L'Interessante
  • Home
  • Parliamone
    • Politica
    • Cronaca
    • Attualità
  • Cultura
    • Eventi
    • Teatro
    • Cinema
    • Tv
    • Libri
    • Musica
  • Sport
    • Basket
    • Calcio
    • Volley
  • Dall’Italia e dal Mondo
    • Notizie fuori confine
    • Curiosità
    • Indovina dove andiamo a cena
    • Viaggi Interessanti
  • Editoriale
  • Vignette Interessanti
  • Web Tv
Notizie Flash
1 MAGGIO: FESTA O…. LUTTO. UNA FESTA BEN...
CORONAVIRUS FASE 2 ……… GIU`LA “MASCHERINA
LA MUSICA DELLA GATTA CENERENTOLA COME PASS PER...
INTERNAZIONALI: LA COPPIA DI TAIWAN SI AGGIUDICA IL...
INTERNAZIONALI TENNIS ASSEGNATE LE WILD CARD. SABATO INIZIANO...
Michele Pagano: Il futuro è il mio presente
Da consumarci preferibilmente dopo morti: Officina Teatro incanta...
VALERIO BIANCHINI E LE SUE … BOMBE. AMARCORD...
Caso Weinstein. Dite alle donne che non siamo...
The Aliens ad Officina Teatro: vita, amicizia ed...

L'Interessante

  • Home
  • Parliamone
    • Politica
    • Cronaca
    • Attualità
  • Cultura
    • Eventi
    • Teatro
    • Cinema
    • Tv
    • Libri
    • Musica
  • Sport
    • Basket
    • Calcio
    • Volley
  • Dall’Italia e dal Mondo
    • Notizie fuori confine
    • Curiosità
    • Indovina dove andiamo a cena
    • Viaggi Interessanti
  • Editoriale
  • Vignette Interessanti
  • Web Tv
Tag

Medicina

morbillo
AttualitàIn primo piano

Morbillo e vaccini, tutto quello che c’è da sapere

scritto da L'Interessante

di Antonio Andolfi

Torniamo a parlare di morbillo, abbiamo visto che ci sono stati oltre 700 casi dall’inizio dell’anno, con un aumento del 230 per cento, e che la morte insorge solo in rari casi. Per fortuna abbiamo un’arma potentissima, il vaccino, che ha salvato tantissime vite. Purtroppo c’è ancora chi ha paura di vaccinare i propri figli. Questa paura è ingiustificata. Vi spieghiamo perché.

Come funziona il vaccino del morbillo?

Il vaccino contro il morbillo esiste da più di cinquantanni: è un vaccino vivo attenuato, cioè contiene il microrganismo in forma tale da far sviluppare la risposta immunitaria ma non da produrre la malattia. Ne fu creata una prima versione nel 1963 e una migliorata nel 1968.

Nel 1971 è stata formulata una combinazione che riunisce in un unico prodotto l’immunizzazione contro morbillo, parotite e rosolia: è il cosiddetto vaccino trivalente MPR. In Italia è disponibile dal 1976, mentre dall’inizio degli anni Novanta è disponibile la formulazione MPR. Dalla sua introduzione a oggi ne sono state somministrate in tutto il mondo oltre un miliardo di dosi.

In Italia il vaccino per il morbillo non è obbligatorio ma viene raccomandato dalle autorità sanitarie. La prima dose viene in genere somministrata tra i 12 e i 15 mesi di vita, dato che fin verso il nono mese di vita il neonato è protetto dagli anticorpi della madre (se ha avuto il morbillo o, per un periodo inferiore, se è vaccinata), con un richiamo a 5-6 anni. Anche ai giovani e agli adulti che non hanno avuto la malattia da piccoli è consigliata la vaccinazione, in due dosi a distanza di almeno quattro settimane l’una dall’altra.

Otto bambini su dieci non hanno alcun effetto collaterale dalla vaccinazione. Nel restante 20 per cento dei casi, ci possono essere alcuni effetti (che compaiono in genere tra 5 e 12 giorni dopo, nella fase in cui il virus attenuato si replica nell’organismo, e soprattutto dopo la prima dose). I più comuni sono una reazione locale con rossore, prurito o gonfiore nella zona dell’iniezione, febbre (in circa un caso su sei), una lieve eruzione cutanea che ricorda quella del morbillo (in una persona su 20), un ingrossamento dei linfonodi della gola e del collo (una persona su 75).

In circa un caso su 3mila, il bambino può avere convulsioni per la febbre, che non lasciano però conseguenze. In due-quattro casi ogni 100mila vaccinati si può verificare una piastrinopenia, ovvero un’alterazione della coagulazione del sangue che può causare emorragie: sono in genere non gravi, ma bisogna intervenire subito per trattarle

Lo shock anafilattico può verificarsi come per altri vaccini all’incirca in un caso ogni milione di vaccinati.

Riguardo all’encefalite, la complicazione più temibile dopo il morbillo, anche tra le fonti più attendibili si trovano informazioni contrastanti, che non la escludono in maniera assoluta dopo il vaccino, creando confusione e allarme. Il motivo è questo: dato che il virus naturale causa l’encefalite, c’è una plausibilità biologica per cui potrebbe farlo anche quello attenuato del vaccino. Questa possibilità non è però mai stata confermata in casi concreti. Si tende a credere che anche nei rarissimi casi in cui l’encefalite si è verificata dopo il vaccino, la persona fosse in realtà già infettata dal virus naturale. E in ogni caso, va ricordato che l’encefalite da morbillo è un rischio reale e molto concreto (un caso su mille), mentre quella da vaccino è un rischio solo ipotetico, mai accertato e che riguarderebbe nella peggiore delle ipotesi meno di un caso su un milione.

Esiste il rischio di autismo legato al vaccino del morbillo?

Questo non esiste: una mole ormai considerevole di studi non ha mai trovato alcun legame tra vaccino trivalente e rischio di autismo. La storia del presunto collegamento è nata negli anni Novanta, quando il medico inglese Andrew Wakefield sostenne in uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet che il vaccino potesse provocare un’infiammazione della parete intestinale e contribuire a mettere in circolo sostanze tossiche per il cervello.

Lo studio è stato smentito, la rivista stessa lo ha ritrattato dopo che è stato dimostrato che i dati erano stati falsificati, Wakefield è stato radiato dall’Ordine dei medici, ma la bufala continua a circolare, portando in Italia anche a sentenze di tribunale che in qualche modo sembrano legittimare il legame, ma che sono poi state ribaltate.

