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Spazio

NASA
AttualitàIn primo pianoNotizie fuori confine

NASA. 7 pianeti attorno ad unica stella

scritto da L'Interessante

NASA

Di Antonio Andolfi

Dopo giorni di attesa, speculazioni e anticipazioni a proposito della “conferenza stampa straordinaria” indetta dalla Nasa, l’annuncio è stato finalmente dato: nell’orbita di Trappist-1, una nana rossa ultrafredda a una distanza stimata di circa 40 anni luce da noi sono stati scoperti in totale 7 piccoli pianeti rocciosi, cioè con caratteristiche simili a quelle della Terra. Detto in altre parole: gli astronomi della Nasa (e non solo) hanno trovato ben 7 pianeti quasi gemelli della Terra, non uno solo!

L’annuncio della NASA: Trappist – 1 e i suoi pianeti

Le osservazioni, iniziate nel settembre del 2015, sono state effettuate utilizzando un insieme di strumenti: il telescopio TRAPPIST-South (ESO, Osservatorio Europeo Australe, La Silla, Cile), il Very Large Telescope (ESO, Cerro Paranal, Cile), il telescopio spaziale Spitzer (Nasa, in orbita a 568 km) e altri telescopi attorno al mondo.

Osservabile nella costellazione dell’Acquario, è molto “piccola” (poco più grande di Giove) e di massa stimata nell’8% di quella del Sole.

 Tutti i suoi pianeti, chiamati rispettivamente Trappist-1 b, c, d, e, f, g, h (dal più vicino al più lontano), hanno dimensioni simili a quelle del nostro pianeta: le dimensioni, la possibile composizione e le orbite sono state desunte dalle variazioni di luminosità della stella causate dal passaggio dei suoi pianeti tra noi e la stella stessa: eventi che in astronomia sono noti come transiti.

Il coordinatore della ricerca, Michaël Gillon (istituto di astrofisica di Liegi, Belgio), afferma che «ci troviamo di fronte a un sistema planetario incredibile, non solo perché abbiamo trovato così tanti pianeti insieme, ma soprattutto perché sono sorprendentemente simili per dimensioni alla Terra».

 Da tempo gli astronomi ipotizzavano che stelle con dimensioni affini a quella di Trappist-1 (che per tipologia è la più diffusa nell’Universo, probabilmente tra il 70 e l’80%) possono avere attorno molti pianeti rocciosi di dimensioni simili alla Terra. Trappist-1 è la prima a essere stata sottoposta a osservazioni così prolungate e approfondite, tali da permettere la scoperta di “b”, “c” e “d” già nel 2015 e infine gli altri quattro.

Questi pianeti, o almeno alcuni di essi, se orbitano in modo regolare e alla distanza “giusta” potrebbero sostenere forme di vita.

 Amaury Triaud, co-autore della ricerca, sottolinea che «la quantità di energia emessa da stelle come Trappist-1 è molto inferiore rispetto a quella emessa dal nostro Sole. Per avere acqua liquida in superficie sui loro pianeti, questi devono orbitare a distanza ravvicinata, molto più vicini alla loro stella di quanto la Terra sia dal Sole. Sembra che questo tipo di configurazione compatta sia proprio quella che caratterizza Trappist-1».

 

Tutti e sette i pianeti, infatti, orbitano a una distanza inferiore di quella tra il Sole e Mercurio (circa 58 milioni di chilometri) e, proprio a causa della bassa energia della stella, tutti potrebbero ricevere una quantità di energia analoga a quella che irradia sui pianeti interni del Sistema Solare (Mercurio, Venere, Terra e – a seconda dei criteri utilizzati – Marte).

Anatomia dei pianeti scoperti dalla NASA.

In particolare, Trappist-1 c, d, f ricevono quantità di energia vicine a quelle che arrivano, rispettivamente, su Venere, Terra e Marte. Le misure sulla possibile densità dei singoli pianeti suggeriscono che almeno i primi sei sono di tipo roccioso.

