Il cane di cristallo
Cari lettori interessati volevo iniziare questo nostro appuntamento settimanale condividendo un post che ho letto su facebook, firmato da una mia docente e tutor – Veronica Papa.
“Il cane di cristallo:
– non può mai essere rimproverato, ma solo gratificato;
– deve fare solo cose che lo rendono felice;
– se mangia ossi veri muore;
– non può andare in acqua perchè prende freddo;
– non può andare in acqua perchè c’è la corrente che lo trascina via;
– non può andare in acqua perchè non si sa se sa nuotare;
– guai se mangia qualcosa che ha trovato per terra perchè non si sa mai;
– non può mai essere libero perchè scappa, si perde, e non lo ritroveremo mai più;
– non può mai essere libero perchè aggredisce/viene aggredito;
– non può mai essere libero perchè finisce sotto ad una macchina (anche se la strada è a 3 km di distanza);
– meglio se non interagisce mai con cani del suo stesso sesso, potrebbe incorrere in alcune difficoltà e lui deve essere invece sempre felice;
– passa la sua giornata a fare problem solving, a imparare un sacco di tricks e a dormire sul divano/cuccia”.
Sembra il manuale del No. Privativo.
E il bello è che la lista utilizzata dai proprietari continua.
Non può annusare perché rischia parassitosi.
Non può rotolarsi nell’erba per via delle pulci e zecche.
Non può ringhiare perché sembra aggressivo e lui non può passare per tale.
Sembra così che il primo destino del cane sia il NO.
Quando in consulenza faccio notare come il vivere con un cane a volte sia troppo impostato sul divieto, l’inibizione e mancanza di esperienze i proprietari si meravigliano di quante poche volte dicano SI.
A volte mi soffermo a pensare a quale sia il valore didattico di un No dato a monte di una esperienza, per evitarne una traumatica – nel “non ti espongo alle esperienze così ti tutelo”. Come se ogni esperienza recasse soltanto un sé negativo e invalidante.
Non è più funzionale se l’esposizione alle esperienze viene proposta in maniera graduale ma senza filtri legati alle nostre paure?
E se lasciassimo che fossero le esperienze stesse a definire i limiti e i No?
Certo questo non significa immergerlo in dinamiche e situazioni di cui non si valutano le minime variabili e i ponderati esiti.
In fondo per rendere un cane esperto, le esperienze dovrà pur viversele.
L’importanza di una esperienza a mio avviso si gioca molto anche nel “post”, con la condivisione e l’accoglienza da parte del gruppo famiglia. Il nostro cane ha vissuto una esperienza poco piacevole al momento? Bene- saremo lì a sostenerlo, affinché anche una esperienza poco piacevole pesi meno o addirittura rappresenti un significato funzionale.
Ha vissuto una esperienza molto piacevole? Bene- saremo lì a condividerne le emozioni, affinché cresca l’intimità del rapporto e il piacere di stare con noi nella vita.
In realtà l’umano a volte ha piuttosto bisogno di sentirsi indispensabile agli occhi del proprio cane, talvolta senza neanche averne una percezione consapevole. E questo cozza con il “ti rendo sicuro e sereno”. Quindi esperto.
La stimata collegata conclude con una frase a cui non ho niente da aggiungere, condividendola in toto:
“Il cane non vuole essere di cristallo, vuole crescere, imparare, scoprire, essere responsabile; non cerca un tutore, cerca una squadra.”
Luigi Sacchettino