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Giappone

amore
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Amore: un caso del destino. La leggenda del filo rosso

scritto da L'Interessante

Amore.

Di Michela Salzillo

Il cuore è una lingua, comincia a parlare prima che subentri in noi la parola, il concetto definito, quello che spesso complica le cose. Non c’è grammatica che sia più difficile di quella parlata dai sentimenti, e lo impariamo quasi subito: ce lo insegnano gli imprevisti non calcolabili, quelli che di solito arrivano per scomporci le abitudini e le convinzioni. È negli improvvisi giusti che cominciamo a capire quanto sia fondamentale l’amore, non importa se non sappiamo bene come chiamarlo, quale vestito fargli indossare o quale camera mettergli a disposizione, perché il cuore di queste cose non sa nulla, conosce solo l’urgenza di dare o restituire vita, e lo fa a prescindere da ogni ragionevole limite. Non è una cosa semplice l’amore, confina spesso con l’innamoramento, la passione, e a volte ci confonde: è un movimento universale, una legge senza deontologie precise; è una energia ciclica e rigenerante che, come qualcuno scriveva, move il sole e l’altre stelle. È un legame che lascia liberi; è un bisogno senza dipendenza; è un divertimento, anche un impegno, in grado di appagare l’anima, e quando da cosmico si trasforma nella viva presenza di qualcuno, in grado di essere il nostro fianco irrinunciabile, diventa subito il desiderio perfetto verso cui conciliamo tutti i nostri migliori intenti. A volte è anche doloroso, e forse non c’è nulla di sbagliato in questo: gli amori non corrisposti, ad esempio, non sono di certo il migliore augurio da fare, agli altri come a sé stessi, ma è proprio attraversando questo tipo di dimensione che si impara ad assaggiare il frutto maturo del sentimento; in questo modo si giunge a capire che di certo l’amore è la regola delle nostre più profonde volontà, ma lo stare insieme è una eccezione che spesso sbaglia i tempi. La difficoltà, infatti, non è trovare l’amore, ma scorgere qualcuno che si innamori di noi nell’ istante in cui ci accade la stessa cosa, e che poi resti a viaggiare sul nostro stesso binario, al medesimo ritmo delle nostre esigenze. Detta così, sembra la cosa più complicata del mondo, soprattutto per chi ha collezionato più amori sbagliati che gioie da cofanetto, ma state tranquilli!  Anche in questo caso la speranza è pronta a morire per ultima, a dirlo è una bellissima leggenda cinese a cui, sognatori o no, vale la pena dar credito.

Siamo destini che si uniscono: per trovare l’ amore basta seguire un filo rosso

Secondo un’antica leggenda, che le maggiori testimonianze fanno confinare con la tradizione cinese – poi adottata anche dal Giappone – ci sarebbe un filo rosso in grado di legare le persone destinate a incontrarsi: a prescindere dal tempo, luoghi o circostanza. Il filo può allungarsi, aggrovigliarsi, ma non potrà mai spezzarsi. Anche se le due anime non dovessero mai arrivare a incontrarsi, il filo resterà sempre attaccato alle loro dita, invisibile, nascosto ai loro occhi.

 

C’era una volta… un bellissimo racconto d’ amore

  C’era una volta, un uomo di nome  Wei, che – rimasto orfano di entrambi i genitori quand’era ancora un bambino – aveva maturato negli anni un unico  desiderio: quello di sposarsi e costruire una grande famiglia; nonostante gli sforzi e le buone intenzioni, però, era giunto all’età adulta senza essere riuscito a trovare una donna da prendere in moglie.

 Un giorno, durante uno dei sui viaggi, il giovane Wei incontrò, sui gradini di un tempio, un anziano scrupolosamente impegnato a consultare un libro. Wei, incuriosito, chiese all’uomo cosa stesse leggendo; l’anziano, che si identificò come il Dio dei matrimoni, dopo aver adocchiato una pagina del volume, confessò a Wei di conoscere l’identità della donna che gli sarebbe rimasto a fianco per tutta la vita.

Durante la visione, però, tenne a specificare che al momento era una bimba di soli tre anni, quindi avrebbe dovuto attenderne altri quattordici prima di riuscire a conoscerla. Wei, nonostante fosse rimasto deluso dalla risposta, chiese cosa contenesse il sacco che aveva notato già da prima alle spalle del saggio; l’uomo rispose che lì dentro era custodito del filo rosso, destinato a legare i piedi di mariti e mogli. Un filo invisibile e impossibile da tagliare, in modo da permettere alle due persone legate tra loro di sposarsi.

