimo racconto d’ amore

  C’era una volta, un uomo di nome  Wei, che – rimasto orfano di entrambi i genitori quand’era ancora un bambino – aveva maturato negli anni un unico  desiderio: quello di sposarsi e costruire una grande famiglia; nonostante gli sforzi e le buone intenzioni, però, era giunto all’età adulta senza essere riuscito a trovare una donna da prendere in moglie.

 Un giorno, durante uno dei sui viaggi, il giovane Wei incontrò, sui gradini di un tempio, un anziano scrupolosamente impegnato a consultare un libro. Wei, incuriosito, chiese all’uomo cosa stesse leggendo; l’anziano, che si identificò come il Dio dei matrimoni, dopo aver adocchiato una pagina del volume, confessò a Wei di conoscere l’identità della donna che gli sarebbe rimasto a fianco per tutta la vita.

Durante la visione, però, tenne a specificare che al momento era una bimba di soli tre anni, quindi avrebbe dovuto attenderne altri quattordici prima di riuscire a conoscerla. Wei, nonostante fosse rimasto deluso dalla risposta, chiese cosa contenesse il sacco che aveva notato già da prima alle spalle del saggio; l’uomo rispose che lì dentro era custodito del filo rosso, destinato a legare i piedi di mariti e mogli. Un filo invisibile e impossibile da tagliare, in modo da permettere alle due persone legate tra loro di sposarsi.

Quelle parole, indubbie portatrici di un ottimo messaggio, non furono per nulla di aiuto a  Wei che, per sentirsi libero di scegliere da solo, senza il vincolo del destino, la donna da sposare, ordinò al suo servo l’ uccisione della  bambina destinata a diventare sua sposa,almeno secondo quanto raccontato dal vecchio saggio. Il servo, come richiesto, pugnalò la bambina, ma non la uccise: riuscì soltanto a ferirla alla testa.

 Wei, dopo l’accaduto, si rassegnò a vivere la sua solita vita, confrontandosi spesso con quel  vuoto incolmabile. Quattordici anni dopo da quelle vicende, ancora celibe, conobbe una bellissima ragazza: aveva diciassette e proveniva da una famiglia agiata, fu con lei che si sposò. In tutti quegli anni sua moglie aveva sempre indossato una pezzuola sulla fronte e Wei, che ne aveva sempre rispettato il mistero, un giorno le chiese per quale motivo non  la togliesse mai, nemmeno per lavarsi. Fu così che la donna, in lacrime, raccontò che quando aveva tre anni fu accoltellata da un uomo. Il folle gesto le aveva procurato una profonda cicatrice sulla fronte, quella che per vergogna   nascondeva accuratamente sotto a delle bende.  Udire quelle parole per Wei fu come ricevere una pugnalata, in un istante si ricordò dell’incontro con il Dio dei matrimoni, di ciò che gli aveva predetto, e del successivo ordine che dette al suo servo. Confidare a sua moglie di essere stato il diretto artefice del tentato omicidio a suo danno, le parve la cosa migliore da fare. Conoscere la verità, però, non danneggiò di certo il loro amore, anzi , si rivelò un sigillo ulteriore sulla loro unione, oltre che una valida conferma del fatto che al destino nulla è impossibile.

Amore amore.

 

 

 

 

Amore: un caso del destino. La leggenda del filo rosso was last modified: gennaio 20th, 2017 by L'Interessante
20 gennaio 2017 0 commenti
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amore
AttualitàIn primo pianoParliamone

E’ sempre amore: ex-consorelle si sposano

scritto da L'Interessante

Amore

Di Vincenzo Piccolo

“Ama Dio e faccio che vuoi” diceva Sant’Agostino. “La cosa più importante e non pensare troppo e amare molto; per questo motivo fate ciò che più vi spinge ad amare” predicava Santa Teresa Davila. Sono alcune delle concezioni dottrinali cristiane espresse da due santi padri della Chiesa, che esteriorizzano il significato dell’ amore secondo un’ottica divina. Altrettanti teologi cristiani, hanno detto che l’amore degli uomini per le altre creature sia derivato direttamente da quello di Dio e che da esso scaturisca inoltre l’amore per tutto il creato. Ne risulta che l’accezione cattolica dell’amore sia del tutto simbolica, senza corpo forma.

