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Tag

Femminicidio

Stalking
AttualitàIn primo piano

Stalking: caso Boschi, quando la legge non è uguale per tutti

scritto da L'Interessante

Stalking

Di Carmen Giaquinto

Dopo l’arresto nel novembre del 2016, Giuseppe Dragone, originario della Campania, più precisamente di Pozzuoli, è stato condannato a due anni e due mesi di carcere con il rito abbreviato. Il quarantacinquenne è stato accusato di stalking nei confronti dell’ex ministro delle Riforme ed attuale Sottosegretario alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi. I messaggi con i quali tempestava letteralmente la casella postale della Boschi passano da frasi d’amore a minacce di morte, in una furia ossessiva che gli aveva già causato gli arresti domiciliari mesi prima, quando era stato fermato nei pressi di un ristorante di Santa Maria Novella, a Firenze, in quanto si rifiutava di pagare il conto del pranzo, poche decine di euro. Gli agenti, dopo averlo identificato ed aver inserito il suo nome negli archivi, si sono resi conto che l’uomo era ricercato perché a suo carico pendeva una misura cautelare di arresti domiciliari per atti persecutori proprio ai danni dell’ex ministro. Secondo quanto appreso da fonti di polizia, l’uomo sarebbe stato sottoposto da tempo alla misura di divieto di avvicinamento verso la donna e a quella dell’obbligo di dimora nel suo comune di residenza in Campania.

Tra stalking e messaggi

«Non c’è mai stato alcun contatto tra il mio assistito ed il ministro Boschi, che non ha mai risposto ai messaggi», ha spiegato il difensore di Dragone, l’avvocato Guido Iaccarino. L’ossessione che l’uomo aveva sviluppato negli anni «deriva da una patologia psichiatrica che dura da anni». La segretaria della giovane donna leggeva quotidianamente centinaia di mail dai contenuti abbastanza accesi e preoccupanti in un mix di delirio amoroso e omicida: “Amore ti porterò con me in paradiso. Tu sei il mio fiore”; “Ti amo ma ti devo ammazzare”; “Boschi tra i Boschi amore a tema… ma se ti ammazzo chi ti troverà?”; “Amore sbloccami oppure parto prima e ti ammazzo…sai che sono geloso”.Mille e-mail in soli tre mesi. E-mail che hanno allarmato la sicurezza di Maria Elena Boschi, assente in tribunale venerdì scorso, non costituendosi, però, parte civile.

La vita ai tempi dello stalking

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei messi a quattro anni”, così recita l’art. 612 bis del codice penale, introdotto con la legge n. 38 del 2009 in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale e di atti persecutori. Ma quando ad essere perseguitati sono le donne (e gli uomini) normali, senza cognomi importanti, la legge cade nel dimenticatoio e tutto si addebita all’ormai diffusissimo termine “femminicidio”, usato, talvolta, in maniera impropria. Secondo l’Istat, tre milioni e quattrocento sessantasei mila donne italiane hanno subito stalking nel corso della loro vita, da ex fidanzati o da sconosciuti squilibrati. Non bastano le già utili associazioni (vedi Telefono Rosa o Doppia Difesa, ideata da Giulia Bongiorno) che offrono, in primis, un supporto morale alla vittima che in genere ha paura di denunciare. Il problema non è la novità di una legge che non funziona. Il problema sono i tempi della giustizia. Passa troppo tempo tra la denuncia e la salvezza, per questo molte donne temono di aggravare la situazione ed adirare maggiormente lo stalker. E così capita sempre di più che quei messaggi spinti e terrificanti, quegli sguardi d’odio represso si trasformino in schiaffi, urla, spintoni e colpi di pistola. Senza mezzi termini. E soprattutto, senza la tutela di uno Stato che sapeva ma che è rimasto con le mani in mano. Come se il caso della Boschi fosse più grave di quello di Andrea Toccaceli, diciott’anni, picchiata dal fidanzato ventitreenne e spinta giù da un viadotto lungo la statale 73 bis nelle Marche, un volo di quindici metri che è stato seguito dal tentato suicidio del ragazzo stesso. Lo Stato ha la colpa di non riuscire a fermare l’aggressore prima che accada l’irreparabile, anche se la vittima lo denuncia molto prima. Eppure è fondamentale intervenire immediatamente in seguito alla denuncia. Come spiegano anche gli esperti dell’Osservatorio Nazionale Stalking, la dinamica del bracconaggio (to stalk significa, appunto, braccare) ha un altissimo rischio di recidiva e di passaggio dall’atto grave senza manifestazioni intermedie: spesso si passa, infatti, dalla violenza psicologica agli atti persecutori, di solito dopo una separazione o un rifiuto, fino all’omicidio. Ecco, quindi, che la vicenda dell’ex ministro è su tutti i giornali e le migliaia di denunce giornaliere restano tra la polvere di una burocrazia troppo indaffarata. Due pesi, due misure. Nell’attesa che si diffonda una maggiore sensibilizzazione, la massima solidarietà va a Maria Elena Boschi, un’altra vittima dello stalking nostrano.

