Alatri
Di Carmen Giaquinto
Sono due gli aggressori che rimangono in carcere, per ora. A sferrare i colpi mortali ad Emanuele Morganti, davanti alla discoteca Mirò, sono stati, infatti, secondo la Procura, i fratellastri di ventisette e diciannove anni Mario Castagnacci e Paolo Palmisari, inchiodati anche dalle poche testimonianze agghiaccianti.
Durante l’affollatissima conferenza stampa, tenutasi il giorno 28 marzo scorso, il procuratore capo di Frosinone, Giuseppe De Falco, ha parlato di indizi «gravi e concreti», mentre ancora molte sono le ombre che pesano sul reale movente di quei quindici interminabili minuti di inaudita violenza ai danni del ventenne Emanuele Morganti, il quale si trovava nel locale assieme alla fidanzata Ketty ed è stato infastidito, trasportato fuori dal locale, pestato, rincorso e finito a sprangate e manganellate fino alla morte, avvenuta dopo due giorni di agonia per familiari ed amici. De Falco ha anche sottolineato la reticenza da parte di chi ha assistito al pestaggio avvenuto apparentemente per «futili motivi» ; è questa l’aggravante dell’omicidio volontario di cui sono stati accusati i due fratellastri, detenuti ora al carcere di Regina Coeli
Alatri e l’omertà
Reticenza, dunque, omertà.
Due termini che di solito si accostano al silenzio di chi vive in terre di mafia ma che oggi valgono per un paese di neanche quarantamila abitanti nel centro Italia. Chi sa parli, è questa l’esortazione del procuratore ed è questo l’hashtag coniato sui social per permettere a chi sa di fornire la propria versione dei fatti. È proprio il silenzio ad essere preoccupante, assieme ad altre dichiarazioni dell’attento procuratore capo circa gli «ambienti delinquenziali» nei quali gravitano le due persone fermate. Nel 2011, infatti, Mario Castagnacci fu arrestato perché trovato in possesso di cinque chilogrammi di hashish ed è stato scarcerato il giorno stesso dell’aggressione.
Voci del web affermano che il padre di uno dei due fratellastri fosse presente sul luogo del delitto, incitando a continuare quella violenta aggressione di massa. Nulla è certo. Solo la morte di un ragazzo giovane, solare, innamorato, umile ed intraprendente. Non sembrerebbe essere emerso nulla che lo possa legare ad un passato di droga o ai suoi stessi carnefici. Eppure alcuni testimoni pensano ci sia stato un motivo molto più intimo e personale ad aver spinto a questa fatalità.
La barista al bancone del locale, anche lei testimone chiave per il racconto, afferma di aver servito Emanuele e la fidanzata, quella sera, e di essersi allarmata quando è sopraggiunto un ragazzo, probabilmente Domenico, un amico dei due fratellastri, il quale ha cominciato a spingere Emanuele relegandolo in un angolo del locale, e di aver allertato i bodyguard. Anche su queste figure permane un alone di mistero. C’è chi dice siano anch’essi coinvolti nell’aggressione. Ieri la smentita di uno di loro è arrivata dalle telecamere del noto programma televisivo “Chi l’ha visto?”.
La fidanzata di Emanuele è stata bloccata all’interno del locale, non riuscendo ad intervenire per difendere il proprio ragazzo.
Un altro testimone importante, sopraggiunto più tardi, è il migliore amico di Emanuele, arrivato in piazza solo quando la giovane vittima già fuggiva alle aggressioni di una folla inferocita ( secondo alcuni addirittura venti persone mentre si cercano almeno sette coinvolti), il quale ha soccorso Emanuele agonizzante a terra mentre veniva ancora pestato e rischiando anche per la sua incolumità.
Per oggi è prevista l’autopsia e da lì emergeranno sicuramente elementi chiave per una svolta delle indagini. Secondo delle prime ricostruzioni, il Palmisari avrebbe utilizzato un tubo metallico per colpire Morganti. A rivelarlo è uno dei testimoni oculari che ha assistito ad un’agghiacciante scena tra Paolo e la fidanzata Michela: «Ho visto Paolo che allontanava da sé la fidanzata che non voleva fargli aprire lo sportello della macchina. Paolo gridava che doveva prendere la pistola e la ragazza cercava di fermarlo. Era sicuramente fuori di testa- ha aggiunto- forse aveva bevuto o forse aveva assunto stupefacenti. […] Ho visto che prendeva qualcosa dall’auto e poi ho visto in mano a lui un tubo metallico, mi è sembrato che fosse lo strumento che si usa per sbullonare le ruote, anche perché lo avevo già visto in altre occasioni prendere quell’aggeggio mentre litigava con qualcuno. Con quello strumento in mano l’ho visto tornare verso la parte alta della piazza… »
L’avvocato difensore di Castagnacci, Tony Ceccarelli, ha rimesso il mandato di difese ed ha consegnato la rinuncia in Procura a Roma. Questo ha fatto slittare l’interrogatorio del detenuto tenuto, assieme a Paolo, in isolamento.
Ad Alatri, tra speranze ed acredini
Altre sono le piste seguite dalla Procura, come la volontà di controllo del territorio, di mostrare a tutti “chi è che comanda”, come il vanto che hanno ostentato i due fuggitivi in una discoteca a Roma, dove si erano immediatamente diretti dopo i fatti, complice un mix di alcool e di droghe. Questo, magari, il motivo di tanto silenzio. Emanuele, infatti, era di Tecchiena, a sette chilometri da Alatri: «È retaggio storico- ha detto il sindaco Giuseppe Morini- E poi io sono di Tecchiena e sono sindaco di Alatri, sono un esempio come tanti del fatto che tra le due realtà non c’è rivalità»
L’invito rimano lo stesso: chi sa, parli.