 

Tutti e sette potrebbero potenzialmente avere acqua allo stato liquido in superficie, anche se per alcuni la probabilità sembra più elevata: “e”, “f” e “g”, per esempio, sembrano avere tutte le carte in regola per mantenere questa condizione – l’acqua liquida – che dal nostro punto di vista è anche condizione indispensabile per un eventuale sviluppo di forme di vita.

In base ai modelli utilizzati, i pianeti “b”, c” e “d” potrebbero avere acqua, ma forse solo in piccole regioni, mentre per “h” – il più distante – l’ipotesi è che, se c’è acqua, è allo stato solido. Sarà però purtroppo solamente con la prossima generazione di telescopi, come l’European Extremely Large Telescope (ESO) e il James Webb Space Telescope (Nasa/Esa) che potremo saperne di più.

NASA, I commenti a caldo.

Questa scoperta è importante non solo dal punto di vista scientifico, ma anche culturale: sapere con sempre maggiore sicurezza che oltre il nostro Sistema Solare ci sono luoghi potenzialmente favorevoli alla vita è semplicemente affascinante. La ricerca di pianeti extrasolari è uno degli ambiti in cui l’Istituto Nazionale di Astrofisica è profondamente coinvolto a livello internazionale, con l’eccellenza dei suoi scienziati, strumenti d’avanguardia come il Telescopio Nazionale Galileo e importanti partecipazioni in missioni spaziali di frontiera.

 

Il sistema multiplo di pianeti terrestri transitanti individuato attorno a Trappist-1 è straordinario sotto diversi aspetti. Innanzi tutto è il primo sistema con pianeti di tipo terrestre nella fascia di abitabilità (quell’intervallo di distanze da una stella entro il quale un pianeta di tipo roccioso con un’atmosfera può potenzialmente avere acqua allo stato liquido sulla superficie) per i quali sia stato possibile determinare, sia pure in modo preliminare, la densità, e quindi la composizione interna, scoprendo che sono probabilmente rocciosi come la nostra Terra.

 

In secondo luogo, tre dei sette pianeti del sistema sono soggetti a livelli di irraggiamento simili a quelli che Venere, la Terra e Marte ricevono dal nostro Sole, e se posseggono un’atmosfera di tipo terrestre potrebbero avere oceani sulla superficie. Inoltre, la bassissima luminosità e le dimensioni della stella, paragonabili al nostro Giove, rendono gli eventi di transito dei pianeti in fascia abitabile frequenti e facili da rivelare, aprendo la possibilità della caratterizzazione dettagliata delle loro proprietà atmosferiche con strumentazione di punta già esistente (come l’Hubble Space Telescope) o pronta nel futuro prossimo (come il James Webb Space Telescope).

 

I pianeti rocciosi potenzialmente abitabili attorno a stelle molto più piccole e fredde del Sole, quali Trappist-1, costituiscono dei laboratori eccezionali dove studiare l’impatto sulle proprietà atmosferiche (e sul concetto stesso di abitabilità) di questi oggetti con storie evolutive molto diverse da quelle da cui ha avuto origine la nostra Terra.

 

In ultima analisi, l’esistenza del sistema planetario di Trappist-1 e, in generale, il successo della strategia della ricerca di pianeti terrestri attorno a stelle di piccola massa, rende se possibile ancora più urgente moltiplicare gli sforzi per la scoperta e la caratterizzazione delle proprietà fisiche e delle atmosfere di veri gemelli della nostra Terra, cioè pianeti di tipo terrestre nella regione di abitabilità di stelle più simili al nostro Sole.

NASA. 7 pianeti attorno ad unica stella was last modified: febbraio 23rd, 2017 by L'Interessante
23 febbraio 2017 0 commenti
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Schiaparelli
AttualitàIn primo pianoParliamone

Schiaparelli su Marte

scritto da L'Interessante

Schiaparelli

di Antonio Andolfi

La conferma non è arrivata. Il lander dell’ESA Schiaparelli è arrivato su Marte, ma non sappiamo con precisione come.