Stalking: caso Boschi, quando la legge non è uguale per tutti was last modified: marzo 20th, 2017 by L'Interessante
20 marzo 2017 0 commenti
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Tu sì que Vales
CulturaIn primo pianoTv

Tu sì que Vales contro il femminicidio: tutti gli uomini dello studio al grido di “Se questo è un uomo, io non sono un uomo” – IL VIDEO

scritto da Roberta Magliocca

Tu sì que Vales

Di Roberta Magliocca

Quando l’intrattenimento si veste di serietà sociale e grida al mondo le sue ingiustizie, senza sembrare fuori luogo o fuori tema. 

E’ successo a Tu sì que Vales la scorsa puntata

Su quel palco tanto amato e seguito dagli italiani, ne passano davvero di tutti i colori. Cantanti, ballerini, acrobati, attori, italiani e stranieri. Ma anche personaggi alquanto improbabili, che strappano un sorriso durante i numerosi siparietti che vedono protagonisti i padroni di casa: Maria De Filippi, Gerry Scotti, Rudi Zerbi e il nuovo giudice Teo Mammuccari, sotto gli occhi vigili di Mara Venier e dei presentatori Belèn Rodriguez e Simone Ruggiati.

Poi, due sgabelli al centro del palcoscenico. E sullo schermo, una frase: “Se questo è un uomo”. Una ragazza si appella al diritto all’esistenza. Perchè i fari accesi sulle donne che muoiono per mano di un uomo sono giusti, sono informazione e il cielo solo sa quanto abbiamo bisogno di informazione che diventi educazione ed infine prevenzione. Ma ci sarebbe una luce che andrebbe accesa su chi resta: i figli. Figli che diventano orfani in un colpo solo, come in un incidente aereo, salvo vederne i diversi destini: una mamma al cimitero, un papà in carcere. E in questo caso non si parla solo  di lutto, ma di un intreccio di storie e legalità, di allontanamento e dolore.

Ed è solo uno sgabello occupato. Accanto a lei, ad occupare l’altro con lacrime che non si sanno trattenere, una donna che piange ancora – e sempre lo farà – una figlia diciannovenne che ha detto NO al suo e ragazzo. Un No che le è costata la vita.

Tutti visibilmente commossi, lasciano la parola a Maria De Filippi:

“Sarebbe bello se tutti gli uomini in questo studio dicessero <<Se questo è un uomo, io non sono un uomo>>“

E’ stato un attimo. I tre giudici e il conduttore raggiungono il centro dello studio, a ruota tutti gli uomini presenti in studio. Un microfono che passa di mano in mano e quella frase ripetuta una, dieci, cento volte. Se questo è un uomo, io non sono un uomo. E se gli appelli delle donne sono importanti, i messaggi che derivano dalla bocca e dal cuore degli uomini sono doverosi e ci fanno ben sperare per il futuro. Quel futuro che speriamo possa arrivare presto. Quel futuro in cui nessuna donna morirà più per un “no”.