Gli esperti ritengono che, come per diverse altre vaccinazioni, anche quella contro il morbillo sia vittima del suo stesso successo: molte persone oggi non hanno mai avuto occasione di vedere un caso di morbillo, o di constatare quanto gravi possono essere le complicazioni portate dalla malattia, per cui si tende a credere che sia di fatto innocua. Gli effetti collaterali del vaccino, veri e presunti, vengono invece continuamente ricordati.

Questo fa sì che in Italia, come in altri paesi europei, la soglia delle vaccinazioni sia inferiore a quella del 95 per cento ritenuta necessaria per interrompere la circolazione del virus. L’eradicazione della malattia entro il 2015 è un obiettivo che per ora è stato mancato sia dal nostro che da diversi altri paesi.

Morbillo e vaccini, tutto quello che c’è da sapere was last modified: marzo 29th, 2017 by L'Interessante
29 marzo 2017 0 commenti
0 Facebook Twitter Google + Pinterest
morbillo
AttualitàIn primo piano

Morbillo e vaccini, tutto quello che c’è da sapere

scritto da L'Interessante

morbillo

di Antonio Andolfi

È una malattia grave o innocua? Quali sono gli effetti collaterali dei vaccini? Si può morire di morbillo? Ecco le risposte ai dubbi più comuni.

Il bambino di sei mesi ricoverato in ospedale ad Ancona, e la lettera nello studio del pediatra che accusa i genitori che non vaccinano. Un focolaio epidemico in un asilo nido milanese, con dodici bambini colpiti. L’aumento del 230 per cento dei casi appena denunciato dal ministro della Salute (oltre 700 casi dall’inizio dell’anno contro gli 844 complessivi del 2016). Una epidemia in Romania, con oltre 3mila casi da gennaio, e 16 morti.

Il morbillo continua a far parlare di sé. Su questa malattia si continua a sentir dire tutto e il contrario di tutto: che tantissimi dei quaranta-cinquantenni di oggi ci hanno fatto conti da bambini, senza alcun problema. Oppure che è una malattia grave e pericolosa. Dove sta la verità? Cerchiamo di fare chiarezza.

Che cos’è il morbillo, innanzitutto?

Il morbillo è una malattia infettiva causata da un virus. È molto contagiosa e colpisce soprattutto i bambini, ma non risparmia adolescenti e adulti. Oltre la metà dei casi in Italia si verifica nella fascia di età 15-39 anni. È diffuso in tutto il mondo, da noi colpisce di più tra la fine dell’inverno e la primavera.

Si trasmette per via respiratoria attraverso tosse e starnuti e attraverso le secrezioni nasali: il virus può rimanere attivo e contagioso nell’aria o sulle superfici infettate anche due ore.

Chi è infetto è contagioso da quattro giorni prima che compaiano le tipiche macchioline rosse fino a quattro giorni dopo. Il periodo di incubazione dura 10-12 giorni, e il decorso della malattia è tra i 10 e i 20 giorni. Una volta contratto, si è immuni contro il morbillo, teoricamente per tutta la vita. In Italia vige l’obbligo di notificare la malattia alle autorità sanitarie.

Quali sono i sintomi del morbillo?

Il più tipico è l’eruzione cutanea, che neppure per i medici, che vedono oggi molti meno casi di quelli di un tempo, è tanto facile da riconoscere e distinguere rispetto ad altre malattie, come la rosolia o la scarlattina. Prima ancora dei caratteristici puntini rossi compare di solito un forte raffreddore, congiuntivite, febbre sempre più alta.

Quali sono le possibili complicazioni del morbillo?

Otite, diarrea, polmonite sono le più frequenti, si verificano complessivamente in circa il 20-30 per cento dei casi. Ci sono anche complicazioni molto meno frequenti, ma assai più temibili.

Una di queste, in 1 caso su 1.000, è l’encefalite, un processo di infiammazione del cervello, mortale nel 10 per cento dei casi, e che può lasciare danni neurologici permanenti. Di encefalite morbillosa morì nel 1962, a sette anni, la figlia del celebre scrittore di libri per l’infanzia Roald Dahl, autore de La fabbrica di cioccolato.

C’è infine una complicanza del morbillo ancora più rara (un caso su 100mila) che può manifestarsi anche a distanza di anni dall’infezione con il virus del morbillo: è la panencefalite sclerosante subacuta (PESS), una malattia progressiva del cervello dagli effetti devastanti.

Ma non solo: il virus lascia nel sistema immunitario dei bambini strascichi che durano fino a tre anni dalla fine della malattia, lasciandoli vulnerabili a una serie di infezioni anche più gravi.

Si può morire di morbillo?

Sì. Prima dell’introduzione su larga scala del vaccino, le morti per morbillo erano oltre 2 milioni e mezzo l’anno. Tra il 2000 e il 2015, in tutto il mondo, i decessi causati dal virus sono diminuiti dell’80 per cento, ma ancora due anni fa, globalmente, sono stati circa 134mila o, detto in altri termini, 367 al giorno.

La stragrande maggioranza delle morti per morbillo si verifica nei bambini, in paesi africani e asiatici poveri, dove i bambini sono malnutriti o le strutture sanitarie carenti, non in grado di trattare con mezzi adeguati la disidratazione provocata dalla diarrea o la polmonite. Ma di morbillo si muore ancora anche nei paesi industrializzati: tra il 2005 e il 2013 ci sono state 24 morti in Bulgaria, 17 in Romania, 10 in Francia, 4 in Italia, 3 in Germania e in Gran Bretagna.

Per fortuna esistono i vaccini che hanno salvato tante vite, ma purtroppo, negli ultimi anni, la popolazione ha sempre più paura di vaccinare i propri figli. Se anche voi avete paura allora leggete la seconda parte, in cui parleremo di vaccini.

 

 

Morbillo e vaccini, tutto quello che c’è da sapere was last modified: marzo 29th, 2017 by L'Interessante
29 marzo 2017 0 commenti
0 Facebook Twitter Google + Pinterest
meningite
AttualitàCronacaIn primo pianoParliamone

Meningite: domande e risposte

scritto da L'Interessante

Meningite

Le due studentesse della Statale di Milano morte a distanza di pochi mesi l’una dall’altra, l’imprenditore di 59 anni deceduto il 10 dicembre nel bresciano, il focolaio in Toscana, la maestra di Roma… I casi di meningite che finiscono sulle cronache allarmano e spaventano, tanto che c’è chi parla di epidemia. È davvero così? Rispondiamo a questa e ad altre domande comuni.