È amore gratuito, di colui che dona tutto se stesso all’altro, puro agape, quindi assoluto

Sulla scia di questo sentimento, si costruisce la storia di Isabel e Federica, due suore francescane. Una vita al servizio dell’altro: una laureata in filosofia, partita poi in missione; l’altra completamente assorta nel suo lavoro di recupero dei tossicodipendenti. In questi ambienti si sono incontrate, donando, e conoscendosi hanno scoperto di amarsi. Oggi, a 44 anni, decidono di sposarsi convolando a nozze nel Comune di Pinerolo nel torinese. Per rendere possibile tutto questo, hanno sciolto i voti in Vaticano e sistemato alcune  pratiche.

“Dio vuole persone felici, che vivano l’ amore alla luce del sole”, ha dichiarato Isabel sperando che la Chiesa un giorno possa accogliere tutte le facce dell’amore, come dottrina comanda.

A celebrare quelle che per loro sono le vere nozze, oltre alla funzione civile, sarà Don Barbero che si occupa di quella religiosa. Quest’anno ha già celebrato 19 matrimoni omosessuali. Franco Barbero non è propriamente il Sacerdote, è stato sospeso, nel 2003, da Papa Giovanni Paolo II proprio per la sua posizione nei confronti dei matrimoni gay.
Tuttavia, affermano le ex-consorelle, “Usciamo dal convento, ma non lasciamo la Chiesa e non dimentichiamo la fede”. Cominciando a ricostruirsi una vita, adesso, le spose pensano a godersi quell’amore assoluto che solo la misericordia può donare. Sicure di averlo ritrovato l’una nell’altra.

E’ sempre amore: ex-consorelle si sposano was last modified: settembre 30th, 2016 by L'Interessante
30 settembre 2016 0 commenti
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Cerco storie a lieto fine
In primo pianoNotizie fuori confine

Cerco storie a lieto fine

scritto da Roberta Magliocca

Cerco storie a lieto fine

Domenica mattina. Piedi scalzi. Panni sporchi. Pensieri storti. FM 106.8. Non trovo le chiavi della macchina. Cerco nella borsa. Ci trovo un po’ di tutto. L’abbonamento del treno. Un accendino. Un ricordo sporco di lucidalabbra. Cerco nel primo cassetto della scrivania dove finisce il superfluo; ci sono le tue mani che promettevano ciò che non potevano. Le chiavi no, non ci sono. Cerco nei piedi delle persone che non sanno dove vanno, eppure vanno. In un teatro che da troppo tempo ormai mi vede comprare un unico biglietto. Cerco negli anni passati. In ciò che ho scritto. Cerco nei racconti di due sorelle, ora mogli e madri, un tempo figlie spericolate. Cerco nello sguardo assente di una signora con tanti compleanni da ricordare e troppi gatti a sottolinearle solitudini e dispiaceri. Cerco in un sorriso nostalgico ad un funerale. In chi non la pensa come me. Cerco in chi la pensa come me ma per ragioni diverse dalle mie. Cerco nei panni da stirare. Nelle parole che ho ascoltato e a cui ho creduto. Nelle parole opposte a cui non volevo credere, perchè vere. Cerco in quella canzone che odio ma che la mia bocca non smette di cantare. Più cerco e più perdo. E una domanda continua ad ossessionarmi. Dove diavolo avrò messo le chiavi della macchina? I Connels, intanto, cantano “Nothing to say ‘cause it’s already said” . Sorrido. Perchè la canzone mi piace. Perchè non c’è niente da dire. Perchè tutto è già stato detto. E cosa mai potrei dire? Hai messo “noi” in una scatola, un anello al dito e lo spazzolino accanto al suo.

Io che non ho mai capito cosa fosse realmente l’amore, non lo so tutt’ora, cercavo di scoprirlo insieme a te in giorni che non fossero mai uguali ai precedenti, in parole che non fossero quelle di banali soap opera. A me che non mi è mai importato nulla di fiori e sanvalentini, bastava avere qualcosa che fosse nostro e nostro soltanto. In quelle notti abbiamo scritto la nostra storia. Niente “C’era una volta…”; niente “…e vissero per sempre felici e contenti”. E’ una storia cominciata con passione e finita con altrettanta violenza. Ma è stata la nostra storia. Nascosta e vietata ai minori. Perchè il mondo non deve sapere di corpi che pulsano, di unghie che graffiano, di pelle che suda, di mani che incendiano. Allora continua a dare al mondo cavalli bianchi e parole sussurate alla luce del tramonto. E lascia a me la libertà di amare senza dire mai “Ti Amo”, di tenere accanto a me una persona lasciandola andare altrove, di renderla felice rendendo prima felice me stessa. Lasciaci chiusi dentro quella scatola. Tu hai il tuo amore adesso. Il tuo spazzolino accanto al suo. Io? Non ho nemmeno più le chiavi della macchina.