Tu sì que Vales contro il femminicidio: tutti gli uomini dello studio al grido di “Se questo è un uomo, io non sono un uomo” – IL VIDEO was last modified: ottobre 10th, 2016 by Roberta Magliocca
10 ottobre 2016 0 commenti
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Francesca Carollo
AttualitàCronacaCulturaIn primo pianoLibri

Le amiche che non ho più: Francesca Carollo per la Tullio Pironti Editore

scritto da L'Interessante

Francesca Carollo

Di Roberta Magliocca

Roberta, Federica, Lucia. Tre nomi tra tanti nomi, tre storie tra tante storie. Tre donne che non ci sono più. A darle voce, una giovane giornalista che si definisce loro amica pur non avendole mai conosciute fisicamente. 

Eppure, Francesca Carollo nel suo libro “Le amiche che non ho più” – edito dalla Tullio Pironti Editore – pur con lucida obiettività, fondamentale nel lavoro di giornalista, non ha dimenticato il cuore

Come in un diario personale caduto per sbaglio nella borsa del lavoro, Francesca Carollo ci parla di cronaca ed empatia, di una piaga italiana. Si perchè Roberta, Federica e Lucia sono solo (e sempre troppe) tre donne tra le tante che, ogni giorno, perdono la vita per mano di chi dice di amarle e poi le uccide senza amore alcuno.

La scrittura di Francesca è semplice e diretta, precisa nei fatti e nei ricordi. Mentre si legge sembra di ripercorrere strade e relazioni, di vivere in quelle case che dovrebbero essere luoghi sicuri ed invece si scoprono pieni di violenza e sofferenza. Dopo le prime pagine già non si capisce più dove finisce il lavoro e comincia la vicinanza, dove finisce la giornalista e parla la persona. E forse non si capisce perchè non c’è un inizio ed una fine, non ci sono due persone. La Carollo, in questo libro, è Francesca, è giornalista, è in uno stato di umana comprensione e profonda preoccupazione per questa Italia dove noi donne non siamo al sicuro. Rifiutando il termine femminicidio, non rinuncia a sottolineare la natura culturale di questo fenomeno che è così assurdo da non riuscire a spiegarlo. 

Cosa scatta nella mente di chi amiamo per portarlo a questo folle gesto? Non si è ancora ben capito. Follia, dicono. Perdita di lucidità, forse. Amore malato, sicuramente. Resta il fatto che se quella donna che tanto amano, non può essere loro, allora, non sarà di nessun altro. 

 Si può, allora, ancora parlare di AMORE? L’amore non dovrebbe essere un augurarsi la felicità dell’altra persona, anche se questo significa vederla lontana da noi? Non sarebbe più giusto chiamarla OSSESSIONE?

 Si dovrebbe parlare di umanità. E una donna uccisa ogni due giorni è una statistica disumana. Quella che soffoca l’italia in questo periodo non è soltanto crisi economica. Ma etica. Educativa. Ma soprattutto carenza di giustizia e protezione. Gridiamo al diritto di essere libere, di essere padrone assolute della nostra vita. Libere di amare e di lasciare. Libere. Questa libertà, per noi, non c’è. Siamo tornati al Medioevo? No, non credo. Forse età più scura di questa le donne non l’hanno mai vissuta.

 E ricordo ancora quando mio nonno diceva: “Le donne non si toccano nemmeno con un fiore”.

 Ora, gli unici fiori sono quelli che troneggiano sulle lapidi di donne che per amore hanno dato tutto. Anche la vita.