Quelle parole, indubbie portatrici di un ottimo messaggio, non furono per nulla di aiuto a  Wei che, per sentirsi libero di scegliere da solo, senza il vincolo del destino, la donna da sposare, ordinò al suo servo l’ uccisione della  bambina destinata a diventare sua sposa,almeno secondo quanto raccontato dal vecchio saggio. Il servo, come richiesto, pugnalò la bambina, ma non la uccise: riuscì soltanto a ferirla alla testa.

 Wei, dopo l’accaduto, si rassegnò a vivere la sua solita vita, confrontandosi spesso con quel  vuoto incolmabile. Quattordici anni dopo da quelle vicende, ancora celibe, conobbe una bellissima ragazza: aveva diciassette e proveniva da una famiglia agiata, fu con lei che si sposò. In tutti quegli anni sua moglie aveva sempre indossato una pezzuola sulla fronte e Wei, che ne aveva sempre rispettato il mistero, un giorno le chiese per quale motivo non  la togliesse mai, nemmeno per lavarsi. Fu così che la donna, in lacrime, raccontò che quando aveva tre anni fu accoltellata da un uomo. Il folle gesto le aveva procurato una profonda cicatrice sulla fronte, quella che per vergogna   nascondeva accuratamente sotto a delle bende.  Udire quelle parole per Wei fu come ricevere una pugnalata, in un istante si ricordò dell’incontro con il Dio dei matrimoni, di ciò che gli aveva predetto, e del successivo ordine che dette al suo servo. Confidare a sua moglie di essere stato il diretto artefice del tentato omicidio a suo danno, le parve la cosa migliore da fare. Conoscere la verità, però, non danneggiò di certo il loro amore, anzi , si rivelò un sigillo ulteriore sulla loro unione, oltre che una valida conferma del fatto che al destino nulla è impossibile.

Amore amore.

 

 

 

 

Amore: un caso del destino. La leggenda del filo rosso was last modified: gennaio 20th, 2017 by L'Interessante
20 gennaio 2017 0 commenti
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Mostra
CulturaIn primo piano

Mostra: Hokusai, Hiroshige, Utamaro. Luoghi e volti del Giappone che ha conquistato l’Occidente

scritto da L'Interessante

Mostra

Di Erica Caimi

In occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario dalla sigla del Trattato d’amicizia e di commercio tra il Regno d’Italia e l’Impero del Giappone, le sale di Palazzo Reale a Milano ospitano l’affascinante mostra “Hokusai, Hiroshige, Utamaro. Luoghi e volti del Giappone che ha conquistato l’Occidente” visitabile fino al 29 gennaio 2017. L’esposizione è promossa da Comune di Milano‐Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira e curata dalla professoressa Rossella Menegazzo, docente di Storia dell’Arte dell’Asia Orientale dell’Università degli Studi di Milano. La collezione propone una preziosa carrellata di dipinti, serigrafie e illustrazioni che hanno imprigionato frammenti di una tradizione millenaria e che hanno saputo sedurre pittori, artisti e collezionisti europei verso la fine dell’ 800.

La tecnica in mostra

Il percorso si snoda tra le vie artistiche di tre grandi maestri, che hanno goduto di ampia popolarità nel Giappone di quegli anni: Katsushika Hokusai (1760‐1849), Utagawa Hiroshige (1797‐1858) e Kitagawa Utamaro (1753‐1806). A differenza del prodotto artistico europeo, le stampe giapponesi potevano avere una funzione diversa rispetto a quella puramente estetica di fruizione fine a se stessa. Molti esemplari in mostra, infatti, sono dei Surimono, termine che significa letteralmente “cosa stampata” e venivano realizzati per uno scopo ben preciso. Si tratta di biglietti commissionati da privati per occasioni speciali, come l’arrivo del nuovo anno o il festeggiamento di qualche momento importante nella carriera degli attori kabuki o ancora un invito a una serata mondana. Spesso, in queste stampe si ritrovano richiami letterari e persino poesie, tutti elementi che aumentano notevolmente il valore culturale dell’opera. La tecnica con la quale venivano realizzati è quella della xilografia, una sorta d’incisione di immagini su tavolette di legno, dette matrici, inchiostrate e utilizzate per riprodurre più volte lo stesso soggetto su fogli di carta. Nel corso della mostra, si potrà approfondire l’argomento grazie a un video esplicativo nel quale vengono svelati tutti passaggi che devono essere eseguiti con estrema precisione e abile manualità. Come si può ben immaginare, in un mercato di questo tipo, in cui si produce un bene artistico per soddisfare il mercato e magari produrre più volte la stessa stampa, il pittore non è l’unico protagonista della scena. Ben più rilevante è l’affinità che si stabilisce tra pittore, editore, intarsiatore e stampatore. Solitamente lo stesso artista prediligeva mantenere gli stessi intarsiatori e stampatori, proprio perché la conoscenza dello stile di ciascun professionista era fondamentale ai fini della riuscita dell’opera.