Roberta Magliocca

Cerco storie a lieto fine was last modified: luglio 17th, 2016 by Roberta Magliocca
17 luglio 2016 0 commenti
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Parco Virgiliano
CulturaEventiIn primo piano

Parco Virgiliano: Giornata Mondiale dell’Amore e della Gratitudine

scritto da L'Interessante

Parco Virgiliano

Napoli, Italia: amore e gratitudine 2016

Si terrà oggi, presso il Parco Virgiliano, la Giornata Mondiale dell’Amore e della Gratitudine che vede impegnati giovani volontari di Napoli e non. Dopo il successo ottenuto con la prima manifestazione, tenutasi il 23 settembre 2012, si replica: “l’amore e la gratitudine” ritornano nel cuore di tutti. O almeno è questo il messaggio dell’iniziativa che ha come referenti Andrea Caldwell e Luca Di Gaia

Il programma prevede il ritrovo dei partecipanti nello splendido Parco Virgiliano, sito in viale Publio Virgilio Marone, sulla collina di Posillipo, con una successiva meditazione “di centratura e di espansione del cuore”, vale a dire avvertire il contatto con la Madre Terra attraverso il respiro umano. Un atto che sprigiona l’assordante silenzio dell’animo, depurato dalle scorie del mondo che si pone in relazione con il creato, unendosi al battito della Terra. I piedi, ancorati al terreno come radici, si fondono ad esso, sprigionando una forza maggiore che assorbe l’energia solare. Questa connessione è possibile soltanto unendo le mani e portandole al petto in segno di amore. Il gesto assurge a simbolo di gratitudine, in quanto precede la preghiera di benedizione dell’acqua, la vera protagonista dell’evento.

Quest’ultima, ricoprendo il 70 % delle terre emerse, rende possibile la vita sulla Terra. Lo stesso essere umano è composto per il 70 % di acqua. In relazione a questo bene comune e di prima necessità, sorgono numerose lotte rivolte al libero accesso di una risorsa così preziosa da essere considerata come un diritto inalienabile di ognuno.

L’acqua è, inoltre, fonte di energia. Benché venga considerata una risorsa energetica non commerciale, comporta l’esistenza di organi amministrativi e burocratici con competenze pertinenti a temi come l’alimentazione, lo sviluppo sostenibile e la sopravvivenza in generale. Da sempre l’uomo è a contatto con l’acqua, adoperando una sorta di influenza su di essa. Il più delle volte si ha la ferma convinzione di saper dominare un elemento così portante della nostra vita, costruendo dighe restrittive, agglomerati urbani a ridosso di spiagge, tralasciando uno dei fattori fondamentali: la ribellione della natura. Altri, però, sono gli effetti sui quali intende concentrarsi l’iniziativa: secondo studi scientifici, condotti dall’istituto di ricerca americano HearthMath, il cuore è dotato di un campo elettromagnetico, proprio come quello terrestre. Le emozioni provate rappresentano il veicolo più efficace per imprimere un’informazione nella materia, nel mondo fisico.  Anche quello idrico. Numerose sono, infatti, le ricerche scientifiche che testimoniano la volubilità dell’acqua in base al nostro potere di persuaderla, come quella resa pubblica dallo studioso giapponese Mosaru Emoto il quale ha diffuso le fotografie della forma dei cristalli formati dall’acqua sottoposta alle variazioni più creative, dalla musica alle parole ecc. La giornata prosegue con una presa di coscienza generale dell’immenso potere insito in ciascuno di noi e con una preghiera rivolta all’ecosistema gravitante attorno all’acqua. È consigliato portare con sé una bottiglia di acqua con scritto “amore, gioia, gratitudine”, tutte parole che ricordano emozioni positive. Dopo un pic-nic vegan, comincia una serie di sessioni di yoga, da quella professionale con l’istruttrice Emanuela Suryachandra Krauss, riconosciuta dal CONI, allo yoga della risata, passando per la meditazione sul respiro e sul suono, a cura di Maria Giulia Fiorino, specializzata in terapia del suono. Da non perdere, dunque, questo evento di caratura mondiale al quale prendono parte oltre settantacinque città nel mondo e che si caratterizza per lo spirito solidale e fiducioso che nessuno dovrebbe smarrire mai e poi mai.