Le amiche che non ho più: Francesca Carollo per la Tullio Pironti Editore was last modified: settembre 28th, 2016 by L'Interessante
28 settembre 2016 0 commenti
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Telefono Donna
CulturaEventiIn primo piano

Telefono Donna: premio di poesia

scritto da Roberta Magliocca

telefono donna

Di Roberta Magliocca

Troppe. Anche quest’anno ne sono troppe. E se anche una persona che perde la vita è già troppo, più di settanta donne uccise dall’inizio dell’anno avendo come origine il medesimo motivo è un qualcosa di più di una tragedia. E’ una guerra. Una dichiarazione di guerra gridata a noi da chi prima ci dice ti amo e poi ci uccide senza amore alcuno.

Noi, donne colpevoli di volere libertà, parità dei sessi, diritti che nel 2016 dovrebbero essere garantiti e che invece vengono pagati con il sangue. 

Ecco perchè campagne come il #FertilityDay devono essere combattute con eventi per sensibilizzare donne e uomini su un tema tanto tragico, quanto attuale.

Tra questi, il Premio Internazionale di Poesia ” Telefono Donna “– giunto alla seconda edizione – promosso dall’associazione di Foggia “Impegno Donna”

Approfittiamone: diamo al mondo uomini migliori.

Tutti i dettagli del conocrso, qui.

 

Telefono Donna: premio di poesia was last modified: settembre 8th, 2016 by Roberta Magliocca
8 settembre 2016 0 commenti
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Amore Criminale
CulturaIn primo pianoTv

Amore Criminale non è un film horror

scritto da L'Interessante

Amore Criminale

Di Michela Salzillo

Non è più tempo di equivoci. Il turno dell’estate sta per dirsi definitivamente concluso, almeno per quest’anno. A ricordarcelo è la routine dei primi giorni di settembre che, seppure in sordina, comincia a reclamare il posto che le spetta. Se da un lato ritornano gli esami all’università e le scartoffie d’ufficio, dall’altro si fanno attendere con ansia le sere a base di divano, plaid e zapping.

Anche per gli appassionati dei programmi tv, siano essi serie dallo stile americano o format dal carattere tutto italiano, la lunga stagione dei canali preferiti sta tornando. Come per Mediaset, anche per le reti Rai, è tempo di riformulare i palinsesti in vecchio stile. Un riordino che, stando a certe anteprime da web, si sta facendo portavoce di novità poco condivise dal pubblico più attento. È il caso del passaggio di staffetta fra Barbara De Rossi, collaudata pioniera di slogan anti- violenza, e l’attrice Asia Argento.

È ormai confermato, infatti, che il timone della nuova edizione di Amore Criminale, lo spazio di Rai tre che denuncia le molteplici forme di maltrattamento, con particolare attenzione alla violenza sulle donne e ai casi di femminicidio, passerà nelle mani del “volto horror” più stimato, sia in Italia che all’estero

La polemica ha divampato il suo ardore dopo l’opinione che la blogger e giornalista, Selvaggia Lucarelli, ha espresso sul suo profilo facebook, osservando non poche critiche nei confronti dell’attuale direttrice di rete, Daria Bignardi.

“Amore Criminale è un programma di cui ho scritto spesso, perché è educativo e crudo allo stesso tempo, Barbara De Rossi l’ha sempre condotto con passione e coinvolgimento perché conosce, ahimè, l’argomento e si spende da molti anni, anche prima di questa conduzione, per la causa “violenza sulle donne”  – ha detto la Lucarelli, continuando il suo disappunto con le parole della De Rossi, intervistata dalla” vispa penna” de Il Fatto Quotidiano subito dopo la scelta di sostituzione. È un fare che tutti riconoscono come legittimo, quello del cambio look. In fondo, fare televisione vuol dire anche esporsi a continui ricambi d’aria, ma è sulla preferenza della Argento che ricade qualche perplessità