Ma andiamo con ordine. Prima le buone notizie: la sonda madre, Trace Gas Orbiter (TGO), ha terminato la pericolosa fase di cambio di orbita ed è ora in quella definitiva in cui rimarrà per 4 anni per studiare l’atmosfera marziana. Il primo obiettivo della missione ExoMars è stato raggiunto.

ExoMars e Schiaparelli: l’Europa su Marte

Dopo un viaggio di 7 mesi, la sonda europea ExoMars 2016 è arrivata nell’orbita marziana. Ma di cosa si tratta? Di due sonde: una sonda madre, chiamata ExoMars Trace Gas Orbiter (TGO), che orbiterà attorno a Marte a un’altezza di 400 Km; e una sonda figlia, il lander chiamato Schiaparelli in onore dell’astronomo italiano famoso per i suoi studi su Marte. Dal punto di vista scientifico si tratta di una sfida molto ambiziosa: trovare le prove dell’esistenza di forme di vita, oggi o nel passato, con una serie di strumenti appositamente pensati per questo. Ma lo è anche dal punto di vista tecnologico, perché l’ESA non ha mai realizzato nulla di paragonabile per livello di complessità.

Il lander Schiaparelli è una piccola stazione meteorologica, pesa circa 600 kg ed è un disco di poco più di un metro e mezzo di diametro. Il suo obiettivo scientifico è quello di studiare le tempeste di sabbia marziane. Sviluppata e assemblata sotto la responsabilità italiana, di Thales Alenia Space di Torino, Schiaparelli ha a bordo numerosi stumenti, in gran parte anch’essi sviluppati in Italia all’Università di Padova e all’Inaf di Napoli. Schiaparelli è atterrato sul suolo di Marte in una regione piatta relativamente piana, vicino all’equatore negli altopiani meridionali, chiamati Meridiani Planum. L’ellisse che racchiude l’area di atterraggio ha una lunghezza di circa 100 km ed è larga 15. E’ il primo lander europeo ad atterrare su Marte. Al momento infatti, sul pianeta rosso ci sono 7 sonde americane (di cui 2, Curiosity e Opportunity ancora in funzione), 3 russe (perse prima dell’atterraggio) e 1 inglese, Beagle 2, scomparsa durante l’atterraggio nella notte di Natale nel 2003. La fase di atterraggio delle sonde marziane è la più critica, come insegna la storia. E lo stesso vale per Exomars. L’attesa separazione tra la sonda madre e la capsula Schiaparelli è già avvenuta: il lander è stato lasciato cadere su Marte con una traiettoria puramente balistica, come quella di un pallone da calcio che viene rimesso in gioco dal portiere. Alle 16:42 è iniziato l’ingresso nell’atmosfera, a 121 km di quota e a una velocità di 21.000 km/h. A quel punto, dato il ritardo di circa 10 minuti tra le comunicazioni sonda-Terra, Schiaparelli non sarà più controllabile e tutte le operazioni verranno eseguite in modo automatico e senza che da Terra si sappia che cosa sta succedendo.

L’ingresso nell’atmosfera ha rallentato la sonda fino a 1.700 km/h. Fin qui tutto bene. Poi cos’è successo? Il paracadute si è aperto prima del previsto lo stesso anche lo scudo termico.  I retrorazzi, che avrebbero dovuto funzionare per circa 30 secondi, hanno invece funzionato appena per 3 secondi.

Che fine ha fatto Schiaparelli?

I sistemi per seguire in tempo reale la sonda e per avere le prime conferme dell’atterraggio hanno interrotto le loro registrazioni poco prima dell’atterraggio, quando la fase di entrata e frenata erano quasi concluse.

L’unico che poteva tracciare la discesa in tempo reale era il Giant Metrewave Radio Telescope (GMRT) situato a Pune, in India ha seguito il lander fino a 30 secondi prima del touchdown, poi non ha captato più nulla. Fino ad allora tutto era andato come da programma.