Carmen Giaquinto

Parco Virgiliano: Giornata Mondiale dell’Amore e della Gratitudine was last modified: maggio 22nd, 2016 by L'Interessante
22 maggio 2016 0 commenti
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La violenza
CinemaCulturaEventiIn primo piano

La Violenza nelle relazioni affettive – Il convegno

scritto da L'Interessante

La violenza

La violenza nelle relazioni affettive:le strategie di cambiamento e la costruzione di politiche integrate, questo il titolo del convegno in programma giovedì 12 maggio a partire dalle ore 16 al Duel Village di Caserta 

Ore 16.00 registrazione
Ore 16.30 saluti istituzionali
Ore 17.00 introduzione Dott.ssa Dominique Pontoriero e Angelo Antonucci regista del film ‘Con tutto l’Amore che ho’
Ore 17.30 proiezione del film ‘Con tutto l’Amore che ho’
Ore 19.00 tavola rotonda
Partecipanti:
Dott.ssa Chiara Marciani Assessore regionale pari opportunità
Avv. Luigi Bosco Consigliere regionale Campania
Prof.ssa Annamaria Rufino, Ordinaria in Sociologia Università Federico II di Napoli
Dott.ssa Maria Lurini Sociologa Sert Maddaloni
Dott.ssa Anna Falco Psicologa
Avv. Giuseppe Maccauro
Prof. ssa Adele Vairo Dirigente Liceo Manzoni Caserta
Dottor Silvestro Marino, produttore del film ‘Con tutto l’amore che ho’

Modera i lavori Dott.ssa Francesca Nardi Direttore Tv Luna

Il convegno, organizzato dal Duel Village in collaborazione con l’associazione di promozione sociale ‘Il sole sempre’ , è patrocinato dalla Regione Campania.

Il Trailer: clicca qui 

La Violenza nelle relazioni affettive – Il convegno was last modified: maggio 7th, 2016 by L'Interessante
7 maggio 2016 0 commenti
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Matteo
CalcioIn primo pianoSport

Matteo e l’Avellino: il calcio che unisce

scritto da L'Interessante

Matteo: il calcio che unisce

Il mondo del calcio viene spesso accusato di corruzione e viene continuamente colpito da scandali, discussioni tra tifoserie a volte addirittura sfociate in omicidi. Questa volta le pagine dello sport più amato dagli italiani si tingono di vari colori, in particolare il bianco e il verde.

Matteo, un tifoso speciale

Matteo è un undicenne affetto da una grave malattia degenerativa, è stato sottoposto a vari interventi chirurgici, ed è un tifoso sfegatato dell’Avellino, la squadra della sua città. Dopo vari rifiuti ricevuti da ospedali di tutt’Italia, la famiglia di Matteo ha trovato un medico dell’ospedale di Trieste, in grado di operarlo.  La sua storia è stata presa a cuore non solo dalla società, ma anche dai tifosi biancoverdi, tanto da creare un gruppo su Facebook per supportarlo, gruppo che oggi conta più di quaranta mila iscritti. I tifosi avellinesi hanno viaggiato con un furgone fino a Trieste per portare al piccolo lupo sciarpe e gadget vari della sua squadra del cuore. Non solo tifosi dell’Avellino, ma anche della Salernitana, della Juve Stabia, Casertana e altre squadre della Campania, si sono uniti mettendo da parte il tifo e la rivalità che da sempre le contraddistingue per stringersi attorno al piccolo tifoso.  Matteo non si è arreso, ha continuato a combattere e a tener duro, ed è ritornato allo stadio con un sorriso smagliante capace di contagiare chiunque.  E’ stato accolto con gioia dalla società, dai calciatori, dai tifosi dell’Avellino e non solo; il suo ritorno ha scatenato una vera e propria festa, quasi paragonabile alla vittoria di uno Scudetto.  Anche la pagina Facebook della Serie A Tim ha voluto condividere questa storia attraverso un video molto commovente. Oggi con Matteo ha vinto anche il calcio, e il lupo simbolo dell’Avellino adesso può portare il nome di colui che ha combattuto come un vero lupo irpino: Matteo.

Mariagrazia Dell’Angelo

Matteo e l’Avellino: il calcio che unisce was last modified: aprile 1st, 2016 by L'Interessante
1 aprile 2016 0 commenti
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