Meningite. C’è un aumento dei casi?

NO: per i tre patogeni principali prevenibili con la vaccinazione – meningococco, pneumococco e Haemophilus influenzae – l’andamento non è sostanzialmente cambiato negli ultimi anni. Pochi giorni fa sono usciti gli ultimi dati. Si può quindi dire che in generale il quadro è stabile, a parte il focolaio della Toscana, in corso dal gennaio 2015, in cui c’è in effetti stato un aumento piuttosto marcato dei casi negli ultimi due anni. Le meningiti da meningococco sono state 35 nel 2016 e 38 nel 2015, mentre negli anni precedenti i casi erano 10-15 l’anno. In Lombardia, le meningiti da meningococco sono state 29 nel 2016 e 34 nel 2015, un numero in linea con gli anni precedenti.

Di quale tipo sono i casi in Toscana?

Il focolaio di casi recenti in Toscana e anche i casi delle due studentesse a Milano riguardano il meningococco C, in particolare quello del gruppo clonale 11. È un ceppo che circola anche in Europa e ha come caratteristica quella di essere particolarmente trasmissibile e di provocare quadri clinici piuttosto gravi. Il ceppo di Milano però non è identico a quello della Toscana, anche se fanno parte della stessa famiglia. Di meningococco esistono poi altri sottotipi, come il B, l’Y, il W. Il meningococco è in generale un “sorvegliato speciale”:  i casi sono assai meno numerosi di quelli della malattia invasiva da pneumococco – circa un migliaio ogni anno in Italia – ma spesso danno dei quadri clinici particolarmente gravi.

 Alcune delle persone che si sono ammalate in Toscana erano vaccinate. Come è possibile?

Delle 58 persone colpite da meningite da meningococco C in Toscana da gennaio 2015 a oggi, una decina erano vaccinate. È un fatto che i ricercatori stanno studiando e valutando, approfondendo ogni singolo caso. Di queste dieci persone, circa la metà si era vaccinata parecchi anni fa, e può darsi che questo fatto indichi che con il tempo l’immunità svanisce ed è necessario un richiamo. Come ogni vaccino, in ogni caso, anche quello contro il meningococco non conferisce una protezione al 100 per cento. Sembra però che la malattia, anche se contratta, sia in forma più lieve in chi è vaccinato rispetto a chi non lo è.

 Che cosa si sa dei portatori sani, coloro che hanno il batterio della meningite ma non si ammalano?

Secondo i dati della letteratura scientifica, il 10 per cento circa degli individui è portatore, ma la percentuale cambia anche a seconda delle fasce di età. Negli adolescenti, per esempio, la percentuale di portatori è più elevata, probabilmente anche a causa degli stili di vita: i ragazzi hanno più occasione di stare insieme in ambienti chiusi. Perché il portatore non si ammali è una questione cui al momento gli infettivologi non sanno rispondere, ed è uno degli interrogativi su cui si sta lavorando. Si sa però che lo stato di portatore è transitorio: uno può esserlo per 3, 6, magari anche 12 mesi, e poi smettere di esserlo.

Quali vaccini sono disponibili?

Contro diverse forme di meningite, ma non contro tutte, sono disponibili i vaccini. Proteggersi con un vaccino non significa proteggersi da tutte le forme di meningite. E in ogni caso la protezione, anche se piuttosto alta, come abbiamo visto non è completa. I vaccini contro lo pneumococco, l’Hemophilus influenzae e il meningococco di tipo C sono offerti nel programma vaccinale delle regioni ai bambini piccoli, e la copertura è abbastanza alta. Esiste anche un vaccino contro il meningocco B, offerto da poco in alcune regioni ai nuovi nati.

 Anche gli adulti dovrebbero vaccinarsi?

A parte il caso dello pneumococco, in cui la vaccinazione è raccomandata anche agli anziani, finora i vaccini contro i batteri della meningite erano raccomandati solo ai bambini. Con l’inizio del focolaio, la Toscana ha iniziato una campagna di vaccinazione straordinaria contro il meningococco di tipo C, offrendolo gratuitamente anche agli adulti nelle province di Firenze, Prato e Pistoia, quelle in cui si è verificato il maggior numero di casi. In Lombardia, anche se non c’è un allarme particolare, è stata annunciata la possibilità di vaccinarsi contro il meningococco, a partire dal 2017, con una compartecipazione di spesa.

 Chi dal resto d’Italia si reca per lavoro o turismo in Toscana dovrebbe vaccinarsi?

Chi ci va occasionalmente per un viaggio no, perché in pratica è esposto allo stesso rischio che se rimanesse a casa. Per chi si dovesse trasferire per settimane o mesi nelle province dove si sono verificati i casi, e magari fa un lavoro a contatto con molte persone, il vaccino può essere consigliato.

Come funziona la meningite da Escherichia Coli?

La maestra di Roma morta il giorno di Santo Stefano al policlinico Gemelli per meningite aveva sviluppato una forma dovuta a Escherichia coli, un batterio che comunemente si trova nel nostro intestino e si trasmette con le feci. Molte persone ce l’hanno senza avere alcun problema. Può dare luogo più facilmente a infezioni del tratto urinario, in rarissimi casi alla meningite, di solito però in neonati o anziani immunodepressi o debilitati. E soprattutto non si trasmette da persona a persona o con contatto diretto e quindi la profilassi antibiotica in questi casi è superflua.

Meningite: domande e risposte was last modified: gennaio 12th, 2017 by L'Interessante
12 gennaio 2017 0 commenti
2 Facebook Twitter Google + Pinterest
Vaccini
AttualitàIn primo pianoParliamone

Vaccini: facciamo un po’ di chiarezza

scritto da L'Interessante

Vaccini.

di Antonio Andolfi

Il tema dei vaccini è sempre caldo e le polemiche sempre troppo accese. Tutto questo rischia di offuscare altre informazioni, più importanti e fondamentali per esempio su come i vaccini agiscono e sugli episodi a volte curiosi che hanno portato alla loro scoperta. Facciamo un po’ di chiarezza.

Perché i vaccini funzionano?

I vaccini si basano sulla capacità del sistema immunitario di riconoscere gli agenti infettivi già incontrati, e di reagire prontamente per eliminarli prima che danneggino l’organismo.

