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CulturaIn primo pianoTeatro

SanTarantella. La danza è la nostra preghiera

scritto da Roberta Magliocca 6 settembre 2016
Santarantella

SanTarantella

Di Roberta Magliocca

SanTarantella dacci oggi il nostro ballo quotidiano, ci rimettiamo a te con ossa, sangue e piedi

Come fedeli all’altare per unirsi al corpo di Cristo, gli adepti di SanTarantella mangiano tarante e pregano ballando in questo scenario di musica e follia, di devozione a ciò che non c’è, o se c’è, è un qualcosa ben nascosto nelle menti di chi non riesce a far altro che danzare, perché la danza è la loro preghiera.  La compagnia SuDanzare ha messo in scena in giro per i teatri del sud, “SanTarantella – La danza è la nostra preghiera” per la regia di Tullia Conte. Su quel palco qualcosa è successo. Il sacro ha danzato con il profano, la normalità si è fusa a tal punto con la pazzia che nessun uomo, saggio o stolto, nobile o plebeo, devoto o ateo, avrebbe mai potuto tracciarne un confine. Chi, infatti, preso da assoluta presunzione, farebbe del suo dito un’ arma da puntare contro chi balla, ininterrottamente, additandolo come folle, pericoloso per sé stesso e limitatamente anche per gli altri? Eppure succede ai protagonisti dello spettacolo , tutti apostoli di questa nuova religione che vede nella tarantella il suo fulcro e il suo Dio, rinchiusi in un ospedale psichiatrico perché, come detto precendentemente, ritenuti pericolosi.

Uno spettacolo travolgente, con musiche legate alle tradizioni del Sud Italia, ma con movimenti della più energica danza contemporanea che si possa immaginare. La bravura di quei corpi perfettamente sposata ad una grande interpretazione che, pur senza parole, ha veicolato il messaggio giusto, un significato che ha colpito in pieno noi spettatori. SanTarantella è stato dedicato a Francesco Mastrogiovanni, maestro di scuola elementare, morto nel 2009 dopo 4 giorni di agonia, abbandonato da medici e infermieri in un reparto psichiatrico di Vallo della Lucania. Perché fosse stato rinchiuso? Le sue idee che coincidevano con i suoi ideali, ma che non coincidevano con quelle di una realtà a lui ostile. Ed io sono una giornalista, in questo momento, e come tale non posso dare giudizi, ma attenermi ai fatti. Ma lasciatemi dire che morire per le proprie idee, essere ritenuto pericoloso solo perché  queste suddette idee non bene si confanno a quelle di un’intera società (o quelle che una parte della società, generalmente quella al vertice, decide che siano idee di tutti quelli che ne fanno parte. Sottilissima differenza) non fa onore ad un paese che si autocelebra come civile. Ma non voglio andare oltre e creare qui una disquisizione su cosa sia stato giusto o sbagliato, di cosa sia andato storto o meno. Questo articolo nasce per esporre una critica, estremamente positiva ed emozionata, di uno spettacolo che non lascia indifferenti e che copre di orgoglio l’arte in una città, Napoli, che a volte fa fatica a far emergere il buono. SanTarantella ha fatto emergere il meglio. Proprio per questo ringrazio la regista Tullia Conte che, con estrema gentilezza e disponibilità, mi ha concesso un’intervista che, come dulcis in fundo, ho deciso di lasciare alla fine di questo articolo.

“SuDanzare”. Quante parole in una sola. Il Sud, il nostro tormentato, profondo, amatissimo e a volte odiato sud, la danza, il sudore per una passione che diventa follia. Quando nasce questo progetto e, soprattutto, quali sono gli obiettivi che SuDanzare vuole raggiungere?