Le opere di Hokusai, Hiroshige e Utamaro in mostra

Attraverso cinque sezioni (Paesaggi e luoghi celebri: Hokusai e Hiroshige; Tradizione letteraria e vedute celebri: Hokusai; Rivali di “natura”: Hokusai e Hiroshige; Utamaro: bellezza e sensualità; I Manga: Hokusai insegna) la mostra mette in luce il mercato dell’immagine dell’epoca, che richiedeva di trattare soggetti precisi e temi alla moda per incontrare il gusto dell’esigente mercato dell’editoria.

La richiesta innescava inevitabilmente delle rivalità tra gli  artisti stessi, ma soprattutto tra gli editori che si contendevano i migliori pittori, incisori e stampatori per dare forma a stampe sempre diverse, verticali, orizzontali, in forma di ventaglio, in formato di libro o di paravento per soddisfare i bisogni del pubblico. Anche la prospettiva sopraggiunta da Occidente e ben nota ai maestri giapponesi è pressoché assente dalle rappresentazioni perché di scarso interesse ai fini della commercializzazione dell’opera. Nelle immagini del Mondo Fluttuante, così come vengono comunemente soprannominate data la loro caratteristica di apparire sospese nel vuoto, l’assenza di prospettiva è mitigata da qualche espediente artistico come la nebbia o le nuvole, che nascondono la mancanza di profondità degli spazi.

La mostra mette in evidenza come fossero ricorrenti gli stessi soggetti e come gli editori fossero obbligati a inventare espedienti quali formati e inquadrature diverse per diversificare e piazzare il prodotto, ma anche come ognuno di questi artisti abbia insistito su una tematica specifica fino a renderla un best seller obbligando gli altri a cimentarsi sullo stesso soggetto alla moda per ritagliarsi il proprio spazio sul mercato.

Risulta chiaro così perché alle Trentasei vedute del monte Fuji di Hokusai seguirono, a distanza di quasi vent’anni, Trentasei vedute del monte Fuji di Hiroshige  che richiamano a loro modo Hokusai, ad esempio riproponendo il soggetto della “Grande onda” con una simile inquadratura ma privandola di carica drammatica.

In quest’ottica, si può capire il motivo per cui la serie più famosa di Hiroshige, le Cinquantatré stazioni del Tōkaidō,  sia stata ripetutamente proposta dallo stesso autore con editori diversi e in formati diversi, talvolta persino in collaborazione con altri artisti, e come il medesimo soggetto sia stato trattato anche da Hokusai in una serie di surimono.

Nelle similitudini,  si rintracciano, però, anche le peculiarità dei maestri: le opere di Hokusai hanno delle linee più marcate e pongono al centro della natura l’essere umano, mentre in quelle di Hiroshige  si riscontra un tocco più leggero e una preferenza per la natura e il mondo animale, usato in chiave simbolica.

Utamaro, invece, si differenzia notevolmente rispetto a Hiroshige e Hukusai. Secondo alcune teorie, pare sia nato ad Edo di fronte al  quartiere di piacere e sarebbe il figlio dei proprietari di una casa da tè. Leggenda o verità, una cosa è certa, la sua produzione artistica si concentra nella creazione di stampe erotiche e di ritratti di geishe, delle vere e proprie star dell’epoca. Al culmine del suo successo venne duramente colpito dalla dissolutezza del governo Shogun e condannato al carcere per aver pubblicato delle stampe su un romanzo storico censurato. La sua condanna fu esemplare, forse anche per via della notorietà di cui godeva che si rivelò un’arma a doppio taglio. Questa esperienza lo segnò così profondamente da stroncargli la carriera di artista.  Morirà qualche anno più tardi.

Conclusione della mostra e influenze artistiche

Il percorso si conclude con 15 volumi di Manga di Hokusai, una raccolta di immagini che dovevano fungere da manuali didattici per gli apprendisti e imporsi come punto di riferimento estetico per tutti gli artisti successivi. Il termine “manga” , infatti, significa letteralmente “schizzi sparsi” e si tratta, appunto di bozze che gli studenti potevano copiare per esercitarsi. 