A scoprire questo principio fu l’inglese Edward Jenner (1749-1823). Ancora studente, Jenner incontrò una mungitrice durante una passeggiata. Sebbene fosse in corso un’epidemia di vaiolo, la ragazza disse di non temerlo.

Molti anni dopo, Jenner capì che la giovane era immune perché il vaiolo dei bovini rendeva i pastori resistenti alla forma umana. Per dimostrarlo, estrasse il liquido delle vesciche del vaiolo bovino e lo inoculò a un bimbo di 8 anni. Due mesi dopo gli iniettò anche del materiale infetto prelevato da un malato: il bimbo non si ammalò.

Come sono fatti i vaccini?

Esistono tre tipi di vaccini. Quelli contro morbillo, parotite, rosolia e varicella contengono i virus da cui ci si vuole proteggere, ma “attenuati”: trattati cioè in modo che non possano replicarsi e scatenare la malattia.

Quelli contro la poliomielite, l’epatite A e, a volte, l’influenza contengono invece i virus uccisi.

Esistono infine vaccini preparati solo con alcune porzioni dell’agente infettivo: questo è già sufficiente ad attivare la protezione immunitaria. Sono fatti così i vaccini contro il papilloma virus, la difterite, il tetano, la pertosse, l’Haemophilus influenzae, lo pneumococco e il meningococco.

Vaccini. Tenere alta la guardia!

La prima vaccinazione obbligatoria in Italia è stata l’antivaiolosa, introdotta a partire dal 1888. La seconda è stata l’antidifterica, dal 1939. Il virus del vaiolo non esiste più in natura e per questo non è più necessario vaccinarsi. Bisogna invece continuare a proteggersi dalle altre malattie perché, anche se non sono presenti in Italia o sono molto rare, potrebbero tornare.

Il cuoco somalo Ali Maow Maalin è stato l’ultimo a contrarre da un malato la forma più lieve del virus del vaiolo, nel 1977. Nel 1975, in Bangladesh, la piccola Rahima Banu Begum, di appena due anni, era stata invece l’ultima a prendere la forma più seria della malattia. Entrambi sono sopravvissuti. Ali si è in seguito impegnato in campagne a favore della vaccinazione antipolio ed è morto nel 2014. Rahima si è sposata a 18 anni e ha avuto almeno 4 figli.

Nel 1978, durante una visita a un laboratorio inglese, la fotografa Janet Parker si infettò accidentalmente con il virus e morì un mese dopo. È stata l’ultima vittima del vaiolo. Il virus è ancora conservato in due laboratori di massima sicurezza, uno in Russia e l’altro negli Stati Uniti.

Vaccini e bufale

Nel 1998, la rivista Lancet pubblicò un articolo del medico inglese Andrew Wakefield, che collegava la vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia all’autismo. In seguito, altri studi non confermarono il dato e si scoprì che Wakefield aveva ricevuto 435.000 sterline dagli avvocati di alcuni genitori, che volevano avere un risarcimento per la malattia dei figli, attribuendola proprio al vaccino.

Lancet ritirò l’articolo e Wakefield fu radiato dall’Ordine e quindi non è più un medico. Nonostante le smentite, la copertura vaccinale nel Regno Unito passò dal 92 all’80%, e i casi di morbillo da 56 (nel 1998) a circa 1.400 (nel 2008). In Italia, dove l’effetto è stato ritardato, una bambina di 4 anni, non vaccinata, è morta nel 2014.

Il mercurio non è contenuto nei preparati in uso oggi. Fino agli anni Novanta era presente un sale dell’etilmercurio (chiamato tiomersale), che serviva da conservante. A differenza del metilmercurio, che è tossico, l’etilmercurio è metabolizzato dall’organismo e non danneggia il sistema nervoso. Nonostante questo, per fugare ogni sospetto, anche il tiomersale è stato comunque eliminato. Sono anche stati smentiti possibili legami fra vaccini e leucemia infantile, diabete di tipo 1 e sclerosi multipla.

I veri effetti collaterali dei vaccini

Al di là delle leggende, gli effetti collaterali dei vaccini più diffusi sono: per la vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia: reazioni allergiche gravi o encefalite (1 caso su un milione), riduzione delle piastrine nel sangue (1 caso su 100.000). Per l’esavalente (contro epatite B, difterite, pertosse, Haemophilus influenzae, poliomelite e tetano): reazioni allergiche gravi (1 caso su un milione), convulsioni febbrili (1 o 2 casi su 10.000). I vaccini possono causare nei giorni seguenti malessere, febbre, gonfiore, arrossamento e dolore nella zona della puntura.

In tutti i casi, poiché le malattie per cui ci si vaccina sono potenzialmente letali, è di gran lunga più pericoloso ammalarsi che vaccinarsi.

L’  “effetto gregge”

Solitamente i neonati sono vaccinati a partire dal terzo mese e l’iter si completa a 5-6 anni, con i richiami. Prima di allora potrebbero quindi contrarre gravi malattie, se entrano in contatto con una persona infetta. 

Neppure può vaccinarsi chi è allergico ai vaccini o è portatore di alcune rare malattie. Per proteggersi, tutti costoro devono quindi contare sugli altri. Infatti, quando la percentuale di chi si vaccina è molto alta, gli agenti infettivi non riescono a circolare e a scatenare epidemie, e quindi tutti sono al sicuro. In termini tecnici, questo fenomeno si chiama “immunità di gregge”. Per il morbillo, per esempio, una copertura vaccinale del 95% mette in sicurezza anche chi non può vaccinarsi. L’immunità di gregge consente inoltre di proteggere quella piccola quota di persone che, pur vaccinandosi, non acquisiscono una protezione completa.

Chi è in partenza per una destinazione esotica e ha dimenticato di vaccinarsi, può farlo anche all’ultimo momento. Le vaccinazioni andrebbero programmante con circa due mesi di anticipo, ma per alcune malattie (non per tutte) si possono seguire procedure accelerate, che conferiscono una protezione di breve durata, e che in qualche caso necessitano di un richiamo una volta tornati. In alcuni Paesi è tuttavia obbligatorio esibire un certificato che attesti che ci si è immunizzati contro la febbre gialla o la meningite meningococcica. Chi non lo ha non può uscire dall’aeroporto.

