Cani
Di Luigi Sacchettino
Cari lettori interessati è notizia di qualche giorno fa di una classifica che stila l’elenco dei cani più intelligenti: border collie, barboni, pastori tedeschi e i soliti blasonati
Quando leggo di questi notizie mi parte l’embolo, mi si gonfia la vena sulla fronte, divento verde e perdo l’aspetto zen.
Questo perché trovo la continua ricerca del maius intellettivo nei cani sterile e poco utile: un tentativo di standardizzare, incorniciare, confinare rigidamente le loro soggettive capacità cognitive.
Provo a dirvi la mia, andando con ordine. Come possiamo definire genericamente l’intelligenza?
Una delle definizione afferma che l’intelligenza è la capacità di comprendere il mondo in cui si vive e di risolvere i problemi ambientali, sociali e culturali che vengono posti in ogni momento della esistenza.
E su questo i cani ci riescono magistralmente. Vivono in un mondo a misura d’uomo ma sono in grado di utilizzare un ascensore, salire su un autobus e scale mobili, tollerare le continue violazioni dello spazio personale da parte di estranei incrociati per strada, e soprattutto capirci molto più di come noi riusciamo a fare con loro. In questo quindi mostrano una adattabilità e flessibilità cognitiva straordinariamente lontana da quella umana. Che se solo cambia il bagno di casa, non riesce più ad esprimersi.
I test più noti su cui è stata testata l’intelligenza dei cani appartengono al neuropsicologo Stanley Coren, professore di neuropsicologia a Vancouver, e consistono nella valutazione della capacità dei cani di risolvere problemi (problem solving) e di comprendere le parole. Anche attraverso l’aderenza alle attività di addestramento. Il ricercatore sostiene che le loro capacità intellettive potrebbero essere paragonate a quelle di un bambino dai tre ai cinque anni.
Bene. Se non fosse che sono dei test ipotizzati dalla mente umana. Quindi test antropocentrici.
Mi aiutano le parole del prof. Marchesini che nel suo libro Intelligenze plurime esprime un concetto che condivido appieno: “Il problema clou, quando si parla di menti animali, resta quello dell’attribuzione delle diverse componenti cognitive evitando la deriva del confronto serrato e della messa in discussione dell’unicità dell’uomo. La difficoltà nell’analizzare gli ambiti delle funzioni menali sta nel grado di coinvolgimento avvertito dall’uomo rispetto al significato degli aspetti mentali nella definizione dell’identità umana”.
Sarebbe quindi più corretto testare le capacità del cane prendendo in considerazione un altro modello canino. E come si fa, in una specie che conta per l’ Ente Nazionale della Cinofilia Italiana 16 razze italiane (oltre a tutte le altre) e per la Fédération cynologique internationale più di 400 razze? Per esempio un pastore maremmano ha struttura fisica- comportamentale completamente diversa da quella di un border collie; il primo forte fisicamente, calmo, solido, autonomo nel lavoro, mentre il secondo snello, veloce, nevrile, molto più collaborativo e richiedente con l’uomo. Eppure entrambe si occupano di greggi: il primo per la custodia, il secondo per la conduzione.
Chi potremmo definire più intelligente?
Hanno motivazioni diverse nel loro assetto comportamentale. Ricercano diversamente il piacere nel mondo. Si muovono diversamente nel mondo.
Forse il border collie ci appare più intelligente perché la sua intelligenza collaborativa lo fa essere più attento a noi, ai nostro comandi e a ciò che gli proponiamo. E quindi anche ai problem solving che gli somministriamo. Non a caso il podio dei cani più intelligenti appartiene a tre razze- border collie, barbone, pastore tedesco- che mostrano una maggiore predisposizione al lavoro con l’uomo. Ma un segugio che segue ostinatamente una traccia olfattiva per km lasciandosi alle spalle l’imbranato e lento umano non lo definirei meno intelligente. E che dire di un levriero che raggiunge circa 70 km/h? Molti umani intelligenti inciampano su un gradino figurarsi a correre a quella velocità.
“La mente opera in modo plurale perché plurali sono le prestazioni che le diverse specie, i diversi soggetti e anche lo stesso soggetto nelle diverse età, sono chiamati a compiere. Come non è paragonabile la prestazione che compie l’arto anteriore di un chirottero da quella realizzata dall’arto di un delfino, o quella di una talpa rispetto all’elefante, o ancora, quella di un gatto rispetto a quella di un uomo, allo stesso modo nel mondo animale le diversi menti presentano complessi di performatività cognitiva assai diversi tra loro” Marchesini.
E dell’altronde questo concetto vale anche in umana. Secondo lo psicologo americano H. Gardner non esiste un solo tipo di intelligenza, ma una molteplicità di forme, ovvero potenzialità biologiche presenti sin dalla nascita che in ogni essere umano assumono una particolare combinazione di livelli di sviluppo, rendendo unico il suo profilo intellettivo.
L’evolversi di ciascuna intelligenza e il raggiungimento di gradi più o meno elevati, risulta in parte condizionato da fattori genetici, ma dipende anche dalle opportunità di apprendimento offerte da una particolare contesto culturale. Non basta, dunque, individuare le inclinazioni personali, occorre esercitarle, in caso contrario rimarranno nello stato embrionale.
Con la sua opera Gardner non ha messo in discussione soltanto la vecchia teoria di intelligenza, bensì anche i test standardizzati che sulla stessa si fondavano.
I nostri cani hanno una intelligenza e cultura soggettiva; certo qualcuno può avere dei talenti già più sviluppati di altri, qualcun altro può avere delle risorse che noi non abbiamo ancora scoperto. Qualcun altro ancora può avere delle inclinazioni da sostenere.
Quello che so è che quando giravo per boschi con la mia Shana, perdendo l’orientamento, lei sapeva riportarmi a casa. Eppure non ho mai avuto necessità di testare la sua intelligenza con dei problem solving.
“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido” Albert Einstein