“Condurre questo programma vuol dire prendere le donne per mano, incoraggiarle a denunciare quando serve, rassicurarle sul fatto che si può essere aiutate. (…) Io questo ruolo lo sentivo come una sorta di ricompensa, di riscatto dopo quello che ho passato e visto. Ero fiera di essere al timone di un programma così. Sono amareggiata e non ho intenzione di nasconderlo”. È Con queste parole che la De Rossi si esprime nei confronti di chi le chiede qual è stata la sua reazione a quanto stabilito. Ha dichiarato che se al suo posto fossero state preferite donne come la Morante o la Guerritore, avrebbe accettato di buon grado la scelta di innovare un programma ampliamente avviato, ma in questo modo la pillola è dura da buttare giù.

 In effetti, volendo allargare anche le vedute più ristrette, risulta difficile non condividere, almeno in parte, un rattristamento di questo tipo. L’abito non fa il monaco dai tempi in cui si preferivano le massime sui preti che razzolano male, e anche su questo siamo più o meno tutti d’accordo. Ma in televisione, più che altrove, l’immagine è la spalla forte del contenuto. È inutile illudersi! Chi conduce un programma del genere, dovrebbe avere un aspetto composto, serioso e rassicurante; un po’ come la zia buona che soccorre in caso di panico, e se ci fosse il bisogno di chiedersi il perché, la risposta è presto data: un tema come quello sviscerato dal programma in questione è non delicatissimo, di più. Non si può rischiare neanche di striscio, un alleggerimento di quei racconti, così assurdi nella loro sconvolgente realtà. Che non me ne voglia la signora Argento ma, giusto per dirne una, postare una foto su instagram in cui è ritratto un cartello citante:” Eat acid see god” -assumi acidi, vedi Dio- qualche rischio lo fa correre. Ora, che ognuno è libero di fare quello che vuole, ormai non lo negherebbe neanche il migliore dei dittatori, ma non è sempre tutto o bianco o nero. Gli omicidi di amore criminale sono verità, non un ‘ invenzione da ultimo film. È per questo che  almeno un po’ di riserbo su certe estremizzazioni di concetto sarebbe gradito, se non altro per difendere la dignità di uno dei pochissimi programmi ben fatti del panorama televisivo italiano .

Amore Criminale non è un film horror was last modified: settembre 5th, 2016 by L'Interessante
5 settembre 2016 0 commenti
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Femminicidio
AttualitàIn primo pianoParliamone

Femminicidio? Chiamiamolo “Women-icidio”, così fa meno paura!

scritto da L'Interessante

Femminicidio

Di Michele Calamaio

Uccise. Da mariti, fidanzati o spasimanti, ma pur sempre violentate. Da rapinatori o da uomini semplicemente violenti, per motivi futili o per far dimenticare loro il volto della bellezza del mondo, ma ancora e continuamente maltrattate.  Da un mondo che non prestava loro la giusta attenzione verso l’eccessivo buonismo visto negli occhi di chi invece non merita neanche un pizzico di quella stessa tolleranza , da una pesantezza che non ha fatto altro che aumentare nel tempo un carico enorme sulla schiena di combattenti anche fin troppo martoriate da una guerra mai realmente terminata, ma pur sempre falcidiate da una incomprensione da parte delle autorità a dir poco “eterna”. Ed è così che Isacc Asimov affermava che <<la violenza è soltanto l’ultimo rifugio degli incapaci>>, consapevole che la stessa, compromessa a tal punto da sembrare qualcosa di più grande e troppo “impossibile” da superare, tocca il limite massimo della sua decenza nel momento in cui <<si distrugge l’energia essenziale della vita su questo pianeta e si forza quanto è nato per essere aperto in modo fiducioso, caloroso e creativo>>; di parere simile, ma con connotazioni alquanto diverse, era Giles Vigneault, il quale sosteneva a voce alta l’incapacità dell’essere umano di mettere un freno deciso e determinato a quell’istinto animalesco che per secoli ha segnato l’inizio di un “inferno umano”, fatto appunto di una <<tenebra che non può scacciare la tenebra stessa>> e di un ammortizzatore mai davvero messo alla prova nella sua opera di “rinascita” dalle ceneri di una “virilità poco virile”. Ma se questo spettacolo macabro messo in scena in un contesto altrettanto raccapricciante non accenna ad insegnare quel “rispetto” necessario a rafforzare la figura femminile e persiste nel ritagliarsi “minuti di silenzio” che alimentano una malattia oramai ancorata nell’”istinto ignorante” dell’essere umano, come può il rosso essere ancora il colore dell’amore senza trasformarsi in “viola tumefatto”?