SuDanzare é un collettivo formato da insegnanti di danza tradizionale italiana​, ciascuno con il suo percorso personale. Il contributo di ciascuno é necessario e rende l’associazione unica nel suo genere. L’associazione é nata in Francia ma ha due sedi principali: una a Napoli (Italia) ed una a Parigi (Francia).
L’associazione ha due progetti principali: la Scuola di danza popolare contemporanea e la Compagnia di Teatrodanza.
A Parigi, dove vivo si trova la nostra prima sede. In questa bella città ho avuto la fortuna di incontrare altri migranti come me che con il loro apporto hanno reso suDanzare un’esperienza meravigliosa: Mattia Doto, danzatore contemporaneo e pedagogo che ha arricchito il progetto con le sue conoscenze in termini di danza, coreografia e un approccio olistico all’utilizzo del corpo; Barbara Bitetti, danzatrice di capoeira e di tarantella e  Martina Ricciardi, danzatrice afro-contemporanea che con il loro patrimonio di conoscenze, permettono di effettuare delle interessanti comparazioni tra diverse danze. Inoltre tutti i membri della compagnia di teatro danza (sono 13, francesi e italiani) con il loro impegno costante rendono possibile la creazione di progetti internazionali, come il nostro ultimo spettacolo che si chiama “sanTarantella”. Gli obiettivi di suDanzare sono di aprire altre sedi, ovunque nel mondo. A Napoli la sede è gestita dalla danzatrice Angela Esposito, che si occupa dei corsi di danza di tutti i livelli, ma anche io ci torno spesso ad insegnare.

Da Parigi a Napoli, sulla Tour Eiffel come a Mergellina.  Quale scia degli eventi vi ha portato a ballare dans les rues de Paris?

Il paese in cui siamo nati, l’italia, non ha politiche per i giovani. Siamo una generazione ridotta davvero male e ci siamo dovuti spostare non per scelta ma per necessità oggettiva di costruirci un futuro, di darci una possibilità. In Italia ho fatto questo lavoro per dieci anni, sempre in nero e senza alcuna garanzia, nonostante fossi diplomata per farlo. Non commento le politiche in materia di teatro, altrimenti la mia risposta sarebbe talmente lunga da occupare tutto il sito!

All’estero ho avuto la possibilità di gettare le basi per un’impresa, quindi mi dispiace dirlo perché io sono innamoratissima della mia città, Napoli, ma sotto la tour eiffel si sta molto diversamente che a Mergellina. Poi la migrazione costa caro, perché non vedi mai il mare di napoli per esempio, ma sicuramente le politiche estere in materia di lavoro sono molto più serie di quelle italiane.

 

 

 “SanTarantella. La danza è la nostra preghiera”. Sacro e profano. Uno spettacolo ispirato alla storia di Francesco Mastrogiovanni, la cui morte ha davvero nulla di sacro e troppo di profano, un’ingiustizia che macchia la dignità di un intero paese. Ancora una volta. Chi è SanTarantella? Chi era Francesco Mastrogiovanni?

SanTarantella è un esperimento unico nel suo genere, le coreografie dello spettacolo sono costruite solo sulla base del codice della tarantella, una danza millenaria, una ricchezza della nostra cultura che affonda la memoria nel passato archetipico dei popoli del mediterraneo. Inoltre lo spettacolo non racconta di miti greci oppure di donne tarantate, com’è costume fare quando ci si riferisce artisticamente alla danza della tarantella (o della “taranta”), bensì descrive l’ambiente sociale che si è creato intorno alla rivalutazione della musica e della danza popolare italiana, cominciata negli anni 70 ed oggi divenuta parte della cultura massificata. Questo fenomeno chiamato appunto “taranta” è il motore di un mondo parallelo, con sue proprie credenze, convinzioni, divisioni sociali. Come insegnante di tarantella faccio parte anche io di questo mondo, ma come esperta di antropologia l’ho osservato in maniera partecipata, ed ho scelto di raccontarlo nello spettacolo che ho scritto: la tarantella contemporanea che appassiona la gente al punto da essere diventata come una religione. Nello spettacolo gli adepti sono rinchiusi in un manicomio, perchè, come recita il referto, sono “pericolosi per se stessi e limitatamente anche per gli altri”, in quanto si interessano solo alla danza della tarantella e non vogliono sentir parlare d’altro. L’astuzia scenica, di raccontare il mondo segreto di questi “santarantellari”, serve a mostrare al pubblico in maniera ironica quali mondi siamo in grado di costruire intorno ad un’idea fissa e quanto possa essere pericolosa un’idea che si trasforma in un dogma. L’istinto dello spettacolo è fortemente antipsichiatrico: anche la scienza cade spesso nel dogma, nel paradosso. Il motore di queste riflessioni che mi hanno condotto alla scrittura dello spettacolo è stata la morte di Francesco Mastrogiovanni, ucciso nel reparto psichiatrico di Vallo della Lucania. Francesco Mastrogiovanni aveva 58 anni e faceva il maestro elementare. In una mattina di fine luglio del 2009, un vasto quanto inspiegabile spiegamento di forze dell’ordine è andato a prelevarlo, letteralmente, nelle acque della costiera del Cilento (Salerno) e lo ha portato al centro di salute mentale dell’ospedale San Luca, a Vallo della Lucania, per un trattamento sanitario obbligatorio.