Vaccinare la madre in gravidanza contro l’influenza protegge anche il bambino che nascerà. Infatti, i figli delle donne che si vaccinano nel secondo o terzo trimestre (come peraltro è raccomandato) vedono diminuire del 40% il rischio di ammalarsi. Infatti, attraverso la placenta, il nascituro acquisisce gli anticorpi contro il virus influenzale prodotti dalla madre vaccinata. Questa pratica è quindi altamente consigliata, perché protegge il bambino in un periodo particolarmente vulnerabile della sua vita.

Vaccini: facciamo un po’ di chiarezza was last modified: gennaio 12th, 2017 by L'Interessante
12 gennaio 2017 0 commenti
1 Facebook Twitter Google + Pinterest
crionica
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Crionica, la scienza dell’ibernazione post mortem

scritto da L'Interessante

crionica

di Antonio Andolfi

Una 14enne britannica ha ottenuto, poco prima di morire di cancro, il permesso di conservare al freddo il proprio corpo in attesa di un futuro risveglio. Ma con quali speranze, realisticamente?

Nel Regno Unito, un giudice ha appoggiato la volontà di una 14enne malata terminale di una rara forma di tumore di non essere sepolta ma crioconservata, dopo la morte, nella speranza di poter essere riportata in vita in futuro.

La giovane, non ancora maggiorenne, doveva rimettersi alle disposizioni dei genitori: il tribunale ha stabilito che la madre della ragazza, che a differenza del padre appoggiava la sua decisione, fosse l’unica a poter decidere che cosa fare del corpo della figlia dopo la sua morte.

Dopo il decesso, la salma è stata quindi affidata a una società privata che si occupa di crionica (la criopreservazione di uomini e animali dopo la morte) per essere criocongelata e trasportata da Londra agli Stati Uniti, dove sarà conservata. Il tutto al costo di 37.000 sterline – poco più di 43.000 euro.

Crionica: uno scenario realistico?

Al di là del rispetto delle volontà di ciascuno, quante speranze ci sono, dal punto di vista scientifico, che un corpo umano ibernato possa un giorno risvegliarsi dalla morte? Se la risposta sfiora i confini della fantascienza, limitiamoci ad analizzare due aspetti distinti: quello dei tessuti e quello delle connessioni neurali.

Per il primo aspetto, un grande passo in avanti è stato quello della vetrificazione dei tessuti biologici, cioè la loro solidificazione senza formazione di cristalli di ghiaccio.

L’uomo non è fatto per essere “surgelato” e poi scongelato. Se le nostre cellule congelano, i cristalli di ghiaccio che si formano al loro interno finiscono, mano a mano che si espandono, per distruggerle: quando il corpo ritorna a una temperatura normale, dei tessuti congelati non rimane che poltiglia, come sanno bene gli esploratori artici.

La vetrificazione sostituisce il sangue con un cocktail di sostanze antigelo che, sotto ai – 0 °C, rende il liquido iniettato solido come vetro.

La tecnica funziona bene su piccoli campioni di tessuto, su embrioni e cellule uovo nei trattamenti per la fertilità. Recentemente ha permesso di criopreservare e poi “scongelare” un cervello di coniglio, lasciandolo in perfetto stato (almeno esternamente).

Tuttavia non è mai stata testata su organi umani, nemmeno per i trapianti, ed è per adesso impossibile affermare che possa mantenere un intero organismo in perfetto stato.

Rimane poi il problema non marginale del “contenuto”. 

Crionica: dentro all’involucro

Memoria, carattere, personalità sono il prodotto di connessioni neurali, una rete che non è verosimile sperare di poter congelare e preservare in eterno. Si è speculato sulla possibilità di “scaricare” il contenuto del cervello in un computer e far rivivere il defunto in un robot, anziché tentare di riportarne in vita il corpo.

Ma non esiste alcun computer in grado di riprodurre la galassia astronomica dei rapporti tra i 100 miliardi di neuroni del cervello umano, e anche se un giorno ci fosse, secondo i neuroscienziati, non riuscirebbe ad esaurire la complessità della mente umana.

 

Crionica, la scienza dell’ibernazione post mortem was last modified: novembre 22nd, 2016 by L'Interessante
22 novembre 2016 0 commenti
0 Facebook Twitter Google + Pinterest
Veronesi
CulturaIn primo piano

Il ricordo di Umberto Veronesi

scritto da L'Interessante

Veronesi

di Antonio Andolfi

ll più grande oncologo italiano, uno dei migliori del mondo, è morto a 90 anni. Era stato ministro della Sanità ed è stato uno dei principali fautori delle leggi contro il fumo.

Umberto Veronesi è morto a Milano martedì 8 novembre all’età di 90 anni. Era nato a Milano il 25 novembre 1925 (avrebbe compiuto 91 anni tra meno di un mese) ed era uno dei più noti oncologi del mondo.

Dopo aver diretto l’Istituto dei Tumori di Milano nel 1991, sempre a Milano, aveva fondato l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), un modello di ospedale oncologico innovativo che si basa su 3  principi: centralità del paziente, integrazione fra la ricerca di laboratorio e ricerca clinica, prevenzione. Ministro della Salute tra il 2000 e il 2001 nel governo Amato (allora si chiamava ancora Ministero della Sanità), si era battuto per far approvare le norme che limitano il fumo nei locali pubblici.

Veronesi e la scienza

Se la figura di Umberto Veronesi è molto nota e stimata in Italia è anche per il ruolo che ha avuto nella vita pubblica: come divulgatore infaticabile; come protagonista del dibattito etico sui temi della medicina, dell’eutanasia, della cura dei malati; come medico e imprenditore della sanità. Ma il suo ruolo scientifico è altrettanto importante e noto soprattutto al di fuori dei confini nazionali. Perché prima di tutto Umberto Veronesi era un chirurgo. Un grandissimo chirurgo. È a lui che dobbiamo la tecnica della quadrantectomia per estirpare il tumore alla mammella. Si tratta di un intervento che ha un impatto estetico (e pertanto anche psicologico) molto meno invasivo ma altrettanto efficace della mastectomia, ovvero l’asportazione chirurgica del seno.  

Nel 1981 pubblica i dati della sua ricerca sulla quadrantectomia sul New England Journal of Medicine, uno studio condotto dai medici e chirurghi italiani dell’Istituto dei Tumori di Milano. Il  New York Times riprende la notizia in prima pagina e la notorietà di Veronesi, fino ad allora relegata al pubblico degli addetti ai lavori, decolla. E decolla anche la sua tecnica, rivoluzionaria, che cambia per sempre la chirurgia del tumore alla mammella.