Anche l’orbiter europeo, Mars Express, ha seguito la discesa di Schiaparelli fino a pochi secondi prima dell’atterraggio, ma poi ha anch’esso perso il segnale, più o meno nello stesso istante del radiotelescopio indiano.

L’orbiter della Nasa Mars Reconnaissance Orbiter, che avrebbe dovuto provare a comunicare con Schiaparelli un’ora e mezza- due ore dopo il touchdown, non è riuscito a stabilire il contatto.

Cosa ne sarà di Schiaparelli?

La conferma che la sonda dell’ESA Schiaparelli si è schiantata sulla superficie di Marte arriva dalla Mars Reconnaissance Orbiter delle NASA che ha fotografato la medesima area prima e dopo l’arrivo di Schiaparelli.Nelle immagini si vede molto bene la presenza di un cratere provocato dall’impatto di Schiaparelli con la superficie marziana.

Nonostante tutto, la missione è andata bene, e aprirà la strada ad una nuova missione nel 2020, che porterà sul suolo marziano un modulo di discesa e il primo rover marziano europeo.

 

Schiaparelli su Marte was last modified: ottobre 24th, 2016 by L'Interessante
24 ottobre 2016 0 commenti
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Rosetta
CulturaIn primo piano

Addio, Rosetta!

scritto da L'Interessante

Rosetta

Di Antonio Andolfi

È finita così, Rosetta si è appoggiata sulla superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko

Il segnale di conferma della riuscita dell’ultima manovra è stato ricevuto alle 13.29 del 30 Settembre, dal centro di controllo ESA di Darmstadt. I sistemi vitali si sono spenti, il trasmettitore di bordo ha smesso di funzionare. Una delle missioni più coinvolgenti della storia dell’esplorazione spaziale si è conclusa.

Fino all’ultimo istante Rosetta ha raccolto informazioni sulla composizione di gas e polveri sul suolo della cometa e scattato fotografie a risoluzione altissima da una distanza estremamente ridotta. Una missione lunga dodici anni, 8 miliardi di km percorsi, 31 mesi di viaggio in ibernazione, il lancio e l’accometaggio del lander Philae, 21.000 osservazioni scientifiche, più di 16.000 fotografie ,218 gigabyte di dati, il primo manufatto umano a raggiungere una cometa.

Rosetta è andata ben oltre il suo obiettivo: lo studio dell’origine delle comete e le relazioni tra la loro composizione e la materia interstellare, elementi fondamentali per comprendere l’origine del sistema solare.

Quando si parla di molecole organiche, non si fa riferimento alla vita come potremmo intenderla qui, sulla Terra, è invece la ricerca di materiali grezzi che riteniamo fondamentali per la vita. È già noto che sulla cometa esistono varie molecole organiche: dalla formaldeide (HCHO) all’acido cianidrico (HCN), dall’acido formico (HCOOH) all’ammoniaca (NH3), fino al metanolo (CH3OH) e al metano (CH4). A questo ventaglio va adesso aggiunta la scoperta più interessante: la glicina (C2H5NO2, un amminoacido) e il fosforo.

La glicina, una molecole organica, è l’amminoacido più semplice che si trova negli organismi viventi ed entra nella struttura delle proteine. Si può formare senza acqua liquida e può originarsi dall’esposizione alla luce ultravioletta di ghiaccio al cui interno vi siano molecole organiche semplici, come il metano o l’ammoniaca.

Anche il fosforo è un elemento fondamentale per la vita: un atomo di fosforo e uno di ossigeno combinati a formare la molecola P-O sono determinanti nella formazione della struttura del Dna. E la cosa straordinaria è che questa molecola sembra più comune nell’Universo di quanto si ritenesse.