Negli ultimi dieci anni sono 1740 i casi di Femminicidio, un numero tanto spaventoso quanto estremamente vicino ad una realtà troppo diabolica per essere giustificata: si parla di movente passionale?

<<Allora se l’è cercata>>, sosterrebbe l’”unanimità maschilista” pronta a difendere più che condannare il <<crimine più grande della debolezza maschile>>; si tratta di pura istintualità non gestibile? <<Non aveva scelta>>, azzarderebbe il cuore di chi non ha accennato un secondo a nascondere <<le prove di un amore sbagliato>>, coerente con l’illusione di una guarigione ridotta alle briciole; si prospetta un aumento di omicidi? <<E’ il momento di dire basta>>, imporrebbe decisamente la voce della coscienza, la stessa con la quale un tragico bilancio può essere fermato, una feccia di fattori negativi al coinvolgimento attivo della paura può essere diminuita, un baluardo della “giustizia femminile” può essere finalmente aggiornato alle tempistiche moderne, ghettizzando un problema da affrontare alle radici e da combattere fino alla sua punta dell’iceberg.

Così, se la speranza di avere un “anno di tregua”, in mezzo ad un vortice troppo grande per essere interrotto, era viva nelle storie di tutte le superstiti che hanno raccontato di una vita irrimediabilmente perduta ma ancora capace di essere trasformata da quei piccoli miracoli quotidiani che solo l’amore vero può dare, quella che ne è uscita trionfante ancora una volta è stata l’amarezza di essersi arresi di nuovo <<al rosso del sangue, piuttosto che a quello della dignità>>. I volti sembrano volatilizzarsi mentre il colpo di una pistola scatta, le lacrime di disperazione si credono inutili nel momento stesso in cui una mazza colpisce quello che solo la fantasia criminale potrebbe arrivare a distruggere, gli occhi tremanti volano già in paradiso, perché rimanere su una terra che non li merita viene considerato un peccato troppo grande da colmare con il perdono: <<Quante ancora ne devono morire perché il Governo si renda conto che le risorse economiche, i mezzi e le attività di contrasto alla violenza di genere sono del tutto insufficienti? Quante donne, ragazze, madri, figlie, sorelle, amiche dobbiamo vedere massacrate da ex, diventati mostri e assassini, prima che vengano prese decisioni e attuate politiche attive idonee ad un problema sociale enorme come quello della violenza sulle donne?>> denuncia Gabriella Moscatelli, presidente di Telefono Rosa, che lancia l’hashtag #quanteancora per evitare uno scempio divenuto oramai imminente. Assuefazione alla “droga delle mani pesanti”? Non proprio; persone “normali” reinventate <<assassini rosa>> di una realtà commestibile solo per l’arretratezza sociale? Forse; donne diventate martiri di una guerra non loro? Decisamente si: come ha spiegato Fabio Piacenti, presidente dell’Eures, l’Istituto di ricerche economiche e sociali che da anni dedica al fenomeno un Osservatorio ad hoc, negli ultimi dieci anni <<le donne uccise nel nostro Paese sono state 1.740 suddivise nel 71,9% in omicidi familiari, 67,6% in uccisioni legate a problematiche coppia e 26,5% per mano di un ex>>, consolidando una striscia negativa di eventi che, nel gergo popolare, “farebbe un baffo alla parità dei sessi”. Il dato che tuttavia risulta essere più grave nella totalità di questo “dramma”, dipinto con tinte storiche e che risale all’alba dei tempi ma che ha davvero poco da invidiare alle sue origini greche, è la spaventosa gamma di età “picchiate” da questo fenomeno