Il fascino dell’ “immagine del Giappone” seppe conquistare molti pittori oltreoceano, tra cui Monet, Van Gogh, Degas, Toulouse‐Lautrec, che si lasciarono rapire dalla freschezza e della semplicità di forme e colori. Inconsapevolmente, i tre maestri hanno contribuito a  rivoluzionare il linguaggio pittorico della Parigi di fine Ottocento, plasmando i contorni della tecnica impressionista ed influenzando il Simbolismo e le Avanguardie, che giovarono del contatto con un’arte così diversa e altrettanto stimolante.

Mostra: Hokusai, Hiroshige, Utamaro. Luoghi e volti del Giappone che ha conquistato l’Occidente was last modified: dicembre 19th, 2016 by L'Interessante
19 dicembre 2016 0 commenti
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Medicina
CulturaIn primo piano

Medicina: Premio Nobel 2016 allo scienziato giapponese Yoshinori Ohsumi

scritto da L'Interessante

Medicina

Di Antonio Andolfi

Il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia 2016 è stato assegnato allo scienziato giapponese Yoshinori Ohsumi, per le sue scoperte sui meccanismi di autofagia, il meccanismo con cui le cellule riciclano parte del loro stesso contenuto

In medicina si iniziò a parlare di autofagia, termine che significa “mangiare se stessi”, nei primi anni Sessanta, quando si notò che una cellula è in grado di distruggere i propri contenuti racchiudendoli in una membrana, inviata poi ai lisosomi, gli organelli cellulari che si occupano dello smaltimento dei materiali.

Il termine autofagia fu inventato nel 1963 da Christian de Duve, ma per molti anni i ricercatori non hanno capito bene come funzionasse questo meccanismo, fondamentale per la vita.  Questo fino agli esperimenti di Ohsumi, negli anni ’90, che grazie ad alcuni brillanti intuizioni, riuscì a svelare i dettagli di questo sofisticato meccanismo.

L’autofagia controlla importanti funzioni fisiologiche nei componenti più basilari del corpo: fornisce molto velocemente combustibile alla cellula e permette il rinnovo dei suoi componenti. E’ pertanto fondamentale nella risposta alla mancanza di alimenti e altri tipi di stress.

Ha anche altre funzioni: dopo un’infezione, elimina i batteri e i virus; negli embrioni contribuisce alla differenziazione cellulare; serve per eliminare le proteine e gli organelli danneggiati, e in questo modo riesce a contrastare gli effetti negativi dell’invecchiamennto cellulare. Si è anche notato che il malfunzionamento dell’autofagia è collegato al Parkinson, al diabete di tipo 2 e ad altre patologie degli anziani.

Nel suo laboratorio di Tokyo Ohsumi condusse una serie di esperimenti con lieviti, identificando i geni che determinano i meccanismi dell’autofagia. Le cellule dei lieviti sono relativamente semplici da studiare e spesso usate come modello per i geni cruciali per i processi di organismi cellulari. Ma sono anche molto piccoli, e le loro strutture non sempre risultano facilmente distinguibili al microscopio.

Ohsumi  pensò che se fosse riuscito a disturbare il processo di degradazione nei vacuoli, gli organuli cellulari in cui avviene l’autofagia nei lieviti, gli autofagosomi, paragonabili ai “camion della nettezza urbana” delle cellule, si sarebbero accumulati nei vacuoli, fino a risultare visibili. Funzionò e Ohsumi riuscì a provare che l’autofagia avveniva anche nel lievito. Soprattutto, aveva a questo punto ideato un metodo per identificare i geni chiave coinvolti nel processo: analizzando migliaia di ceppi di lievito, identificò i 15 geni essenziali nel processo. E, a questo punto, passò a studiare l’autofagia nell’uomo.

Nel 2004 Ohsumi riassunse il suo studio su Nature. L’autofagia è fondamentale nel sistema immunitario dell’organismo: quando batteri come streptococco e salmonella infettano le cellule, vengono smaltiti anche con questo processo. Mentre altri patogeni come Listeria e Shigella riescono a sfuggire alla distruzione.

Yoshinori Ohsumi è nato nel 1945 a Fukuoka, in Giappone. Ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Tokyo nel 1974. Dopo aver trascorso tre anni alla Rockefeller University, New York, Stati Uniti, è tornato all’Università di Tokyo, dove ha stabilito il suo gruppo di ricerca nel 1988. Dal 2009 è professore presso il Tokyo Institute of Technology.

Medicina: Premio Nobel 2016 allo scienziato giapponese Yoshinori Ohsumi was last modified: ottobre 18th, 2016 by L'Interessante
18 ottobre 2016 0 commenti
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