La scoperta di questi elementi rafforza l’idea che le comete siano oggetti primordiali che hanno conservato tracce nel Sistema Solare così com’era 4,5 miliardi di anni fa, e che abbiamo portato sul nostro pianeta, a un certo punto della sua storia, gli elementi di base per la nascita della vita. Considerate le condizioni estreme in cui si trovano nello Spazio, questi elementi non possono originare vita sulle comete ma sulla Terra possono invece avere trovato tutte le condizioni necessarie alle reazioni chimiche che hanno portato a molecole sempre più complesse.

Ciò che fino a qualche decennio fa sembrava degno della trama di un – meraviglioso – film di fantascienza ora non sembra così distante. In un futuro l’essere umano esplorerà le profondità dello spazio con mezzi diversi, migliori. Le emozioni saranno le stesse che ci ha regalato la piccola sonda che per prima è atterrata su una cometa.

Addio, Rosetta! was last modified: ottobre 15th, 2016 by L'Interessante
15 ottobre 2016 0 commenti
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Exomars
AttualitàIn primo pianoParliamone

Exomars: l’Italia alla conquista di Marte

scritto da L'Interessante

Exomars

14 Marzo, 10:31 ora italiana: ha inizio la più grande avventura spaziale dell’Italia, con la Missione Exomars che prende ufficialmente il via.

Con un lancio perfetto, il razzo Proton si stacca veloce e dritto dal cosmodromo di Baikonur, nel Kazakistan centrale. Prende ufficialmente il via Exomars, la prima missione spaziale davvero “italiana” a tutti gli effetti. Italiana, perché questa volta il contributo alla missione – europea, è giusto segnalarlo – è perlopiù ad appannaggio del vecchio stivale: ben il 32% dei 1,3 miliardi di Euro di costo della missione, infatti, circa 350 milioni, sono stati finanziati dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Ma l’impegno del belpaese non è solo economico: anche la tecnologia parla italiano, con Finmeccanica e Thales Alenia Space Italia, alla quale l’Esa ha affidato la leadership della missione e la responsabilità complessiva di tutti gli elementi. Sul versante “contributo scientifico”, inoltre, l’Italia ha collaborato con l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), l’Università di Padova e l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn).

Ma quali sono gli obiettivi della Missione Exomars?

Sono previste due fasi, la prima delle quali ha avuto inizio –appunto- ieri con la partenza del razzo Proton, che ha portato in orbita la sonda Schiaparelli (chiamata così in onore del famoso cosmologo italiano). Sonda che continuerà il suo viaggio verso Marte, della durata di circa 7 mesi: una volta agganciata l’orbita del pianeta rosso, e stabilizzatasi a circa 120 chilometri di quota, avrà inizio la fase più interessante della missione: cercare traccia della presenza di vita, presente o passata. Per far questo, ad Ottobre del 2016, un rover si staccherà dalla sonda e planerà sulla superficie di Marte, scavando ed analizzando la superficie extraterrestre.

La missione continuerà per ben 7 anni (stima della durata della vita del rover marziano), periodo durante il quale la sonda continuerà ad analizzare i dati “in loco”, per poi spedirli verso la Terra attraverso quei 12 minuti-luce necessari a trasportare i dati digitali alla casa base dell’Esa (Agenzia Spaziale Europea). Ciò che Exomars troverà sulla superficie del pianeta rosso, per ora è difficile dirlo: quello che si cerca sono tracce biologiche, anche fossili, che possano confermare l’esistenza (probabilmente solo passata) della vita marziana. La presenza –passata anche questa- di acqua sulla sua superficie, infatti, è stata già ampiamente documentata dalle precedenti missioni, sia dell’Esa che della Nasa: quello che manca è una traccia biologia, una proteina, un singolo amminoacido, anche fossile. Compito della missione italiana, trovare queste tracce. E rendere finalmente chiaro a tutti il concetto dell’esistenza della vita extraterrestre.

Fabrizio Gentile

Exomars: l’Italia alla conquista di Marte was last modified: marzo 15th, 2016 by L'Interessante
15 marzo 2016 0 commenti
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