anormale: tra i 16 e i 70 anni, infatti, il 31% delle donne è stato abusato sessualmente e psicologicamente, determinando un’ascesa degna dei migliori film horror. I recenti casi mortali di Lucca e Caserta riaccendono il dibattito politico e alimentano la fiamma di una speranza ancora non del tutta morta: <<Le leggi ci sono e i centri antiviolenza devono tornare ad avere al più presto i finanziamenti necessari>> afferma il presidente del Senato Piero Grasso, che affida il suo pensiero alla possibilità concreta di cambiamento, una metamorfosi tanto positiva quanto necessaria affinché, da una parte le donne si travestano da “paladine della giustizia” e denuncino una strage fatta di odio e brutalità, e dall’altra gli uomini stessi <<si rivoltino contro questa infamia capitale>>. La soluzione? <<Stare insieme, convertendo questa “libertà vigilata” in una sfida quotidiana>>, dove uomini e donne non si appartengano per “diritto di sangue”, ma si scelgano ogni giorno, liberamente. I casi più recenti hanno raccontato la vicenda inverosimile di un “happy ending” impossibile agli occhi della realtà alternativa del banco degli imputati: se ammazzare una ragazza di Pordenone con quattro colpi di pistola è normalità per un ex fidanzato, allora viviamo nella pura anarchia sociale; se strangolare una studentessa universitaria romana di 22 anni e poi bruciarla viva è semplice routine per il suo ex convivente, allora c’è da porsi qualche domanda in più;  se uccidere una venticinquenne a coltellate dall’ <<embolo partito>> di un uomo incapace di accettare la fine di una relazione, allora l’inizio dell’Apocalisse è davvero tracciato. L’appello che risuona nei timpani otturati delle famiglie vittime di questa tragedia è sempre lo stesso, una medesima implorazione verso il sentimento nobile dell’amore che non trova più pace, un’ emozione che da troppo tempo, purtroppo, è stata macchiata con la prospettiva irrealizzabile dell’indulgenza e scambiata con la follia dei coltelli, con la bugia delle pistole e con il disprezzo verso il rispetto della dignità umana: <<non insegnate ai vostri figli che l’amore è tutto, non lo fate perché insegnate la menzogna; insegnate loro il rispetto per gli altri e alle vostre figlie il rispetto per loro stesse, perché 70 donne morte per mano del proprio uomo solo nei primi sette mesi dell’anno è pura follia, perché ad armare la mano degli uomini sono le donne che troppo amore danno e che poco amore si vogliono>>. Provare a tagliare la coda al lupo è possibile, evitare che si cibi del male che più ama è concretizzabile, ma state attente, perché se è vero che fidarsi rappresenta la vera unica soluzione ad un nuovo cambiamento, un nuovo percorso tutto in salita ma fatto di speranza viva e presente, “non fidarsi è meglio”: è buona consuetudine ricordare che “il lupo perde il pelo, ma non il vizio!”.

Femminicidio? Chiamiamolo “Women-icidio”, così fa meno paura! was last modified: agosto 16th, 2016 by L'Interessante
16 agosto 2016 0 commenti
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Lovers
CulturaIn primo pianoTeatro

Lovers ad Officina Teatro. Al mio assassino amatissimo

scritto da Roberta Magliocca

Lovers

Sono una donna

capelli lunghi, smalto rosso,

 tacco 100, pensieri confusi.

 Sono una donna

 e ho imparato quanto questa

 sia la mia forza e la mia condanna.

Sono una donna,

 l’oggetto del desiderio,

 un oggetto che diventa di possesso

per quell’uomo che tanto uomo,

 alla fine, poi non è.