È questo il periodo in cui l’Italia, Milano, l’Istituto dei Tumori fa scuola a tutti i medici del mondo, statunitensi compresi. Merito di un oncologo, Gianni Bonadonna, di un grande chirurgo, Umberto Veronesi, e della sua idea rivoluzionaria: il cancro non si combatte da soli, ma in gruppo. E si vince con la ricerca.

 Nel  1993, all’IEO, la sua creatura nel quale anche a 90 anni si recava per 3 giorni alla settimana,  sviluppa la tecnica del “linfonodo sentinella”. Come funziona questa tecnica? Veronesi e gli altri ricercatori dello IEO si resero conto dell’importanza di intercettare tempestivamente i carcinomi piccoli perché in questi casi le cellule cancerose non facevano in tempo a raggiungere i linfonodi dell’ascella, per cui non era necessario asportarli. Mentre il paziente è ancora in sala operatoria, si inietta un liquido radioattivo che individua il linfonodo sentinella, quello più vicino al tumore, lo si analizza e se è sano si evita di togliere tutti gli altri, che sono una barriera protettiva naturale del nostro sistema immunitario.

 Nel 2000 Veronesi rivoluziona la radioterapia con la cosiddetta radioterapia intraoperatoria, resa possibile quando un gruppo di ingegneri e fisici romani riesce ad assemblare un macchinario per la radioterapia così piccolo e mobile da poterlo portare in sala operatoria. Grazie a questa tecnica le pazienti non devono tornare in ospedale ogni giorno per 6 settimane circa dopo l’operazione per le consuete (e fondamentali) sedute di radioterapia. Ma l’efficacia della tecnica, naturalmente, non è limitata soltanto al confort delle pazienti: la radioterapia intraoperatoria riduce il campo dell’irradiazione del seno e limita al minimo l’irradiazione nelle zone vicine che potrebbero essere danneggiate senza ricevere benefici.

Proprio per queste innovazioni ha ricevuto tredici lauree honoris causa, nazionali e internazionali.

Veronesi. L’importanza della sua figura

Difensore dei diritti degli animali, vegetariano e molto attento al ruolo dell’alimentazione nella prevenzione dei tumori e nella tutela della salute, sostenitore del testamento biologico, dell’eutanasia e dei diritti del malato, della fecondazione eterologa,  nel 2003 ha anche creato la fondazione Veronesi per sostenere la ricerca e la divulgazione scientifica.

Il suo ruolo nel dibattito etico ha travalicato il campo della medicina e della salute: si è battuto contro la pena di morte, l’ergastolo e per la riforma del sistema carcerario. Per questo motivo ha creato e sostenuto l’iniziativa Science for Peace.

Fervente antiproibizionista, ha promosso la depenalizzazione dell’uso delle droghe leggere e più volte sostiene l’importanza di una regolamentazione dei derivati della cannabis, soprattutto per i suoi usi terapeutici in materia di terapia del dolore.

Nel campo della sanità ha sostenuto la centralità della ricerca. Per questo ha promosso la creazione degli Irrcs, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, e ha cercato di convincere la politica (prima da ministro della salute, poi da senatore) che la ricerca pubblica è una priorità: senza sono le aziende a fare il bello e il cattivo tempo.

Umberto Veronesi faceva parte di una generazione di medici che hanno fatto la storia della medicina in Italia e che sono cresciuti all’interno dell’Istituto Tumori di Milano, il primo luogo di cura che ha approcciato la malattia oncologica con l’occhio della modernità.

Tutti i malati oncologici, e AIRC in particolare, devono molto alla sua lungimiranza di medico e scienziato e alla sua instancabile tenacia nel perseguire l’obiettivo di terapie più umane, efficaci e accessibili a tutti.

A Veronesi si deve la nascita della Giornata per la Ricerca sul Cancro nel 1998, una delle attività più qualificanti di AIRC, che ancora oggi ogni anno informa la cittadinanza sui risultati raggiunti per la cura del cancro e sull’importanza di sostenere il lavoro dei ricercatori.

 

 

Il ricordo di Umberto Veronesi was last modified: novembre 17th, 2016 by L'Interessante
17 novembre 2016 0 commenti
1 Facebook Twitter Google + Pinterest
Medicina
CulturaIn primo piano

Medicina: Premio Nobel 2016 allo scienziato giapponese Yoshinori Ohsumi

scritto da L'Interessante

Medicina

Di Antonio Andolfi

Il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia 2016 è stato assegnato allo scienziato giapponese Yoshinori Ohsumi, per le sue scoperte sui meccanismi di autofagia, il meccanismo con cui le cellule riciclano parte del loro stesso contenuto

In medicina si iniziò a parlare di autofagia, termine che significa “mangiare se stessi”, nei primi anni Sessanta, quando si notò che una cellula è in grado di distruggere i propri contenuti racchiudendoli in una membrana, inviata poi ai lisosomi, gli organelli cellulari che si occupano dello smaltimento dei materiali.

Il termine autofagia fu inventato nel 1963 da Christian de Duve, ma per molti anni i ricercatori non hanno capito bene come funzionasse questo meccanismo, fondamentale per la vita.  Questo fino agli esperimenti di Ohsumi, negli anni ’90, che grazie ad alcuni brillanti intuizioni, riuscì a svelare i dettagli di questo sofisticato meccanismo.

L’autofagia controlla importanti funzioni fisiologiche nei componenti più basilari del corpo: fornisce molto velocemente combustibile alla cellula e permette il rinnovo dei suoi componenti. E’ pertanto fondamentale nella risposta alla mancanza di alimenti e altri tipi di stress.

Ha anche altre funzioni: dopo un’infezione, elimina i batteri e i virus; negli embrioni contribuisce alla differenziazione cellulare; serve per eliminare le proteine e gli organelli danneggiati, e in questo modo riesce a contrastare gli effetti negativi dell’invecchiamennto cellulare. Si è anche notato che il malfunzionamento dell’autofagia è collegato al Parkinson, al diabete di tipo 2 e ad altre patologie degli anziani.

Nel suo laboratorio di Tokyo Ohsumi condusse una serie di esperimenti con lieviti, identificando i geni che determinano i meccanismi dell’autofagia. Le cellule dei lieviti sono relativamente semplici da studiare e spesso usate come modello per i geni cruciali per i processi di organismi cellulari. Ma sono anche molto piccoli, e le loro strutture non sempre risultano facilmente distinguibili al microscopio.