Novantaquattro ore dopo, la mattina del 4 agosto 2009, Mastrogiovanni è stato dichiarato morto. Durante il ricovero è stato legato mani e piedi a un letto senza un attimo di libertà, mangiando una sola volta all’atto del ricovero e assorbendo poco più di un litro di liquidi da una flebo. La sua dieta per tre giorni e mezzo sono stati i medicinali (En, Valium, Farganesse, Triniton, Entumin) che dovevano sedarlo. Sedarlo rispetto a che cosa non è chiaro, visto che Franco non aveva manifestato alcuna forma di aggressività. La legge prevede infatti la possibilità di applicare misure di contenzione nel caso in cui i pazienti siano da considerarsi pericolosi. Nonostante Franco fosse stato sedato per errore ben due volte (cosa che renderebbe inoffensivo chiunque) il protocollo è stato applicato lo stesso, ed egli è stato legato al letto per ben quattro giorni (anche se gli sono stati immobilizzati tutti gli arti e questo è contro la legge)senza mai essere nutrito o dissetato, dunque è morto dopo 90 ore di agonia che io, come tanti italiani, ho potuto vedere nell’agghiacciante video ripreso dalle telecamere del reparto e reso noto dai familiari per cercare di avere giustizia rispetto a questa vicenda che oltre ad essere un esempio di malasanità, racconta la perdita di ogni umanità. La morte assurda di Franco l’ho vista anche negli occhi dei suoi familiari, persone belle ed umane che hanno reagito a tutto questo orrore con dignità.

Ad ottobre si è concluso il processo in primo grado per la morte di franco,  dove il giudice Elisabetta Garzo ha condannato i medici per sequestro di persona, omicidio colposo e falso in cartella, ha invece assolto tutti gli infermieri. A Novembre partirà il processo in appello, dato che secondo la procura gli infermieri non hanno dimostrato di avere cura dei malati e di costringerli in condizioni di scarsa igiene.

La visione che ho del teatro è fortemente politica, nel senso che lo credo un mezzo utile per mettere in luce le vicende umane su cui dobbiamo riflettere, e in quest’ottica tutta la compagnia suDanzare ha deciso di dedicare lo spettacolo a Franco, per aiutare un passaggio di informazioni che diventa macchinoso quando ci si scontra con un sistema che vuole solo autocelebrarsi. Inoltre la tarantella, come musica utilizzata nella cura dei tarantati, era considerata un antidoto contro il male di vivere, il cattivo passato.

Un’ultima domanda prima di salutarti e ringraziarti. Ogni cultura ha una sua preghiera, una sua devozione, un proprio ballo come occhi nuovi per guardare il mondo. Perché SuDanzare sceglie la tarantella?

La tarantella è un codice di movimenti che nella storia dell’umanità è stata utilizzata a più riprese per accompagnare i momenti conditi da “emozioni estreme”. Tutt’oggi essa è ancora un codice utile per la gestione delle emozioni. Abbiamo scelto di occuparci di questa danza, rispettandone e studiandone accuratamente la storia secondo una prospettiva di antropologia teatrale, perché la riteniamo utile per gli uomini e le donne di oggi, che grazie al consumismo sempre più sfrenato, stanno perdendo il contatto con le proprie emozioni e con il proprio corpo. E vi assicuriamo che l’Antidotum funziona, provare per credere!

Qualunque sia il vostro credo, qualunque Dio voi veneriate, sappiate che la musica mai smetterà di suonare e la gente (chiamatala anche pazza!)  mai smetterà di ballare.

SanTarantella. La danza è la nostra preghiera was last modified: settembre 8th, 2016 by Roberta Magliocca
DanzaPreghieraSantarantellaSUDANZARETullia Conte
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Roberta Magliocca

Giornalista Pubblicista laureanda in Sociologia della Comunicazione alla Federico II di Napoli. Diplomata in scrittura creativa alla Rai di Roma. Il giornalismo è la sua unica, vera, grande ambizione.

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