 E così non sono più una donna,

 ma la sua donna,

 ricattabile con promesse d’amore,

 la sua donna che mai potrà essere di nessun altro.

Ero una donna.

 Quell’uomo che tanto diceva di amarmi

mi ha uccisa senza amore alcuno.

Roberta Magliocca

Lovers, in scena questo fine settimana ad Officina Teatro per la regia del direttore artistico Michele Pagano.

In scena 5 donne, portatrici sane di amore e tragedia, storie trascinanti un qualcosa che logora e che dovrebbe squarciare le menti e le anime.

Lovers è un pugno dritto allo stomaco, un camion che ti passa addosso.

Lovers sono occhi, mani, pensieri che non possono lasciare indifferenti. Cinque storie, cinque donne, cinque bambine con i propri sogni puntualmente disattesi con il passare del tempo.

E se il telegiornale ci abitua ai nostri italianissimi bollettini di guerra, con statistiche che dovrebbero inorridire – una donna uccisa ogni due giorni – conoscere i nomi e le storie, indipendentemente dai numeri, ti fa mancare l’aria, ti fa sentire appartenente ad una razza – quella umana – che ha profondamente qualcosa di sbagliato.

 Antonella, 21 anni. Fabiola, 45 anni. Stefania, 39 anni. Daniela, 8 anni. Sono solo alcune delle 121 donne uccise solo in un anno. Un numero impressionante, soprattutto se si pensa che sono donne uccise da uomini che non solo le conoscevano, ma che un giorno le avevano giurato amore. Sono padri, mariti, fidanzati, amanti.

Tutti protagonisti di un sentimento malato che non riesce ad accettare la parola “fine”.

Ricordo bene quando avevo 12-13 anni, le prime uscite con le amiche e le raccomandazioni dei miei genitori: “Non dare confidenza agli sconosciuti”. Mai avrebbero pensato che di lì a qualche anno avrebbero dovuto mettermi in guardia da chi conosco bene, da chi mi ama, da chi condivide con me la vita. Perché è questo che sono costretti a fare i genitori di oggi. Gli sconosciuti nel XXI secolo non fanno paura quanto chi vive con noi il nostro quotidiano.

Cosa scatta nella mente di chi amiamo per portarlo a questo folle gesto? Non si è ancora ben capito. Follia, dicono. Perdita di lucidità, forse. Amore malato, sicuramente, trauma. Non so. Resta il fatto che se quella donna che tanto amano, non può essere loro, allora, non sarà di nessun altro. E con lei, anche il mondo che le appartiene deve finire. Ed ecco che muoiono suocere, cognate, nuovi compagni, addirittura gli stessi propri figli.

 Si può, allora, ancora parlare di AMORE? L’amore non dovrebbe essere un augurarsi la felicità dell’altra persona, anche se questo significa vederla lontana da noi? Non sarebbe più giusto chiamarla OSSESSIONE?

 Si dovrebbe parlare di umanità. E una donna uccisa ogni due giorni è una statistica disumana. Quella che soffoca l’italia inquesto periodo non è soltanto crisi economica. Ma morale. Etica. Educativa. Ma soprattutto carenza di giustizia e protezione. Gridiamo al diritto di essere libere, di essere padrone assolute della nostra vita. Libere di amare e di lasciare. Libere. Questa libertà, per noi, non c’è. Siamo tornati al Medioevo? No, non credo. Forse età più scura di questa le donne non l’hanno mai vissuta.

 E ricordo ancora quando mio nonno diceva: “Le donne non si toccano nemmeno con un fiore”.

 Ora, gli unici fiori sono quelli che troneggiano sulle lapidi di donne che per amore hanno dato tutto. Anche la vita.

Roberta Magliocca

Lovers ad Officina Teatro. Al mio assassino amatissimo was last modified: aprile 24th, 2016 by Roberta Magliocca
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