Ohsumi  pensò che se fosse riuscito a disturbare il processo di degradazione nei vacuoli, gli organuli cellulari in cui avviene l’autofagia nei lieviti, gli autofagosomi, paragonabili ai “camion della nettezza urbana” delle cellule, si sarebbero accumulati nei vacuoli, fino a risultare visibili. Funzionò e Ohsumi riuscì a provare che l’autofagia avveniva anche nel lievito. Soprattutto, aveva a questo punto ideato un metodo per identificare i geni chiave coinvolti nel processo: analizzando migliaia di ceppi di lievito, identificò i 15 geni essenziali nel processo. E, a questo punto, passò a studiare l’autofagia nell’uomo.

Nel 2004 Ohsumi riassunse il suo studio su Nature. L’autofagia è fondamentale nel sistema immunitario dell’organismo: quando batteri come streptococco e salmonella infettano le cellule, vengono smaltiti anche con questo processo. Mentre altri patogeni come Listeria e Shigella riescono a sfuggire alla distruzione.

Yoshinori Ohsumi è nato nel 1945 a Fukuoka, in Giappone. Ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Tokyo nel 1974. Dopo aver trascorso tre anni alla Rockefeller University, New York, Stati Uniti, è tornato all’Università di Tokyo, dove ha stabilito il suo gruppo di ricerca nel 1988. Dal 2009 è professore presso il Tokyo Institute of Technology.

Medicina: Premio Nobel 2016 allo scienziato giapponese Yoshinori Ohsumi was last modified: ottobre 18th, 2016 by L'Interessante
18 ottobre 2016 0 commenti
1 Facebook Twitter Google + Pinterest
Gravidanza
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo piano

Gravidanza: le nuove tecnologie in medicina

scritto da L'Interessante

Gravidanza

Gravidanza

Di Antonio Andolfi

Come nasce la vita? Grazie alle più moderne tecniche diagnostiche, possiamo vedere e sentire il nascituro. Ecco il diario lungo nove mesi: dal concepimento alla trentottesima settimana di gestazione.

L’incontro e l’unione di due cellule specializzate, i gameti, l’uno derivante dall’uomo (lo spermatozoo) e l’altra della donna (la cellula uovo), dà origine alla vita. Gli spermatozoi, emessi con il liquido seminale, sono in quantità variabile da 40 a 120 milioni per cc. Con l’eiaculazione entrano nell’organo femminile, alla velocità di 2/3 millimetri al minuto e devono percorrere una distanza di circa 100/150 mm.

Cominciato con due cellule che si uniscono, questo sorprendente viaggio è una sorta di fabbrica di cellule. Da questa cellula se ne originano due, poi quattro e così via. Fino a 8, sono uguali e indifferenziate (si chiamano totipotenti, perché ognuna può originare qualsiasi altra cellula dell’organismo). Questo ammasso, inizialmente formato da poche cellule, in 9 mesi aumenterà di 200 miliardi di volte. Quattro giorni dopo la fertilizzazzione siamo solo a 16 cellule,  chiamate blastomeri, che ancora non sono impiantate nell’utero. Questo stato di suddivisione è chiamato morula. Al 14°giorno prende il nome di blastula, composta da 100-150 cellule.

A sei settimane l’embrione fluttua nel liquido amniotico che lo protegge. E’ attaccato alla placenta attraverso il cordone ombelicale: da qui riceve i nutrienti e l’ossigeno necessario per lo sviluppo, ma vengono anche eliminate sostanze come l’anidride carbonica e i rifiuti di metabolismo.

La placenta consente il passaggio delle molecole piccole ma non fa passare quelle più grandi come le ematiche, creando un’importante difesa. Nel caso per esempio che il bambino abbia una composizione sanguigna incompatibile  con quella della madre, potrebbe scattare una risposta immunitaria per espellere il “corpo estraneo”.

A questo stadio l’embrione misura tra i 13 e i 22 millimetri di lunghezza. Le dita dei piedi e delle mani iniziano a configurarsi e a separarsi.

Nell’ottava settimana di gestazione si sviluppano corpo e arti. In questa fase i muscoli contengono fibre nervose, il sistema neurologico ha cominciato a funzionare. La differenziazione delle cellule nei vari organi è molto più importante della crescita.

Aggrappato al cordone ombelicale, il feto cresce, 6 centimetri di lunghezza per una ventina di grammi, e comincia a muovere braccia e gambe nella placenta. Gli occhi sono formati, ma le palpebre rimangono serrate. All’interno del grembo materno il feto è circondato dal buio totale, anche se è probabilmente in grado di percepire variazioni di luminosità esterna. Alcuni esperimenti hanno rivelato infatti che indirizzando un fascio di luce intensa sull’addome della mamma, il feto si agita e le sue pulsazioni accelerano di 15 al minuto.

Tra la fine del primo trimestre e l’inizio del secondo il feto non sa sopravvivere autonomamente, ma possiede già sistemi e funzioni avanzate.I dentini si formano all’interno delle gengive, crescono le unghie, le costole e le vertebre iniziano il processo di ossificazione che consente alle cartilagini di diventare ossa. 

Un feto alla diciannovesima settimana di gestazione è coperto da una diffusa lanugine, destinata a scomparire prima del parto: resterà solo quella del cranio. In realtà, alla nascita alcuni bambini hanno più capelli di altri. Ciò è dovuto al fatto che durante il sesto mese di gestazione si sviluppano i follicoli piliferi.

Il viso nel feto si forma molto presto, già a 25 giorni dalla fecondazione, quando dall’embrione, che è poco più di un fagiolo, spuntano tre escrescenza, gli “archi branchiali”. Questi si fondono fino a formare fronte, faccia e gola. Solo dopo altre 6-7 settimane la faccia acquista l’aspetto umano. Il feto, alla ventesima settimana, è lungo circa 19 centimetri e pesa 500 grammi: siamo circa a metà del viaggio.

A partire dal sesto mese si registrano reazioni da parte del nascituro agli stimoli sonori che lo circondano: il flusso regolare del sangue materno, il ritmo costante del battito cardiaco e la voce della mamma. Ma non solo. Se dall’esterno provengono rumori troppo forti, il piccolo reagisce con un’accelerazione del battito del cuore e movimenti di gambe e braccia. Inoltre il feto è sensibile alla musica: si è scoperto che un brano di musica classica, come quello di Mozart e Vivaldi, lo tranquillizza.

Già al quarto mese il sesso del nascituro è evidente. A questo stadio della gestazione i movimenti del feto sono facilmente percepibili dalla madre. Inoltre il piccolo affina la tecnica che lo porterà alla nascita a succhiare il latte materno.

L’ecografia è una tecnica diagnostica basata sugli ultrasuoni usata per vedere l’interno del corpo umano e in questo caso, l’interno dell’utero. Negli ultimi anni si sta sviluppando l’ecografia bidimensionale, che consente di vedere l’interno come se fosse una sezione, e quella tridimensionale. Una visione straordinaria nel grembo materno la consente l’ecografia 4D che visualizza l’immagine tridimensionale in movimento e in tempo reale: si vede così il feto che muove le manine, succhia o gioca con il cordone ombelicale. Ai raggi X, la sagoma del feto è evidente dalla trentesima settimana, questa tecnica viene usata anche per i gemelli. I parti gemellari sono circa l’1% e i gemelli si distinguono in omozigoti (identici) e dizigotici (non identici).

A questo punto il bambino è pronto per la nascita. Un viaggio straordinario che, grazie alle nuove tecnologie, diventa ancora più magico, perché la nascita di un figlio è sempre magica.

Gravidanza: le nuove tecnologie in medicina was last modified: ottobre 6th, 2016 by L'Interessante
6 ottobre 2016 0 commenti
1 Facebook Twitter Google + Pinterest
Scienza DNA
CuriositàDall'Italia e dal MondoIn primo pianoNotizie fuori confine

Scienza: neonato dal DNA di tre persone

scritto da L'Interessante

Dna

Di Antonio Andolfi

A prima vista sembra una notizia di fantascienza, invece è realtà.

Il 6 Aprile 2016 è nato un bambino, figlio di una coppia giordana, il primo a incorporare il DNA di tre adulti, assemblato con una nuova tecnica che ha permesso al neonato di non ereditare dalla madre una grave malattia neurodegenerativa

La donna è portatrice sana della sindrome di Leigh, una patologia letale che colpisce il sistema nervoso in fase di sviluppo, e che aveva già causato diversi lutti nella famiglia.

La coppia si è così rivolta a John Zhang, primario del New Hope Fertility Centre di New York, il quale, per compiere la procedura, proibita negli Stati Uniti,  si è recato in Messico, dove non esistono leggi a riguardo.

La sindrome di Leigh è riconducibile a mutazioni in 75 geni: in gran parte dei casi, i geni difettosi si trovano nel DNA nucleare, all’interno del nucleo delle cellule, ma in un caso su 5 queste mutazioni sono a carico del DNA mitocondriale. I mitocondri sono le “centrali energetiche” delle cellule e hanno un corredo di 37 geni che ereditiamo direttamente dalla madre.

Per evatare che il feto ereditasse la malattia, Zhang e i suoi colleghi, sono ricorsi ad una variante della “fecondazione in vitro con tre genitori”.

Nel Regno Unito è stata recentemente approvata una tecnica che prevede che sia la cellula uovo della madre, sia quella di una donatrice siano fecondate con gli spermatozoi del padre. Prima che gli ovuli fertilizzati incomincino la divisione cellulare, i nuclei di entrambi vengono rimossi, quello della donatrice viene scartato e sostituito con quello della madre.

Ma questa procedura implica la distruzione di embrioni che per la coppia, di fede musulmana, comportava limiti etici. Così Zhang ha scelto un approccio diverso.  Ha rimosso il nucleo da uno degli ovuli della madre e l’ha inserito nella cellula uovo di una donatrice, a sua volta privata del nucleo.  La cellula ottenuta, con il DNA della madre e quello mitocondriale della donatrice, è stata fecondata dagli spermatozoi paterni.

Solo uno dei 5 embrioni creati si è sviluppato normalmente e ha dato esito ad una gravidanza “finita” bene.  Solo l’1% del DNA mitocondriale del bambino sembra aver ereditato le mutazioni responsabili della malattia, troppo poco perché questa possa esprimersi. La tecnica potrebbe permettere a genitori portatori sani di importanti patologie di avere figli sani, ma comporta anche limiti etici: primo tra tutti, quello di generare un figlio con il corredo cromosomico di 3 genitori.

Negli anni ’90, quando la tecnica dei “tre genitori” fu testata per la prima volta, ci furono casi di bambini che svilupparono disordini genetici, e la procedura fu abolita.  In quelle circostanze però, il DNA mitocondriale della donatrice era stato iniettato nella cellula uovo della madre, e sembra che i problemi derivassero dalla presenza di due DNA mitocondriali. Il fatto che il piccolo sia maschio dovrebbe assicurare che il DNA mitocondriale della donatrice non venga trasmesso ad eventuali eredi.

Una tecnica rivoluzionaria, grazie alle nuove tecnologie di montaggio del DNA che porterà a nuovi problemi etici. Staremo a vedere cosa succederà in futuro.

Scienza: neonato dal DNA di tre persone was last modified: ottobre 3rd, 2016 by L'Interessante
3 ottobre 2016 0 commenti
0 Facebook Twitter Google + Pinterest

Resta in Contatto

Facebook Twitter Google + Instagram Email RSS

Categorie

  • Attualità
  • Basket
  • Calcio
  • Cinema
  • Cronaca
  • Cultura
  • Curiosità
  • Dall'Italia e dal Mondo
  • Editoriale
  • Eventi
  • In primo piano
  • Indovina dove andiamo a cena
  • Libri
  • Musica
  • Notizie fuori confine
  • Parliamone
  • Politica
  • Sport
  • Teatro
  • Tv
  • Viaggi Interessanti
  • Vignette Interessanti
  • Volley

I Più Visti

  • ciao francesca

    Ciao Francesca!

    29 maggio 2016
  • duel gomorra

    Gomorra 3: i casting al Duel Village

    8 giugno 2016
  • museo

    Museo di arte islamica come l’araba fenice

    24 gennaio 2017
  • molly

    Molly Malone, la strana leggenda

    19 novembre 2016
  • amore

    L’ Amore ai giorni nostri

    6 dicembre 2016
  • Facebook
  • Twitter
  • Google +
  • Instagram
  • Email

© 2015 L'Interessante. Tutti i diritti riservati.
Designed by Armando Cipriani


Back To Top
Utilizziamo i cookie per migliorare l'esperienza utente sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu sia d'accordo. Accetto
Privacy & Cookies Policy